L'irrilevanza del filosofo ( non della filosofia...)

Aperto da Sariputra, 18 Ottobre 2016, 11:00:54 AM

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Sariputra

Questa mattina, mentre stavo salendo nella mia mostruosa utilitaria, con un grosso sacchetto di pane fumante, appena sfornato dal panettiere della Contea, un enorme camion mi è passato così vicino che...mi sono ritrovato con una pagnotta direttamente in bocca! Non sono rimasto arrotato per questione di centimetri. Ora, soprassedendo al fatto che l'eventuale arrotamento del Sari sarebbe stato assolutamente irrilevante per il mondo ( ma non per il mondo di Sari...) mi son posto questa domanda: Se la strada appare larga  dal punto di vista di chi guida un'utilitaria e viceversa strettissima per chi conduce un camion, il mondo appare "stretto" per il filosofo e invece molto ampio per l'ebete comune? Ossia , più chiaramente, le convinzioni preconcette del filosofo gli restringono la strada della riflessione, mentre viceversa la mancanza di convinzioni dell'ebete spianano la visione più libera dalle idee preconcette? Questa riflessione mi è sorta ultimamente seguitando a leggere le argomentazioni del nostro caro forum ( Hotel Logos lo chiama Jean...). Dopo innumerevoli interventi ci si ritrova sempre al punto di partenza...ognuno con le sue idee. Allora...a cosa serve il filosofo se non a reiterare all'infinito le proprio idee? E ciò non lo rende irrilevante? E ancora...se l'ebete ha in definitiva più possibilità di cogliere idee nuove, non avendone di proprie, mentre il filosofo si ritrova stretto nelle sue idee ingombranti...non è che il vero filosofo sia l'ebete, mentre il filosofo sia...il vero ebete?

P.S. Questa riflessione però ne porta con sé un'altra: se il Sari si considera un filosofo inadeguato, ne consegue che lo si può ritenere un ebete inadeguato?... :-\
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

sgiombo

Meno male che il nostro Sari l' ha scampata anche stamattina ed é ancora qui a sollecitare il nostro senso critico!
Per tutti noi non é di certo stato qualcosa di irrilevante.

leggendo che questa tua  riflessione ti è sorta ultimamente seguitando a leggere le argomentazioni del nostro caro forum nel quale dopo innumerevoli interventi ci si ritrova sempre al punto di partenza...ognuno con le sue idee mi sono ovviamente sentito chiamato in causa (tra me e Maral é in corso proprio un' innumerevole ripetizione di argomentazioni, col che ci si ritrova ciascuno sempre al proprio punto di partenza).

Per me é un rischio che vale la pena di correre: anche se l' alternativa (correzione di errori in cui si era incorsi, superamento di credenze false, miglioramento delle proprie idee e convinzioni, acquisizione di nuovo sapere e di maggiore consapevolezza critica circa noi stessi e il mondo in cui viviamo) é assai improbabile, si realizza molto raramente, per noi filosofi (più o meno inadeguati: non solo tu, ma un po' tutti lo siamo!) é talmente desiderabile che lo corriamo volentieri (il rischio di inutili, estenuanti ripetizioni del già detto).

Certo per l' "ebete", o meglio per il filosofo ingenuo, "alle prime armi" é generalmente più difficile incorrere in incomprensioni dovute alla tenacia delle proprie convinzioni (corrette o scorrette, vere o false che siano), é tendenzialmente più facile imparare; ma questo é il prezzo per lo meno in larga misura inevitabile dell' esperienza (in generale), il fatto che richiede tempo per formarsi, e dunque é tendenzialmente legata alla perdita della gioventù (parafrasando Gaber: io non mi sento "utente anziano" -veramente anziano mi ci sento, piuttosto vorrei non esserlo- ma per fortuna o purtroppo lo sono...).

green demetr

In attesa che ti risponda su Schopenauer e Nietzche, parafrasando l'ultimo direttamente (a dimostrazione della mia intermittenza filosofica).

Non capisco cosa succede: il primo topic da te aperto l'ho lasciato perdere, anche se mi ha fatto venir voglia di rispondere con veemenza, adesso però raddoppi la dose, a testimonianza che forse, nonostante il pensiero buddhista e quello filosofico nostrano, è più un problema tuo che altro.

Francamente nemmeno riesco a capire se sia l'ennesimo utente che va in crisi personale, o se vi sia una sincera presa a cura della filosofia.

A mio parere parlare del filosofo significa parlare della filosofia. (proprio perchè il filosofo si occupa della filosofia)

E' già da diversi anni che mi pongo e pongo inutilmente agli altri il problema che io chiamo lo "statuto della filosofia".

Un ebete non si porrà mai alcun problema, nessuna domanda o consapevolezza, stiamo parlando della stragrande maggioranza della gente.

Il problema allora diventa non tanto fare un paragone, del tutto inutile ai nostri fini, quanto il rendersi conto, che la filosofia si OCCUPA della gente.

Crollati i grandi ideali storici, rivelatisi come grandi ideologie, come strumenti di potere, siamo arrivati al pensiero unico, ossia quella idea, che per stare bene serva ridere e prendersi un panino dal fornaio, come se veramente la filosofia potesse appiattirsi a simili "ricette" volgari. (e dunque capirai che l'aria che tira se apri questi 3d a me non piace affatto, dunque ora ti prendi questo sfogo-risposta).

NO, il filosofo si occupa anzitutto della FILOSOFIA, e solo in seconda battuta si occupa della gente, ossia in un modo consapevole.
(altrimenti come potremmo chiamare ebeti gli altri).

La strettezza a cui fai riferimento è la stessa che ognuno di noi è chiamato a rispondere, ma non è questione della filosofia è una questione della persona. Nel senso proprio di soggetto politico, che sta in queste norme in questa morale in questo tempo storico fin tanto che siamo vivi ovvio.

Ora forse si dovrebbe porre il problema del rapporto filosofo-filosofo.

Questione mai affrontata da nessuno, e che secondo me ha a che fare proprio con la crisi della grande coperta metafisica-ideologica che ci ha tenuti in un sonno della ragione fino agli inizi degli anni '90, quando la crisi economica ha contribuito a ridestare qualche coscienza smarrita.

D'altronde se non vi è rapporto tra filosofi come si può determinare uno statuto?

Tra l'altro questa questione rimanda a chissà quale tempo futuro, per ora nonostante si lamentino ancora dei residui metafisici, gli analitici e la lora filosofia SENZA TESTA, sta prendendo sempre più potere.

Come a dire che il problema della filosofia sta mutando da un pensiero politico, ad uno meramente cognitivo.
(come d'altronde anche questo forum testimonia).

Il perchè l'ho detto mille volte, quando una disciplina si scopre per quello che è, mera rappresentazione teatrale che si specchia nel suo auto-da-fè, come agli inizi del novecento (spengler-il tramonto dell'occidente heideger-il problema detta tecnica- anders-la-civiltà-delle-macchine) si è cominciato a pensare, fino appunto al crollo del potere ideologico che ricade su quello delle università (fascismi prima-liberalismi oggi), che era semplice nascondimento della mera detenzione di cattedre(di potere appunto).

Questo è quello che il novecento ha scoperchiato, lo stato di imbarazzo in questo primo ventennio di filosofia del 900 che provo, è quello che esprime la vuotezza insensata delle scienze cognitive, che ormai inglobano di fatto la filosofia.

In realtà in america, questo processo di svecchiamento della filosofia è partito già dagli anni 50 del secolo scorso, in quanto non c'erano i baronati che occupano tutt'ora le nostre accademie europee.
C'è libertà di pensiero in america, un pensiero vuoto però si può rivelare solo per quello che è: un pensiero vuoto.
E così proprio nei recenti anni si è cominciato a recuperare la tradizione delle nostre vecchie ideologie (che hanno portato ai baronati però), si comincia a sondare nuovo terreno, l'analitico cerca di aprire al politico. ( ovviamente sarà l'ennesima catastrofe, perchè ripeteranno gli stessi nostri errori)

Stiamo parlando di processi dunque secolari....e chissà quanto bisognerà aspettare ancora prima di avere una nuova stagione "illuminista" (dimenticando la grandiosità del sommerso medioevale, essendo il mondo greco-romano e tardo-romano troppo distanti dal nostro modo di vivere contemporaneo).

Insomma il filosofo che si occupa della filosofia si occupa di qualcosa di molto problematico, se non malato proprio, dunque anche lui non è che stia benissimo.

Io risolvo la questione con lunghe fughe nel mondo del volgo, e sinceramente le loro risa e i loro camion, mi fanno terrore, si proprio quello metafisico, proprio quello che si meravigli di come il MALE si sia situato così radicalmente nel mondo.
Di come non solo non ci sia risposta, ma di come si faccia spallucce e via.....

Per conto mio non cambierei MAI la mia posizione nel mondo con quello di questa gente.

E ora torno a fuggire sorry e grazie di esistere a questo forum!
Vai avanti tu che mi vien da ridere

Phil

Citazione di: Sariputra il 18 Ottobre 2016, 11:00:54 AMSe la strada appare larga dal punto di vista di chi guida un'utilitaria e viceversa strettissima per chi conduce un camion 
Non sono sicuro che la filosofia sia il camion e l'ingenuità sia l'utilitaria... restando nel campo semantico della metafora: la filosofia è fatta di sottili distinzioni, di minuziose argomentazioni, di analisi al microscopio, nulla di troppo "ingombrante" (e lo dimostra il fatto che alcuni non vedono il pelo nell'uovo, ma il filosofo, aguzzando la vista analitica, si... e se non c'è, ce lo mette lui ;D ). La grossolanità dell'ebete ("spuntato" etimologicamente vs le "taglienti" riflessioni filosofiche) è quella tipica dell'ingenuità: distinzioni "fatte con l'accetta", argomentazioni "a grandi linee" plausibili, analisi grossomodo attendibili, etc. Insomma, la filosofia è (o meglio vorrebbe essere) un'operazione chirurgica millimetrica, mentre l'ingenuità è una spalmata di Voltaren o altre panacee (o addirittura placebi...). E più l'unità di misura è piccola, più il mondo che si misura appare grande...

Citazione di: Sariputra il 18 Ottobre 2016, 11:00:54 AMil mondo appare "stretto" per il filosofo e invece molto ampio per l'ebete comune? 
Il mondo dei filosofi è sterminato come sono sterminate le interpretazioni che danno del mondo, mentre il mondo dell'ingenuo è piccolo, regolare e magari senza grossi misteri (invece la filosofia, i misteri da risolvere se li inventa anche di sana pianta...). Per un filosofo una corsa fra Achille e la tartaruga (rieccoli!) è la scena di un crimine (onto)logico da investigare, mentre per l'ingenuo "il reato non sussiste". Un filosofo viaggia nei "pianeti" della metafisica, dell'etica, dell'ermeneutica etc., ma questo cosmo non esiste per l'ingenuità, che resta con i piedi per terra e lo sguardo sopito.

Citazione di: Sariputra il 18 Ottobre 2016, 11:00:54 AMle convinzioni preconcette del filosofo gli restringono la strada della riflessione, mentre viceversa la mancanza di convinzioni dell'ebete spianano la visione più libera dalle idee preconcette? 
L'ingenuo ha convinzioni e preconcetti (inevitabilmente!), ma sono, per l'appunto, ingenue. Nella sua "cassetta degli attrezzi" mentali ci sono solo il martello e un cacciavite (in quella del filosofo c'è, o meglio potrebbe anche esserci, l'eden del bricolage... ovvero ha molti più strumenti con cui farsi male  ;D).
Le convinzioni preconcette insidiano il filosofo, soprattutto se diventano dogmi: nel momento in cui un filosofo si pone il problema del "come difendere la sua posizione", anzichè di come poterla "raffinare" o ristrutturare, smette di essere filosofo (poichè non cerca più, ma vuole solo "speculare", in entrambi i sensi, sul "valore" di quello che ha già trovato...). Questo non significa che non possano esserci posizioni inconciliabili o che ad ogni discussione si debba modificare il proprio punto di vista, ma, come ben spiegato da sgiombo ("un rischio che vale la pena correre" cit.), ogni confronto può essere una verifica, una degustazione pubblica della farina del proprio sacco (ovviamente, per chi ha problemi di celiachia non è una buona idea assaggiarla... ;)).

P.s. Indubbiamente l'ingenuità filosofica non preclude un ingegno non-filosofico che risulta molto rilevante nel contesto adeguato...

cvc

Bergson disse che non è mai esistito filosofo degno di tal nome che abbia detto più di una sola cosa
Fare, dire, pensare ogni cosa come chi sa che da un istante all'altro può uscire dalla vita.

maral

#5
Citazione di: cvc il 18 Ottobre 2016, 18:56:47 PM
Bergson disse che non è mai esistito filosofo degno di tal nome che abbia detto più di una sola cosa
E probabilmente ne ha detto ancora una di troppo ...
Scherzi a parte (ma poi neanche tanto), il fatto è che la filosofia nasce con un problema che non riesce mai a risolvere e il problema è quello di dire la verità, dire quello che è, la verità per tutti (giacché se è verità, solo per tutti può esserlo) e, connesso a questo problema, scopre quell'altro di come si dice la verità, problema tecnico ugualmente insuperabile in cui la filosofia analitica sprofonda attorcigliandosi su di sé (ma anche l'ermeneutica rischia la stessa fine).
Il filosofo sente che la risposta alla questione della verità sta nel logos, nel discorso razionale condotto tra pari, ciascuno ugualmente senza verità, ma tutti in grado di incamminarsi verso di essa discutendone insieme (la famosa dialettica socratica) senza pretese di arrivare a concludere per forza. E' Eraclito il primo a dire di non ascoltare lui, ma il logos, ma anche Parmenide dice la stessa cosa: la dea che ispira i versi del suo poema filosofico si appella al logos, lo invita a considerare le cose che gli dice, non a prenderle come rivelazioni a un predestinato (Oh se il Dio degli Ebrei si fosse rivolto allo stesso modo ai suoi profeti!). Almeno su questo quei due, Eraclito e Parmenide, erano d'accordo.
Non è un caso che la filosofia nasca con la democrazia, e abbia avuto il suo centro in Atene e nelle colonie autonome greche: la filosofia e la politica sono sempre intimamente connesse. Poiché la verità sta nel logos che solo può produrre il discorso vero per tutti, il principio di non contraddizione è la sola guida, il solo appiglio che ha il filosofo, ma poi questi si perde quando pensa di poter fare del logos un mito: "non avrai altro logos al di fuori del mio" tuona allora il filosofo che assurge a Dio (l'assoluto interpretante che tutto interpreta) dall'alto della sua posizione panoramica che ogni cosa vede, prevede e controlla, come se lui non ci fosse dentro a quel panorama, come se lui non ci fosse dentro fino alla cima dei capelli. E allora cos'è che vede e prevede? E la scienza è  questo cattivo modo di filosofare che ha ereditato dalla filosofia. Certo non ci si affida più solo al logos, si crede di avere superato ogni ambascia con il setaccio più fine della verifica sperimentale oggettiva, come se quella verifica sperimentale oggettiva potesse verificare qualcosa che sta oltre e fuori dal discorso che ne fa la scienza, dell'interpretazione che essa dà con il suo linguaggio! La verifica è solo l'ultima e più pervicace delle superstizioni e l'oggettività del dire sperimentando il suo mito.
L'ebete invece non ha né ha mai avuto la preoccupazione di dire la verità, semplicemente perché si sente sempre nella verità, sia che la cambi ogni istante facendosi menare per il naso da chi gliela racconta, sia che non la cambi mai, fedele nei secoli dei secoli. L'ebete può essere uomo di grande fede, l'esatto contrario del filosofo che si arrovella in dubbi che per l'ebete restano del tutto assurdi tanto gli appaiono banali e insulsi, mere perdite di tempo per chi non ha di meglio da fare. Per questo l'ebete è felice, il problema della verità non esiste per lui, quello che si dice e si pensa va benissimo, è la realtà stessa.
In "verità" per lo più siamo tutti un po' ebeti e un po' filosofi, solo che, morti gli Dei e le grandi metafisiche con le loro grandi pretese panoramiche, il rischio è di fare dell'ebetudine quella sorta di pensiero unico che è già diventata, a comoda disposizione di tutti grazie al progresso tecnico che tutto facilita e del nichilismo l'essenza che da sotto la conduce.
La filosofia è cosa per tutti e per nessuno: ci vuole coraggio per fare i filosofi, ci vuole quel coraggio della verità che Foucault richiamò nelle sue ultime lezioni, pur sapendo che quel coraggio non è mai abbastanza, non basta mai nemmeno a sfiorarla la verità, come un'amata che sempre sfugge all'amante, ma che l'amante non può fare a meno di continuare a inseguire amandola mentre soffre di quel suo continuo sottrarsi, ma più lei si sottrae, più la desidera, si tormenta e la ama. Il vero filosofo è chi sa sbattere la testa contro un muro fino a farla sanguinare, eppure continua imperterrito a sbatterla, come diceva Nietzsche, finché la testa non gli andò in frantumi.
Poi c'è a chi (e sono i più, anche tra i filosofi) invece basta un panino che non sarà la verità, ma per un po' riempie la pancia e sembra poterci fare tutti contenti e spensierati, pancia piena e testa salva.

Apeiron

All'universo non cambia nulla se c'è o non c'è il filosofo. Infatti la nostra esistenza è vicina al nulla. Se il "filosofo" (se così si può chiamare) Apeiron domani non esistesse, per l'enormità dell'universo non cambierebbe nulla. Pensare che per l'universo noi siamo importanti è avere megalomania. La differenza tra l'ebete e il "filosofo" è questa: il primo ritiene se stesso come la cosa fondamentale dell'universo, il secondo invece contempla la nostra quasi nullità. Il compito del filosofo non è altro che ridefinire meglio la propria "quasi-nullità", sperando che anche ad altri questa ridefinizione sia di giovamento.

Al filosofo poi toccherà scegliere una propria "visione del mondo", un sistema di pre-giudizi. L'ebete magari ne conoscerà molti e diffiderà (anche a ragione) del lavoro del filosofo. Magari su certe cose l'ebete avrà ragione e il filosofo torto. Perchè è meglio essere "filosofi"? Perchè perdere la propria vita nella ricerca di ridefinire la propria "quasi-nullità"? Eccolo: la differenza è che per il filosofo vive la sua "quasi-nullità", ne ha un'esperienza. L'ebete invece in un certo senso passerà la propria vita senza viverla.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Garbino

L' irrilevanza del filosofo ( non della filosofia.... )


I rischi al giorni d' oggi sono sicuramente notevoli. Le persone sono distratte dai propri problemi, spesso di fretta, e in queste condizioni le capacità di valutazione, specialmente se si è alla guida di un veicolo, sono alquanto compromesse. Se poi vi si aggiunge una caratterialità che possa aumentare tali stati, si capisce al volo che attualmente è necessario essere sempre molto presenti a sé stessi, se si è capaci, in qualsiasi momento e specialmente in zone già a rischio anche in situazioni normali.
Comunque ci rallegra il fatto che Sariputra sia uscito indenne da una situazione alquanto pericolosa e speriamo che questa introduzione gli possa essere utile, anche se riteniamo che non vi sia nulla di nuovo in quanto si è appena detto.

Piuttosto che sull' irrilevanza del filosofo sarebbe forse il caso di parlare o discutere sull' irrilevanza della dialettica, anche se ritengo che le cose stiano in modo molto differente.
La radicalizzazione delle proprie idee o convinzioni è naturalmente un fatto molto umano, a cui non sono sfuggiti neanche i filosofi maggiori, figuriamoci gli altri. Il problema è che tale radicalizzazione può dipendere da più fattori, e quasi mai gli stessi per ciascun individuo. Quello che intendo dire è che ciascuno ha il suo excursus culturale, il proprio carattere, e il proprio ambiente di crescita, e ciò rende un discorso generalizzato quasi impossibile.
Poi naturalmente anche l' età conta. Se non si ci è abituati a ristrutturare il proprio pensiero, leggi idee e convinzioni, è ovvio che più si va avanti con l' età e più è difficile rendersi conto che è necessario sottomettersi ad un tale processo. Spesso si cambia poco o neanche una virgola, ma è molto utile. 
Inoltre sono convinto che, anche se le persone dimostrano di avere un pensiero radicalizzato, sottoporsi ad un confronto dialettico è comunque positivo. E questo perché anche a costoro, a lungo andare, i pensieri degli altri interlocutori, come tarli, provocano più spesso di quanto si creda mutamenti, a volte anche profondi. 

Naturalmente per i filosofi le cose spesso stanno in un modo molto diverso. Ed è ovvio che se l' inizio di tutto è basato su di un' intuizione di cui poi diventano strenui avvocati e difensori, tutto si complica. E si può stare tranquilli che non cederanno neanche un millimetro su quanto hanno intuito.

Degli ebeti non vale neanche la pena parlare. Sono coloro che mangiano a bocca aperta tutto ciò che gli si propina. Ed è sufficiente sentire i discorsi di molte persone su ciò che trovano su internet, e specialmente su facebook, per capire che la capacità critica è comunque necessaria per non farsi abbindolare da chi cerca di provocare panico e disinformazione sul web.

  Grazie per la cortese attenzione.

  Garbino Vento di Tempesta

Jean

Sari- Se la strada appare larga dal punto di vista di chi guida un'utilitaria e viceversa strettissima per chi conduce un camion... 

Phil - E più l'unità di misura è piccola, più il mondo che si misura appare grande...

 
Viaggiando in treno possiamo constatare come con l'aumentare della velocità diminuiscano i particolari del paesaggio che possiamo cogliere e viceversa; in questo caso correggerei la definizione di Phil:

E più l'unità di misura è piccola (nel caso più bassa è la velocità), più il mondo che si misura (percepisce) appare definito...

Un po' come accade col microscopio, quello ottico ha una risoluzione (risoluzione laterale di un microscopio è quella minima distanza tra due punti, che permette ancora di distinguerli) di 0,2 micrometri, mentre quello elettronico di 0,0001 micrometri, duemila volte di più. 

L'ottico si basa sull'osservazione dello spettro elettromagnetico mentre quello elettronico tramite fasci di elettroni.
Ovvero uno strumento molto più sofisticato con cui osservare il mondo (stando attenti a non farsi male, naturalmente).

In ambito filosofico (disciplina rispetto la quale confido che almeno il mio non-esistente  ingegno non-filosofico mi consenta di scoprire il contesto adeguato per i miei pochi interventi di filosofo ingenuo) è indubbio che dai tempi ellenici in poi gli "accessori" precipui (un termine che mi piace, pur se potrei usar "peculiari" o altro sinonimo... ma adatto che anche l'amico paul ha le sue simpatie semantiche... ;) ) del pensiero associato a quel genere d'indagine si sono evoluti, come tutti gli strumenti di qualsiasi tipo, ambito e appartenenza. 

Così la relativamente semplice e comprensibile filosofia di Seneca sta a quella di... come il viaggiar a piedi sta a quello in treno. 
 
Nella definizione di Phil "l'apparire grande" equivale a spostare la virgola; un tempo c'erano solo gli atomi, poi elettroni, quark ecc. la complessità è andata aumentando e ad un certo punto ha interessato gli stessi strumenti impiegati e il loro ruolo/contributo/effetto nell'indagine. 
 
Lo strumento del filosofo è il pensiero e, a parer mio, il ritrovarsi al termine di una discussione sulle proprie posizioni ne ravvisa il limite intrinseco... ogni percorso riporta al punto di partenza (così come accade nella 3sfera topologica del nostro universo), non si può, con quello strumento, sfuggirne.
 
(forse) la strada rimasta è di ripartire da quello, dalla sola cosa certa di cui disponiamo (il pensiero), naturalmente senza abbandonare le conoscenze acquisite (anzi).

Come che sia questa strada, ad ognuno immaginarsela e percorrerla, confidando che man mano, seppur non confluisca almeno s'avvicini a quella dei nostri compagni di viaggio.


E per distinguerli bene, per veder il dettaglio dei loro volti (e del loro cuore?), ogni tanto si può rallentare, abbastanza da poter scorgere una gelateria (o un bar) e tirar il freno d'emergenza... per il tempo di gustare qualcosa in compagnia... sperando che alcuno denunci l'inadeguato Sari per condotta sovversiva...

maral

Citazione di: Apeiron il 19 Ottobre 2016, 00:06:31 AM
Pensare che per l'universo noi siamo importanti è avere megalomania. La differenza tra l'ebete e il "filosofo" è questa: il primo ritiene se stesso come la cosa fondamentale dell'universo, il secondo invece contempla la nostra quasi nullità.
Perbacco Apeiron, ma contemplare la propria nullità, cosa che si può fare solo potendo contemplare l'immensità che comunque la esprime, non è per nulla una cosa da nulla! Non lo è né per noi, né per l'universo intero di cui siamo espressione.


Duc in altum!

**  scritto da Apeiron:
CitazionePensare che per l'universo noi siamo importanti è avere megalomania. La differenza tra l'ebete e il "filosofo" è questa: il primo ritiene se stesso come la cosa fondamentale dell'universo, il secondo invece contempla la nostra quasi nullità
Se penso all'Universo, io non sono nulla, se penso a che l'Universo è frutto dell'amore, io sono Tutto.
"Solo quando hai perduto Dio, hai perduto te stesso;
allora sei ormai soltanto un prodotto casuale dell'evoluzione".
(Benedetto XVI)

Duc in altum!

Il fine di ogni percorso filosofico è di raggiungere la verità ( o la serenità gaudente che da esse proviene), e si presume che solo il saggio seguendo la sua filosofia l'otterrà, ma chi è saggio su questo pianeta se veniamo sempre confusi, giornalmente, dalla filosofia dello stolto?????
"Solo quando hai perduto Dio, hai perduto te stesso;
allora sei ormai soltanto un prodotto casuale dell'evoluzione".
(Benedetto XVI)

Apeiron

Ogni persona è propensa a credere a livello inconscio che è la più importante dell'universo (per il semplice fatto che ogni essere vivente prima di tutto pensa ai suoi bisogni). Il "filosofo" (o meglio: il "saggio"??) è colui che in realtà sa che non è affatto così e si comporta di conseguenza. "Ama il tuo prossimo come te stesso", per esempio, è un modo per "togliersi" dall'idea di essere l'essere più importante dell'universo. Questa consapevolezza quasi assente negli animali, è presente nell'uomo.

Forse la parola giusta da usare non è nullità ma è "relativizzazione": bisogna riuscire a relativizzare se stessi... Contemplare la propria "nullità" rispetto all'immensità del cosmo è modo per farlo. Allo stesso modo si può contemplare la sofferenza propria e altrui per ridurre le pretese dell'ego.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

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