L'origine del male e del bene

Aperto da Jacopus, 29 Luglio 2019, 22:20:15 PM

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Ipazia

Citazione di: viator il 12 Settembre 2019, 14:57:08 PM
Salve. Solito problema delle definizioni latitanti. Ad esempio, la vita in sè non è certo un valore. Può essere giudicata, trattata, rispettata, osannata, disprezzata, soppressa (solo nelle sue manifestazioni particolari e locali) ma essa PROPRIAMENTE E' UNA NECESSITA'. ....
... L'etica, intesa come insieme organizzato od organizzabile di principi comportamentali, secondo me non è affatto aspetto fondativo della condizione umana.
Esso aspetto è sempre sovrastato ed oppresso appunto dalla NECESSITA', la quale rappresenta ovviamente la prassi naturale opposta alla facoltà umana.

Perchè opposta ? Può essere anche coerente una volta che si abbia accettato la "necessità" che io attruisco fisicamente e metafisicamente alla "vita", come fondamento etico. Come osserva jacopus vi è pure una dimostrazione storico-empirica dell'emergere del valore della coesistenza pacifica sul valore della guerra, che in tempi antichi e moderni ha avuto i suoi momenti di esaltazione.

Il "darwinismo storico" ha pure prodotto la superiorità evolutiva del più pacifico e le armi di distruzione di massa, novella "necessità", hanno fornito una referenza oggettiva a tale superiorità. Corroborata anche dal corrispettivo postmoderno della guerra, ovvero l'economia, che nell'intreccio delle partecipazioni economiche costringe i contendenti, soprattutto i più grandi e pericolosi, ad una reciproca intesa.

In definitiva ogni forma in cui la vita umana si evolve finisce col costringere a prendere sul serio l'eticità delle relazioni umane. Sviscerando pure le questioni, perchè nulla è semplice quando si devono incastrare tra loro interessi e aspirazioni ormai a nove cifre, sempre più prossime tra loro da non potersi ignorare. Cifra che già di suo pone seri limiti alla proponibilità di un relativismo etico "forte".
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Phil

Citazione di: Ipazia il 12 Settembre 2019, 12:43:37 PM
Tutto il dibattito etico sulla manipolazione genetica e le biotecnologie rimane ancorato al cui prodest. Se è utile ad un potenziamento della vita umana e non confligge con la natura (è chiaro che tra uomo e natura vi è circolarità) viene promosso.
La manipolazione genetica «confligge» con la natura per sua stessa definizione (è un "metter mano" piuttosto indiscreto), per cui le sue questioni etiche non potranno essere decise a partire dalla natura stessa, che magari ci inviterebbe a star fermi con le mani. Certo, anche la razionalità (base della tecnica) dell'uomo fa parte della natura, ma non possiamo rinnegare il fatto che è stata proprio tale "dote" ad averci alienato/emancipato/differenziato dalle leggi dell'ethos naturale, per cui appellarci adesso al bios, a questo punto evolutivo che lo ha reso ormai manipolabile, pare più una ricerca di un pre-testo per le differenti fazioni di pensiero (che, come da manuale, interpretano a modo loro).
Lo stesso concetto di «potenziamento della vita umana»(cit.), fulcro spinoso di ogni dibattito su quei temi, non è forse da valutare secondo paradigmi etici? Se è così e gli chiediamo nondimeno anche di fungere da fondamento degli stessi paradigmi decisionali-risolutivi, siamo in piena centrifuga tautologica.

Citazione di: Ipazia il 12 Settembre 2019, 12:43:37 PM
Non è sufficiente ma è fondativo "la vita accade prima di tutto". Che su questo non sia possibile fondare un'etica condivisa ("non è sufficiente"), tu e green avete ragione. Ma quando si va alle origine della questione sempre da lì si finisce col ripartire, non ideologicamente (la trascendentalità "kantiana" non è autosussistente), ma sostanzialmente e praticamente.
Certo, «ripartire» ma come presupposto fenomenologico, non come criterio, che è, una volta dati i presupposti, ciò che serve a fondare un'etica razionale.

Citazione di: Ipazia il 12 Settembre 2019, 12:43:37 PM
Il rebus fa parte del problema, ma le due questioni si sviluppano dialetticamente trovando la sintesi, almeno a livello teorico, in forme più dense e libere di valorizzazione della vita (umana) che riguardano le tecniche di cura, la libertà sessuale, la disponibilità della propria vita in ogni suo ambito (economico, esistenziale, biologico,...) e le scelte politico-economiche.
La valorizzazione/valutazione di/in tutti quegli ambiti è proprio il cruccio dell'etica, chiamata a decidere della «densità» e della "libertà" dell'agire; nel momento in cui viene definito il "programma" della valorizzazione, si tratta solo di applicarlo, ma è la scelta a monte il problema meta-etico: non cosa sia il bene (etica), ma perché (meta-etica, ad alto rischio tautologico).

Citazione di: Ipazia il 12 Settembre 2019, 12:43:37 PM
Nel dibattito sull'ivg la conoscenza del processo di sviluppo dell'embrione è un elemento dirimente per contemperare il miglior compromesso etico possibile tra la donna e il risultato della fecondazione.
Non mi pare un compromesso, quanto un processo: la conoscenza degli stadi embrionali è descrittiva, poi (attenzione a non confondere il "dopo" con il "fondandosi su") l'etica assegna un significato ad ogni stadio.
Come dire: prima metto i soldi in un distributore automatico, poi lui eroga il caffè, ma il caffè non è fatto dai soldi, bensì dal distributore automatico. Certo, di solito, senza soldi niente caffè (senza informazioni, niente scelta etica) e più soldi/informazioni metto, più il distributore può erogare bevande migliori (semplifichiamo), ma la produzione del caffè/giudizio-etico è tutta interna al distributore/paradigma-etico. Concordiamo di sicuro sul fatto che un distributore che eroga caffè gratis (scelte etiche senza informazioni sul contesto), probabilmente non fornisce un prodotto di qualità (per quanto, de gustibus...).
Al di là della "pausa caffè", ad ogni stadio embrionale non so se possano essere date descrizioni eccessivamente divergenti, ma sicuramente differenti letture etiche. Il dove inizia la persona, non lo dice la scienza, almeno non prima di aver preso i criteri dall'etica, dunque qui il fondamento dell'interpretazione rischia di essere capovolto.

Citazione di: Ipazia il 12 Settembre 2019, 12:43:37 PM
Lo studio sui limiti dello sviluppo e l'impatto antropico fornisce un riferimento forte al principio etico della procreazione responsabile...
Un riferimento ancora più forte lo fornisce un elaboratore che, analizzando tutti i dati antropici, ci spiega che razionalmente dovremmo smetterla di procreare e persino di curarci perché il pianeta è sovraffollato, l'impronta ecologica è drammatica, etc. tuttavia se possiamo intimargli di tacere è perché lui non ha un cuore e, come noto solo agli umani, «il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce...».
La procreazione responsabile, o meglio, il concetto di «responsabilità» scatena la bagarre della dialettica armonia-della-società/libertà-individuale (per fortuna è off topic, perché il mio forfait sul tema sarebbe al primo minuto di gioco) di cui solo un'etica potrebbe decidere... se solo ce ne fosse una più razionale e incontrovertibilmente fondata delle altre.

Citazione di: Ipazia il 12 Settembre 2019, 12:43:37 PM
Il mio paradigma ha per lo meno il vantaggio della costanza del suo fondamento e strutturarlo in senso umanistico diventa il nucleo originario di quella spiritualità atea di fronte alla quale green storce il naso ributtando la palla nel campo dell'automazione tecno-scientifica. La quale non è l'unica declinazione possibile della "virtute e canoscenza".
En passant, «spiritualità atea» è per me un modo nostalgico per dire «ideologia etica», ma anche qui il mio forfait è istantaneo (come sempre quando è davvero solo una questione di prospettive e non può darsi un meta-piano, che non sia quello meramente linguistico).

Citazione di: Ipazia il 12 Settembre 2019, 12:43:37 PM
Come afferma Lou, anche i lupi sono animali sociali e al loro interno vale piuttosto il "vita tua, vita mea" quando cacciano in branco. I fondamenti assiomatici la natura li pone. Se non si cade nell'ingenuità giusnaturalistica di prenderli tutti in blocco (con le loro evidenti contraddizioni eto-logiche) ma si fa leva solo sugli aspetti socializzanti inscritti fin nel dna si possono elaborare etiche razionali.
(Fermo restando che nella società umana "lupi" e "agnelli" sono della stessa specie) da sempre i lupi cacciano e uccidono assecondando il loro ethos (basato sulla loro physis), poi alcuni lupi decidono che conviene essere tendenzialmente vegetariani (almeno di facciata) e redigono la DUDU; se tali lupi dichiarassero che la loro DUDU è fondata sul loro ethos, ammetto che resterei piuttosto perplesso... quanto meno significherebbe che anche loro hanno acquisito un livello di razionalità tale da emanciparsi dal loro ehos, al punto da poterlo strumentalizzare come alibi.
Fuor di storiella: l'ethos naturale ci rende animali da branco, ma le regole del branco umano, per "colpa" della razionalità, dobbiamo scrivercele noi, perché in merito la physis ci dice troppo poco, essendocene alienati tramite la tecnica. Come dicevo: va bene il «non uccidere», il vivere assieme, etc. ma sui temi esclusivamente umani (i famigerati ipotetici referendum su biopolitica, eugenetica, gender, etc.) non ci resta che suonarcela e cantarcela senza mamma natura (per quanto invocata da tutti dalla propria parte).
Oppure siamo davvero in grado di proporre un "falsificazionismo etico" epistemologicamente fondato?

Citazione di: Ipazia il 12 Settembre 2019, 12:43:37 PM
La pulsione estetica pare sia innata e col tempo si sia particolarmente sviluppata nella nostra specie. Non la porrei in contrapposizione alla razionalità logica, ma piuttosto all'irrazionalità del brutto. Sentire che la violenza (e la sua forma istituzionale "guerra") è "brutta",  in civiltà evolute potrebbe funzionare meglio che la tradizionale concezione etica della violenza "cattiva". Fatte salve le eccezioni motivate del caso che la vita reale non concede alla metafisica.
Cross-dressing fra due nemiche giurate; utopia per utopia, la mia indole postmoderna apprezza.


P.s.
Nonostante i meta-discorsi (discorsi che tematizzano i discorsi), abbiano mostrato recentemente, nella "cronaca locale", tutto il loro potenziale dirompente e contrario alle iniziali buone intenzioni, mi permetto di chiarire che il mio obiettare a quello che mi sembra un tuo non sequitur, non si reitera per amor di poliercetica, ma perché, non riuscendo a capire come sia invece per te un sequitur, sono spinto a riportare ciò che non mi quadra (e, fatto il rapporto delle perplessità, «ambasciator non porta pena...»).

viator

Salve Ipazia. Con "opposta" intendevo esprimere la massima distanza geometrica separante - lungo il percorso tra la prassi naturale e le facoltà umane - il DOVER fare imposto dalla prima dal VOLER fare vagheggiato dalle seconde. Saluti..
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

Ipazia

Citazione di: Phil il 12 Settembre 2019, 16:29:17 PM
La manipolazione genetica «confligge» con la natura per sua stessa definizione (è un "metter mano" piuttosto indiscreto), per cui le sue questioni etiche non potranno essere decise a partire dalla natura stessa, che magari ci inviterebbe a star fermi con le mani...

Il "confligge" non riguarda la manipolazione ma i suoi esiti e le motivazioni. E si torna all'ethos: rimuovere una tara ereditaria intervenendo sui gameti non è la stessa cosa che attuare manipolazioni dagli esiti incerti come gli ogm.

CitazioneLo stesso concetto di «potenziamento della vita umana»(cit.), fulcro spinoso di ogni dibattito su quei temi, non è forse da valutare secondo paradigmi etici? Se è così e gli chiediamo nondimeno anche di fungere da fondamento degli stessi paradigmi decisionali-risolutivi, siamo in piena centrifuga tautologica.

Dipende dal grado etologico della motivazione. La ricerca sul cancro non credo sollevi polveroni etici da centrifuga tautologica. E se lo è, sia benedetta la centrifuga.

Citazione di: Phil il 12 Settembre 2019, 16:29:17 PM
La valorizzazione/valutazione di/in tutti quegli ambiti è proprio il cruccio dell'etica, chiamata a decidere della «densità» e della "libertà" dell'agire; nel momento in cui viene definito il "programma" della valorizzazione, si tratta solo di applicarlo, ma è la scelta a monte il problema meta-etico: non cosa sia il bene (etica), ma perché (meta-etica, ad alto rischio tautologico).

Il perchè (causale e finale) lo determinano le circostanze naturali ed etologiche, una volta che se ne sia ottenuta una conoscenza più accurata. Così accade ad esempio che il giudizio (anche etico) sulla malattia mentale sia variato molto nel corso delle epoche. Non semplicemente con artifici ideologici (tautologia) ma con ricerche, almeno nelle intenzioni, obiettive.

Citazione di: Phil il 12 Settembre 2019, 16:29:17 PM
Non mi pare un compromesso, quanto un processo: la conoscenza degli stadi embrionali è descrittiva, poi (attenzione a non confondere il "dopo" con il "fondandosi su") l'etica assegna un significato ad ogni stadio...  ad ogni stadio embrionale non so se possano essere date descrizioni eccessivamente divergenti, ma sicuramente differenti letture etiche. Il dove inizia la persona, non lo dice la scienza, almeno non prima di aver preso i criteri dall'etica, dunque qui il fondamento dell'interpretazione rischia di essere capovolto.

Nel caso dell'ivg l'apporto della scienza è vero che non riguarda la definizione giuridica di persona, ma la descrizione fenomenologica, focalizzata sullo sviluppo del snc, è un tassello importante di tale definizione e risolve la questione senza capovolgimenti dove ciascuno, scienza e norma, fa la sua parte. Capovolgimento sarebbe (cosa peraltro avvenuta di frequente nella storia) se i criteri etici predeterminassero gli esiti della conoscenza. Sull'autonomia della ricerca conviene restare reciprocamente analitici. La sintesi va fatta "dopo", "fondandosi su" i risultati.

Citazione di: Phil il 12 Settembre 2019, 16:29:17 PM
Citazione di: Ipazia il 12 Settembre 2019, 12:43:37 PM
Lo studio sui limiti dello sviluppo e l'impatto antropico fornisce un riferimento forte al principio etico della procreazione responsabile...
Un riferimento ancora più forte lo fornisce un elaboratore che, analizzando tutti i dati antropici, ci spiega che razionalmente dovremmo smetterla di procreare e persino di curarci perché il pianeta è sovraffollato, l'impronta ecologica è drammatica, etc. tuttavia se possiamo intimargli di tacere è perché lui non ha un cuore e, come noto solo agli umani, «il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce...».
La procreazione responsabile, o meglio, il concetto di «responsabilità» scatena la bagarre della dialettica armonia-della-società/libertà-individuale (per fortuna è off topic, perché il mio forfait sul tema sarebbe al primo minuto di gioco) di cui solo un'etica potrebbe decidere... se solo ce ne fosse una più razionale e incontrovertibilmente fondata delle altre.

Nessuno ti obbliga a partecipare. Il concetto responsabilità è certamente critico e physis aiuta poco senza le intermediazioni del caso. Siamo ai piani alti dell'etica laddove la catena physis-ethos-nomos risente di fluttuazioni che mettono la ratio a dura prova. Te lo concedo.

Citazione di: Phil il 12 Settembre 2019, 16:29:17 PM
En passant, «spiritualità atea» è per me un modo nostalgico per dire «ideologia etica», ma anche qui il mio forfait è istantaneo (come sempre quando è davvero solo una questione di prospettive e non può darsi un meta-piano, che non sia quello meramente linguistico).

Il trascendentale umano finisce inevitabilmente in una prospettiva ideologica. Non potendo evitarlo, conviene razionalizzarlo. Evoluzione naturale e storico-culturale forniscono la strumentazione. E lo fanno coi loro tempi non procastinabili in cui anche l'AI comincia a dire la sua. Ripensare lo spirituale fuori dai recinti religiosi con paradigmi adeguati potrebbe diventare una necessità, piuttosto che un'opzione, se non vogliamo essere schiacciati tra il Capitale e le macchine.

Citazione di: Ipazia il 12 Settembre 2019, 12:43:37 PM
Fuor di storiella: l'ethos naturale ci rende animali da branco, ma le regole del branco umano, per "colpa" della razionalità, dobbiamo scrivercele noi, perché in merito la physis ci dice troppo poco, essendocene alienati tramite la tecnica. Come dicevo: va bene il «non uccidere», il vivere assieme, etc. ma sui temi esclusivamente umani (i famigerati ipotetici referendum su biopolitica, eugenetica, gender, etc.) non ci resta che suonarcela e cantarcela senza mamma natura (per quanto invocata da tutti dalla propria parte). Oppure siamo davvero in grado di proporre un "falsificazionismo etico" epistemologicamente fondato?

Ci si prova. Mamma natura la lasci al giusnaturalismo. Il mio (dell'umanesimo, meglio) referente è la vita umana. Non mamma natura, che entra nel discorso solo per i fondamenti, le "necessità", che (im)pone alla vita umana. Necessità (amor fati) da valorizzare razionalmente in quella che FN chiamava gaia scienza. Nella quale la fusione tra etica ed estetica va ben oltre un cross-dressing. Utopia per utopia, magari sta proprio in ciò il varco verso l'aldilà del bene e del male.

Citazione di: Phil il 12 Settembre 2019, 16:29:17 PM
Nonostante i meta-discorsi (discorsi che tematizzano i discorsi), abbiano mostrato recentemente, nella "cronaca locale", tutto il loro potenziale dirompente e contrario alle iniziali buone intenzioni, mi permetto di chiarire che il mio obiettare a quello che mi sembra un tuo non sequitur, non si reitera per amor di poliercetica, ma perché, non riuscendo a capire come sia invece per te un sequitur, sono spinto a riportare ciò che non mi quadra (e, fatto il rapporto delle perplessità, «ambasciator non porta pena...»).

Apprezzo molto le tue critiche che mi costringono a interrogarmi e lavorare sui sequitur... in condizioni certamente più agevoli di un castello medioevale assediato.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

green demetr

Citazione di: viator il 12 Settembre 2019, 14:57:08 PM
Salve. Solito problema delle definizioni latitanti. Ad esempio, la vita in sè non è certo un valore. Può essere giudicata, trattata, rispettata, osannata, disprezzata, soppressa (solo nelle sue manifestazioni particolari e locali) ma essa PROPRIAMENTE E' UNA NECESSITA'. Guarda caso, sia per significato filosofico che pratico. In particolare, in chiave biologica la necessità è ciò che ciascuno individualmente può trascurare ma che qualcuno invariabilmente finirà per fare o per essere.

Non comprendo certe (pseudo-)necessità di approfondimento (o di eviscerazione ?) circa concetti definibili universalmente in modo lapidario.

L'etica, intesa come insieme organizzato od organizzabile di principi comportamentali, secondo me non è affatto aspetto fondativo della condizione umana.
Esso aspetto è sempre sovrastato ed oppresso appunto dalla NECESSITA', la quale rappresenta ovviamente la prassi naturale opposta alla facoltà umana.

Quindi l'etica è ciò che noi possiamo trovare utile o psichicamente doveroso mentre la prassi consisterà sempre in ciò che,  risultando possibile, verrà prima o poi certamente fatto da qualcuno.
Secondo voi per quale ragione nessuna etica riesce ad opporsi alla creazione, diffusione ed utilizzo delle armi ?. Saluti.

Rispondo proprio per cercare di far capire perchè sono necessarie le sviscerazioni e non la messa in punto di etiche.

Dire che la prassi etica è necessaria in quanto prassi naturale (addirittura opposta alla facoltà umana, che immagino possiamo chiamare, per esempio, libertà) significa non rendersi conto di essere posseduti dal giusnaturalismo cattolico. Da quel divide et impera che caratterizza fino alla radice qualsiasi nostro pensiero.

Siamo d'accordo che idealmente (e quindi ideologicamente, ma per fartelo capire dovremmo iniziare a sviscerare qualcosa) sia l'utilità il minimo comun denominatore, e d'altronde il pensiero liberale partirebbe da quell'assunto. (e certamente a mio parere rimane valido come punto di partenza per una comunità, ma da solo non solo significa niente: utile per chi? in cambio di cosa? con che sacrifici etcc..?)

Ma appunto quello che dovrebbero spiegare i liberali è perchè, visto che di fatto un etica comune esiste, quella del canone occidentale, esistano contemporaneamente le guerre.

Il liberale non può girare la domanda al democratico progressista, laddove la sua teoria chiaramente fallisce.(utilità universale)

Serve rifondare completamente il discorso se non vogliamo essere risucchiati dal vuoto pneumatico delle rabbie che si consumano sotto la spinta delle paure irrazionali (perdita dell'ordine costituito, identità etc...).

Per dirla con un balzo futurista: forse servirebbe parlare delle paure originarie.
(terrore, orrore, ribrezzo, spavento) e delle loro forme associate (teologia politica, morale, mimesi, paranoia).
Vai avanti tu che mi vien da ridere

Ipazia

Citazione di: viator il 12 Settembre 2019, 18:04:29 PM
Salve Ipazia. Con "opposta" intendevo esprimere la massima distanza geometrica separante - lungo il percorso tra la prassi naturale e le facoltà umane - il DOVER fare imposto dalla prima dal VOLER fare vagheggiato dalle seconde. Saluti..

Distanza ad assetto variabile mi pare. Che su spinta della prassi naturale aguzza le facoltà umane. Un po' come spiegava il faccendiere alle due coppie intrecciate in "Così fan tutte" di Mozart: "Se non può ciò che vuole, vorrà alfin ciò che può". Sublime saggezza che distingue l'infanzia dalla maturità.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

green demetr

Citazione di: Jacopus il 12 Settembre 2019, 15:12:37 PM
I livelli di omicidio fra oggi e il medioevo sono crollati in europa occidentale. In Italia si aggirano sulla proporzione di 1-2 ogni 100.000 abitanti/anno. Nel medioevo era tra i 40 e gli 80 ogni 100.000 abitanti/anno.
Premesso che geneticamente abbiamo lo stesso corredo, questa caduta della violenza va spiegata.
Ed una delle possibili risposte é proprio la diffusione di principi etici per i quali la violenza è condannata e perseguita come metodo di risoluzione dei conflitti.
Quindi dire che l'etica non ha mai soppiantato le armi é vero, così come é vero, che grazie a principi etici ed etico-religiosi ed alla diffusione del benessere, il grado di violenza in Occidente é diminuito in modo spettacolare.

Certamente le forme liberali e democratiche che l'uomo insegue da tempo, e che Nietzche chiamava cultura, hanno impedito all'uomo di commettere stragi, anche se però Nietzche non vide ancora l'eccidio di massa dei fascismi e comunismi del secolo successivo.

Non possiamo chiudere gli occhi di fronte al terrificante esodo di massa che dall'america latina, fino al medio-oriente, per non parlare della mai pubblicizzata Africa, sotto i cui incudini passano sofferenze per un sentimento cristiano almeno intollerabili.

Affidarsi a qualche cifra serve certamente a notare la dimensione di alcuni fenomeni, ma non può poi essere messa a tacere su altri.

Quello che a Nietzche e a me interessa però non è tanto la questione della guerra in sè, quanto dell'anelito alla libertà.

Le forme di fascismo striscianti per molti, ma per me dilaganti e assolutamente pubbliche, prevedono come insegna Agamben, sulla scia di Schmitt, la totale consegna dei corpi alle istituzioni del Grande Fratello, il grande altro.
Ossia ad una sistematica presa in giudizio, in tribunale, di qualsiasi forma di pensiero diverso, come in una qualsiasi distopia di Orwell, come su ben altro piano, nei casi dell'enigmatico Kafka.

Siamo sempre presi tra l'incudine e il martello, vivi sì. Ma anche il protagonista di "se questo è un uomo" di Primo Levi era "vivo".

La questione va rilanciata Jacopus.

Comunque quello che hai scritto è vero, e ci sprona a fare meglio, visto che la storia dimostra che è possibile, con la cultura!
Vai avanti tu che mi vien da ridere

green demetr

"Tutto il dibattito etico sulla manipolazione genetica e le biotecnologie rimane ancorato al cui prodest. Se è utile ad un potenziamento della vita umana e non confligge con la natura (è chiaro che tra uomo e natura vi è circolarità) viene promosso. Nel dubbio si discute e si testa. E alla fine si decide. Quella che green chiama teologia politica (trattino "economica" aggiungiamo io e Marx) influisce pesantemente, ma la discussione etica nei suoi fondamenti non può che risalire al bios e alle sue ragioni. Lasciando pure spazio alla "libertà", laddove la partita doppia etica dia risultato zero. O, meglio ancora, neutro: gusto personale non perturbante l'armonia della polis. E' chiaro che non stiamo misurando la forza di gravità e la capacità predittiva dell'etica razionale non è quella della fisica. Ma ci si prova ugualmente." cit Ipazia


Sono in disaccordo Ipazia, non tanto per le possibilità curative, figuriamoci se lo fossi, sarei un ipocrita.
Ma proprio per quelle motivazioni della teologia-politica, o delle tecno-scienze, o se vuoi del buon vecchio capitalismo.
La filosofia da Agamben a Sloterdijk, passando per Marramao, dichiara il dominio sui corpi, come la nuova forma del persistente ritorno ai fascismi reazionari.

In questo momento il dibattito è infuocato, solo perchè la vita appartiene alla religione cattolica. Le scienze stanno tentando di superare questi impasse, usando una delle macchine ideologiche più perverse, ossia la stessa che domina di sottofondo, rispetto alle ideologie dominanti, vale a dire quella del CUI PRODEST.
Ossia riducendo la questione all'individualismo (mimetico) sempre alla voce: che è meglio dominare il singolo che la comunità.
Come se essere madri è solo un surrogato del vivente inteso come corpo vivente, al di là del sui bisogno financo etico di riconoscimento comunitario.
Accettare questo genere di fantasmatiche significa, cadere completamente fuori dal discorso democratico.
Non è una questione dell'evento in sè, ma del discorso che lo accompagna, e che spero converrai con me, che genera un indotto di guadagni straordinario.
Non si tratta qui di fare l'errore banale di criticare la bio-scienza, in quanto evento tecnico, ma del discorso che accompagna questo evento tecnico.
Un discorso che ricorra ai nostri aspetti più individualisti, accendendo un dibattito politico completamente fuori dalle idee progressiste, è terreno fertile. per un ritorno a forme aberranti di controllo (controllo delle nascite, controllo delle malattie, controllo delle idee).
Sono tempi buj in cui esplodono le innovazioni della tecnica.

A tal proposito mi viene in mente il problema dell'auto-immunità, non del vaccino in sè (che comunque mi lascia perplesso a livello di descrizione scientifica) quanto del discorso cha accompagna lo stesso.

cito da questo bell'articolo che ci porta completamente dentro al dibattito filsosofico contemporaneo, 10 paginette, non sono tante, leggiamolo, ma va bene qualsiasi altro articolo che contempli, questo breve passaggio che cito per motivi di dibattito:

"Come ricorda Timothy Campbell, "la categoria di 'immunità' gode di una
lunga e ben nota storia nella recente riflessione critica": si pensi solamente a Niklas Luhmann, Donna Haraway e Jean Baudrillard. La nozione viene ripresa inoltre da Jacques Derrida a partire dallo studio sulla religione Fede e sapere del 1992, dove la comunità viene descritta come "comune auto-immunità", e le sue reazioni identitarie come un eccesso di difesa che rivelano la «pulsione di morte che tormenta in silenzio ogni comunità, ogni auto-co-immunità». Successivamente, Derrida si concentrerà sui rischi dell'eccesso autoimmunitario, tema comune a diversi utilizzi filosofici della semantica dell'immunità, la cui ambivalenza si esplicita quando l'esasperazione del meccanismo costitutivo della comunità si traduce nel rivolgimento autodistruttivo contro lo stesso corpo sociale. La protezione della vita si rovescia così in dispositivi mortali e tanatopolitici, in "negazione della vita". cit da http://www.eticapubblica.it/wp-content/uploads/2016/11/1_2016_Consoli.pdf

Non ho letto Derrida ma ho letto il primo volume delle sfere di Sloterdijk.
Mi pare che sopratutto le ultime righe denotano molto bene quanto vado per mio conto pensando.

https://www.repubblica.it/cultura/2017/09/10/news/peter_sloterdijk_non_esistono_veri_maestri_sono_stato_troppo_indipendente_per_aderire_a_una_scuola_-175085079/

La negazione della vita in fin dei conti è la negazione al pensiero.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

Phil

Citazione di: Ipazia il 12 Settembre 2019, 22:31:32 PM
Il "confligge" non riguarda la manipolazione ma i suoi esiti e le motivazioni. E si torna all'ethos: rimuovere una tara ereditaria intervenendo sui gameti non è la stessa cosa che attuare manipolazioni dagli esiti incerti come gli ogm.
Parlando di etica (bioetica, eugenetica, etc.), mi riferivo alla manipolazione dell'uomo sul bios dell'altro uomo (v. green demetr); lasciando alle piante una vita inesorabilmente in balia di noi "viventi mobili". Coinvolgendo le «motivazioni»(cit.) siamo già con entrambi i piedi dentro l'etica,  con ethos e natura che sono "destinatari" delle nostre scelte, non "mittenti".

Citazione di: Ipazia il 12 Settembre 2019, 22:31:32 PM
Dipende dal grado etologico della motivazione. La ricerca sul cancro non credo sollevi polveroni etici da centrifuga tautologica. E se lo è, sia benedetta la centrifuga.
Per fortuna, non ogni tema tecnico comporta questioni etiche e la medicina è un settore di tangenza fra le due (tecnica ed etica); tuttavia, fra il giuramento di Ippocrate e l'obiezione di coscienza di alcuni medici, mi pare ci sia una zona franca di problematiche eticamente interessanti (eutanasia, etc.), non pianamente riducibili al comprensibile cercare di rimuovere un tumore per salvare una vita.

Citazione di: Ipazia il 12 Settembre 2019, 22:31:32 PM
Il perchè (causale e finale) lo determinano le circostanze naturali ed etologiche, una volta che se ne sia ottenuta una conoscenza più accurata. Così accade ad esempio che il giudizio (anche etico) sulla malattia mentale sia variato molto nel corso delle epoche. Non semplicemente con artifici ideologici (tautologia) ma con ricerche, almeno nelle intenzioni, obiettive.
Forse questo è il punto nodale della nostra divergenza: le «circostanze naturali ed etologiche» non determinano il perché un'etica sia giusta o razionale o altro; chiaramente, intendo il perché del fondamento teoretico, non il perché dell'accettazione sociale o del successo storico.
Il «giudizio (anche etico)» sulla malattia mentale è per me quasi un non senso: nei vari contesti storici è cambiata l'analisi della malattia, da possessione demoniaca a malfunzionamento neurologico-psichiatrico (vado a naso), ma ciò ha poco a che fare con la dimensione etica, teoreticamente intesa, essendo più una questione di ruolo sociale del malato. Detto altrimenti: il bene e il male morale non c'entrano, a parte la storia del demonio che, dobbiamo ammettere, per quell'epoca non era affatto peregrina.
L'interdizione per "incapacità di intendere e volere" (espressione tanto fuorviante quanto eloquente, direbbe forse Foucault, ma non divaghiamo) resta a testimoniarci come il "referente" sia rimasto identico, anche nella sua marginalizzazione pragmatica (non etica) con il contesto.
Direi che bisogna sempre distinguere la "monetina" dal "caffè": le informazioni su cui basiamo un giudizio etico e il paradigma con cui lo formuliamo, hanno filosoficamente ruoli ben differenti e, soprattutto, sono fondati su discipline epistemologicamente ben differenti (anche se il loro mutamento storico può far sembrare il legame reciproco più intimo di quanto non sia).

Citazione di: Ipazia il 12 Settembre 2019, 22:31:32 PM
Nel caso dell'ivg l'apporto della scienza è vero che non riguarda la definizione giuridica di persona, ma la descrizione fenomenologica, focalizzata sullo sviluppo del snc, è un tassello importante di tale definizione e risolve la questione senza capovolgimenti dove ciascuno, scienza e norma, fa la sua parte. Capovolgimento sarebbe (cosa peraltro avvenuta di frequente nella storia) se i criteri etici predeterminassero gli esiti della conoscenza
Anche qui non coincidiamo nella lettura: i criteri etici non possono predeterminare gli esiti della conoscenza, semmai la sua interpretazione; così come la scienza non può predeterminare (né fondare) un paradigma morale, ma può fornirgli dati/monetine da elaborare (il rapporto fra snc e il concetto di "persona" è "risolutivo" tanto quanto quello fra altri organi vitali e "persona" o altri elementi successivi dello sviluppo e "persona", etc. le possibilità sono molte). Rimango con il non sequitur irrisolto.

Citazione di: Ipazia il 12 Settembre 2019, 22:31:32 PM
La sintesi va fatta "dopo", "fondandosi su" i risultati.
Ciò, secondo me, vale per la scienza, ma non può valere per l'etica; non a caso, una è descrittiva della natura (nel senso più omnicomprensivo), l'altra, pur con tutte le riflessioni del caso, socialmente/individualmente normativa (oppure, tanto per non essere ripetitivo: una si occupa del referente, l'altra del significato).


P.s.
Citazione di: Ipazia il 12 Settembre 2019, 22:31:32 PM
in condizioni certamente più agevoli di un castello medioevale assediato.
Temevo che il mio interrogare fosse preso come "assedio" per caparbietà, non certo per disagio procurato... comunque, in fondo, si vive meglio nel castello, fosse anche assediato, che accampati fuori all'addiaccio, no?

viator

Salve Ipazia. Certamente. Ci sono cose che vanno assolutamente fatte, quindi se non le si farà per amore le si farà per forza. Quant'è conturbante la necessità per antonomasia (la riproduzione) !.
Ancora più sottilmente (o sfacciatamente ?) per noi umani consiste nel fare per il piacere dell'amore o, a nostra scelta, per l'amore del piacere. Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

Ipazia

#85
Citazione di: Phil il 13 Settembre 2019, 00:08:33 AM
Citazione di: Ipazia il 12 Settembre 2019, 22:31:32 PM
Il perchè (causale e finale) lo determinano le circostanze naturali ed etologiche, una volta che se ne sia ottenuta una conoscenza più accurata. Così accade ad esempio che il giudizio (anche etico) sulla malattia mentale sia variato molto nel corso delle epoche. Non semplicemente con artifici ideologici (tautologia) ma con ricerche, almeno nelle intenzioni, obiettive.
Forse questo è il punto nodale della nostra divergenza: le «circostanze naturali ed etologiche» non determinano il perché un'etica sia giusta o razionale o altro; chiaramente, intendo il perché del fondamento teoretico, non il perché dell'accettazione sociale o del successo storico.
Il «giudizio (anche etico)» sulla malattia mentale è per me quasi un non senso: nei vari contesti storici è cambiata l'analisi della malattia, da possessione demoniaca a malfunzionamento neurologico-psichiatrico (vado a naso), ma ciò ha poco a che fare con la dimensione etica, teoreticamente intesa, essendo più una questione di ruolo sociale del malato. Detto altrimenti: il bene e il male morale non c'entrano, a parte la storia del demonio che, dobbiamo ammettere, per quell'epoca non era affatto peregrina.
L'interdizione per "incapacità di intendere e volere" (espressione tanto fuorviante quanto eloquente, direbbe forse Foucault, ma non divaghiamo) resta a testimoniarci come il "referente" sia rimasto identico, anche nella sua marginalizzazione pragmatica (non etica) con il contesto.
Direi che bisogna sempre distinguere la "monetina" dal "caffè": le informazioni su cui basiamo un giudizio etico e il paradigma con cui lo formuliamo, hanno filosoficamente ruoli ben differenti e, soprattutto, sono fondati su discipline epistemologicamente ben differenti (anche se il loro mutamento storico può far sembrare il legame reciproco più intimo di quanto non sia).

Sì direi che è qui il punto nodale: gli sbarramenti assiomatici che il relativismo forte pone tra uomo e natura impediscono di vedere la stretta correlazione esistente tra i vari saperi che si fondono in una koinè unitaria in cui, ad esempio, il folle assume ruoli diversi non necessariamente di marginalizzazione, ma addirittura di vate, profeta, ispirato e guida, in funzione del rapporto unitario tra la "visione" di una specifica società e il visionario che esce dalla curva della normalità comportamentale postulata. La monetina e il caffè sono molto più intrecciati di quello che il relativismo ammette, perchè chi dà la monetina può anche decidere, solitamente, la marca del caffè, determinando così l'inclusione e l'esclusione dall'orizzonte epistemologico prima e ontologico poi. Come accadde ...

Citazione di: Phil il 13 Settembre 2019, 00:08:33 AM
Citazione di: Ipazia il 12 Settembre 2019, 22:31:32 PM
Nel caso dell'ivg l'apporto della scienza è vero che non riguarda la definizione giuridica di persona, ma la descrizione fenomenologica, focalizzata sullo sviluppo del snc, è un tassello importante di tale definizione e risolve la questione senza capovolgimenti dove ciascuno, scienza e norma, fa la sua parte. Capovolgimento sarebbe (cosa peraltro avvenuta di frequente nella storia) se i criteri etici predeterminassero gli esiti della conoscenza
Anche qui non coincidiamo nella lettura: i criteri etici non possono predeterminare gli esiti della conoscenza, semmai la sua interpretazione; così come la scienza non può predeterminare (né fondare) un paradigma morale, ma può fornirgli dati/monetine da elaborare (il rapporto fra snc e il concetto di "persona" è "risolutivo" tanto quanto quello fra altri organi vitali e "persona" o altri elementi successivi dello sviluppo e "persona", etc. le possibilità sono molte). Rimango con il non sequitur irrisolto.

... al medico ricercatore dell'OMS Renzo Tomatis quando le monetine delle multinazionali del cancro finanziavano solo il caffè virale, escludendo dal campo della ricerca l'indagine sui caffè tossici che producevano. Se proprio vogliamo l'autonomia del relativo dobbiamo mettere in conto anche l'ethos ad hoc che esso produce e i tanti sequitur, palesi e occulti, che accompagnano tale processo antropologico. Sempre risolti da chi detiene le monetine.

Citazione di: Phil il 13 Settembre 2019, 00:08:33 AM
Citazione di: Ipazia il 12 Settembre 2019, 22:31:32 PM
La sintesi va fatta "dopo", "fondandosi su" i risultati.
Ciò, secondo me, vale per la scienza, ma non può valere per l'etica; non a caso, una è descrittiva della natura (nel senso più omnicomprensivo), l'altra, pur con tutte le riflessioni del caso, socialmente/individualmente normativa (oppure, tanto per non essere ripetitivo: una si occupa del referente, l'altra del significato).

Essendo l'etica "ethos techne" ha pure lei i suoi bravi referenti, invisibili, ma implacabili nel determinare l'andamento di quell'oggetto immateriale che è la nostra vita sociale.
.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Ipazia

Citazione di: green demetr il 12 Settembre 2019, 22:47:04 PM
In questo momento il dibattito è infuocato, solo perchè la vita appartiene alla religione cattolica. Le scienze stanno tentando di superare questi impasse, usando una delle macchine ideologiche più perverse, ossia la stessa che domina di sottofondo, rispetto alle ideologie dominanti, vale a dire quella del CUI PRODEST.
Ossia riducendo la questione all'individualismo (mimetico) sempre alla voce: che è meglio dominare il singolo che la comunità.
Come se essere madri è solo un surrogato del vivente inteso come corpo vivente, al di là del sui bisogno financo etico di riconoscimento comunitario.
Accettare questo genere di fantasmatiche significa, cadere completamente fuori dal discorso democratico.
Non è una questione dell'evento in sè, ma del discorso che lo accompagna, e che spero converrai con me, che genera un indotto di guadagni straordinario.
Non si tratta qui di fare l'errore banale di criticare la bio-scienza, in quanto evento tecnico, ma del discorso che accompagna questo evento tecnico.

Il cui prodest ha anche risvolti sociali e come tale l'ho inteso, non in senso ideologicamente utilitaristico. Sul "dominare il singolo per dominare la comunità" Ignazio di Loyola può fare scuola a tutti i nostri guru postmoderni. Essere madre è una costellazione di significati: personali e sociali. Concordo che il Mercato ha avvelenato anche le acque materne. Il discorso che accompagna la tecnica è sempre quello del suo padrone. Neppure questa è una novità

CitazioneUn discorso che ricorra ai nostri aspetti più individualisti, accendendo un dibattito politico completamente fuori dalle idee progressiste, è terreno fertile. per un ritorno a forme aberranti di controllo (controllo delle nascite, controllo delle malattie, controllo delle idee).
Sono tempi buj in cui esplodono le innovazioni della tecnica.
A tal proposito mi viene in mente il problema dell'auto-immunità, non del vaccino in sè (che comunque mi lascia perplesso a livello di descrizione scientifica) quanto del discorso cha accompagna lo stesso.

Anche qui farei attenzione a, come dicevano i vecchi compagni, non buttare via il bambino con l'acqua sporca. Non tutti i controlli sono sintomo di paranoia. Spesso sono campanelli di allarme che conviene ascoltare. Tra la paranoia del panopticon medicalizzante e il delirio Novax c'è tutta un'area di buon uso della tecnica, perfino capace di immunizzarsi dalle sirene del Mercato.

Le 10 paginette le leggerò con calma. Di Sloterdijk ho letto "Per la critica della ragion cinica": il nichilismo e il suo doppio, valido anche come suo antidoto. Te lo consiglio.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

viator

Salve Green Demetr. Eh già : "La protezione della vita si rovescia così in dispositivi mortali e tanatopolitici, in "negazione della vita".
Ma insomma, che mai vogliamo ? E' chiaro che il cosiddetto progresso (con relativa cultura a rimorchio) è sempre consistito nella ostinata ricerca di una sempre maggior tutela da parte dei membri di una società. Sia che si trattasse di società liberiste che egualitariste, no ?

Se tutti vogliono essere tutelati (cioè augurabilmente liberati dal bisogno e dalle incertezze esistenziali) ovvio che occorre costruire sistemi impersonali che inevitabilmente ingabbieranno le facoltà ed i valori personali.

Il Grande Fratello non sarà altro che il gigantesco sistema il quale, per poter tutelare tutti quanti al massimo grado, avrà ovviamente bisogno di conoscere tutto della nostra vita.
Che poi qualcuno (i gestori del sistema) se ne approfitti..........

A livello spicciolo (e mi vergogno un poco nel proporre esempi così infantili a lettori di anche vastissime e profonde altre letture) la cosa funziona nel modo seguente : Tempo fa sognai di aver conosciuto un tizio che risultava uno specialista nel minimizzare il rischio di morire. Non solo non fumava, beveva solo acqua in bottiglia, non andava a donne, faceva vita regolatissima ed iperigienica, ma (ovviamente) non nuotava, evitava di andare in bicicletta, in motorino, in automobile, in barca, in aereo, in treno, in mongolfiera etc. etc. (tutte attività potenziali fonte di incidenti mortali).
Non sto a dirvi quanto costui - nel mio vivido sogno - fosse ossessionato dalla volontà di restar vivo ad ogni costo.
Al punto - attraverso tutte le rinunce cui si sottoponeva - da rinunciare addirittura a vivere.
Praticamente negli ultimi tempi lo vedevo autorecluso in casa (tutti gli acquisti sembrava li facesse per via telematica) per evitare di correre dei rischi attraversando la strada.
Impensierito e commosso dalle sue condizioni, in occasione di un suo prossimo compleanno, decisi di fare qualcosa per evitargli di vivere di ossessioni.
Mi procurai una pistola che confezionai assieme ad un caricatore di proiettili, spedendogli il tutto e accompagnandolo con un biglietto che recitava ; "Caro amico, casualmente ho scoperto un sistema sicuro per evitare di morire per cause non intenzionali, e te ne faccio omaggio. Ora sarai padrone sia della tua vita che della tua morte. Ma non montarti la testa. Auguri da chi conosci poco ma ti ha abbastanza a cuore".

Dopo tre settimane mi raggiunse la notizia che il destinatario del pacco si era tolta la vita.

Termine del sogno. Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

Phil

Citazione di: Ipazia il 13 Settembre 2019, 20:32:52 PM
Sì direi che è qui il punto nodale: gli sbarramenti assiomatici che il relativismo forte pone tra uomo e natura impediscono di vedere la stretta correlazione esistente tra i vari saperi che si fondono in una koinè unitaria
Non colgo perché il relativismo non potrebbe vedere la correlazione fra i vari saperi (anzi, gerarchizzandoli poco, mi pare li renda più vicini e meglio collegabili...). Sulla unitarietà della koiné, sospendo cavallerescamente il giudizio (intrigato della differenza fra unità e collegamento, tra fondere e fondare...).

Citazione di: Ipazia il 13 Settembre 2019, 20:32:52 PM
il folle assume ruoli diversi non necessariamente di marginalizzazione, ma addirittura di vate, profeta, ispirato e guida, in funzione del rapporto unitario tra la "visione" di una specifica società e il visionario che esce dalla curva della normalità comportamentale postulata.
Chi ha avuto a che fare con i malati mentali, di cui si parlava sopra, sa che fare appello alla figura estetica (avevo messo in guardia dalle u-topie del cross-dressing?) del folle avanguardista, del genio rivoluzionario, è come fare appello alle mosche albine: pur con tutto il rispetto per le minoranze, se parliamo di mosche in generale (come stavamo facendo) possiamo posporle fra le postille di fine trattato.

Citazione di: Ipazia il 13 Settembre 2019, 20:32:52 PM
La monetina e il caffè sono molto più intrecciati di quello che il relativismo ammette, perchè chi dà la monetina può anche decidere, solitamente, la marca del caffè, determinando così l'inclusione e l'esclusione dall'orizzonte epistemologico prima e ontologico poi.
L'apparente libertà di scelta la decide il dispositivo (con le sue preimpostazioni) e guardare solo alla monetina e al caffè, senza aprire il dispositivo per curiosare sul come funziona, secondo me, non è certo una colpa, né filosoficamente e né eticamente; tuttavia significa non guardare al fondamento, passaggio occulto che a me incuriosiva (e senza il quale, correggimi se sbaglio, il relativismo non esisterebbe nemmeno... preferirei comunque non spostare il focus del topic; sul relativismo ce ne sono già troppi).

Citazione di: Ipazia il 13 Settembre 2019, 20:32:52 PM
Se proprio vogliamo l'autonomia del relativo dobbiamo mettere in conto anche l'ethos ad hoc che esso produce e i tanti sequitur, palesi e occulti, che accompagnano tale processo antropologico. Sempre risolti da chi detiene le monetine.
(Filtrata la constatazione del relativismo in atto) Concordo, nella nostra epoca il lupus non usa artigli, troppo facili da spuntare e vistosi nei loro crimini; ci rivedo proprio il «mors tua, vita mea» in versione economico-politica di cui parlavo... che sia questa la koinè unificante?

Citazione di: Ipazia il 13 Settembre 2019, 20:32:52 PM
Essendo l'etica "ethos techne" ha pure lei i suoi bravi referenti, invisibili, ma implacabili nel determinare l'andamento di quell'oggetto immateriale che è la nostra vita sociale.
Anche la sofistica e il linguaggio in generale sono una tecnica, sebbene il loro rapporto con il referente non sia affatto pacifico e univoco; nelle scienze umane, considerare la vita sociale come «oggetto immateriale» è spontanea mossa per spalancare tutti gli orizzonti di senso ermeneuticamente possibili... tuttavia, la mia curiosità era di capire come funziona il distributore (di giudizi etici) che ci invita all'"insert coin", non fare il sommelier alla macchinetta delle bevande (preferisco fare il caffè a casa, come è più incline al mio... ethos).

Ipazia

Il distributore funziona secondo il progetto di chi conia le monete e possiede le piantagioni di caffè: struttura. E sovrastruttura: il sommelier. L'autonomia del sommelier si limita al segno. Lavorando di vanga e cacciavite si trovano tutti i sequitur che l'autonomia del relativo non vuole vedere. Come un Creonte che pensa di detenere il potere assoluto del nomos, finché Antigone non gli presenta il conto di un ethos più potente del suo. Seguendo il filo del quale, come insegna Arianna, si esce dal labirinto dell'illusionismo relativista, coi suoi mille sentieri che non sbucano in radure assolate, ma in cieche caverne platoniche.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

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