L'origine del male e del bene

Aperto da Jacopus, 29 Luglio 2019, 22:20:15 PM

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viator

Citazione di: Mariano il 07 Settembre 2019, 23:11:35 PM
Ciao viator, nel tuo precedente intervento dici che le definizioni chiare seno le maggiori nemiche delle discussioni.
mi permetto di non essere d'accordo: mi sembra che tu identifichi come vere le definizioni chiare; a mio avviso non è così, è proprio dal confronto delle definizioni che ognuno da alle parole che nasce il dialogo, permettendo di avvicinarsi ad una verità irraggiungibile.
Tu inoltre ritieni che a livello relativo il bene è tutto ciò che favorisce la nostra esistenza.
la ritengo una definizione egoistica, non pensi che il bene di una persona possa essere il male di un'altra?
a mio avviso il bene è relativo alla circostanza ed alla morale di chi agisce
Salve Mariano. Il problema non è se le definizioni chiare siano vere o false, sensate od insensate. Se una definizione è CHIARA, significa che TUTTI saranno in grado di valutarla vera, falsa, sensata, insensata a seconda dei propri variegatissimi punti di vista.

Ora, se TUTTI la trovassero sensata e vera (caso del tutto utopico ma del quale la logica deve poter tenere conto), ogni discussione circa quella tal parola che abbiamo definito praticamente dovrebbe cessare perchè l'argomento risulterebbe risolto.
Se invece qualcuno o tutti la trovassero non sensata o non vera, con costoro la discussione dovrebbe egualmente cessare poichè saremmo di fronte all'evidenza per la quale chi ha dato la definizione intendeva parlare di qualcosa, mentre chi non la condivide evidentemente aveva in mente altro e diverso. Caso tipico, quello della definizione di Dio.

Vedi bene quindi che in entrambi i casi le definizioni sono le assassine della dialettica, no ?

Circa poi la definizione egoistica del bene, poichè esso è valore umano, individuale e relativo, ovvio che risulti appunto egoistica in senso strettamente filosofico, cioè non possa prescindere dagli effetti BENEFICI sperimentabili dal BENEFICIARIO del BENE stesso.
Il fatto è che tu hai una visione etica di un concetto che è squisitamente filosofico. Ma se dobbiamo parlare di filosofia, occorre una visione filosofica dei concetti etici. Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

Phil

Citazione di: Ipazia il 08 Settembre 2019, 15:43:02 PM
Il rapporto tra descrizione e prescrizione è fallace solo se collegato da un non sequitur ideologico [...], ma il collegamento può essere anche non fallace: non ho le ali (descrizione) quindi non posso/devo volare (prescrizione).
La prescrizione di matrice fisica (o chimica, etc.) non conosce il non-dovere («non devo volare» è di fatto un non sequitur), ma solo il non-potere (tecnicamente modificabile): la forza di gravità mi tira giù, non posso volare (prescrizione "fisica"; poi la tecnica manipola la mia "gravitazione" e posso decollare con un dispositivo. Il dovere è "fuori tema", il volere è ciò che orienta la tecnica).
Per l'etica è l'esatto contrario: ho la mano, posso (e magari voglio) dare un pugno, ma (prescrizione etica) non devo farlo.
La razionalità dell'etica è la sua tautologia (di quale etica si parli è quasi irrilevante) con annessi circoli viziosi, premesse indimostrabili e aspirante universalismo (da cui la sottomissione altrui al proprio paradigma; v. sotto... e anche sopra).

Citazione di: Ipazia il 08 Settembre 2019, 15:43:02 PM
L'etica è la presa d'atto delle prescrizioni poste da una determinata condizione etologica (naturale/ambientale) su cui si innesta un'etica razionale.
Proprio l'innesto è, a mio avviso, il passo falso: la condizione etologica non ha in sé nulla di bene/male (qui concordiamo, no?), per cui non può fungere da fondamento per il bene/male con cui, retroattivamente, vengono poi lette le stesse vicissitudini di tale condizione (qui il circolo è ben più che ermeneutico, direi quasi vizioso). Senza bene/male non c'è etica (almeno classicamente intesa), non c'è prescrizione, c'è però l'ethos che l'antropologo studia, ma da cui, non a caso, non ricava dettami morali, universali o personali, che siano filosoficamente estranei al suo stesso oggetto di studio.

Citazione di: Ipazia il 08 Settembre 2019, 15:43:02 PM
Rendiamone conto: donde sgorgano le leggi e le consuetudini ? Ethos-techne ha uno statuto tecnico fatto di cose concrete che prescindono dalla metafisica e che comunque la anticipano. Salvo poi ingarbugliarsi in circoli di retroazione. Però razionalmente dipanabili con un po' di buona volontà.
Concordo, e in ciò l'etica con i suoi concetti generalisti può restare in disparte, magari lasciando spazio a categorie più pragmatiche e schiette.

Citazione di: Ipazia il 08 Settembre 2019, 15:43:02 PM
La tradizione si sussume e la semantica si adatta. Difficile trovare surrogati etici a bene e male.
Finché si sceglie di restare sul piano etico non vedo il motivo di farlo, sarebbe come restare sul piano religioso e cercare surrogati di «dio» e «anima»; un onesto cambio di categorie (e/o di paradigma) non prevede "surrogati". Accennavo all'Oriente perché (sempre se non ricordo male), non avendo una tradizione culturale in cui il Bene si è fatto carne o comunque si è rivelato dettando tavole e libri, la coppia bene/male non viene sopravvalutata egemonicamente come da noi in Occidente, pur non essendo quelle civiltà prive di etica (mutatis mutandis).

Citazione di: Ipazia il 08 Settembre 2019, 15:43:02 PM
CitazioneChi invece sostiene che oggi l'etica sia proprio un "lavoro in corso", si ritrova poi (correggetemi pure se sbaglio) un po' in difficoltà a spiegare come tale etica possa avere l'ambizione di essere valida anche per il prossimo, dal momento che anche lui potrà proporre la sua "etica in corso d'opera", e allora quale criterio meta-etico sbroglierà il diverbio? Il calcolo(?) della "felicità" del maggior numero di persone al minor "prezzo" (Bentham)?

Anche i cavoli hanno bisogno di un terreno comune per germogliare. La storia umana, sarà pure del cavolo, ma funziona nello stesso modo...
La storia è infatti scandita dalle etiche dei feudatari che sovrastano le etiche dei servi della gleba; una volta presone atto, si tratta di contestualizzare tale gerarchia in tempi meno violenti, più democratici e informatizzati, per poter leggere le dinamiche etiche moderne. Fatto questo, per pensare al mondo come dovrebbe essere (e quindi sapere cosa fare per cambiarlo), basterà usare la propria etica; fermo restando il tirare l'ago della bilancia del Bene dalla propria parte (come dicevo sopra, parlando di qualità e quantità).

Citazione di: Ipazia il 08 Settembre 2019, 15:43:02 PM
... quindi trovo superabile il concetto di "etica dominante" insieme con le condizioni materiali che producono una "classe dominante".
Certo, «superabile» di diritto; ma di fatto?
Il tuo(/nostro) ritenere superabile una certa egemonia è un significato, tuttavia il referente in questione è la cronaca (dal paesello al pianeta) dove, a conferma della non tangenza fra significato e referente, non scorgo traccia di tale superamento (al netto di dichiarazioni universali, slogan politicamente corretti e convegni vari).
Inoltre, per raccontarci come la società dovrebbe-essere/vorremmo-che-fosse dobbiamo ricorre ad una visione etica basata su... e il cerchio (il circolo ermeneutico) si chiude.
Chiaramente, non è necessaria una riflessione meta-linguistica per poter usare il linguaggio, così come non è necessaria una riflessione meta-etica per avere un'etica; la mia opinione spiccia è solo che, filosoficamente parlando, non guasterebbe.

Citazione di: Ipazia il 08 Settembre 2019, 15:43:02 PM
Anche "no man is an island" se la passa mica male. La scelta tra il motto latino e quello inglese ha un nome antiquato, ma di difficile sostituzione nel significato ancor più che nel significante.
Proprio poiché «no man is an island» (approfondire virerebbe verso l'off topic) ha senso il «mors tua, vita mea»: siamo sulla stessa terra e nasce dunque il problema di come dividercene le risorse, di come organizzare i ruoli e di chi sacrificare...

Citazione di: Ipazia il 08 Settembre 2019, 15:43:02 PM
Rispetto per i piani e i mezzanini, ma pure per quello che succede dentro. Soprattutto a tutela di chi la cambiale in bianco la deve pagare in una banca esistente, per quanto virtuale essa sia.
Questi sono i fatti (referente), è sull'interpretazione etica (significato) che il dibattito può prendere differenti strade; se invece ci chiediamo dove si (af)fondano i criteri con cui decidiamo quale percorso di senso intraprendere, siamo già nel meta-etico, ovvero in ciò che rende tale un'etica.

Citazione di: Ipazia il 08 Settembre 2019, 15:43:02 PM
Oppure, in puro stile S: etica razionale.
Lo «stile S» mi richiama all'appello Spinoza, ma perché non gli Stoici?
Sull'«etica razionale» è bene ricordare che (soprattutto dopo Godel) è una classe di etiche (se ce ne fosse solo una razionalmente ammissibile, mi avresti riesumato in vano), quindi, sommessamente, dissimulatamente, si apre l'ostico scenario di una riflessione meta-etica su cosa rende preferibile (migliore? compatibile? saggia?) un'etica rispetto alle altre... per poi ritrovarsi dentro l'inevitabile, temporanea, accomodante tautologia che fa quadrare il cerchio (almeno per un po'... aporie permettendo).

Mariano

Citazione di: bobmax il 08 Settembre 2019, 16:51:14 PMRiguardo al relativismo del bene e del male... occorre prestare attenzione.
Perché il relativismo è un punto di partenza, mai di arrivo.
E' vero, ma il punto di arrivo a mio avviso è irraggiungibile.
Il giudizio che noi possiamo dare è soltanto relativo alla nostra morale.
Se avessimo la presunzione di conoscere il Bene assoluto significherebbe riuscire a comprendere quanto le religioni chiamano Dio.

bobmax

Citazione di: Mariano il 09 Settembre 2019, 09:37:12 AM
Citazione di: bobmax il 08 Settembre 2019, 16:51:14 PMRiguardo al relativismo del bene e del male... occorre prestare attenzione.
Perché il relativismo è un punto di partenza, mai di arrivo.
E' vero, ma il punto di arrivo a mio avviso è irraggiungibile.
Il giudizio che noi possiamo dare è soltanto relativo alla nostra morale.
Se avessimo la presunzione di conoscere il Bene assoluto significherebbe riuscire a comprendere quanto le religioni chiamano Dio.

Certamente irraggiungibile.

In quanto Dio non c'è.
Infatti può esserci soltanto ciò che è qualcosa.
Mentre Dio, l'Essere, non può essere ridotto a qualcosa.

Noi possiamo com-prendere solo ciò che appare come qualcosa, e questo è l'esserci.

L'autentica bestemmia, non consiste in una imprecazione, ma nella pretesa di conoscere Dio!

Ma qui non è questione di "conoscere" bensì di "essere".

Questo è il motivo per cui occorre ritrovarci all'inferno. Che non è nell'aldilà, ma un luogo dell'anima.

Seppur paradossalmente, Dio non c'è proprio in quanto è, mentre noi ci siamo ma... non siamo.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

Ipazia

Citazione di: Phil il 08 Settembre 2019, 22:18:46 PM
Citazione di: Ipazia il 08 Settembre 2019, 15:43:02 PM
Il rapporto tra descrizione e prescrizione è fallace solo se collegato da un non sequitur ideologico [...], ma il collegamento può essere anche non fallace: non ho le ali (descrizione) quindi non posso/devo volare (prescrizione).
La prescrizione di matrice fisica (o chimica, etc.) non conosce il non-dovere («non devo volare» è di fatto un non sequitur), ma solo il non-potere (tecnicamente modificabile): la forza di gravità mi tira giù, non posso volare (prescrizione "fisica"; poi la tecnica manipola la mia "gravitazione" e posso decollare con un dispositivo. Il dovere è "fuori tema", il volere è ciò che orienta la tecnica).
Per l'etica è l'esatto contrario: ho la mano, posso (e magari voglio) dare un pugno, ma (prescrizione etica) non devo farlo.
La razionalità dell'etica è la sua tautologia (di quale etica si parli è quasi irrilevante) con annessi circoli viziosi, premesse indimostrabili e aspirante universalismo (da cui la sottomissione altrui al proprio paradigma; v. sotto... e anche sopra).

Lo so che il punto critico del ragionamento è il "dovere". Ma ho preferito attendere la replica per meglio chiarire la mia prospettiva: la sbarra tra potere e dovere ha un sequitur nel territorio dell'ethos. Suddiviso, per chi ama la filosofia topografica, in due regioni separate da un solco profondo, unite solo da un ponte. E noto che i cuccioli amano fare cose pericolose e le possono fare ma la madre insegna loro che non le devono fare. Siamo sempre a livello ethos. Imparare ad attraversare il ponte tibetano che unisce potere/dovere non è un fatto banale perchè implica la preservazione di quello che ho definito "bene incontrovertibile assoluto del vivente (biav)", la sua vita individuale. Appunto quell'impervio ponte tibetano. Oltrepassato il quale si possono costruire sovrastrutture etiche a piani diversi ma sempre fondate su un ethos che ha recepito il corretto, non sovrastrutturale, rapporto tra potere e dovere.

Citazione di: Phil il 08 Settembre 2019, 22:18:46 PM
Citazione di: Ipazia il 08 Settembre 2019, 15:43:02 PM
L'etica è la presa d'atto delle prescrizioni poste da una determinata condizione etologica (naturale/ambientale) su cui si innesta un'etica razionale.
Proprio l'innesto è, a mio avviso, il passo falso: la condizione etologica non ha in sé nulla di bene/male (qui concordiamo, no?), per cui non può fungere da fondamento per il bene/male con cui, retroattivamente, vengono poi lette le stesse vicissitudini di tale condizione (qui il circolo è ben più che ermeneutico, direi quasi vizioso). Senza bene/male non c'è etica (almeno classicamente intesa), non c'è prescrizione, c'è però l'ethos che l'antropologo studia, ma da cui, non a caso, non ricava dettami morali, universali o personali, che siano filosoficamente estranei al suo stesso oggetto di studio.

L'innesto è obbligato per completare il circolo ermeneutico. Geneticamente, l'etica (bene/male) non può che innestarsi su un ethos che a sua volta è radicato in physis. Successivamente i tre piani possono sfasarsi e i circoli ermeneutici perdere la sincronia che legittima il normato. Quando ciò accade cambia il paradigma etico, ma il nuovo paradigma non può che tendere a risincronizzare i circoli etica-ethos-physis.

Citazione di: Phil il 08 Settembre 2019, 22:18:46 PM
Citazione di: Ipazia il 08 Settembre 2019, 15:43:02 PM
Rendiamone conto: donde sgorgano le leggi e le consuetudini ? Ethos-techne ha uno statuto tecnico fatto di cose concrete che prescindono dalla metafisica e che comunque la anticipano. Salvo poi ingarbugliarsi in circoli di retroazione. Però razionalmente dipanabili con un po' di buona volontà.
Concordo, e in ciò l'etica con i suoi concetti generalisti può restare in disparte, magari lasciando spazio a categorie più pragmatiche e schiette.

Che poi finiscono sempre col cadere nel discorso etico: leggi, regolamenti, procedure, ciascuno dei quali necessita di una giustificazione di tipo etico.

Citazione di: Phil il 08 Settembre 2019, 22:18:46 PM
Citazione di: Ipazia il 08 Settembre 2019, 15:43:02 PM
La tradizione si sussume e la semantica si adatta. Difficile trovare surrogati etici a bene e male.
Finché si sceglie di restare sul piano etico non vedo il motivo di farlo, sarebbe come restare sul piano religioso e cercare surrogati di «dio» e «anima»; un onesto cambio di categorie (e/o di paradigma) non prevede "surrogati". Accennavo all'Oriente perché (sempre se non ricordo male), non avendo una tradizione culturale in cui il Bene si è fatto carne o comunque si è rivelato dettando tavole e libri, la coppia bene/male non viene sopravvalutata egemonicamente come da noi in Occidente, pur non essendo quelle civiltà prive di etica (mutatis mutandis).

Chiamare il bene, nirvana e il male, samsara non cambia di molto la sostanza della questione (etica). La spersonalizza, pandivinizza, ma non le toglie direzione e motivazione verso un qualche "bene" in fuga da un suo omologo "male".

Citazione di: Phil il 08 Settembre 2019, 22:18:46 PM
La storia è infatti scandita dalle etiche dei feudatari che sovrastano le etiche dei servi della gleba; una volta presone atto, si tratta di contestualizzare tale gerarchia in tempi meno violenti, più democratici e informatizzati, per poter leggere le dinamiche etiche moderne. Fatto questo, per pensare al mondo come dovrebbe essere (e quindi sapere cosa fare per cambiarlo), basterà usare la propria etica; fermo restando il tirare l'ago della bilancia del Bene dalla propria parte (come dicevo sopra, parlando di qualità e quantità).
...
Il tuo(/nostro) ritenere superabile una certa egemonia è un significato, tuttavia il referente in questione è la cronaca (dal paesello al pianeta) dove, a conferma della non tangenza fra significato e referente, non scorgo traccia di tale superamento (al netto di dichiarazioni universali, slogan politicamente corretti e convegni vari).
Inoltre, per raccontarci come la società dovrebbe-essere/vorremmo-che-fosse dobbiamo ricorre ad una visione etica basata su... e il cerchio (il circolo ermeneutico) si chiude.
Chiaramente, non è necessaria una riflessione meta-linguistica per poter usare il linguaggio, così come non è necessaria una riflessione meta-etica per avere un'etica; la mia opinione spiccia è solo che, filosoficamente parlando, non guasterebbe.

Il problema si risolve ampliando l'orizzonte del circolo ermeneutico fino a comprendere tutto il sistema che si desidera regolamentare. Più il sistema è coerente più è facile tarare i parametri superando i conflitti. Ciò vale metodologicamente sia per piccoli sistemi (il condominio) che per grandi (il pianeta). Scienza e filosofia aiutano a trovare la sincronia. Ovviamente più cresce il sistema, più crescono le complicazioni e l'abilità richiesta agli amministratori. L'etica dovrebbe diventare quello per cui è nata: una tecnica sapiente del (con)vivere intorno a valori condivisi superando quelli divisivi che condivisibili non sono.

Citazione di: Phil il 08 Settembre 2019, 22:18:46 PM
Citazione di: Ipazia il 08 Settembre 2019, 15:43:02 PM
Anche "no man is an island" se la passa mica male. La scelta tra il motto latino e quello inglese ha un nome antiquato, ma di difficile sostituzione nel significato ancor più che nel significante.
Proprio poiché «no man is an island» (approfondire virerebbe verso l'off topic) ha senso il «mors tua, vita mea»: siamo sulla stessa terra e nasce dunque il problema di come dividercene le risorse, di come organizzare i ruoli e di chi sacrificare...

Redimere la morte dal "male" è saggezza filosofica fin dai tempi di Epicuro. In una società di uguali "chi sacrificare" lo sa per primo chi (liberamente) si sacrifica. Come il vecchio indiano che sente giunta la sua ora. Come la madre, in ogni cultura che non ne abbia disumanizzato il ruolo e la natura. Esistono pure un'etica e una metafisica del sacrificio e della morte. Sanificate, una volta che si siano liberate dai fantasmi irrazionali.

Citazione di: Phil il 08 Settembre 2019, 22:18:46 PM
...se invece ci chiediamo dove si (af)fondano i criteri con cui decidiamo quale percorso di senso intraprendere, siamo già nel meta-etico, ovvero in ciò che rende tale un'etica... Sull'«etica razionale» è bene ricordare che (soprattutto dopo Godel) è una classe di etiche (se ce ne fosse solo una razionalmente ammissibile, mi avresti riesumato in vano), quindi, sommessamente, dissimulatamente, si apre l'ostico scenario di una riflessione meta-etica su cosa rende preferibile (migliore? compatibile? saggia?) un'etica rispetto alle altre... per poi ritrovarsi dentro l'inevitabile, temporanea, accomodante tautologia che fa quadrare il cerchio (almeno per un po'... aporie permettendo).

Etica o meta-etica, il fondamento, a partire dal quale formare un'etica razionale, l'ho dichiarato. Tautologico quanto lo è la vita umana.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Phil

Citazione di: Ipazia il 10 Settembre 2019, 01:39:14 AM
noto che i cuccioli amano fare cose pericolose e le possono fare ma la madre insegna loro che non le devono fare. Siamo sempre a livello ethos. Imparare ad attraversare il ponte tibetano che unisce potere/dovere non è un fatto banale perchè implica la preservazione di quello che ho definito "bene incontrovertibile assoluto del vivente (biav)", la sua vita individuale. Appunto quell'impervio ponte tibetano. Oltrepassato il quale si possono costruire sovrastrutture etiche a piani diversi ma sempre fondate su un ethos che ha recepito il corretto, non sovrastrutturale, rapporto tra potere e dovere.
Non tutte le prescrizioni e i divieti sono etici, e distinguerli da quelli etologici è fondamentale per rispettare la distinzione fra vita animale e vita "civile" (di una civitas). Rintocca puntuale la domanda sul fondamento: ciò che spinge la mamma a insegnare ai suoi cuccioli a non fare azioni pericolose è (ad occhio) la tutela materna e istintiva della vita; ciò che spinge un umano a barcamenarsi nelle questioni etiche non può permettersi di essere semplicemente istintivo, "dovendo" l'uomo fare i conti con la razionalità, che problematizza perfino lo stesso istinto, e soprattutto il concetto stesso di «vita». 
Le possibilità dell'uomo (il suo "potere", in tutti i sensi) sono così complesse, vaste e (a differenza degli animali) tecniche, che non possono essere sbrigativamente recintate dall'istinto di conservazione: parlando di politica, bioetica, eutanasia, gender, globalizzazione, etc. non ci si può ispirare alla mera preservazione della "vita", poiché tale concetto fa esso stesso parte del rebus, non può essere criterio risolutivo, essendo la sua coniugazione il cuore stesso del problema. Per avere spunti edificanti per l'etica umana, la mamma e il cucciolo non ci possono fare da maestri, perché in natura non c'è nulla di simile alle tematiche accennate sopra; proprio come, si diceva, non ci sono né il giusto né lo sbagliato, che tali tematiche presuppongono, ma solo istintivo/non istintivo, etc.
Quindi concordiamo pure che sia etologico (e metaforicamente "etico") che una mamma, umana o di altra specie, istruisca i propri cuccioli a non attraversare la strada senza guardare, ma usarlo come fondamento teoretico per tutte le altre questioni di «etica razionale»(cit.), quindi non meramente istintiva, mi pare una proiezione fallace (il famigerato non sequitur a cui accennavi).

Il «biav»(cit.) è assioma (se si, scelto come?) o risultato di un'analisi (se si, basata su quale paradigma?)? 
Inteso individualmente è il significato del referente «istinto di sopravvivenza»; inteso socialmente è invece piuttosto amleticamente (s)fondato: nell'ethos umano imperversano (geneticamente, v. istinto) Polemos e il già citato Ares, quindi se il "biav" si spaccia per figlio redentore ed "induttivo" dell'ethos naturale, probabilmente è stato in realtà "adottato", perché l'analisi del suo "dna" non rimanda tanto alla natura, quanto piuttosto alla nostra cultura (razionale, umanistica, antropocentrica, etc.).
Riconosco che il "biav" è un assioma problematico se coniugato nella nostra società, ogni sua parola meriterebbe un trattato (proprio a partire dalla «b» di «bene»), tuttavia ammetto che come criterio è ben più filosofico (ricambio la tua trasparenza, esplicitandomi) della "mia" formula E = MC2 , ovvero Etica = Meditazione x Cultura al quadrato, dove l'imprinting della cultura d'appartenenza tende di default a pesare di più della meditazione personale; per quanto sia poi possibile, con un po' d'impegno, rendere M più influente di C.
[Da non confondere con l'altro E = MC2, quello ontologico, ovvero: Esistenza = Materia x Causalità al quadrato... e per oggi ho profanato Einstein a sufficienza]

Citazione di: Ipazia il 10 Settembre 2019, 01:39:14 AM
L'innesto è obbligato per completare il circolo ermeneutico. Geneticamente, l'etica (bene/male) non può che innestarsi su un ethos che a sua volta è radicato in physis. 
La proprietà transitiva non funziona sempre: il circolo ermeneutico prescinde dalla physis, la sua chiusura è tutta nel significato; infatti di circoli (e di etiche) ce ne sono in gran quantità (è una constatazione, direi) ed interpretano in maniera differente la medesima physis
Il legame ethos/physis è naturale (istintivo, genetico, etc.), quello etica/ethos è culturale (e infatti leone/gazzella non lo condividono, almeno apparentemente). La peculiarità dell'uomo rispetto agli altri animali è proprio il livello del significato (di cui l'etica è un'applicazione) delineato asintoticamente sulle coordinate del referente fisico. Quando tale significato assume la forma del "dovere", in cui la legge umana prova a scimmiottare la legge di natura, emerge tutta l'arbitrarietà e la convenzionalità delle (sovra)strutture semantiche (dal linguaggio all'etica, all'arte, etc.). 
Banalizzando: che un corpo debba cadere verso il centro della terra e che i migranti debbano essere identificati, spiega bene (perdona l'ovvietà) la differenza fra il "dovere del referente" e il "dovere del significato", fra il dover essere della natura e il poter essere dell'uomo (per quanto inteso da egli stesso come "dovere"), fra sequitur e non sequitur.


Citazione di: Ipazia il 10 Settembre 2019, 01:39:14 AM
Che poi finiscono sempre col cadere nel discorso etico: leggi, regolamenti, procedure, ciascuno dei quali necessita di una giustificazione di tipo etico.
[...]
Chiamare il bene, nirvana e il male, samsara non cambia di molto la sostanza della questione (etica). La spersonalizza, pandivinizza, ma non le toglie direzione e motivazione verso un qualche "bene" in fuga da un suo omologo "male".
Pensavo più a Confucio e al Taoismo piuttosto che al Buddismo (e quella distinzione Samsara/Nirvana non è affatto come sembra, ma è off topic), comunque ciò che cambia è lo slittamento che subirebbe lo statuto del «bene», soprattutto in ottica laica: non propongo certo di tornare indietro di 2500 anni (per questo ho giocato la carta del «mutatis mutandis»), ma scindere tale concetto dal suo statuto metafisico (il buddismo è molto più meccanicista di quanto lo siano le nostre religioni, il taoismo è naturalista e il confucianesimo è spiccatamente laico, metafore a parte), consentendo di ragionare più facilmente in chiave pragmatica, piuttosto che in chiave assolutistica, metafisica, etc. Mi sembrano approcci più attualizzabili di quello tipicamente nostrano, ormai in panne fra nichilismo e deismo.
Inoltre, si aprirebbe meglio, chiarendosi, anche l'orizzonte del relativismo pluralismo ermeneutico che struttura l'interazione fra culture (ormai tocca farci i conti), ma ammetto che qui tendo a tirare l'acqua al mio mulino...

Citazione di: Ipazia il 10 Settembre 2019, 01:39:14 AM
Il problema si risolve ampliando l'orizzonte del circolo ermeneutico fino a comprendere tutto il sistema che si desidera regolamentare. Più il sistema è coerente più è facile tarare i parametri superando i conflitti. Ciò vale metodologicamente sia per piccoli sistemi (il condominio) che per grandi (il pianeta). Scienza e filosofia aiutano a trovare la sincronia. Ovviamente più cresce il sistema, più crescono le complicazioni e l'abilità richiesta agli amministratori. L'etica dovrebbe diventare quello per cui è nata: una tecnica sapiente del (con)vivere intorno a valori condivisi superando quelli divisivi che condivisibili non sono.
Se quel «dovrebbe» è il bene per l'etica (deciso basandosi a sua volta su una visione etica basata su... etc.), ciò può andar bene come discorso programmatico per una conferenza dell'Onu; "dobbiamo" poi consentire che tale circolo ermeneutico unico, globalizzante (oggi la realtà è questa) faccia le sue vittime (ovvero tutti gli altri circoli più piccoli) e i suoi sacrifici (umani, inutile essere ingenui: "superare i valori «divisivi» in virtù di un'unità più giusta, in nome del bene" è movente ben noto, che va dal ratto delle Sabine fino ai kamikaze, passando per l'inquisizione, etc. è spesso l'applicazione di quel «superare» a non essere "etico"... e se siamo in fiduciosa attesa del "parlamento internazionale illuminato", versione globalista del "re filosofo", temo l'attesa possa durare molto). Secondo me, sperare di costruire tale circolo planetario unico (monismo caro alla cultura occidentale, da Carlo Magno agli imperialismi) solo con girotondi diplomatici e uso di ragione non-violenta (so che non è esattamente quello che proponi), significherebbe non aver imparato la lezione storica che va dall'impero romano (il cui circolo era piuttosto esteso per l'epoca) all'attuale ruolo globale degli Stati Uniti. Si ritorna sempre (e qui dalla natura non si esce) alle mille declinazioni culturali, democratiche e tecnologiche del "mors tua, vita mea", seppur in versione "2.0" e antropocentrica. Che poi il «mors tua, vita mea» venga giudicato umanamente come "male", storpiato in apologia dell'anarchia o in utopico rimpianto dell'età della pietra, è sempre questione di prospettiva (teor)etica.

Citazione di: Ipazia il 10 Settembre 2019, 01:39:14 AM
Redimere la morte dal "male" è saggezza filosofica fin dai tempi di Epicuro. In una società di uguali "chi sacrificare" lo sa per primo chi (liberamente) si sacrifica. Come il vecchio indiano che sente giunta la sua ora. Come la madre, in ogni cultura che non ne abbia disumanizzato il ruolo e la natura. Esistono pure un'etica e una metafisica del sacrificio e della morte. Sanificate, una volta che si siano liberate dai fantasmi irrazionali.
Forse il problema etico nasce quando il sacrificato non è consenziente (Sparta docet), perché della «società di uguali» non vedo traccia (e forse sarebbe troppo poco umana); tuttavia, di fronte alle tue belle parole non voglio fare troppo il disincantato pragmatico e sintetizzo tutto in un: «chissà...».

Citazione di: Ipazia il 10 Settembre 2019, 01:39:14 AM
Etica o meta-etica, il fondamento, a partire dal quale formare un'etica razionale, l'ho dichiarato. Tautologico quanto lo è la vita umana.
Consentimi di precisare che non è tautologico il referente («la vita umana»), ma il suo significato umano: la tautologia è che il fondamento etico (e non solo) è un significato che decide degli altri significati derivati ma anche di lui stesso; la vita, dal canto suo, non mi pare (una) pratica di tautologie.

Ipazia

Citazione di: Phil il 10 Settembre 2019, 15:46:47 PM
Non tutte le prescrizioni e i divieti sono etici, e distinguerli da quelli etologici è fondamentale per rispettare la distinzione fra vita animale e vita "civile" (di una civitas). Rintocca puntuale la domanda sul fondamento: ciò che spinge la mamma a insegnare ai suoi cuccioli a non fare azioni pericolose è (ad occhio) la tutela materna e istintiva della vita; ciò che spinge un umano a barcamenarsi nelle questioni etiche non può permettersi di essere semplicemente istintivo, "dovendo" l'uomo fare i conti con la razionalità, che problematizza perfino lo stesso istinto, e soprattutto il concetto stesso di «vita».

I Sollen, must, doveri, etologici hanno un diritto di primogenitura su quelli formalizzati in precetti etici. Fossi in te non sottovaluterei le cure parentali e l'imprinting nell'età evolutiva neppure in una specie complessa e razionalizzante come quella umana. L'istinto viene problematizzato quando confligge col valore "vita", intesa in senso ontologico, quantitativo e qualitativo. Sempre lì andiamo a parare... e il sequitur funziona come ratio di ultima istanza. Fammi qualunque esempio e te lo dimostro. per cui ...

CitazioneIl «biav»(cit.) è assioma (se si, scelto come?) o risultato di un'analisi (se si, basata su quale paradigma?)? ...

... il biav e innanzitutto assiomatico con quarti di nobiltà metafisica: essere o non essere ? Ma è anche frutto di un'analisi sulle tavole della legge, da Mosè alla DUDU. Talmente assiomatico che spetta a chi lo nega scegliere assiomi diversi, generalmente più deboli e abborracciati dell'assioma "vita umana".

Polemos e Ares sono fenomenologici. Eros è sostanziale: no life, no party.

Le tue formule sono molto eleganti e cariche di suggestioni metafisiche, ma io mi attengo, come da topic, alle origini, ai piani bassi.

Citazione di: Phil il 10 Settembre 2019, 15:46:47 PM
Citazione di: Ipazia il 10 Settembre 2019, 01:39:14 AM
L'innesto è obbligato per completare il circolo ermeneutico. Geneticamente, l'etica (bene/male) non può che innestarsi su un ethos che a sua volta è radicato in physis.

La proprietà transitiva non funziona sempre: il circolo ermeneutico prescinde dalla physis, la sua chiusura è tutta nel significato; infatti di circoli (e di etiche) ce ne sono in gran quantità (è una constatazione, direi) ed interpretano in maniera differente la medesima physis.
Il legame ethos/physis è naturale (istintivo, genetico, etc.), quello etica/ethos è culturale (e infatti leone/gazzella non lo condividono, almeno apparentemente). La peculiarità dell'uomo rispetto agli altri animali è proprio il livello del significato (di cui l'etica è un'applicazione) delineato asintoticamente sulle coordinate del referente fisico. Quando tale significato assume la forma del "dovere", in cui la legge umana prova a scimmiottare la legge di natura, emerge tutta l'arbitrarietà e la convenzionalità delle (sovra)strutture semantiche (dal linguaggio all'etica, all'arte, etc.).
Banalizzando: che un corpo debba cadere verso il centro della terra e che i migranti debbano essere identificati, spiega bene (perdona l'ovvietà) la differenza fra il "dovere del referente" e il "dovere del significato", fra il dover essere della natura e il poter essere dell'uomo (per quanto inteso da egli stesso come "dovere"), fra sequitur e non sequitur.

La differenza tra un'etica faidatè e un'etica razionale è che quest'ultima deve comprendere anche physis per chiudere il suo cerchio semantico in sequitur all'ermeneutico. Unificando in un unico sapere interallacciato etologia ed ecologia. Detto in soldoni: oggi un'etica che prescinda dalle leggi naturali e dalle evidenze scientifiche è destinata alla discarica. Può sopravvivere ideologicamente, ma deve rinunciare ai suoi principi ogni volta che si trova ad affrontare un ostacolo reale.

Sulla modellistica etica orientale non ho alcuna preclusione. L'ermenauta ama mischiare i suoi cerchi con gli altrui. Ce l'ho pure nell'avatar. Mi pare che anche Gadamer abbia fatto l'elogio delle condivisioni perchè dilatano l'orizzonte. In ogni caso è velleitarismo illuministico pretendere, per schivare la tautologia, di saper/poter dire solo ponendosi fuori dal cerchio. Il dire è sempre al suo interno e il massimo che possiamo fare è ampliarlo. E la condivisione aiuta.

Citazione di: Phil il 10 Settembre 2019, 15:46:47 PM
Citazione di: Ipazia il 10 Settembre 2019, 01:39:14 AM
L'etica dovrebbe diventare quello per cui è nata: una tecnica sapiente del (con)vivere intorno a valori condivisi superando quelli divisivi che condivisibili non sono.
Se quel «dovrebbe» è il bene per l'etica (deciso basandosi a sua volta su una visione etica basata su... etc.), ciò può andar bene come discorso programmatico per una conferenza dell'Onu; "dobbiamo" poi consentire che tale circolo ermeneutico unico, globalizzante (oggi la realtà è questa) faccia le sue vittime (ovvero tutti gli altri circoli più piccoli) e i suoi sacrifici (umani, inutile essere ingenui: "superare i valori «divisivi» in virtù di un'unità più giusta, in nome del bene" è movente ben noto, che va dal ratto delle Sabine fino ai kamikaze, passando per l'inquisizione, etc. è spesso l'applicazione di quel «superare» a non essere "etico"... e se siamo in fiduciosa attesa del "parlamento internazionale illuminato", versione globalista del "re filosofo", temo l'attesa possa durare molto). Secondo me, sperare di costruire tale circolo planetario unico (monismo caro alla cultura occidentale, da Carlo Magno agli imperialismi) solo con girotondi diplomatici e uso di ragione non-violenta (so che non è esattamente quello che proponi), significherebbe non aver imparato la lezione storica che va dall'impero romano (il cui circolo era piuttosto esteso per l'epoca) all'attuale ruolo globale degli Stati Uniti. Si ritorna sempre (e qui dalla natura non si esce) alle mille declinazioni culturali, democratiche e tecnologiche del "mors tua, vita mea", seppur in versione "2.0" e antropocentrica. Che poi il «mors tua, vita mea» venga giudicato umanamente come "male", storpiato in apologia dell'anarchia o in utopico rimpianto dell'età della pietra, è sempre questione di prospettiva (teor)etica.

Ma non tutte le prospettive si equivalgono e sono equipotenti. Allargamenti d'orizzonte, anche con tutte le distorsioni del globalismo capitalistico, è un dato di fatto storico. La filosofia non può surrogare la politica, ma può cercare buone risposte etiche che riducano i conflitti o li superino in sintesi meno cavernicole del mors tua vita mea eletto ad assioma comportamentale e quindi etico (passando per l'etologia per rendere la tautologia meno trasparente e più physica)

Citazione di: Phil il 10 Settembre 2019, 15:46:47 PM
Citazione di: Ipazia il 10 Settembre 2019, 01:39:14 AM
Etica o meta-etica, il fondamento, a partire dal quale formare un'etica razionale, l'ho dichiarato. Tautologico quanto lo è la vita umana.
Consentimi di precisare che non è tautologico il referente («la vita umana»), ma il suo significato umano: la tautologia è che il fondamento etico (e non solo) è un significato che decide degli altri significati derivati ma anche di lui stesso; la vita, dal canto suo, non mi pare (una) pratica di tautologie.

A me pare di sì. La prima cosa che sa/può/deve fare è riprodurre se stessa. Sovranista al cubo, lo fa dall'interno di se stessa, proprio come il filosofo che filosofeggia di un'etica che sempre lo contiene. Anche la scienza si è dovuta arrendere a fare il suo lavoro dall'interno, interferendo con esso. Lo può ben fare anche il filosofo. La lezione ermeneutica ha spiegato anche questa ineliminabile, chiamiamola aporia , dell'interpretazione. Ma ha anche dato qualche trucco per non prendere troppi fischi per fiaschi. Scoprendo la circolarità relativistica dei suoi percorsi. Talvolta sentieri contorti e fortunati. Holzweg.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Phil

Citazione di: Ipazia il 10 Settembre 2019, 20:31:12 PM
I Sollen, must, doveri, etologici hanno un diritto di primogenitura su quelli formalizzati in precetti etici.
Proprio la formalizzazione è il passaggio dello slittamento verso l'arbitrarietà del senso, l'innesco del pluralismo esegetico. L'ethos e la physis sono molto meno deformabili e interpretabili dell'etica, nondimeno, con l'ingegneria genetica diventa ancor più lampante quanto l'etica non dipenda dalla physis e di come il potere/volere umano, per vie tecniche, possa talvolta manipolare persino i "doveri" innati della natura.

Citazione di: Ipazia il 10 Settembre 2019, 20:31:12 PM
L'istinto viene problematizzato quando confligge col valore "vita", intesa in senso ontologico, quantitativo e qualitativo. Sempre lì andiamo a parare... e il sequitur funziona come ratio di ultima istanza. Fammi qualunque esempio e te lo dimostro.
Ad esempio, mi chiedevo come sia possibile ispirarsi al "valore della vita"
Citazione di: Phil il 10 Settembre 2019, 15:46:47 PM
parlando di politica, bioetica, eutanasia, gender, globalizzazione, etc. non ci si può ispirare alla mera preservazione della "vita", poiché tale concetto fa esso stesso parte del rebus, non può essere criterio risolutivo, essendo la sua coniugazione il cuore stesso del problema.
Sono tutte questioni che riguardano come intendere ed interpretare la vita e le sue categorie, ma per passare alla dicotomia etica "questo è giusto"/"questo è sbagliato", discrimine utile ad esempio per eventuali referendum in merito, non capisco come l'ethos o la physis possano suggerire una risposta «incontrovertibile»; infatti i dibattiti su quei temi strumentalizzano entrambe le dimensioni a proprio piacimento, ciascuno interpretandole dalla sua parte (sempre la faziosa bilancia fra quantità e qualità).

Citazione di: Ipazia il 10 Settembre 2019, 20:31:12 PM
... il biav e innanzitutto assiomatico con quarti di nobiltà metafisica: essere o non essere ? Ma è anche frutto di un'analisi sulle tavole della legge, da Mosè alla DUDU. Talmente assiomatico che spetta a chi lo nega scegliere assiomi diversi, generalmente più deboli e abborracciati dell'assioma "vita umana".
Direi che la vita umana non è assioma, è condizione di possibilità dell'etica: ovviamente solo fra vivi ci si può porre il problema dell'etica, e ridurlo al restare vivi il più (e in più) possibile, mi sembra poco consono alla complessità della società attuale (nel senso che lascia molti angoli bui). Di certo è una via legittima di interpretare il mondo e va bene il «non uccidere», con tutte le postille legali e costituzionali del caso, ma i dilemmi etici dell'uomo comune (e del votante, vedi sopra), che tende a non uccidere (si spera), hanno comunque le loro esigenze a cui il motto "la vita prima di tutto" non è sufficiente.

Citazione di: Ipazia il 10 Settembre 2019, 20:31:12 PM
Detto in soldoni: oggi un'etica che prescinda dalle leggi naturali e dalle evidenze scientifiche è destinata alla discarica. Può sopravvivere ideologicamente, ma deve rinunciare ai suoi principi ogni volta che si trova ad affrontare un ostacolo reale.
Non saprei: leggi naturali ed evidenze scientifiche che ne sanno di etica? Il referente che ne sa del significato che gli si può (non "deve") attribuire. Di fronte ad un «ostacolo reale», tornando ai temi citati all'inizio: natura e scienza mi spiegheranno i dettagli "tecnici" del dilemma del referendum, ma come mi aiuteranno a fare la mia scelta etica? Mi daranno gli elementi da considerare per decidere, ma non il paradigma valoriale per farlo (occupandosi di altro settore). Se trovassimo un'etica basata su leggi naturali ed evidenze scientifiche, dovremmo iniziare a parlare di "etiche vere" ed "etiche false" potendo dimostrare oggettivamente la falsità di queste ultime; l'etica smetterebbe di essere trattata nella sezione «filosofia» per passare in «scienza». Magari ci arriveremo, chissà...

Citazione di: Ipazia il 10 Settembre 2019, 20:31:12 PM
In ogni caso è velleitarismo illuministico pretendere, per schivare la tautologia, di saper/poter dire solo ponendosi fuori dal cerchio.
Per me il dire filosofico è di default tautologico, nessun fuori-cerchio, poiché fuori dall'orbita ermeneutica c'è (almeno) un altro piano, ma qui è off topic: l'estetico (ci tornerò alla fine, ovviamente non da solo). Da precisare che la chiusura tautologica non significa stasi cognitiva o interpretativa, né impossibilità di modifica dall'interno: ogni discorso può modificarsi per l'irruzione del Differente (tanto per parlare "metafisichese") o per autoanalisi cogitabonda (la M di meditazione nella parodia einsteniana).

Citazione di: Ipazia il 10 Settembre 2019, 20:31:12 PM
Ma non tutte le prospettive si equivalgono e sono equipotenti. Allargamenti d'orizzonte, anche con tutte le distorsioni del globalismo capitalistico, è un dato di fatto storico.
Anche qui: per giudicarle non equivalenti, larghe o strette, a cosa ricorriamo? La storia ci dice che ce ne sono molte, il meglio/peggio è questione di successo storico (guidato da un'ordalia o darwinismo storicistico) oppure di chiave di lettura paradigmatica, quindi assiomatica, quindi tautologica?

Citazione di: Ipazia il 10 Settembre 2019, 20:31:12 PM
La filosofia non può surrogare la politica, ma può cercare buone risposte etiche che riducano i conflitti o li superino in sintesi meno cavernicole del mors tua vita mea eletto ad assioma comportamentale e quindi etico (passando per l'etologia per rendere la tautologia meno trasparente e più physica)
Forse scrivendo si sono rovesciati i piani: il «mors tua, vita mea» è della/nella physis (istinto di sopravvivenza) e dell'/nell'ethos (pratica della autoconservazione), non dell'/nell'etica. Non può essere «assioma comportamentale» perché è già nel nostro dna senza bisogno di ermenetiche o assiomi culturali. Certo, la sua forma, come dicevo, cambia fino ad "alienarsi" nei piani della macroeconomia e nelle dinamiche del consumismo, ma la radice resta quella (e non può fondare etiche razionali, essendo istinto, pulsione al possesso, privo di normatività biologica su giusto/sbagliato etc.).

Citazione di: Ipazia il 10 Settembre 2019, 20:31:12 PM
Citazione
Consentimi di precisare che non è tautologico il referente («la vita umana»), ma il suo significato umano: la tautologia è che il fondamento etico (e non solo) è un significato che decide degli altri significati derivati ma anche di lui stesso; la vita, dal canto suo, non mi pare (una) pratica di tautologie.
A me pare di sì. La prima cosa che sa/può/deve fare è riprodurre se stessa. Sovranista al cubo, lo fa dall'interno di se stessa, proprio come il filosofo che filosofeggia di un'etica che sempre lo contiene. Anche la scienza si è dovuta arrendere a fare il suo lavoro dall'interno, interferendo con esso.
La vita è metaforicamente tautologica (concessione), la filosofia lo è fuor di metafora; v. differenza significato/referente.

Citazione di: Ipazia il 10 Settembre 2019, 20:31:12 PM
La lezione ermeneutica ha spiegato anche questa ineliminabile, chiamiamola aporia , dell'interpretazione. Ma ha anche dato qualche trucco per non prendere troppi fischi per fiaschi. Scoprendo la circolarità relativistica dei suoi percorsi. Talvolta sentieri contorti e fortunati. Holzweg.
Gli Holzwege hanno portato Heidegger verso il pensiero poetante, un'uscita della circolarità ermeneutica può essere infatti la deviazione estetica; la conseguenza da accettare è il sacrificio della razionalità logica che, in ambito etico, può non essere accettabile da tutti.

green demetr

x Ipazia prima e Phil dopo


"Detto in soldoni: oggi un'etica che prescinda dalle leggi naturali e dalle evidenze scientifiche è destinata alla discarica." cit Ipazia

Direi che è piuttosto il contrario, oggi tutte le etiche ecologiste incarnando non tanto una presunta etologia, ma quanto l'ideologia alle sue ultime gocce di sangue spendibile, ossia disumanizzando il pensiero e rendendolo appunto animale, sono destinate ad una sonora sconfitta, che già vediamo davanti agli occhi ogni giorno nei giornali e telegiornali.
L'ideologia non ha nulla dell'animale, se non appunto come simbolo totemico, ma vedo che ancora non hai capito cara Ipazia.
Non che abbia capito molto anche Phil, con cui invero condivido la critica serrata alla tua impalcatura moraleggiante da vecchio padre della chiesa-
Vedi, caro Phil siamo d'accordo che l'ethos è una tautologia imposta per replicare la gerarchia, ma non è certo usando le categorie logiche che riusciremo mai a capire l'ideologia della gerarchia, non la gerarchia stessa, errore tipico di coloro che non riescono a capire che l'inferenza non può andare sotto il secondo grado. L'inferenza della inferenza è sicuramente una tautologia.
Ce lo spiega anche Lacan, il nome del nome NON esiste.
Interpretare logicamente la gerarchia, significa di fatto cavalcarla (cioè in realtà essenre succubi).
Direi proprio di no, ripeto primo passetto per raggiungere il livello superiore: mollare la nave etica, chiaramente ideologica, e lasciarla sprofondare nel suo autoreferenzialismo, capire chi ha costruito questa idea, tornare cioè alla teologia politica. Se non affrontate la teologia politica, non riuscite poi a entrare nella problematica del prossimo secolo, dico il 2100, perchè su questo direi che ormai non possiamo più contare. Ossia il tema comunitario.

Troppi aristotelian studies americani si frappongono per ora.
Etica, etica, etica....come se Aristotele avesse risolto qualcosa.
Ha dato degli spunti, questo sì, ma la vera ricerca è di là dall'esserci.

Se poi volete sapere dove sono arrivato, io ho optato per un ritorno a Hobbes che a seconda di uno studioso che si occupa del tema della paura, ossia il tema che io ho risolto dopo la teologia politica, sembra sia l'unico ad averlo affrontato.
Tutti gli altri credono veramente che l'uomo è amico dell'uomo. Ah Ah Ah.
Ovviamente a livello accademico questo dovrà essere camuffato molto bene!
E chi glielo spiega alla gente, che non è come dice il cristianesimo!
Ecco se veramente vogliamo dire qualcoso di etico-etologico, allora diciamola alla Hobbes, homo hominis lupus.

Ma appunto perchè? per via delle paure! Ecco che rientra la psicanalisi, qualche filosofo l'ha capito, molti altri no. Sic et sempliciter.

E ci conto dalle persone intelligenti come voi due!!!  ;)

Da soli si va al rilento, o almeno io da solo vado lentissimo.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

Ipazia

L'intervento di green è un po' spiazzante. Ci devo riflettere col corpo in movimento, come raccomanda il Maestro. Solo una chiosa: i padri della chiesa che non avevano in mente solo il seggio e il cappone, ma anche l'anima mundi, si resero conto della criticità del Diverso copernicano che irrompeva per voce di un maestro neoplatonico come Galileo. Delle disjecta membra dell'anima mundi che quei padri intravedevano stiamo parlando (anche l'ultimo Nietzsche sbriciolato pure lui) ...

Anche l'estetica rientra nell'anima mundi antropologica (il sentiero che si perde nel bosco ma alla fine ti ritrova). Propendendo per la sintesi, piuttosto che per l'analisi..

A più tardi.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Lou

#70
@green
"Tutti gli altri credono veramente che l'uomo è amico dell'uomo. Ah Ah Ah."

No dai, è un po' diverso come concetto, per esempio Aristotele quando tratteggia l'uomo zoon politikon afferma un carattere dell'animale umano tale per cui, senza di esso si sarebbe già estinto. L'individuo solo è estinto da sempre, a meno di essere un animale o un dio. Nietzsche lo corresse "o un filosofo" ( giusto per rimarcare prima la polis dell'individuo?), ma, a parte questo, ritengo che si indichi inequivocabilmente la necessità della socialità, e, forse, non è che Hobbes non ha realizzato che tra lupi una protoforma di socialità esiste?
"La verità è brutta. Noi abbiamo l'arte per non perire a causa della verità." F. Nietzsche

green demetr

Citazione di: Lou il 11 Settembre 2019, 18:02:25 PM
@green
"Tutti gli altri credono veramente che l'uomo è amico dell'uomo. Ah Ah Ah."

No dai, è un po' diverso come concetto, per esempio Aristotele quando tratteggia l'uomo zoon politikon afferma un carattere dell'animale umano tale per cui, senza di esso si sarebbe già estinto. L'individuo solo è estinto da sempre, a meno di essere un animale o un dio. Nietzsche lo corresse "o un filosofo" ( giusto per rimarcare prima la polis dell'individuo?), ma, a parte questo, ritengo che si indichi inequivocabilmente la necessità della socialità, e, forse, non è che Hobbes non ha realizzato che tra lupi una protoforma di socialità esiste?

Ma l'etica di Aristotle infatti ha in mente il filosofo come guida.
Il che è risibile comunque.

Naturalmente lo zoon politikon è importantissimo a livello di discussione sul comunitario, dico solo che prima bisogna fare un ragionamento purificatore sulle ideologie, oggi arrivate al capolinea (ideologia progressiste, non reazionarie ovvio).

Quel bagno purificatore lo possiamo fare con Kant, con Hobbes con Hegel con Marx, e certo anche con Nietzche.
Ma non dimenticherei anche gli altri grandi del pensiero liberale e democratico. Che purtroppo non riescono a emergere in questo forum. (in questo momento manco me li ricordo fate voi! per dire che ho alcuni filosofi in mente, ma volendo ce ne sono anche altri di pari statura intendo).


Certamente Hobbes realizza la socialità a partire dai lupi, e scrivendo il leviatano immagina la società futura.

Una società teocratica dominata dal Moloch della guerra.

Il leviatano è colui che emerge dalla conquista non solo della terra e dell'acqua (schmit), ma persino dell'aria.

La politica di Hobbes che alcuni filosofi stanno riprendendo, sfiora temi addirittura premonitori, oggi vediamo la lotta per la conquista delle rotte artiche, per esempio, e a maggior ragione sulle questioni territoriali o meno del diritto internazionale sulle acque, e prevede anche quello delle rotte aeree, o almeno credo, non so come possa aver intuito cose del genere, ma stiamo parlando ovviamente di un gigante della filosofia.

Io magari caricaturo un pò. Perchè mi manca la lettura ragionata di tutto il suo Opus.
Ma ovviamente è molto più complesso di così.

Comunque uno che capisce la teologia politica ante-litteram è veramente un genio.
Va letto! povero me!  ;)
Vai avanti tu che mi vien da ridere

Ipazia

Citazione di: Phil il 10 Settembre 2019, 23:02:40 PM
Citazione di: Ipazia il 10 Settembre 2019, 20:31:12 PM
I Sollen, must, doveri, etologici hanno un diritto di primogenitura su quelli formalizzati in precetti etici.
Proprio la formalizzazione è il passaggio dello slittamento verso l'arbitrarietà del senso, l'innesco del pluralismo esegetico. L'ethos e la physis sono molto meno deformabili e interpretabili dell'etica, nondimeno, con l'ingegneria genetica diventa ancor più lampante quanto l'etica non dipenda dalla physis e di come il potere/volere umano, per vie tecniche, possa talvolta manipolare persino i "doveri" innati della natura.

Tutto il dibattito etico sulla manipolazione genetica e le biotecnologie rimane ancorato al cui prodest. Se è utile ad un potenziamento della vita umana e non confligge con la natura (è chiaro che tra uomo e natura vi è circolarità) viene promosso. Nel dubbio si discute e si testa. E alla fine si decide. Quella che green chiama teologia politica (trattino "economica" aggiungiamo io e Marx) influisce pesantemente, ma la discussione etica nei suoi fondamenti non può che risalire al bios e alle sue ragioni. Lasciando pure spazio alla "libertà", laddove la partita doppia etica dia risultato zero. O, meglio ancora, neutro: gusto personale non perturbante l'armonia della polis. E' chiaro che non stiamo misurando la forza di gravità e la capacità predittiva dell'etica razionale non è quella della fisica. Ma ci si prova ugualmente.

Citazione di: Phil il 10 Settembre 2019, 23:02:40 PM
Citazione di: Ipazia il 10 Settembre 2019, 20:31:12 PM
L'istinto viene problematizzato quando confligge col valore "vita", intesa in senso ontologico, quantitativo e qualitativo. Sempre lì andiamo a parare... e il sequitur funziona come ratio di ultima istanza. Fammi qualunque esempio e te lo dimostro.
Ad esempio, mi chiedevo come sia possibile ispirarsi al "valore della vita"
Citazione di: Phil il 10 Settembre 2019, 15:46:47 PM
parlando di politica, bioetica, eutanasia, gender, globalizzazione, etc. non ci si può ispirare alla mera preservazione della "vita", poiché tale concetto fa esso stesso parte del rebus, non può essere criterio risolutivo, essendo la sua coniugazione il cuore stesso del problema.
Sono tutte questioni che riguardano come intendere ed interpretare la vita e le sue categorie, ma per passare alla dicotomia etica "questo è giusto"/"questo è sbagliato", discrimine utile ad esempio per eventuali referendum in merito, non capisco come l'ethos o la physis possano suggerire una risposta «incontrovertibile»; infatti i dibattiti su quei temi strumentalizzano entrambe le dimensioni a proprio piacimento, ciascuno interpretandole dalla sua parte (sempre la faziosa bilancia fra quantità e qualità).

Citazione di: Ipazia il 10 Settembre 2019, 20:31:12 PM
... il biav e innanzitutto assiomatico con quarti di nobiltà metafisica: essere o non essere ? Ma è anche frutto di un'analisi sulle tavole della legge, da Mosè alla DUDU. Talmente assiomatico che spetta a chi lo nega scegliere assiomi diversi, generalmente più deboli e abborracciati dell'assioma "vita umana".
Direi che la vita umana non è assioma, è condizione di possibilità dell'etica: ovviamente solo fra vivi ci si può porre il problema dell'etica, e ridurlo al restare vivi il più (e in più) possibile, mi sembra poco consono alla complessità della società attuale (nel senso che lascia molti angoli bui). Di certo è una via legittima di interpretare il mondo e va bene il «non uccidere», con tutte le postille legali e costituzionali del caso, ma i dilemmi etici dell'uomo comune (e del votante, vedi sopra), che tende a non uccidere (si spera), hanno comunque le loro esigenze a cui il motto "la vita prima di tutto" non è sufficiente.

Non è sufficiente ma è fondativo "la vita accade prima di tutto". Che su questo non sia possibile fondare un'etica condivisa ("non è sufficiente"), tu e green avete ragione. Ma quando si va alle origine della questione sempre da lì si finisce col ripartire, non ideologicamente (la trascendentalità "kantiana" non è autosussistente), ma sostanzialmente e praticamente.

Il rebus fa parte del problema, ma le due questioni si sviluppano dialetticamente trovando la sintesi, almeno a livello teorico, in forme più dense e libere di valorizzazione della vita (umana) che riguardano le tecniche di cura, la libertà sessuale, la disponibilità della propria vita in ogni suo ambito (economico, esistenziale, biologico,...) e le scelte politico-economiche.

Citazione
Citazione di: Ipazia il 10 Settembre 2019, 20:31:12 PM
Detto in soldoni: oggi un'etica che prescinda dalle leggi naturali e dalle evidenze scientifiche è destinata alla discarica. Può sopravvivere ideologicamente, ma deve rinunciare ai suoi principi ogni volta che si trova ad affrontare un ostacolo reale.
Non saprei: leggi naturali ed evidenze scientifiche che ne sanno di etica? Il referente che ne sa del significato che gli si può (non "deve") attribuire. Di fronte ad un «ostacolo reale», tornando ai temi citati all'inizio: natura e scienza mi spiegheranno i dettagli "tecnici" del dilemma del referendum, ma come mi aiuteranno a fare la mia scelta etica? Mi daranno gli elementi da considerare per decidere, ma non il paradigma valoriale per farlo (occupandosi di altro settore). Se trovassimo un'etica basata su leggi naturali ed evidenze scientifiche, dovremmo iniziare a parlare di "etiche vere" ed "etiche false" potendo dimostrare oggettivamente la falsità di queste ultime; l'etica smetterebbe di essere trattata nella sezione «filosofia» per passare in «scienza». Magari ci arriveremo, chissà...

Rispondendo anche a green la questione non è teorica ma pratica. Leggi naturali ed evidenze scientifiche non sanno nulla di etica, ma un'etica che le ignori si riduce a sterile ideologia. Nel dibattito sull'ivg la conoscenza del processo di sviluppo dell'embrione è un elemento dirimente per contemperare il miglior compromesso etico possibile tra la donna e il risultato della fecondazione. Lo studio sui limiti dello sviluppo e l'impatto antropico fornisce un riferimento forte al principio etico della procreazione responsabile...

Citazione di: Phil il 10 Settembre 2019, 23:02:40 PM
Citazione di: Ipazia il 10 Settembre 2019, 20:31:12 PM
Ma non tutte le prospettive si equivalgono e sono equipotenti. Allargamenti d'orizzonte, anche con tutte le distorsioni del globalismo capitalistico, è un dato di fatto storico.
Anche qui: per giudicarle non equivalenti, larghe o strette, a cosa ricorriamo? La storia ci dice che ce ne sono molte, il meglio/peggio è questione di successo storico (guidato da un'ordalia o darwinismo storicistico) oppure di chiave di lettura paradigmatica, quindi assiomatica, quindi tautologica?

La storia è maestra di vita ci raccontano e fornisce abbondante materiale di studio capace di penetrare fin nelle viscere dell'inconscio. Eticizzarla è un progetto antico quanto la storia stessa. Il mio paradigma ha per lo meno il vantaggio della costanza del suo fondamento e strutturarlo in senso umanistico diventa il nucleo originario di quella spiritualità atea di fronte alla quale green storce il naso ributtando la palla nel campo dell'automazione tecno-scientifica. La quale non è l'unica declinazione possibile della "virtute e canoscenza".

Citazione di: Phil il 10 Settembre 2019, 23:02:40 PM
Citazione di: Ipazia il 10 Settembre 2019, 20:31:12 PM
La filosofia non può surrogare la politica, ma può cercare buone risposte etiche che riducano i conflitti o li superino in sintesi meno cavernicole del mors tua vita mea eletto ad assioma comportamentale e quindi etico (passando per l'etologia per rendere la tautologia meno trasparente e più physica)
Forse scrivendo si sono rovesciati i piani: il «mors tua, vita mea» è della/nella physis (istinto di sopravvivenza) e dell'/nell'ethos (pratica della autoconservazione), non dell'/nell'etica. Non può essere «assioma comportamentale» perché è già nel nostro dna senza bisogno di ermenetiche o assiomi culturali. Certo, la sua forma, come dicevo, cambia fino ad "alienarsi" nei piani della macroeconomia e nelle dinamiche del consumismo, ma la radice resta quella (e non può fondare etiche razionali, essendo istinto, pulsione al possesso, privo di normatività biologica su giusto/sbagliato etc.).

Come afferma Lou, anche i lupi sono animali sociali e al loro interno vale piuttosto il "vita tua, vita mea" quando cacciano in branco. I fondamenti assiomatici la natura li pone. Se non si cade nell'ingenuità giusnaturalistica di prenderli tutti in blocco (con le loro evidenti contraddizioni eto-logiche) ma si fa leva solo sugli aspetti socializzanti inscritti fin nel dna si possono elaborare etiche razionali. La trascendentalità antropologica rispetto alla natura offre spazi evolutivi perfino inediti quando irrompe il "diverso", ma la sintesi trova il suo punto di caduta sempre sulla persistenza fisica e metafisica della vita: propria e dell'ethos circostante.

Citazione di: Phil il 10 Settembre 2019, 23:02:40 PM
Citazione di: Ipazia il 10 Settembre 2019, 20:31:12 PM
La lezione ermeneutica ha spiegato anche questa ineliminabile, chiamiamola aporia , dell'interpretazione. Ma ha anche dato qualche trucco per non prendere troppi fischi per fiaschi. Scoprendo la circolarità relativistica dei suoi percorsi. Talvolta sentieri contorti e fortunati. Holzweg.
Gli Holzwege hanno portato Heidegger verso il pensiero poetante, un'uscita della circolarità ermeneutica può essere infatti la deviazione estetica; la conseguenza da accettare è il sacrificio della razionalità logica che, in ambito etico, può non essere accettabile da tutti.

La pulsione estetica pare sia innata e col tempo si sia particolarmente sviluppata nella nostra specie. Non la porrei in contrapposizione alla razionalità logica, ma piuttosto all'irrazionalità del brutto. Sentire che la violenza (e la sua forma istituzionale "guerra") è "brutta",  in civiltà evolute potrebbe funzionare meglio che la tradizionale concezione etica della violenza "cattiva". Fatte salve le eccezioni motivate del caso che la vita reale non concede alla metafisica.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

viator

Salve. Solito problema delle definizioni latitanti. Ad esempio, la vita in sè non è certo un valore. Può essere giudicata, trattata, rispettata, osannata, disprezzata, soppressa (solo nelle sue manifestazioni particolari e locali) ma essa PROPRIAMENTE E' UNA NECESSITA'. Guarda caso, sia per significato filosofico che pratico. In particolare, in chiave biologica la necessità è ciò che ciascuno individualmente può trascurare ma che qualcuno invariabilmente finirà per fare o per essere.

Non comprendo certe (pseudo-)necessità di approfondimento (o di eviscerazione ?) circa concetti definibili universalmente in modo lapidario.

L'etica, intesa come insieme organizzato od organizzabile di principi comportamentali, secondo me non è affatto aspetto fondativo della condizione umana.
Esso aspetto è sempre sovrastato ed oppresso appunto dalla NECESSITA', la quale rappresenta ovviamente la prassi naturale opposta alla facoltà umana.

Quindi l'etica è ciò che noi possiamo trovare utile o psichicamente doveroso mentre la prassi consisterà sempre in ciò che,  risultando possibile, verrà prima o poi certamente fatto da qualcuno.
Secondo voi per quale ragione nessuna etica riesce ad opporsi alla creazione, diffusione ed utilizzo delle armi ?. Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

Jacopus

I livelli di omicidio fra oggi e il medioevo sono crollati in europa occidentale. In Italia si aggirano sulla proporzione di 1-2 ogni 100.000 abitanti/anno. Nel medioevo era tra i 40 e gli 80 ogni 100.000 abitanti/anno.
Premesso che geneticamente abbiamo lo stesso corredo, questa caduta della violenza va spiegata.
Ed una delle possibili risposte é proprio la diffusione di principi etici per i quali la violenza è condannata e perseguita come metodo di risoluzione dei conflitti.
Quindi dire che l'etica non ha mai soppiantato le armi é vero, così come é vero, che grazie a principi etici ed etico-religiosi ed alla diffusione del benessere, il grado di violenza in Occidente é diminuito in modo spettacolare.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

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