L'oblio del fine nella cultura dell'eterno presente

Aperto da 0xdeadbeef, 06 Giugno 2019, 19:03:12 PM

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Ipazia

Citazione di: 0xdeadbeef il 16 Giugno 2019, 08:43:36 AM
...E dunque sì, certamente, nella formazione sociale contemporanea il profitto capitalistico è senz'altro "fine universale", ma la domanda: "cosa me ne faccio del profitto capitalistico?", la releghiamo nella metafisica e non ce ne curiamo?
...

Per la quotaparte umana che ci sguazza non è certo metafisica. E sanno ben loro cosa farci di questo "fine" dominante. Per i rimanenti neppure è metafisica, visto che condiziona materialmente le loro vite. Possono decidere che non c'è alcuna alternativa e mettersi a disposizione o decidere che un "fine" diverso è possibile. Ma se lo fanno non è per quella caricatura del marxismo ingenuamente buonista su cui non intendo nemmeno discutere, ma perchè la condizione di sfruttamento inumano collegato al "fine" profitto è superabile verso forme di vita sociale più umane.

Tale superamento non è possibile restando all'interno dello schema capitalistico perchè la legge del profitto/mercato si impone su ogni altra legge che la politica possa decidere di fare per limitare il potere dal Capitale. Cosa peraltro eccezionale perchè il costo stesso della politica (dalla formazione alla propaganda) finisce col selezionare chi governa nelle democrazie liberal-liberiste e non sono certo costoro che porranno vincoli al profitto/mercato. Nel caso fortuito che le urne premiassero qualcuno fuori dal coro ci pensa la potenza di fuoco dell'Economics politico-militare a ripristinare, alla Tacito, la pace.

Quindi resta soltanto la possibilità di un superamento fuori dallo schema capitalistico. Non vi è altra politica non omologata possibile.


pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

0xdeadbeef

#46
A Ipazia
La domanda: "cosa me ne faccio del profitto capitalistico?" sottintende la domanda circa il fine del
profitto capitalistico; ma tutto lo "sguardo" moderno non si pone quella domanda, perchè non si pone
proprio alcun fine (chi vive, come noi viviamo, solo nel presente non si pone fine alcuno).
In realtà non sanno/sappiamo nemmeno loro/noi cosa farne di questo fine/mezzo. E' noto che ormai la
massa monetaria circolante ammonta a decine di volte il PIL mondiale, per cui la moneta non ha più
nessun aggancio con un eguale valore in merce. I soldi servono ormai, assurdamente, a fare altri soldi,
come acutamente osservava Weber.
Quanto al fatto che la mia sarebbe una "caricatura del marxismo ingenuamente buonista" su cui tu non
intendi nemmeno discutere, ti faccio notare che parlavo non a caso di "epigoni non all'altezza del
maestro", quindi semmai prenditela con loro per aver fatto una caricatura del pensiero originario
di Marx - ma poi una caricatura non "buonista", ma che presuppone un essere umano naturalmente buono,
e non è affatto la stessa cosa (ed in ogni caso, onde evitare di perdere e far perdere del tempo,
se non si intende discutere di un certo argomento è bene dirlo subito e chiaramente).
saluti

paul11

#47
Citazione di: 0xdeadbeef il 16 Giugno 2019, 21:00:32 PM
A Ipazia
La domanda: "cosa me ne faccio del profitto capitalistico?" sottintende la domanda circa il fine del
profitto capitalistico; ma tutto lo "sguardo" moderno non si pone quella domanda, perchè non si pone
proprio alcun fine (chi vive, come noi viviamo, solo nel presente non si pone fine alcuno).
.......

ed è la forza del capitalismo che sguazza in un clima culturale anche permesso filosoficamente dall'ambiguità della fenomenologia, che dice tutto per non dire nulla.
Von Hayek e gli epigoni del marginalismo tedesco si rifanno al pensiero di Adam Smith, come saprai.
La forza di questo pensiero è di non avere premesse sula natura umana, non si pone se sia originariamente "buono"o " cattivo", saranno gli effetti a decidere, le pratiche ciò che le teorie non riescono a predicare,
Il pensiero di Von Hayek, e in fondo di Adam Smith è semplice, banale, come i gesti quotidiani, quindi alla fine son i più veri e reali.
Perchè le azioni socio economiche di milioni di individui sono intenzionali, ma l'effetto aggregato è inintenzionale. Come dire ,tutti agiscono ,ma ogni singolo individuo pensando al solo suo gesto e non sapendo cosa e come altri milioni di individui stanno agendo, il risultato finale è un qualcosa di non voluto, inintenzionale. Qualunque ente economico o politico che cerchi   di governare e sapere predittivamente ciò che milioni di azioni socio economiche, di gesti pratici, stanno producendo è solo probabilità, statistica, dati, che nulla hanno analiticamente a che fare con le singole azioni.
Questo è il pensiero attuale dominante, e gli enti economici e politici, ritarano continuamente le loro predizioni, non le azzeccano. Se l'effetto è inintenzionale, significa che produce un qualcosa che non è governabile, questo è lo spontaneismo di Von Hayek, produce il mutamento. Von Hayek non è un conservatore, è inquadrabile nei liberal ,addirittura progressisti. Von Hayek infatti ritiene che i mutamenti forzando le regole conservatrici, producano sollecitazioni all'intera struttura/sovrastruttura, compreso i capitalisti, qualcuno sparisce ,qualcuno emergerà, perchè il mutamento genera novità. Il fine quindi è il movimento stesso dell'azione intenzionale che produce un effetto inintenzionale che di nuovo produce un mutamento strutturale che nessuno è in grado di predire, per quanto gli strumenti economici con le leggi e statistici mirino a cercare di predirlo.

Questo mutamento strutturale/sovrastrutturale è alla base della contraddizioni marxiste. I mutamenti avrebbero dovuto riempire il proletariato, lasciando nudo il capitalismo. In realtà le strutture sociologiche, l'identifcazione della classe rivoluzionaria con la classe proletaria a sua volta identifcata nell'operaismo ,ha fallito . Il nuovo capitalista che emerge è spesso un vecchio proletario genealogicamente.
Il problema è che non è la struttura economica a determinare la rivoluzione, ma quella coscienza di classe che la classe cosiddetta sfruttata a volte ha ,e spesso no.
Oggi è molto più difficile dei tempi di Marx, costruire una solidarietà di classe, perchè agiscono tali e tante differenze socio economiche, motivazioni, aspettative, cultura, ecc. Oggi emergono molto più le differenze fra uno stessa classe sociale, piuttosto che ciò che potrebbe unirla.

viator

Salve. Per Paul 11. Perfetto. Il discorso è semplicemente quello dell'illusione del libero arbitrio, la quale vige ed opera lasciandoci credere di possedere un libero arbitrio. Siamo incapaci di distinguere e calibrare la nostra influenza individuale e collettiva dai meccenismi naturali sui quali non possiamo intervenire poichè son quelli che intervengono su di noi avendoci - tra l'altro - generati. Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

Ipazia

Citazione di: 0xdeadbeef il 16 Giugno 2019, 21:00:32 PM
A Ipazia
La domanda: "cosa me ne faccio del profitto capitalistico?" sottintende la domanda circa il fine del profitto capitalistico; ma tutto lo "sguardo" moderno non si pone quella domanda, perchè non si pone proprio alcun fine (chi vive, come noi viviamo, solo nel presente non si pone fine alcuno).

Allora chiediamoci perchè non si pone alcun fine ? Non puoi rispondere alla domanda da te posta nella discussione con una tautologia che si limita a menare il can per l'aia.

CitazioneIn realtà non sanno/sappiamo nemmeno loro/noi cosa farne di questo fine/mezzo. E' noto che ormai la massa monetaria circolante ammonta a decine di volte il PIL mondiale, per cui la moneta non ha più nessun aggancio con un eguale valore in merce. I soldi servono ormai, assurdamente, a fare altri soldi, come acutamente osservava Weber.

Forse te. Ma il deus ex machina onnipresente Soros sa perfettamente cosa fare di quel fine. E chi non lo annusa nemmeno ha comunque un altro importantissimo fine operante fin dalla notte dei tempi darwiniani: sopravvivere.

CitazioneQuanto al fatto che la mia sarebbe una "caricatura del marxismo ingenuamente buonista" su cui tu non intendi nemmeno discutere, ti faccio notare che parlavo non a caso di "epigoni non all'altezza del maestro", quindi semmai prenditela con loro per aver fatto una caricatura del pensiero originario di Marx - ma poi una caricatura non "buonista", ma che presuppone un essere umano naturalmente buono, e non è affatto la stessa cosa (ed in ogni caso, onde evitare di perdere e far perdere del tempo, se non si intende discutere di un certo argomento è bene dirlo subito e chiaramente).

E ci risiamo con la tautologia di chi non ha capito Marx e neppure gli epigoni a questo punto. Il focus del marxismo e la giustizia, non la bontà. Se per epigoni intendi i buonisti cattocomunisti siamo veramente agli antipodi della visione del mondo marxista e rivoluzionario in genere. Ma di questa questione non parlo qui perchè è OT e qualcuno potrebbe accorgersene, mentre mi interessa discutere di oblio del fine (ho già detto perchè secondo me è obliato) e di eterno presente, su cui c'è ancora molto da dire partendo da Epicuro, visto che siamo tra "filosofi".
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
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Ipazia

Avevo già risposto a Paul, ma forse il post è rimasto prigioniero dell'anteprima. Starò più attenta questa volta. Spero non ci sia di mezzo qualche secondo di troppo, nel qual caso dovrò trarre le debite conclusioni. Poco male comunque. L'intervento di Paul11 meritava più cura di quel post perduto.

Citazione di: paul11 il 17 Giugno 2019, 01:08:43 AM
Perchè le azioni socio economiche di milioni di individui sono intenzionali, ma l'effetto aggregato è inintenzionale. Come dire ,tutti agiscono ,ma ogni singolo individuo pensando al solo suo gesto e non sapendo cosa e come altri milioni di individui stanno agendo, il risultato finale è un qualcosa di non voluto, inintenzionale. Qualunque ente economico o politico che cerchi   di governare e sapere predittivamente ciò che milioni di azioni socio economiche, di gesti pratici, stanno producendo è solo probabilità, statistica, dati, che nulla hanno analiticamente a che fare con le singole azioni.
Questo è il pensiero attuale dominante, e gli enti economici e politici, ritarano continuamente le loro predizioni, non le azzeccano. Se l'effetto è inintenzionale, significa che produce un qualcosa che non è governabile, questo è lo spontaneismo di Von Hayek, produce il mutamento. Von Hayek non è un conservatore, è inquadrabile nei liberal ,addirittura progressisti. Von Hayek infatti ritiene che i mutamenti forzando le regole conservatrici, producano sollecitazioni all'intera struttura/sovrastruttura, compreso i capitalisti, qualcuno sparisce ,qualcuno emergerà, perchè il mutamento genera novità. Il fine quindi è il movimento stesso dell'azione intenzionale che produce un effetto inintenzionale che di nuovo produce un mutamento strutturale che nessuno è in grado di predire, per quanto gli strumenti economici con le leggi e statistici mirino a cercare di predirlo.

Nessuno in ambito marxista sottovaluta l'intelligenza del Capitale e dei suoi maître à penser, i cui strumenti probabilistici di previsione sono assai accurati e beneficiano pure del pieno controllo economico e politico della realtà sociale per cui, come con lo spread italiano, sono sempre in grado di manovrare le leve che rendono le probabilità assai più deterministiche che casuali. Nello spirito del sociodarwinismo "spontaneo" auspicato.

CitazioneQuesto mutamento strutturale/sovrastrutturale è alla base della contraddizioni marxiste. I mutamenti avrebbero dovuto riempire il proletariato, lasciando nudo il capitalismo. In realtà le strutture sociologiche, l'identifcazione della classe rivoluzionaria con la classe proletaria a sua volta identifcata nell'operaismo ,ha fallito. Il nuovo capitalista che emerge è spesso un vecchio proletario genealogicamente.

E il nuovo proletario è spesso un capitalista fallito. Questi mutamenti sono alla base delle contraddizioni della realtà, non del marxismo. Quelle contraddizioni che hanno taroccato il futuro rendendolo un gioco azzardo. Azzardo in cui chi controlla la plancia di comando della nave globale si trova perfettamente a suo agio, tanto che se una tempesta, chiamiamola Von Hayek, spostasse la nave in mari sconosciuti sarebbero sempre loro a decidere la rotta, il futuro, e in assenza di una concreto ammutinamento, solo un gigantesco iceberg li può fermare. Non del tutto improbabile ma indipendente dal "vecchio proletariato". Non si può negare la loro bravura nel mostrare che la tigre di carta le zanne e gli artigli li ha ancora perfettamente funzionanti. E la coscienza pure.

CitazioneIl problema è che non è la struttura economica a determinare la rivoluzione, ma quella coscienza di classe che la classe cosiddetta sfruttata a volte ha ,e spesso no. Oggi è molto più difficile dei tempi di Marx, costruire una solidarietà di classe, perchè agiscono tali e tante differenze socio economiche, motivazioni, aspettative, cultura, ecc. Oggi emergono molto più le differenze fra uno stessa classe sociale, piuttosto che ciò che potrebbe unirla.

La questione è che la struttura socioeconomica non è, come solo retoricamente (ma il Capitale sa che non è cosi) si vorrebbe far credere, un'entità indeterministica e casuale alla quale ci si può solo genuflettere, ma può essere plasmata a volontà da chi la coscienza di classe ce l'ha ancora integra e leve efficienti per poter adattare la struttura ai suoi fini.

Se non si costruisce una solidarietà di classe dal basso non è per le contraddizioni del marxismo ma perchè l'avversario ha destrutturato la classe antagonista, atomizzando la struttura economica classica che ha partorito il modello rivoluzionario marxista/comunista, abolendo il proletariato e pure la fascia intermedia di borghesia lavoratrice e con essi i loro fini e futuro.

Il capolavoro che ha rianimato la tigre di carta è stato il trasferimento del plusvalore dalla critica materialità della produzione alla iniziatica inviolabilità, ancora più immateriale della carta di un tempo, della finanza, che ha comunque bisogno della produzione  - perchè dal nulla non si può creare profitto e l'economia reale è pur sempre necessaria - ma sottomessa alle sue "leggi economiche" che finiscono sempre col premiare chi detiene la mannaia che chiude ogni discorso: il capitale finanziario. Producendolo anche ope legis dal nulla nei momenti di massima crisi (Federal, BCE), ma sempre condizionato al paradigma dominante, la rianimazione del profitto.

Agenzie di rating, organismi economici nazionali e internazionali, pubblici e privati e, dulcis in fundo, leggi degli stati (dai co.co.co a seguire con la trovata social-liberista nazionale: meglio il lavoro nero che nessun lavoro) assecondano il tutto. Altro che "spontaneismo". Tutto ben pilotato e teleguidato dall'alto perchè nulla trovi una via di fuga nel caso.

Evidentemente tale "fine", che assomiglia più ad una fine dell'umanesimo, non è politicamente presentabile e va obliato. Ma rimane un fine altro perseguibile anche in questo mondo sociodarwinisticamente robottizzato: riprendiamoci la vita. Trasferiamo in essa il nostro futuro fatto di tanti atomi di presente ritrovato, sottratti allo sguardo inumano di Sauron e al suo tempo prestabilito. Troviamo la nostra personale, e collettiva, via di fuga, nello stile e nei contenuti di vita quotidiani. Dopo averci ragionato sopra le mistificazioni del mondo in cui siamo stati gettati.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

0xdeadbeef

A Paul
Von Hayek parte da una considerazione "tecnica": il valore di un bene economico è il valore che ad
esso attribuscono gli attori dello scambio (che poi è la tesi fondante di tutto il Marginalismo).
La genialità di Von Hayek consiste nell'aver coniugato questo tecnicismo con la tradizionale visione
filosofica anglosassone, che è contrattualista, utilitarista ed evoluzionista (tra le altre cose...).
Da quel tecnicismo, Von Hayek ripropone l'utilitarismo classico sotto una nuova e "potenziata" veste:
il "valore" consiste nell'utile, nel desiderato individuale ed immediato.
Al medesimo modo ripropone il contrattualismo classico: "valore" è ciò che viene contrattato al
momento da due parti contraenti (private, naturalmente, visto che l'utile è inteso solo come quello
individuale).
E, a scorrere, l'evoluzionismo: le conseguenze inintenzionali di atti individuali intenzionali (e
intenzione dell'individuo è solo il perseguire il proprio utile) conducono necessariamente al
migliore dei mondi possibili.
Su quest'ultimo punto è macroscopica la "metafisicità" del sistema hayekiano (Von Hayek definisce
infatti "giusto" l'ordine spontaneo); una metafisicità fra l'altro indagata da J.Stiglitz in
un ciclo di lezioni sul "Trickle and Down" (lo "sgocciolare" che, secondo la teoria economica
dominante, rappresenta il necessario passaggio della ricchezza dai ceti più alti ai più bassi -
da noi prosaicamente nota come : "non tassate i ricchi perchè loro reinvestono i soldi portando
ricchezza a tutti").
Ora, a fondamento di qualsiasi evoluzionismo c'è sempre l'idea di "progresso", dunque l'idea
che ogni cambiamento è per il meglio (e se è per il peggio questa è solo una contingenza
negativa e momentanea, che comunque sarà superata). Ma questo è perchè alla base vi è l'idea
dell'uomo come di un essere naturalmente buono; un'idea che al sistema hayekiano viene, ancor
prima che dalla teoria morale di A.Smith, dall'"homo homini deus" di Spinoza e dalla stessa
Riforma Protestante.
Ora, se proprio volessimo andare alle origini è infatti proprio nella Riforma (e forse prima
ancora, nel francescanesimo e nell'agostinismo) che dovremmo cercare le cause di questa attuale
mancanza di ogni finalità e progettualità. In fondo a che serve darsi un fine o un progetto quando
ogni cosa è predestinata?
Nel sistema hayekiano la mancanza di qualsiasi fine o progetto è vista come condizione necessaria
del progresso. Abbiamo infatti visto, seppur per sommi capi, come il "valore" (che dal significato
meramente economico diventa più esteso e generalizzante) consista nell'utile, nel desiderato
individuale ed immediato, così come il "contratto" fra parti private non può avere una estensione
temporale ampia, perchè una estensione temporale ampia tradisce il principio-base dell'utile
immediato, e si risolve nell'aborrito - da Von Hayek - "costruttivismo", che proprio nel carattere
di "progetto futuro" ha la sua peculiarità (non vorrei esagerare, ma io vi vedo chiaramente la
legittimazione filosofica del precariato...).
saluti

0xdeadbeef

Citazione di: Ipazia il 17 Giugno 2019, 14:18:06 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 16 Giugno 2019, 21:00:32 PM
A Ipazia
La domanda: "cosa me ne faccio del profitto capitalistico?" sottintende la domanda circa il fine del profitto capitalistico; ma tutto lo "sguardo" moderno non si pone quella domanda, perchè non si pone proprio alcun fine (chi vive, come noi viviamo, solo nel presente non si pone fine alcuno).

Allora chiediamoci perchè non si pone alcun fine ? Non puoi rispondere alla domanda da te posta nella discussione con una tautologia che si limita a menare il can per l'aia.


A Ipazia
Lo "sguardo" moderno non si pone alcun fine perchè "fine" è l'utile immediato, cioè il mezzo.
E ciò vuol naturalmente dire che mezzo e fine coincidono. Sul "perchè" succede questo ti rimando
al famoso: "l'esserci progetta il suo essere in possibilità", di Heidegger: l'esserci non ha (più)
un essere, cioè l'uomo non viene più visto nella sua "sostanza" umana.
Soros sa perfettamente quel che sapeva il "principe" machiavelliano: per mantenere il potere bisogna
accrescere la propria potenza. Quindi sì, da un certo punto di vista sa benissimo quel che farci con
i soldi; ma anche qui, ripeto, si tratta di capire che non è tanto scomparso il fine, quanto che
ormai esso coincide con il mezzo.
Per epigoni di Marx non intendo affatto i "cattocomunisti", bensì praticamente TUTTI i pensatori
di scuola marxiana. E quando dico: "uomo naturalmente buono" non intendo certo dire che la dottrina
marxista si fonda sul "buonismo", come del resto già accennavo. Ma se ritieni (non senza buone ragioni)
che questo argomento sia fuori tema la chiudo qui.
saluti

Ipazia

Citazione di: 0xdeadbeef il 19 Giugno 2019, 17:33:36 PM
Citazione di: Ipazia il 17 Giugno 2019, 14:18:06 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 16 Giugno 2019, 21:00:32 PM
A Ipazia
La domanda: "cosa me ne faccio del profitto capitalistico?" sottintende la domanda circa il fine del profitto capitalistico; ma tutto lo "sguardo" moderno non si pone quella domanda, perchè non si pone proprio alcun fine (chi vive, come noi viviamo, solo nel presente non si pone fine alcuno).

Allora chiediamoci perchè non si pone alcun fine ? Non puoi rispondere alla domanda da te posta nella discussione con una tautologia che si limita a menare il can per l'aia.


A Ipazia
Lo "sguardo" moderno non si pone alcun fine perchè "fine" è l'utile immediato, cioè il mezzo.
E ciò vuol naturalmente dire che mezzo e fine coincidono. Sul "perchè" succede questo ti rimando
al famoso: "l'esserci progetta il suo essere in possibilità", di Heidegger: l'esserci non ha (più)
un essere, cioè l'uomo non viene più visto nella sua "sostanza" umana.

Quale sguardo moderno ? Del capitalista, del lavoratore, del filosofo ?

Ognuno tira la modernità dalla sua parte e alla fine si casca sempre nella tautologia di prendere come dimostrazione quello che si deve dimostrare.

Lo sguardo moderno è frammentato nella sua condizione di classe ed esistenziale. Anche se esso non è riducibile all'individuale ma è socialmente determinato non è neppure quell'unicum che la retorica dominante, politico-economica o filosofica, sponsorizza.

La visuale marxista è completamente altra tanto nella definizione del valore economico, che è d'uso e non di scambio o di rischio (sulla pelle altrui per lo più), quanto nel valore etico che è sostanza umanistica - checchè ne dica Heidegger - centrata sul concetto di homo faber, proiettato nel futuro di migliori condizioni di vita e determinato a rimuovere gli ostacoli a questo progetto. Il primo dei quali è il mercato universale di corpi e anime.

Il fine c'è, ed è riportare l'umano nell'inumano dominante, senza illusioni buoniste perchè è vero che si vorrebbe dare a ciascuno secondo i suoi bisogni, ma in cambio non si fanno sconti sulla contropartita che ognuno deve dare secondo le sue capacità.

Sulla qual cosa la tolleranza (e il buonismo e le tattiche semantiche fraudolente intorno al concetto di "capacità") dell'homo faber comunista è zero.

Citazione
l'esserci non ha (più) un essere, cioè l'uomo non viene più visto nella sua "sostanza" umana.

Qui il fraintendimento della realtà, tuo, e probabilmente anche di Heidegger, è totale. L'essere è Dio: "Io sono colui che sono" dice Elohim a Mosè. Dio è colui che è. L'Essere è sostanza divina, non umana. Tutta la metafisica fino ad Heidegger compreso è confusione tra divino ed umano, pur avendo capito alla fine che la sostanza dell'umano è l'esserci. L'errore degli orfani del Dio/Essere è pensare che questo esserci abbia un rango ontologico inferiore, ed in questo sentirsi orfani infilano pessima metafisica sulla fine del fine, fine della storia, fine della sostanza umana e un Nulla incombente e inarginabile. Quando, tralasciando pure la escatologia marxista metafisicamente strutturata, l'umano è colui che esiste da sempre e da sempre, anche quando non filosofava, ha avuto un fine incontrovertibile nella sopravvivenza sua e della sua prole. Fine rimasto immutato dalla notte dei tempi, su cui si fonda una filosofia liberata dal fantasma dell'Essere e delle sue pseudoescatologie celesti fin dai tempi di Epicuro.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

viator

Sembrerebbe alla maggioranza che il porsi sia individualmente che collettivamente un fine rappresenti motivazione altamente etica. Al punto che, come da titolo della presente discussione, sembra ci si lamenti del fatto che la latitanza di un qualsiasi fine costituisca una ipotesi desolante.

E perchè mai ? Esistono - e a quanto sembra sono persino troppo diffusi - i fini assolutamente disetici, della cui assenza dovremmo invece rallegrarci.

I fini più diffusi infatto sono quelli di genere edonistico, altro che storie !

Vero che qui dovremmo parlare dei fine CULTURALI, ma in effetti a me in verità sembra che sia proprio la cultura quella tal manifestazione che - in nome della neutralità e della ricerca di sempre nuovi orizzonti - dai FINI (il raggiungimento dei quali ne sarebbe la tomba) dovrebbe star ben lontana.

Il fine-mezzo del capitalismo è comunque anch'esso solo la edonistica tendenza a realizzare - attraverso il denaro - il conseguimento di quantità sempre crescenti di soddisfazione sotto forma di potere e piacere, dei quali conta la quantità e non certo la specificità finalistica. Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

Jacopus

Ciao Viator. Non ho capito se la tua ultima affermazione sia una constatazione o se ne condividi il senso. Ad ogni modo esistono modi di soddisfazione ben diversi dall'accumulo di denaro per ottenere piacere e potere. Questa è la visione tragica del nostro tempo e di come il capitalismo sia riuscito a distorcere la nostra visione del mondo.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

viator

#56
Salve Jacopus. Le mie sono sempre solo ipotesi o constatazioni soggettive. La mia eventuale condivisione è fuori causa poichè facente parte delle mie personali propensioni che tendo a non manifestare poichè io non faccio propaganda a ciò in cui credo, ma al massimo lo propongo alla riflessione critica di chi vuole leggerlo.

Per quanto riguarda i modi per realizzare la soddisfazione, è vero che ce ne sono altri, ma il guaio è che questi altri appartengono tutti all'interiorità e all'evoluzione mental-intellettuale (particolarmente alta) di chi li pratica.

La maggioranza preferisce modi assai più concreti, visibili, "palpabili" i quali forniscono la ulteriore soddisfazione della visibilità del proprio "valore" personale convenzionale.

Vale la massima per la quale chi E' (interiormente) non sente il bisogno di apparire, mentre chi non E' compiutamente sarà costretto a cercar di SEMBRARE.

Infatti, estendo ai massimi termini tale concetto, l'egualitarismo sarebbe la condizione al cui interno l'unica soddisfazione sociale consisterebbe nell'ESSERE (......consapevoli della propria utilità sociale), mentre il capitalismo più o meno selvaggio si basa sulla soddisfazione del SEMBRARE DI ESSERE (autoaffermazione individualistica) attraverso l' AVERE. Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

InVerno

Citazione di: Ipazia il 19 Giugno 2019, 21:14:11 PM
La visuale marxista è completamente altra tanto nella definizione del valore economico, che è d'uso e non di scambio o di rischio (sulla pelle altrui per lo più), quanto nel valore etico che è sostanza umanistica - checchè ne dica Heidegger - centrata sul concetto di homo faber, proiettato nel futuro di migliori condizioni di vita e determinato a rimuovere gli ostacoli a questo progetto. Il primo dei quali è il mercato universale di corpi e anime.
L'homo faber e il valore economico "proiettato"possono incontrarsi ma generalmente uno non definisce l'altro, te lo dice uno che viene da 4 generazioni di fabbri (battutaccia). L'homo faber vive ancora la sua dimensione di "reciprocatore forte" (si può donare senza nulla in cambio), in questo è parente dell'homo ludens, loquens, ma sopratutto empaticus. Ma l'homo faber è praticamente estinto, si trova nei musei, non è un carattere genetico, è semai memetico-culturale. Oggi vive l'homo economicus, colui che è davvero definitivo dal valore economico, quello che non apre mai la bottiglia di vino perchè ha letto che essa guadagna valore ogni anno che passa. Anche per questo manca di un finalità, la finalità è in questo la fine delle sue possibilità di guadagno, il termine della sua esistenza utilitaristica. Questo invece vive una dimensione di sola "reciprocazione debole" (si dona solo in cambio di un valore economico).
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

Ipazia

Citazione di: InVerno date=1561024818Ma l'homo faber è praticamente estinto, si trova nei musei, non è un carattere genetico, è semai memetico-culturale. Oggi vive l'homo economicus, colui che è davvero definitivo dal valore economico, quello che non apre mai la bottiglia di vino perchè ha letto che essa guadagna valore ogni anno che passa.

Homo economicus è ancora più memetico-culturale nella sua demenzialità valoriale tutta umana di anteporre lo scambio all'uso. Non è per nulla genetico, eppure prospera e domina.

Non mi pare che homo faber sia estinto visto che sulle sue spalle si regge tutta l'economia reale. Inclusa quella più libera, sottratta all'alienazione del mercato: il lavoro che si fa per sè e per il proprio contesto affettivo e solidale.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

0xdeadbeef

A Ipazia
Lo "sguardo", chiaramente traduzione raffazzonata del celebre "weltanshauung", è di tutti, o perlomeno
della stragrande maggioranza delle persone.
E lo "sguardo" occidentale, che è essenzialmente individualista e utilitarista, sta ormai rapidamente
diventando lo sguardo del mondo intero.
E non è neppure quel frutto che certa retorica attribuisce all'elité politico-economica dominante, visto
che la sua storia data ormai qualche buon millennio (come vado spesso ripetendo, tutta la storia dell'
occidente è la storia del progressivo emergere dell'individuo - e di conseguenza dell'utilitarismo).
Ritengo incredibile che si cerchi di obliare un dato di fatto di una simile evidenza: basta solo
conoscere un minimo di storia del pensiero e...aprire gli occhi sulle persone che ci circondano.
Dopo essere arrivati dove siamo, trovo del tutto "naturale" che si arrivi alla concezione del "valore"
(non solo economico, come dico in risposta all'amico Paul11) come valore che ad un certo "oggetto"
attribuiscono gli individui.
Come già ebbi occasione di dirti, a quel tempo le opere di Michelangelo non erano belle perchè erano di
Michelangelo, ma perchè ritenute belle "in sé". Oggi sarebbero belle perchè di Michelangelo, come certi
obbrobri "firmati" mostrano con le loro valutazioni astronomiche.
In altre parole, il "brand" oggi conta molto di più che non la quantità di lavoro necessaria a produrre
un certo bene; ed è per questo che la teoria di Marx è oggi perdente su quella di Von Hayek.
Tornando al "fine", esso non c'è (più) proprio perchè non c'è (più) l'"in sé" delle cose.
Trovo che ridurre l'Essere filosofico a "Dio" non sia del tutto assurdo, ma sia in ogni caso una "soluzione"
troppo semplicistica.
In quel passaggio, Heidegger voleva a parer mio dire che l'essere umano (l'"esserci") ha una "sostanza";
un qualcosa di identico nel molteplice; e questo qualcosa è (anzi era, visto che ha poi cambiato
idea) la capacità di darsi un progetto futuro.
Quindi, per Heidegger, l'essere umano come quell'essere che ha la capacità specifica di "progettar-si",
cioè di darsi un "fine".
Ora, secondo la mia tesi l'essere umano non è (più) quello di Heidegger, ed è evidente che non lo è più
proprio perchè non più capace di progettar-si, di darsi un fine che non sia quello immediato e
coincidente con il mezzo. E l'essere umano è incapace di ciò perchè, dicevo, non c'è più l'"in sé"
delle cose, cioè appunto perchè non c'è più una "sostanza"; una qualcosa di identico nel molteplice
a caratterizzarlo (l'essere umano).
In questo vi è evidentemente una radice metafisica, ma ridurre tutto questo discorso a "Dio" (e magari
al dio di una qualche religione storica) è, ripeto, troppo riduttivo.
saluti

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