L'origine del male e del bene

Aperto da Jacopus, 29 Luglio 2019, 22:20:15 PM

Discussione precedente - Discussione successiva

viator

Salve Mariano. "Prima di chiedersi l'origine di un qualcosa non è necessario darne una definizione?".
Eh già ! Sei bravo, tu ! Una considerazione del genere dovrebbe farla anche un bambino di cinque anni, ma se venisse messa in atto qui dentro.......addio forum ! Le definizioni chiare sono le maggiori nemiche delle discussioni, ciò che le renderebbe vane e ridicole, ciò che renderebbe onore solo a colui che che le trova, umiliando e tacitando tutti coloro che fossere costretti a prendere atto della loro incontrovertibile chiarezza.

Comunque è ovvio (perciò dialetticamente contestabile !) che non può esistere alcuna definizione assoluta di bene e di male.

Se dividiamo tutto l'esistente (cioè l'ASSOLUTO) in due parti chiamate BENE e MALE, ovviamente tali parti risulteranno ciascuna PARZIALE e quindi RELATIVA.
Come faremmo a definire in assoluto ciò che risulta relativo ?.

Quindi, se l'assoluto coincide con l'esistente, possiamo considerare - se ci piace - che esso assoluto-esistente sia ciò che esprime il massimo bene. Per questa ragione, ad esempio, io nego l'esistenza del male in sè in quanto esso verrebbe a coincidere con l'inesistente.

Se scendiamo invece a livello relativo e quindi ovviamente umano, dovremmo dire che il bene risulterebbe in tutto ciò che permette e favorisce la nostra (esistenza=sopravvivenza), mentre ciò che noi chiamiamo male sarebbe tutto ciò che la nega od ostacola. Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

Ipazia

#46
Citazione di: Mariano il 06 Settembre 2019, 22:37:29 PM
Rileggendo i vari interventi sull'argomento mi sorge una domanda:

"Prima di chiedersi l'origine di un qualcosa non è necessario darne una definizione?"

E il susseguirsi dei post mostra l'ammirevole tentativo di trovarne una.

Tentativo oggetto della ricerca dei più grandi filosofi e teologi che a mio avviso non ha mai portato (nè porterà) una soluzione "razionale".

Insisto nella mia opinione (mi sembra condivisa da altri ed in particolare da Baylam) e cioè che il bene ed il male sono concetti relativi alle circostanze ed alle coscienze di ciascuna persona.

Per discutere dell'esistwnza del Bene e del Male assoluto penso che si debba passare a tematiche spirituali, ad un Credo la cui verità (se esiste) non fa parte della nostra cosiddetta razionalità.

Io una mia definizione l'ho data, ma condivido con Jacopus nel suo non volerla prefigurare, ma lasciare spazio alla discussione perchè ciascuno fornisse la sua. Mi sono cautelata fin dall'inizio col distinguere la posizione teistica da quella ateistica. E da atea non intendo imporre la mia visione a chi ateo non è. Mentre restando in ambito ateo la mia definizione si localizza in quello che ho definito: Bene assoluto incontrovertibile del vivente la sua vita individuale.

Questa è per me l'origine ontologica, a priori di ogni discorso filosofico o etico, del bene. Origine attorno a cui si aggrega tutto ciò che quantitativamente e qualitativamente ne accresce gli attributi. Il male è il contrario di tutto ciò (la morte e i suoi surrogati parziali).

Un primo fattore di tale accrescimento e consolidamento è la componente sociale, senza la quale l'individuo umano è un morto che cammina. Componente sociale da cui nasce e si sviluppa il logos filosofico e la collaborazione nella polis. Quindi la (cono)scienza, l'arte e l'insieme di artefici teorici (nomos) e pratici (techne) che ho definito universo antropologico. In questo universo, distinto ma non dissociato da quello naturale, si evolvono i concetti, totalmente antropologici, di bene e di male.

Il flusso dei quali si trasmette di progenie in progenie, come un testimone da conservare, non come feticcio imbalsamato (@ green) e monumentalizzato, ma come eredità da consegnare a chi verrà dopo di noi. Preservandolo dalle ignominiose cadute e conservando pure la memoria di quelle cadute perchè i posteri ne siano risparmiati. Tenuto conto però che una volta passato il testimone del bene e del male, se ne consegna anche la responsabilità del rilancio e delle riformulazioni. Questa consapevolezza riduce i monumenti alla loro dimensione storica, disinnescandone le eventuali residualità tossiche. In tale operazione la spiritualità atea, malgrado i suoi deficit e totem secolaristici, mi pare più attrezzata di quella teistica. Ma prendo atto del bias e non mi spingo oltre.  

Chi non temeva di spingersi oltre è certamente Nietzsche, ma ho l'impressione che a forza di spingersi al di là del bene e del male si sia ritrovato, come in un irridente gioco relativistico, del tutto al di qua, nello stato di natura. La qual cosa il teorico dell'eterno ritorno avrebbe dovuto mettere in conto fin dall'inizio della sua teoresi. Nulla di grave, per carità, ma a quel punto riprende il solito calvario: nel bene e nel male.
.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Phil

Citazione di: Ipazia il 04 Settembre 2019, 08:26:00 AM
Il relativismo ha da essere relativista per sua coerenza interna (forse questo intendeva dire Phil) rimandando sempre ad un background a priori.
Riesumato, confermo.
Citazione di: Ipazia il 04 Settembre 2019, 08:26:00 AM
Per l'ethos condiviso l'a-priori è la finitezza e vulnerabilità della vita umana. Non si scrive e riscrive su una lavagna nera, ma sui vincoli che la natura e la civiltà pongono alla vita umana.
Concordo, mi pare oggettivo che all'esordio della scrittura della propria vita non ci sia nessuna tabula perfettamente rasa, sarebbe possibile solo se fossimo un allevamento di cervelli in vasca (prodotti in serie in laboratorio).
La nave di Neurath è mera scialuppa di quella di Teseo, ma le onde del mare sono uguali per tutti, cambiano sono le loro conseguenze sui differenti tipi di imbarcazione... ovvero, ognuno opera inevitabilmente con ciò che ha (cervello, Weltanschauung, etc.), il che presuppone il problema (qui off topic) dell'identificazione, e il flusso di eventi in cui siamo immersi è un interpretandum che può essere affrontato in vari modi, pur nella sua ipotetica, "noumenica", olistica, unità/unicità.
Citazione di: Ipazia il 04 Settembre 2019, 08:26:00 AM
Vincoli che nessuna ideologia religiosa, politico-economica o metafisica può aggirare realmente, ma solo misti(fi)camente.
Le ideologie, in quanto tali, interpretano deduttivamente, sono figlie del loro tempo; quando invece hanno fatto il loro tempo, forse conviene pensionarle rispettosamente nei libri di storia, per non ritrovarsi a maneggaire categorie orfane del rispettivo paradigma (quindi utili perlopiù ad impastare ambigue metafore). Oggi di categorie orfane in giro ce ne sono, al di là della maiuscola o meno, proprio in virtù del soverchiante condizionamento del suddetto background non neutro. Per questo nei temp(l)i laici vige ancora la sacralità del V/vero, del B/bene, etc. canuti orfani di un'epoca in cui ontologia ed etica non potevano che scambiarsi giocosamente le vesti, avendo la stessa taglia, la M (di metafisica). Oggi potrebbero anche non farlo, tuttavia elaborare il (possibile) distacco o addirittura "lutto", non è mai facile (v. fuor di metafora l'ubiquo successo storico di concetti continuativi nel/del post-mortem come "anima", "fantasma", etc).
L'alternativa è ingegnare nuove categorie più attuali (e possibilmente figlie fertili del nostro tempo) oppure, per farla più facile/difficile (dipende), andare a ripescare gli insuccessi storici di categorie inattuali al loro tempo, o di quelle soffocate dal coevo mainstream storico.

Il titolo del topic è probabilmente sintomo della fulgida persistenza della onto-etica, dell'eco roboante della nostra cultura nella sua dimensione storica. Eppure, una volta preso atto che oggi è possibile anche pensare al bene e al male come utili artifici convenzionali, che fine fa allora l'etica (intesa in senso forte)? Se non possiamo fondarla nel cielo dobbiamo fondarla sulla terra, seguendo quel dovere autoreferenziale che è a sua volta etico: è sommamente immorale non avere una morale, il primo metaimperativo etico è averne una. Tuttavia, ciò è proprio come l'orfano che pensa che i suoi genitori, se non sono in terra, devono essere in cielo... lutto mancato e confusione, in buona fede, fra dover-essere e poter-essere.
Provare a fondare la morale sulla terra-natura sarebbe infatti fallace, poiché, una volta appurato che la natura non funziona secondo giusto/sbagliato, ma secondo funzionale/disfunzionale, istintivo/controistintivo, etc. radicare il giusto/sbagliato su qualcosa che non lo prevede è un'altra forma, per quanto accoratamente ottimista, di rinnegare il lutto (un po' come imbalsamare un cadavere, confondendo "corpo" e "vita"). Innestare un'etica nell'ethos, significa amalgamare ciò che è (attualità dell'ethos), con ciò che dovrebbe essere (normatività dell'etica), descrizione e prescrizione (come diceva Hume), in una sorta di fallacia naturalistica, defibrillatore retorico che dovrebbe vorrebbe far resuscitare lo spirito di un esanime corpus di lettere morte a partire dai rispettivi fantasmi della tradizione (sia chiaro: opinione mia; per chi è dentro la metafisica, non ci sono cadaveri né lutto... e non è detto che non sia io a scambiare un momentaneo abbiocco per irreversibile morte).
Una volta capito dove l'etica (non) possa essere fondata, può essere proficuo considerare che l'opposizione legge-etica-di-dio / legge-etica-degli-uomini (opposizione immanente a faccende puramente gestionali: potere temporale / potere secolare), sta trovando sempre più sintesi "hegeliana" nella legge di natura (genetica, neuroscienze, etc.).

Eccoci dunque al pensiero sfidante (l'anti-scandalo, rovesciando Kierkegaard): e se, non avendo dove fondarli, abbandonassimo i concetti di «etica», «bene» e «male»?
Per vivere socialmente bastano le leggi (rasoiata drastica, ma non mi dilungo), con il loro dualismo legale/illegale, e dove esse non arrivano, ci sono di default le consuetudini (comunque abitabili criticamente) con i loro rituali laici e la tassonomia civile/incivile, che muta nei tempi e nei luoghi; lusso che l'etica, il bene e il male, per il loro statuto meta-fisico, non dovrebbero/potrebbero concedersi... salvo usarli come metafore, ma allora bisognerebbe render(se)ne conto.
Un'etica che, in quanto tale, abbia pretese universalistiche (sempre e dovunque), può risultare persino ostile alla società (seppur funzionale a ridurre il sovraffollamento del globo, tema da sempre molto caro ad Ares), fomentando scontri fra assoluti, magari inibendo possibili compromessi (parolaccia?) in vista di un equilibrato quieto vivere (a cui magari tutti aneliamo, ma che se ha qui un'accezione "immorale", è forse perché frustra l'ardore testosteronico dei "moralizzatori militanti").
Certo, l'etica non deve essere per forza universalistica e fondata su leggi divine, e forse è proprio questo il punto (e lo spunto): ha ancora senso parlare di «etica» e «bene/male», parole forti e non certo prive di tradizione e carico semantico, nell'epoca delle visioni del mondo sincretiche, laiche (non tutte, chiaro), fatte in casa (e su internet), etc.? A questo punto chi obietterà che tale scenario rappresenta una nefasta perdita e che un'etica deve esserci, non susciterà alcun biasimo, poiché la prospettiva (nostalgico-)metafisica fa indubbiamente parte di quel pluralismo pulsante che essa stessa vorrebbe uniformare con i suoi assiomi. Chi invece sostiene che oggi l'etica sia proprio un "lavoro in corso", si ritrova poi (correggetemi pure se sbaglio) un po' in difficoltà a spiegare come tale etica possa avere l'ambizione di essere valida anche per il prossimo, dal momento che anche lui potrà proporre la sua "etica in corso d'opera", e allora quale criterio meta-etico sbroglierà il diverbio? Il calcolo(?) della "felicità" del maggior numero di persone al minor "prezzo" (Bentham)?
Il risultato non potrà comunque che essere un'imposizione dell'etica dominante sull'etica altrui (e riecco l'assolutismo monista-metafisico rientrare ghignando dalla finestra), meccanismo piramidale che è certamente la chiave di volta del diritto entro i confini di uno stato, ma se parliamo di etica o, peggio, di trascendenza, tale imposizione è la pietra angolare dell'"oppressione etica" (ossimoro?) di tutte le minoranze del mondo: l'imperialismo culturale (e anche economico, etc.) dell'occidente ha qui, da sempre, il suo alibi assoluto e assolvente. Detto altrimenti: all'atto pratico, conciliare l'indagine laboriosa del «secondo noi» (vigente in un gruppo) con la constatazione sociale che «la nostra etica è numericamente vincente», è manovra d'assestamento che rischia di cedere alla tentazione di confondere qualità e quantità, spostando l'ago della bilancia sempre, guarda caso, sull'indicatore più propizio (la massa si appellerà sulla quantità, l'elite o la minoranza rivendicherà la qualità).

Resterebbe nondimeno da chiedersi: una volta fatta la boutade di relegare il concetto di «etica» nelle enciclopedie, perché qualcuno potrebbe voler aiutare chi ha bisogno, se non c'è una legge che gli intima di farlo? Istintiva empatia? Educazione ricevuta? Esibizionismo estetico? Sommessa speranza di "credito karmico"? Secondo me, anche (am)mettendole tutte assieme, restiamo comunque fuori dall'etica, dalla sua normatività e soprattutto dalla sua univocità (più o meno latente, più o meno dissimulata).
Più approfondiamo i moventi delle nostre scelte, azioni, etc. e di tutti i condizionamenti ad esse connesse, più il paradigma etico-metafisico, con annessi concetti di «bene», «male», etc. perde (almeno ai miei occhi) di credibilità, e ridurlo a funzionale residuo fenomenologico-culturale è il miglior requiem che gli possa concedere.

Non intendo dire che sia da boicottare né desertificare il campo etico, ovvero quello imprescindibile dell'interazione fra uomini (lasciando in sospeso gli dei), ma che tale campo possa essere anche indagato e strutturato oggi con categorie meno vaghe e sbrigativamente sintetiche di "bene" e "male", magari declinandole (in entrambi i sensi) in altre categorie (e se non erro, ma dovrei verificare, l'Oriente ci fornisce spunti in merito sin dai tempi di Confucio, al netto della traslitterazione occidentalizzante dei termini e di tutta la discutibilità teoretica dei fondamenti).
«Bene» e «male» sono risultati e risultano così versatili nel tempo e nello spazio (ironicamente ambendo spesso all'esatto contrario) da suscitare talvolta il sospetto che siano in fondo come un assegno in bianco associato ad un conto inesistente. Mi si dirà che invece c'è gente a cui l'importo di tale assegno è stato estorto con il sangue; in merito, la natura ci ricorda con il suo tipico disincanto premetafisico (curiosamente molto affine a quello postmetafisico) che, per nuocere al proprio simile non è necessaria una visione etica, politica o economica, del reale. Ovviamente la realtà umana ha una complessità superiore di quella stigmatizzata "leone/gazzella", tuttavia al di sotto di ogni artificiale (sovra)struttura antropologica, il detto «mors tua, vita mea» resta il denominatore comune "interspecie" dei viventi, dai batteri ai pachidermi, dallo zoo a Wall Street. Il plusvalore fatale è che noi umani alleghiamo a «vita mea» anche capricci e velleità che vanno ben oltre i bisogni primari (e non è una semplice questione di capitalismo o globalismo); noblesse oblige per essere la specie più evoluta...


Fatta questa breve premessa (in puro stile TL;DR), sintetizzando un commento sul tema del topic, direi che l'origine del male è secondo me nel paradigma che lo definisce (meccanismo tautologico che ne rende irrilevante la definizione), il quale, inevitabilmente, è anche l'origine del bene, essendo bene/male una questione di categorizzazione (e di narrazione), non di ontologia (il significato non è il referente).
E tale paradigma dove ha origine? In un cervello con del potenziale individualmente strutturato che si modifica interagendo con l'ambiente, modificandolo a sua volta. Nel medioevo non potevano (e non "dovevano") nemmeno pensarlo; oggi, speculazione per speculazione, si può anche puntare su una tesi simile, in virtù della sua legittimità meta-etica (dall'ur-etica all'uber-etica?).

viator

Salve. Io sono proprio un'anima semplice: benedico il fatto di non essermi eccessivamente acculturato, permettendomi ciò di vivere nella contemplazione di alcuni semplici candori.
Uno di tali semplici candori consiste nel credere che l'etica suprema sia quella che muove i meccanismi naturali (ogni etica umana è solo un tenue riverbero -non importa quanto irriconoscibile - di essa).
"Nessuno sottragga o distrugga ciò che - una volta chiamato a farlo - egli non sia in grado di restituire o rigenerare".
Naturalmente noi siamo liberi di ignorare tale principio, ma ciò potrà avvenire solo a nostre spese.
Perchè l'etica suprema è semplicemente quella di Lavoisier, al cui rispetto noi dovremmo piegarci per amore e, se renitenti, verremo piegati con la forza. Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

Mariano

Ciao viator, nel tuo precedente intervento dici che le definizioni chiare seno le maggiori nemiche delle discussioni.
mi permetto di non essere d'accordo: mi sembra che tu identifichi come vere le definizioni chiare; a mio avviso non è così, è proprio dal confronto delle definizioni che ognuno da alle parole che nasce il dialogo, permettendo di avvicinarsi ad una verità irraggiungibile.
Tu inoltre ritieni che a livello relativo il bene è tutto ciò che favorisce la nostra esistenza.
la ritengo una definizione egoistica, non pensi che il bene di una persona possa essere il male di un'altra?
a mio avviso il bene è relativo alla circostanza ed alla morale di chi agisce

green demetr

#50
@ Ipazia

Si sono d'accordo sull'idea di testimone, e del rilancio.

"Questa consapevolezza riduce i monumenti alla loro dimensione storica, disinnescandone le eventuali residualità tossiche. In tale operazione la spiritualità atea, malgrado i suoi deficit e totem secolaristici, mi pare più attrezzata di quella teistica. Ma prendo atto del bias e non mi spingo oltre.  

Chi non temeva di spingersi oltre è certamente Nietzsche, ma ho l'impressione che a forza di spingersi al di là del bene e del male si sia ritrovato, come in un irridente gioco relativistico, del tutto al di qua, nello stato di natura. La qual cosa il teorico dell'eterno ritorno avrebbe dovuto mettere in conto fin dall'inizio della sua teoresi" cit Ipazia

Ecco non capisco se intendi il bias riferito a me.
Il fatto che sono un metafisico, non mi pone al sicuro da poter affermare posizioni teistiche, che infatti disapprovo in maniera radicale.
La metafisica contemporanea va ripensata dopo Nietzche.

Anche rispondendo a Mariano, a cui ribadisco che la relativizzazione del concetto o la sua dichiarazione formale, non contano niente se non si torna a parlare di cose materiali.

Nella tua polemica contro Nietzche, tendi sempre a non confrontarti con questo pensatore.
L'andare oltre la morale (bene e male di provenienza cattolica, sintomaticamente  riconoscibile dal totem tabuico), non si risolve affatto in un naturalismo alla Rosseau.

In Nietzche c'è la consapevolezza, che il totemico sia solo una delle possibili metafisiche.
La relatività di qualsiasi metafisica, pure quelle che paiono non esserlo come quella del materialismo storico, a cui appunto non riesci a pensare se non rimandando la questione a un tempo futuro, relegandola appunto ad una distopia, non sfocia affatto nel naturale, che invece è proprio ciò in cui sfocia il teismo (pensiamo solo a come considera la donna), ma anche come detto le forme politiche che ad essa si rifanno.

In realtà Nietzche ponendo l'impossibilità di uscire dalla metafisica, richiede non un ritorno alla Natura, ma una comprensione maggiore delle potenzialità umana della descrizione del mondo.

Il mondo non è la natura. In questo dobbiamo tornare a Heidegger.
E' l'apertura al discorso, al sentiero (errante).
All'erranza appunto (come quella dello Zarathustra).

E' l'errare, come stiamo dicendo tu, io e Jacopus, in fin dei conti,  è quel testimone, che si ridipinge sempre di nuovi colori.
Di emergenze, di crisi locali e globali. Ma anche di speranze e desideri nuovi.

Nessun teismo, è importante tenere sempre il discorso aperto!
Se questo lo vogliamo chiamare ateismo, o storicismo allora anche io sposo una causa ateista.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

green demetr

@ Phil

"Non intendo dire che sia da boicottare né desertificare il campo etico, ovvero quello imprescindibile dell'interazione fra uomini (lasciando in sospeso gli dei), ma che tale campo possa essere anche indagato e strutturato oggi con categorie meno vaghe e sbrigativamente sintetiche di "bene" e "male", magari declinandole (in entrambi i sensi) in altre categorie (e se non erro, ma dovrei verificare" cit Phil

Vedi caro Phil, l'Etica è esattamente il braccio armato della polizia intellettuale.
Tutti i tentativi di risollevare questa nemesi dell'umano fatti dalla filosofia sono grotteschi (la morale se ne va su altri lidi) e a dire poco fascisti.
La filosofia è morta anche se non sopratutto per questo. Si è prostituita, come in fin dei conti ha fatto fin dall'inizio con la bigotteria ottundente di Platone.
Grazie al cielo è arrivata una ondata psicanalitica a risollevarne le sottane.
La filosofia non deve mai essere Madre, tantomeno Padre, ma questo lo sappiamo già.
La filosofia è solo uno strumento della ragione.
Del saper distinguere i componenti della domanda.
L'etica come d'altronde nel tuo errare tu stesso fracassi, è solo un vuoto atto formale che vuole imporre un paradigma e non descriverlo come ingenuamente tu affermi.
Questa società è sempre più sottoassedio, e sempre più sola.
Le manie teistiche e non metafisiche (lo so che intendi quella classica, ma cominciamo a sdoganare il fatto che non esiste un mondo senza una metasfisica. essa si deve semplicemente rinnovare.) sono quelle che subentrano laddove il discorso, il discorso politico ovvio, viene a tacere.

Ovviamente si deve tornare all'individualità, stavolta hai centrato benissimo il punto, ovviamente off topic, che si deve riconoscere soggetto.
Ossia è necessario tornare a Kant, se vogliamo arrivare a Hegel e poi a Marx.
Solo allora è possibile rimettere la questione etica, e non l'Etica.
E la questione etica sarà certamente risolta non nella Legge, o torniamo alle ideologie nefaste del passato simil democratico e invece fascistamente platoniche.
Ma nella discussione fra analizzanti, che nel caso dei filosofi saranno anche analisti, ma analisti analizzanti anche loro, se no la psicanalisi non serve a niente.

"oggi, speculazione per speculazione, si può anche puntare su una tesi simile, in virtù della sua legittimità meta-etica (dall'ur-etica all'uber-etica?)." cit Phil

Come detto sopra la meta-etica tua è solo una tautologia. E purtroppo da quella non  riesci a smuoverti, peccato! la tua analisi travolgente mi è piaciuta!

D'altronde non è che non lo sai vero?

"direi che l'origine del male è secondo me nel paradigma che lo definisce (meccanismo tautologico che ne rende irrilevante la definizione)"

Cit Phil analista che non riesce a risolvere il suo stesso analizzante.

Analizzante è la parola che Lacan ha usato per demedicalizzare il termine paziente.
Sarebbe paziente in cura.
Sarebbe il tema della cura Heideggeriano.
Siamo nella metafisica non trovi?

ciao!
Vai avanti tu che mi vien da ridere

Ipazia

#52
E' stata per me una gioia riesumare Phil della cui visione metafisica relativistica ho potuto gustare alfine una completa esposizione.  Dal mio piccolo replicherò, ma prima devo far prendere un po' di fiato ai neuroni e lasciar maturare le controdeduzioni di cui una traccia già si profila. Partendo da Hume ...

Citazione di: green demetr il 08 Settembre 2019, 03:07:31 AMEcco non capisco se intendi il bias riferito a me. Il fatto che sono un metafisico, non mi pone al sicuro da poter affermare posizioni teistiche, che infatti disapprovo in maniera radicale.

Il bias per cui non mi spingo oltre è il mio ateismo, per lasciare spazio al testimone teista se ne ha la facoltà, trattandosi di bene e di male, materia sua d'eccellenza non trascurabile in una discussione sulle origini. Decostruita come ben dici da (ma non solo) ...

CitazioneLa metafisica contemporanea va ripensata dopo Nietzche. Anche rispondendo a Mariano, a cui ribadisco che la relativizzazione del concetto o la sua dichiarazione formale, non contano niente se non si torna a parlare di cose materiali.
Nella tua polemica contro Nietzche, tendi sempre a non confrontarti con questo pensatore. L'andare oltre la morale (bene e male di provenienza cattolica, sintomaticamente riconoscibile dal totem tabuico), non si risolve affatto in un naturalismo alla Rosseau.

Ma alla Nietzsche, sì. Passando attraverso Darwin illudendosi così di ...

CitazioneIn Nietzche c'è la consapevolezza, che il totemico sia solo una delle possibili metafisiche. La relatività di qualsiasi metafisica, pure quelle che paiono non esserlo come quella del materialismo storico, a cui appunto non riesci a pensare se non rimandando la questione a un tempo futuro, relegandola appunto ad una distopia, non sfocia affatto nel naturale, che invece è proprio ciò in cui sfocia il teismo (pensiamo solo a come considera la donna), ma anche come detto le forme politiche che ad essa si rifanno.

... superare il totemico. Cosa di cui sul finire cominciò ad avere seri dubbi passando il testimone ad Heidegger ...

CitazioneIn realtà Nietzche ponendo l'impossibilità di uscire dalla metafisica, richiede non un ritorno alla Natura, ma una comprensione maggiore delle potenzialità umana della descrizione del mondo. Il mondo non è la natura. In questo dobbiamo tornare a Heidegger.

... il quale ebbe modo di meditare su Stalingrado che seppellì pure la bestia bionda. Ennesimo totem-giocoliere disarcionato. Quindi non resta che ...

CitazioneE' l'apertura al discorso, al sentiero (errante). All'erranza appunto (come quella dello Zarathustra). E' l'errare, come stiamo dicendo tu, io e Jacopus, in fin dei conti, è quel testimone, che si ridipinge sempre di nuovi colori. Di emergenze, di crisi locali e globali. Ma anche di speranze e desideri nuovi.

Nell'errare liberiamoci pure dei feticci che l'ateismo ha eretto dopo la morte di Dio, per cui ...

CitazioneNessun teismo, è importante tenere sempre il discorso aperto! Se questo lo vogliamo chiamare ateismo, o storicismo allora anche io sposo una causa ateista.

Chiamiamolo umanesimo. Se dalla metafisica non ci si salva, tiriamo almeno l'acqua al nostro mulino: un ateismo integrale che non fa sconti neppure a se stesso, consapevole com'è della sua profonda, irruenta, reificante pulsione feticistica.
.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

pincopallo

Buongiorno a tutti,
mi permetto di dire la mia, o almeno mi permetto di dire qualche cosa sull'argomento anch'io, considerando sperando di non citare concetti già condivisi da altri e non esserne a conoscenza... 
Il Bene Male per me sono concetti inscindibili tra loro. Non possono essere associati alla vita o alla morte, ne tanto meno giudicati da noi Uomini, troppe culture differenti e troppo religioni contrapposte. In Natura considerate Male il leone che uccide e sbrana la gazzella? La gazzella stessa lo penserebbe, ma il leone? Per entrambi è sopravvivenza, la gazzella vorrebbe morire di vecchiaia mangiando arbusti tutti i giorni ma d'altro canto il leone per vivere deve mangiare, voi considerate come il Male il leone? E la gazzella il Bene? Perché la gazzella non è il Male per la vegetazione, sta sempre a mangiare e nella Savana una pianta fatica a sopravvivere,,,,
Non c'è Male senza Bene, solo punti di vista personali.
Forse ho detto solo sciocchezze... ma è il mio punto di vista.
La vita è breve come un sogno e consumarla tutta a fare una cosa he non ti piace è pura follia...

Ipazia

#54
Benvenuto, pincopallo, nella nutrita schiera del relativismo etico modulato, secondo lo spirito dei tempi, individualisticamente. Adesso leggiti con attenzione il post di Phil che nutrirà la tua convinzione di abbondante sapienza sulla materia. Sulla indissolubilità della coppia bene-male penso siamo tutti, indifferentemente dalle nostre concezioni filosofiche, d'accordo.
.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

pincopallo

Grazie Ipazia... ho letto ciò che ha scritto Phil e mi ha nutrito  ;D 
scusatemi sono nuovo e non  riesco a leggere tutto quindi se ripeto qualcosa scritto da a altri in qualche risposta fatemelo notare e sarà mia cura rimediare...
salve  ;D
La vita è breve come un sogno e consumarla tutta a fare una cosa he non ti piace è pura follia...

Phil

Citazione di: green demetr il 08 Settembre 2019, 03:36:02 AM
La filosofia è solo uno strumento della ragione.
Del saper distinguere i componenti della domanda.
L'etica come d'altronde nel tuo errare tu stesso fracassi, è solo un vuoto atto formale che vuole imporre un paradigma e non descriverlo come ingenuamente tu affermi.
La descrizione del paradigma spetta infatti alla meta-etica, mentre l'etica (il bene/male, etc.) si identifica con il paradigma stesso.
A mio avviso, andrebbe distinto il mondo del logos (linguaggio) dal mondo come contenitore "naturale" delle attività del logos (onto-logia). Come accennavo: non si dà referente senza significato, non si dà significato senza referente o, semplicemente, risalendo l'interconnessione semiotica fra i due, il significato non è il referente?
Spesso i discorsi con hybris veritativa dimenticano questa essenziale (come direbbe la metafisica) differenza (o "differanza" come direbbe Derrida), per cui credono che con il logos si dominino gli enti, a loro volta "marchiati" dal Logos (dalla Genesi a Eraclito, etc.). Notoriamente, tertium datur: la tecnica, è lei a fare da intermediario fra logos e mondo, e come scopriamo sempre più, non è affatto un medium neutro, privo di effetti e "ritorsioni" collaterali. Ipazia ha spesso ricordato che anche la politica è una tecnica; andrei oltre aggiungendo che lo è persino l'etica e, proprio in quanto tecnica, non può essere normativa, almeno non più di quanto sia a sua volta normata; ecco inquadrato il piano meta-etico sulla (in)decidibilità dell'etica.


Citazione di: green demetr il 08 Settembre 2019, 03:36:02 AM
cominciamo a sdoganare il fatto che non esiste un mondo senza una metasfisica. essa si deve semplicemente rinnovare
«Non esiste un mondo senza metafisica»(cit.) finché restiamo (tauto)logicamente nel mondo metafisico (e della libido che esso genera), che è un mondo del logos, certo non l'unico possibile. Pensare al mondo oltre la metafisica è uno degli spunti novecenteschi, una possibilità per nulla necessaria (si vive e si ragiona anche nella metafisica, intendiamoci), di certo non un dovere etico, ma che richiede eventualmente di sfidare il comandamento divino «non esiste un mondo senza metafisica», così penetrato nel nostro dna filosofico da essere laicizzato quasi in assioma (pato)logico. L'anelare ad una nuova (messianica?) metafisica, non esula dal poter(si) render conto del perché la vecchia (e finora unica...) si sia inceppata o abbia, politicamente parlando, "perso consensi" (non certo fra la massa, quanto perlopiù fra gli addetti ai lavori; storiografi e filologi esclusi).

Citazione di: green demetr il 08 Settembre 2019, 03:36:02 AM
"oggi, speculazione per speculazione, si può anche puntare su una tesi simile, in virtù della sua legittimità meta-etica (dall'ur-etica all'uber-etica?)." cit Phil

Come detto sopra la meta-etica tua è solo una tautologia. E purtroppo da quella non  riesci a smuoverti, peccato!
Eppure, volenti o nolenti, le tautologie "funzionano", anzi, fondano formalmente ogni discorso logico (geometria, religione, etc.); il metterle in discussione è tipico hobby filosofico e per praticarlo dall'interno (evitando la babelica carambola fra punti di vista), per vivisezionare il circolo ermeneutico (aureola che "santifica" ogni discorso ai suoi stessi occhi), il passaggio obbligato è quello per l'aporia, che scuote il cerchio, ne svela l'inevitabile autoreferenza, non facendolo più "quadrare" con la stessa "fatalistica inevitabilità" di prima (e qui nascono possibilità teoretiche di discorsi ulteriori).
Come infatti sempre spesso accade quando si punta al(lo) (s)fondamento, si tratta (sul piano logico) di scegliere fra tautologia e aporia: tautologia, si resta dentro (al circolo ermeneutico, ai "comandamenti", etc.); aporia, si resta intrigati e abbagliati dal fuori (dall'asintotica linea dell'orizzonte fra referente e significato, che finché non si congiungono lasciano aperta l'intercapedine delle differenza, del pensiero ulteriore).
Ciò almeno fino a quando non arriva un Voltaire a ricordarci candidamente di annaffiare il nostro giardino, prima che si secchi sotto il sole battente della prassi (politica, etc.).

Citazione di: green demetr il 08 Settembre 2019, 03:36:02 AM
"direi che l'origine del male è secondo me nel paradigma che lo definisce (meccanismo tautologico che ne rende irrilevante la definizione)"

Cit Phil analista che non riesce a risolvere il suo stesso analizzante.
La tautologia non è soluzione, ma assoluzione, almeno all'interno del proprio discorso; peccato originale, invece all'esterno del medesimo. Non risolvo il mio essere paziente afflitto da tautologia (più o meno metafisica), perché la ritengo una condizione standard del logos (sebbene, lo confesso, mi conceda sporadicamente dosi ricreative di aporia). Quindi la diagnosi resta "giustamente" irrisolta: non si può guarire quando ci si ritiene sani (semmai sia "malattia" cercare la definitiva genesi ontologica del male e del bene al di là della tautologia del discorso etico).
La (dis)soluzione dell'etica nel(lo) (s)fondamento della sua velleità di proporsi come normativa ma non convenzionalmente giuridica, universale ma non fondata sull'universale (laicamente parlando), non disabilita comunque la possibilità di una riflessione che sia meta-etica e, in quanto tale, non etica (la questione dei piani del discorso, tanto cara a Russell).

Mariano

Citazione di: pincopallo il 08 Settembre 2019, 11:57:30 AM
Buongiorno a tutti,
mi permetto di dire la mia, o almeno mi permetto di dire qualche cosa sull'argomento anch'io, considerando sperando di non citare concetti già condivisi da altri e non esserne a conoscenza...
Il Bene Male per me sono concetti inscindibili tra loro. Non possono essere associati alla vita o alla morte, ne tanto meno giudicati da noi Uomini, troppe culture differenti e troppo religioni contrapposte. In Natura considerate Male il leone che uccide e sbrana la gazzella? La gazzella stessa lo penserebbe, ma il leone? Per entrambi è sopravvivenza, la gazzella vorrebbe morire di vecchiaia mangiando arbusti tutti i giorni ma d'altro canto il leone per vivere deve mangiare, voi considerate come il Male il leone? E la gazzella il Bene? Perché la gazzella non è il Male per la vegetazione, sta sempre a mangiare e nella Savana una pianta fatica a sopravvivere,,,,
Non c'è Male senza Bene, solo punti di vista personali.
Forse ho detto solo sciocchezze... ma è il mio punto di vista.
Ciao pincopallo, sarò giudicato male dai simpatici cultori della filosofia che hanno senz'altro più titolo per argomentare il tema trattato, ma io ritengo che la filosofia debba essere uno strumento per chiarire le idee non solo agli "illuminati"studiosi, ma più alla massa di gente che vive ciò che sente ed osserva giornalmente.
Mi permetto quindi di condividere quanto tu esprimi con semplicità e non riesco a comprendere quanto ti abbia nutrito la rilettura di Phil che per me è troppo complessa da comprendere.
Si tratta probabilmente di una mia incapacità , ma ritengo che darsi una ragione di vita possa essere più semplice.

Ipazia

Citazione di: Phil il 07 Settembre 2019, 17:01:45 PM
...
Il titolo del topic è probabilmente sintomo della fulgida persistenza della onto-etica, dell'eco roboante della nostra cultura nella sua dimensione storica. Eppure, una volta preso atto che oggi è possibile anche pensare al bene e al male come utili artifici convenzionali, che fine fa allora l'etica (intesa in senso forte)? Se non possiamo fondarla nel cielo dobbiamo fondarla sulla terra, seguendo quel dovere autoreferenziale che è a sua volta etico: è sommamente immorale non avere una morale, il primo metaimperativo etico è averne una. Tuttavia, ciò è proprio come l'orfano che pensa che i suoi genitori, se non sono in terra, devono essere in cielo... lutto mancato e confusione, in buona fede, fra dover-essere e poter-essere.
Provare a fondare la morale sulla terra-natura sarebbe infatti fallace, poiché, una volta appurato che la natura non funziona secondo giusto/sbagliato, ma secondo funzionale/disfunzionale, istintivo/controistintivo, etc. radicare il giusto/sbagliato su qualcosa che non lo prevede è un'altra forma, per quanto accoratamente ottimista, di rinnegare il lutto (un po' come imbalsamare un cadavere, confondendo "corpo" e "vita").

Concordo. La natura è background. Pone limiti al paradigma (etico), ma non è il paradigma.

CitazioneInnestare un'etica nell'ethos, significa amalgamare ciò che è (attualità dell'ethos), con ciò che dovrebbe essere (normatività dell'etica), descrizione e prescrizione (come diceva Hume), in una sorta di fallacia naturalistica, defibrillatore retorico che dovrebbe vorrebbe far resuscitare lo spirito di un esanime corpus di lettere morte a partire dai rispettivi fantasmi della tradizione (sia chiaro: opinione mia; per chi è dentro la metafisica, non ci sono cadaveri né lutto... e non è detto che non sia io a scambiare un momentaneo abbiocco per irreversibile morte).

Qui no. Il rapporto tra descrizione e prescrizione è fallace solo se collegato da un non sequitur ideologico ("esanime corpus di lettere morte a partire dai rispettivi fantasmi della tradizione"), ma il collegamento può essere anche non fallace: non ho le ali (descrizione) quindi non posso/devo volare (prescrizione). L'etica è la presa d'atto delle prescrizioni poste da una determinata condizione etologica (naturale/ambientale) su cui si innesta un'etica razionale.

CitazioneUna volta capito dove l'etica (non) possa essere fondata, può essere proficuo considerare che l'opposizione legge-etica-di-dio / legge-etica-degli-uomini (opposizione immanente a faccende puramente gestionali: potere temporale / potere secolare), sta trovando sempre più sintesi "hegeliana" nella legge di natura (genetica, neuroscienze, etc.).

... che ricostituisce e descrive il background su cui innestare l'etica aggiornata e corretta. Ma si accettano pure altre sfide:

CitazioneEccoci dunque al pensiero sfidante (l'anti-scandalo, rovesciando Kierkegaard): e se, non avendo dove fondarli, abbandonassimo i concetti di «etica», «bene» e «male»?
Per vivere socialmente bastano le leggi (rasoiata drastica, ma non mi dilungo), con il loro dualismo legale/illegale, e dove esse non arrivano, ci sono di default le consuetudini (comunque abitabili criticamente) con i loro rituali laici e la tassonomia civile/incivile, che muta nei tempi e nei luoghi; lusso che l'etica, il bene e il male, per il loro statuto meta-fisico, non dovrebbero/potrebbero concedersi... salvo usarli come metafore, ma allora bisognerebbe render(se)ne conto.

Rendiamone conto: donde sgorgano le leggi e le consuetudini ? Ethos-techne ha uno statuto tecnico fatto di cose concrete che prescindono dalla metafisica e che comunque la anticipano. Salvo poi ingarbugliarsi in circoli di retroazione. Però razionalmente dipanabili con un po' di buona volontà.

CitazioneUn'etica che, in quanto tale, abbia pretese universalistiche (sempre e dovunque), può risultare persino ostile alla società (seppur funzionale a ridurre il sovraffollamento del globo, tema da sempre molto caro ad Ares), fomentando scontri fra assoluti, magari inibendo possibili compromessi (parolaccia?) in vista di un equilibrato quieto vivere (a cui magari tutti aneliamo, ma che se ha qui un'accezione "immorale", è forse perché frustra l'ardore testosteronico dei "moralizzatori militanti").

L'ethos ha sue caratteristiche di provvisorio universalismo che conviene prendere sul serio. Non rispettare il codice della strada può avere risultati assai catastrofici. Ma qui parliamo d'altro e possiamo pure pensare ad un'etica che sappia distinguere se stessa dal gusto, demarcando illuministicamente il confine tra obblighi/necessità sociali e libertà individuali.

CitazioneCerto, l'etica non deve essere per forza universalistica e fondata su leggi divine, e forse è proprio questo il punto (e lo spunto): ha ancora senso parlare di «etica» e «bene/male», parole forti e non certo prive di tradizione e carico semantico, nell'epoca delle visioni del mondo sincretiche, laiche (non tutte, chiaro), fatte in casa (e su internet), etc.? A questo punto chi obietterà che tale scenario rappresenta una nefasta perdita e che un'etica deve esserci, non susciterà alcun biasimo, poiché la prospettiva (nostalgico-)metafisica fa indubbiamente parte di quel pluralismo pulsante che essa stessa vorrebbe uniformare con i suoi assiomi.

La tradizione si sussume e la semantica si adatta. Difficile trovare surrogati etici a bene e male. Soprattutto oggi che grande è la confusione sotto il cielo. Certamente necessita una grande evoluzione filosofica che stia al passo con le mutazioni ambientali da cui emerge l'ethos. Dici bene, "lavori in corso"

CitazioneChi invece sostiene che oggi l'etica sia proprio un "lavoro in corso", si ritrova poi (correggetemi pure se sbaglio) un po' in difficoltà a spiegare come tale etica possa avere l'ambizione di essere valida anche per il prossimo, dal momento che anche lui potrà proporre la sua "etica in corso d'opera", e allora quale criterio meta-etico sbroglierà il diverbio? Il calcolo(?) della "felicità" del maggior numero di persone al minor "prezzo" (Bentham)?

Anche i cavoli hanno bisogno di un terreno comune per germogliare. La storia umana, sarà pure del cavolo, ma funziona nello stesso modo...

CitazioneIl risultato non potrà comunque che essere un'imposizione dell'etica dominante sull'etica altrui (e riecco l'assolutismo monista-metafisico rientrare ghignando dalla finestra), meccanismo piramidale che è certamente la chiave di volta del diritto entro i confini di uno stato, ma se parliamo di etica o, peggio, di trascendenza, tale imposizione è la pietra angolare dell'"oppressione etica" (ossimoro?) di tutte le minoranze del mondo: l'imperialismo culturale (e anche economico, etc.) dell'occidente ha qui, da sempre, il suo alibi assoluto e assolvente. Detto altrimenti: all'atto pratico, conciliare l'indagine laboriosa del «secondo noi» (vigente in un gruppo) con la constatazione sociale che «la nostra etica è numericamente vincente», è manovra d'assestamento che rischia di cedere alla tentazione di confondere qualità e quantità, spostando l'ago della bilancia sempre, guarda caso, sull'indicatore più propizio (la massa si appellerà sulla quantità, l'elite o la minoranza rivendicherà la qualità)

... quindi trovo superabile il concetto di "etica dominante" insieme con le condizioni materiali che producono una "classe dominante". A seguire il superamento etico già in itinere del concetto di "specie dominante".

CitazioneResterebbe nondimeno da chiedersi: una volta fatta la boutade di relegare il concetto di «etica» nelle enciclopedie, perché qualcuno potrebbe voler aiutare chi ha bisogno, se non c'è una legge che gli intima di farlo? Istintiva empatia? Educazione ricevuta? Esibizionismo estetico? Sommessa speranza di "credito karmico"? Secondo me, anche (am)mettendole tutte assieme, restiamo comunque fuori dall'etica, dalla sua normatività e soprattutto dalla sua univocità (più o meno latente, più o meno dissimulata).
Più approfondiamo i moventi delle nostre scelte, azioni, etc. e di tutti i condizionamenti ad esse connesse, più il paradigma etico-metafisico, con annessi concetti di «bene», «male», etc. perde (almeno ai miei occhi) di credibilità, e ridurlo a funzionale residuo fenomenologico-culturale è il miglior requiem che gli possa concedere.

La grammatica è certamente modificabile, ma l'ethos (significato) è assai più rigido per cui anche tu convieni:

CitazioneNon intendo dire che sia da boicottare né desertificare il campo etico, ovvero quello imprescindibile dell'interazione fra uomini (lasciando in sospeso gli dei), ma che tale campo possa essere anche indagato e strutturato oggi con categorie meno vaghe e sbrigativamente sintetiche di "bene" e "male", magari declinandole (in entrambi i sensi) in altre categorie (e se non erro, ma dovrei verificare, l'Oriente ci fornisce spunti in merito sin dai tempi di Confucio, al netto della traslitterazione occidentalizzante dei termini e di tutta la discutibilità teoretica dei fondamenti).


Citazione«Bene» e «male» sono risultati e risultano così versatili nel tempo e nello spazio (ironicamente ambendo spesso all'esatto contrario) da suscitare talvolta il sospetto che siano in fondo come un assegno in bianco associato ad un conto inesistente. Mi si dirà che invece c'è gente a cui l'importo di tale assegno è stato estorto con il sangue; in merito, la natura ci ricorda con il suo tipico disincanto premetafisico (curiosamente molto affine a quello postmetafisico) che, per nuocere al proprio simile non è necessaria una visione etica, politica o economica, del reale. Ovviamente la realtà umana ha una complessità superiore di quella stigmatizzata "leone/gazzella", tuttavia al di sotto di ogni artificiale (sovra)struttura antropologica, il detto «mors tua, vita mea» resta il denominatore comune "interspecie" dei viventi, dai batteri ai pachidermi, dallo zoo a Wall Street. Il plusvalore fatale è che noi umani alleghiamo a «vita mea» anche capricci e velleità che vanno ben oltre i bisogni primari (e non è una semplice questione di capitalismo o globalismo); noblesse oblige per essere la specie più evoluta...

Anche "no man is an island" se la passa mica male. La scelta tra il motto latino e quello inglese ha un nome antiquato, ma di difficile sostituzione nel significato ancor più che nel significante.

CitazioneFatta questa breve premessa (in puro stile TL;DR), sintetizzando un commento sul tema del topic, direi che l'origine del male è secondo me nel paradigma che lo definisce (meccanismo tautologico che ne rende irrilevante la definizione), il quale, inevitabilmente, è anche l'origine del bene, essendo bene/male una questione di categorizzazione (e di narrazione), non di ontologia (il significato non è il referente).

Paradigma dagli esiti assai concreti che si approssimano assai (referente) ad un particolare tipo ontologico: la vita umana
Rispetto per i piani e i mezzanini, ma pure per quello che succede dentro. Soprattutto a tutela di chi la cambiale in bianco la deve pagare in una banca esistente, per quanto virtuale essa sia.

CitazioneE tale paradigma dove ha origine? In un cervello con del potenziale individualmente strutturato che si modifica interagendo con l'ambiente, modificandolo a sua volta. Nel medioevo non potevano (e non "dovevano") nemmeno pensarlo; oggi, speculazione per speculazione, si può anche puntare su una tesi simile, in virtù della sua legittimità meta-etica (dall'ur-etica all'uber-etica?).

Oppure, in puro stile S: etica razionale.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

bobmax

@Mariano

Concordo con te, la filosofia è necessariamente rivolta a chiunque, a prescindere dalla sua erudizione.
Può essere magari difficile comprendere un pensiero filosofico, ma sempre e solo a causa della sua semplicità, mai perché richiede di possedere una "cultura".

Riguardo al relativismo del bene e del male... occorre prestare attenzione.
Perché il relativismo è un punto di partenza, mai di arrivo.

Se trattato come "verità" questo relativismo è in realtà un nichilismo strisciante. Ancor più pernicioso in quanto inconsapevole.

Se viceversa ce lo carichiamo sulle spalle come "problema" esistenziale. Ossia come nostra, e solo nostra responsabilità. Allora il male, che c'è nel mondo, che è dentro di noi, il male che noi stessi siamo... può farci ritrovare all'inferno.

Ed è proprio lì dove ogni speranza è perduta, che il Bene assoluto finalmente può splendere senza più alcun dubbio!
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

Discussioni simili (5)