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L'ira

Aperto da cvc, 06 Giugno 2020, 08:15:45 AM

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cvc

#30
Rispondendo agli ultimi interventi, volevo chiarire che non è che intendessi legittimare la rabbia in senso universale.  Bodei fa una distinzione fra atteggiamenti culturali che ammettono una rabbia giusta e condannano l"ira indiscriminata, ed altri che la censurano in toto.
Riferendomi al punto di vista ad esempio degli stoici o di quello dell'ultimo intervento di Freedom che è poi anche quello della cultura orientale basato sull'autocontrollo, premetto che è condiviso (fino ad un certo punto) anche da me in primis. Però è difficile, come a suo modo rileva Bobmax.
Parlando di cultura orientale,  cito ancora Bodei: "Molto più che nel cristianesimo, è nel buddhismo che compare il più radicale rifiuto dell'ira (devsha), concepita come uno dei veleni che generano dolore nel ciclo di vite cui ciascuno è destinato prima di raggiungere l'eventuale nirvana. Nella dottrina buddhista la propensione all'ira dipende dalle esistenze precedenti e la collera attuale produce, a sua volta, un cattivo karma, che prepara l'ira futura."
E poi un'interessante storiella "del serpente che, appostato nel sentiero che portava al tempio, mordeva i passanti. Un santone gli parlò e lo persuase a rinunciarvi. Sapendo che era diventato ormai innocuo, un gruppo di ragazzi lo bastonò con allegra crudeltà. Allorché il santone lo rivide ferito e il serpente si dolse dei suoi consigli, la risposta fu: «Ti avevo detto di non mordere, non di non sibilare». In questo senso, «l'ira è il sibilo umano» (Tavri), l'avvertimento minaccioso di cui è lecito servirsi per prevenire il male."
Fare, dire, pensare ogni cosa come chi sa che da un istante all'altro può uscire dalla vita.

green demetr

Citazione di: paul11 il 10 Giugno 2020, 13:33:35 PM
Se è vero che le passioni anticamente avevano un signifcato almeno un poco diverso di quanto oggi le intendiamo, rileggendo dopo parecchi anni Platone/ Socrate, mi ha incuriosito come viene interpretata
l'ira.


Nel libro quarto della Repubblica di Platone, Socrate riconosce pulsioni antagoniste nell'anima che provano l'esistenza della facoltà razionale, irascibile e concupiscibile.
Nell'uomo vi è un principio che spinge e un altro che trattiene. La spinta viene dalla passione, il trattenere dalla ragione. L'ira combatte contro il desiderio, come un impulso contro un altro impulso. L'anima irascibile è naturale alleata di quella razionale.
Dice Socrate:
"Non è forse vero che quanto più è di animo nobile, tanto meno risponde con l'ira alla fame, al freddo e a tutte le altre pene dello stesso tipo che gli siano inflitte da colui che a suo parere agisce secondo giustizia, e anzi direi che non vuole neppure che  la sua rabbia accenni a destarsi contro di lui?"
"Passiamo  ora al caso in cui uno è convinto d'aver ricevuto un torto. Non c'è in lui tutto un ribollire, un esacerbarsi, una volontà di combattere a difesa di quello che gli sembra un suo diritto?"


Socrate pone un esempio di Omero nell'Odissea: "Colpendosi il petto con la parola rimproverava il suo cuore". E dice Socrate: "Omero ha rappresentato le due facoltà come se l'una muovesse rimprovero all'altra: quella  che sa giudicare del meglio e del peggio all'altra senza che il lume della ragione si muove all'ira".


A mio parere Socrate interpreta l'ira non come una vera e propria passione, ma direi quasi come una "indignazione" che potrebbe diventare funesta passione o ragione mediata da una virtù: la temperanza.


D'altronde senza l'ira si rimane però nella coscienza mediocre della borghesia, cosa che Nietzche non ha mancato di capire a riguardo di Socrate.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

niko


Tre funzioni ha la giustizia: punire, rieducare, prevenire.


Personalmente non credo nel punire e nemmeno nel rieducare, l'aspetto che trovo più umano dell'assolutamente imperfetta giustizia umana è il prevenire.


Prevenire è reagire a un crimine guardando all'immensità e all'imprevedibilità del futuro, l'umano troppo umano: "che non si ripeta più!" davanti a quello che ci fa orrore. Probabilmente tutto si ripete, ma il vero coraggio per chi (nel presente) sente di aver subito un torto è provare a cambiare l'intangibile passato dal suo appiglio naturale nel "ciclo" del tempo, cioè appunto dal futuro. Spartirsi la totalità del tempo e il potere di determinarne la forma con il colpevole, il che prevede, se non il perdono, almeno l'accettazione.
Non si può cambiare il passato, il che vuol dire che anche chi ci ha fatto e ci fa del male, partecipa alla creazione del mondo tanto quanto noi. E' sul potere sul risultato finale, o meglio complessivo, che semmai si può lottare.


Punire nasconde la pretesa intrinsecamente folle di cambiare il senso e il valore del passato e poggia sulla fede nel libero arbitrio (il colpevole avrebbe potuto fare diversamente, sennò perché punirlo?).


Educare dipende come possibilità dall'incerta fede in un futuro anteriore, in un futuro che migliorerà solo dopo un certo determinato ed auspicato evento futuro, quello in cui il colpevole "diventa buono", "si converte", "riscopre la sua naturale bontà" eccetera; e poggia sull'intellettualismo etico socratico agitato come contrario esatto del libero arbitrio (il colpevole non avrebbe potuto fare diversamente, quindi povero deficiente rieduchiamolo), perché chi vuole rieducare pensa che il male sia nato da cattiva (falsa) conoscenza, e dunque il bene nascerà da conoscenza buona (vera). I rieducatori non capiscono che spesso c'è poco da rieducare, perché il colpevole sperimenta il male come accesso alla libertà, quindi dal suo punto di vista il male è bene.



Più in generale solo chi è in una condizione di superiorità può rieducare o punire (un inferiore); viceversa prevenire, stabilire delle norme anche formali e per la libertà indeterminata di tutti, anche in assenza della conoscenza o del perseguimento di un bene superiore determinato, o intrinsecamente diverso da quello che sceglierebbe ad arbitrio il singolo, è quello che si può fare anche tra pari.


Dunque se lo stato deriva dall'orda dei pari in lotta tra di loro, è ovvio che le funzioni punitive e rieducative dalla giustizia siano cronologicamente e logicamente subordinate a quelle preventive, perché, quantomeno se accettiamo il mito dello stato di natura e del contratto sociale, la prevenzione della violenza fonda lo stato, la punizione e la rieducazione del reo lo presuppongono (come esistente e già fondato). Meno lo stato è fisicamente ed ideologicamente tiranno, meno pretese avrà di rieducare e punire, ma non può recedere dalla sua funzione preventiva, di monopolio della forza, che è la più difficile da abbattere e superare, quella in cui si intravede un male più necessario, perché più strutturale.






Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

giopap

Citazione di: niko il 19 Giugno 2020, 16:20:19 PM

Tre funzioni ha la giustizia: punire, rieducare, prevenire.


Personalmente non credo nel punire e nemmeno nel rieducare, l'aspetto che trovo più umano dell'assolutamente imperfetta giustizia umana è il prevenire.


Prevenire è reagire a un crimine guardando all'immensità e all'imprevedibilità del futuro, l'umano troppo umano: "che non si ripeta più!" davanti a quello che ci fa orrore. Probabilmente tutto si ripete, ma il vero coraggio per chi (nel presente) sente di aver subito un torto è provare a cambiare l'intangibile passato dal suo appiglio naturale nel "ciclo" del tempo, cioè appunto dal futuro. Spartirsi la totalità del tempo e il potere di determinarne la forma con il colpevole, il che prevede, se non il perdono, almeno l'accettazione.
Non si può cambiare il passato, il che vuol dire che anche chi ci ha fatto e ci fa del male, partecipa alla creazione del mondo tanto quanto noi. E' sul potere sul risultato finale, o meglio complessivo, che semmai si può lottare.

Ma il fatto ovvio che anche chi ci fa (e in generale fa) del male partecipa a determinare il presente e conseguentemente il futuro, almeno in qualche misura, non rende minimamente meno malvagio, meno da condannare, meno da vituperare, meno condannare, meno da punire il suo operato.

Ritengo, per esperienza personale, il perdono, in quanto dato e in quanto ricevuto, quanto di più più esaltante e gratificate sia dato di vivere.
Ma il perdono esige come una ineludibile conditio sine qua non il pentimento (oltre a buoni propositi per il futuro); e il pentimento esige come una ineludibile conditio sine qua non per essere considerabile sincero la richiesta di espiazione, cioé di un' adeguata pena (certamente esclude di necessità qualsiasi furbesca richiesta di sconti sul "debito da pagare con la giustizia" ma casomai richiede inasprimenti di pena).



Citazione di: niko il 19 Giugno 2020, 16:20:19 PM
Punire nasconde la pretesa intrinsecamente folle di cambiare il senso e il valore del passato e poggia sulla fede nel libero arbitrio (il colpevole avrebbe potuto fare diversamente, sennò perché punirlo?).

Dissento su tutta la linea.

Il punire (ed espiare) non pretende affatto di assurdamente (follemente: esatto) cambiare la realtà passata, ma casomai di emendarla, di "ripulirne le brutture" per quanto possibile, di compensare il male fatto e che non può più essere reso irreale accollando(se)lo al (il) colpevole in quanto "meritorio destinatario" di pena-espiazione (sempre nella limitata misura in cui sia possibile).

E a mio parere può logicamente fondarsi unicamente su una fede nel determinismo, ovvero nella negazione del libero arbitrio.

Infatti una punizione (espiazione) é meritata per un' azione malvagia determinata dalle proprie qualità morali, causata dalla propria malvagità che si intende per l' appunto (aiutare a) superare; non se é un evento indeterministico, ovvero casuale, ovvero fortuito, che cioè non sia dovuto alle ovvero determinato dalle qualità morali dell' autore ma dalla sorte eticamente insignificante.
Se uno decide per la sua malvagità di sterminare della gente con un mitra lo fa perché é un malvagio e come tale va punito; e se decide (deterministicamente e non casualmente, per un mutamento intervenuto nelle sua qualità morali e non per puro caso) di cambiare vita (per davvero, sinceramente), allora innanzitutto si premura di espiare il male operato in passato.
Ma se uno casualmente calpesta una mina non da lui piazzata e di cui ignora l' esistenza (inoltre non violando alcuna regola o men che meno disposizione di prudenza) producendo una strage, allora non compie alcuna opera malvagia di cui debba pentirsi ed essere punito (se, con molto culo, sopravvive, ovviamente), che debba espiare, ma solo un' azione straordinariamente sfigata; da non punire, di cui casomai dispiacersi fino alla disperazione, ma non pentirsi, da non punire, da non espiare (l' esempio, fra totale impossibilità di conoscere l' esistenza della mina, la totale assenza di motivi di prudenza da rispettare, e la salvezza del
""""colpevole"""" é ovviamente forzatissimo; ma serve per dare l' idea: il libero arbitrio é proprio esattamente questo: il compiere il -preteso!- """bene""" o li -preteso!- """male""" non deterministicamente, non in conseguenza delle proprie -pretese!- """qualità morali""" ma invece indeterministicamente, id est: a casaccio).   



Citazione di: niko il 19 Giugno 2020, 16:20:19 PM
Educare dipende come possibilità dall'incerta fede in un futuro anteriore, in un futuro che migliorerà solo dopo un certo determinato ed auspicato evento futuro, quello in cui il colpevole "diventa buono", "si converte", "riscopre la sua naturale bontà" eccetera; e poggia sull'intellettualismo etico socratico agitato come contrario esatto del libero arbitrio (il colpevole non avrebbe potuto fare diversamente, quindi povero deficiente rieduchiamolo), perché chi vuole rieducare pensa che il male sia nato da cattiva (falsa) conoscenza, e dunque il bene nascerà da conoscenza buona (vera). I rieducatori non capiscono che spesso c'è poco da rieducare, perché il colpevole sperimenta il male come accesso alla libertà, quindi dal suo punto di vista il male è bene.

Il colpevole, in assenza di libero arbitrio, non era (non necessariamente) né deficiente né ignorante; era (necessariamente) solo malvagio.
Ergo: o ammette di aver fatto del male, decide di cambiare e per prima cosa invoca un' adeguata punizione-espiazione; oppure persiste nella malvagità, non si cura di espiare ed essere punito, non si pente ma casomai finge -in ulteriore malvagità di intenti- di farlo (e di solito si sputtana immediatamente invocando sconti di pena, se non addirittura di farla franca al 100%).

Citazione di: niko il 19 Giugno 2020, 16:20:19 PM
Più in generale solo chi è in una condizione di superiorità può rieducare o punire (un inferiore); viceversa prevenire, stabilire delle norme anche formali e per la libertà indeterminata di tutti, anche in assenza della conoscenza o del perseguimento di un bene superiore determinato, o intrinsecamente diverso da quello che sceglierebbe ad arbitrio il singolo, è quello che si può fare anche tra pari.

Dunque se lo stato deriva dall'orda dei pari in lotta tra di loro, è ovvio che le funzioni punitive e rieducative dalla giustizia siano cronologicamente e logicamente subordinate a quelle preventive, perché, quantomeno se accettiamo il mito dello stato di natura e del contratto sociale, la prevenzione della violenza fonda lo stato, la punizione e la rieducazione del reo lo presuppongono (come esistente e già fondato). Meno lo stato è fisicamente ed ideologicamente tiranno, meno pretese avrà di rieducare e punire, ma non può recedere dalla sua funzione preventiva, di monopolio della forza, che è la più difficile da abbattere e superare, quella in cui si intravede un male più necessario, perché più strutturale.
Continua il mio dissenso su tutta la linea.

Infatti per me prima dello Stato c' é (e c' era) l' etica in quanto tendenze comportamentali innate (biologicamente spiegabili ma non giustificabili; cioé non dimostrabili essere buone ma avvertite interiormente come tali in ovvia, comprensibilissima conseguenza dell' evoluzione biologica per mutazioni genetiche casuali e selezione naturale (correttamente intesa "a la Gould", e non scorrettamente "a la Dawkins"). Tendenze comportamentali naturalmente innate ma, dopo l' origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato, in non trascurabile parte "culturalmente declinate" dall' ambiente storico, geografico, sociale.

viator

Salve niko.
Citazione di: niko il 19 Giugno 2020, 16:20:19 PM

Tre funzioni ha la giustizia: punire, rieducare, prevenire.



Neppure per sogno. Due funzioni ha la giustizia : creare un deterrente ed augurabilmente rieducare.


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A meno che tu intenda la prevenzione come la creazione di precedenti (pene temibili perciò esemplari) aventi appunto funzione di deterrenza, dissuasione preventiva. Ogni altra interpretazione di prevenzione giuridica è assurda in quanto la giustizia opera solo in conseguenza (quindi posteriormente) ai fatti di cui deve occuparsi.

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Il concetto di punizione (in sè retaggio di una mentalità e una cultura politeistiche) con la giustizia ha lo stesso rapporto che il sadismo ha con il sesso : procurare il piacere di qualcuno al prezzo della sofferenza di qualcun altro.

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Tutte le ulteriori considerazioni che fai seguire riguardano espetti etico-morali che quasi nulla hanno a che vedere con la efficacia delle istituzioni giudiziarie. Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

giopap

Citazione di: viator il 19 Giugno 2020, 19:17:34 PM

Il concetto di punizione (in sè retaggio di una mentalità e una cultura politeistiche) con la giustizia ha lo stesso rapporto che il sadismo ha con il sesso : procurare il piacere di qualcuno al prezzo della sofferenza di qualcun altro.



Anche il monoteismo ebraico e quello islamico, oltre che quello cristiano, hanno una loro concezione della giustizia implicante punizioni dei malvagi e dei rei.
Come anche tantissimi ateismi.
Che tutti costoro l' abbiano "ereditato" il concetto di punizione dai politeismi antichi, dai quali divergono spesso "diametralmente" su tantissime questioni, mi sembra poco credibile.
Anche perché non c' é niente nel concetto di punizione dei torti e delle colpe che implichi necessariamente alcun politeismo piuttosto che monoteismo, panteismo, ateismo, agnosticismo e chi più ne ha più n metta...


Che essere puniti non faccia piacere (tranne a chi sia sinceramente pentito) é ovvio.
E non é certo un buon motivo per non punire chi compie ingiustizie e malvagità.

niko


Sì Viator, con prevenire intendevo anche creare deterrenti, però appunto ho usato prevenire, e ho parlato di evitare la ripetizione nel futuro di quello che ci fa orrore, perché non volevo limitarmi (come fai tu) al concetto che la giustizia si applica solo posteriormente ai fatti: per quanto da un punto di vista tecnico e giuridico sia così, si applica solo a posteriori, da un punto di vista pratico e intuitivo, è abbastanza chiaro che se uno ammazza o stupra una volta, o tanto più due, o più volte, ha una probabilità molto maggiore di rifarlo ancora di uno che non lo ha mai fatto, quindi mettendolo in prigione di fatto previeni che lo rifaccia, e la pena non ha solo una funzione di deterrenza, ma anche di impedire la reiterazione del reato, cioè se soggetti ritenuti pericolosi non sono più in giro, ma per esempio sono in carcere, si suppone che la società in generale sia più sicura e sia meno probabile incontrare tali soggetti per strada, e questo è vero a prescindere anche dalla deterrenza, cioè dall'idea che essere messi in carcere sia brutto, e comporti sofferenza, e quindi sia un impedimento al progetto di delinquere per chi non trova impedimento solo nella sua morale, e ha bisogno di una minaccia concreta per convincersi in un senso o nell'altro.


In realtà prevenzione vuol dire: "se delinqui ti metto in condizione di non nuocere perché non rifaccia il reato tu", deterrenza vuol dire: "faccio in modo che questa condizione in cui ti metto se delinqui sia anche scomoda e disagevole, perché non facciano il tuo stesso reato altri", ma appunto si rimane in un concetto moderno e umanamente accettabile di "pena" finché lo scopo è impedire i reati, da parte del reo e anche da parte di chiunque potrebbe essere tentato di imitarlo o emularlo.  Quando invece tutto ciò diventa "punizione", cioè si infierisce sul reo in quanto tale, si pretende di cercare espiazione per il presente cambiando il significato valoriale del passato invece di metterci una bella pietra sopra e limitarsi a creare un futuro migliore, si entra in un territorio di integralismo in cui si suppone che la morale esista oggettivamente, e lo stato abbia il diritto di "punire" chicchessia.


E invece non si può punire nessuno perché in una società aperta le morali sono plurali, (per rispondere a Giopap), quello che spara per strada avrà le sue ragioni e nella sua mente malata è "nel giusto", e i veri colpevoli magari sono i poveracci a cui ha sparato, quindi che vogliamo fare? La sua interiorità è intangibile, e nella sua interiorità lui ha ragione, e chi lo punisce ha torto, per questo dico che il passato è intangibile, è custodito nella memoria delle vittime e dei colpevoli, che non lo vedono allo stesso modo, che di fatto, finché non si riconciliano, non fanno parte della stessa "storia". Due torti non fanno una ragione, altroché malvagi predestinati ad essere puniti, e i "malvagi" finché non si pentono, dal loro punto di vista avranno sempre ragione, e si sentiranno perseguitati dai "buoni", esattamente e specularmente come a soggettività invertite si sentono perseguitati i "buoni" da loro.


La ragione è sempre quella del più forte, e se in passato hanno dominato i malvagi, sicuramente in quello stesso passato hanno dominato anche le ragioni, dei malvagi. Se la storia da un certo punto in poi cambierà, vorrà dire che a quello che è stato succederà altro, e si creerà una totalità composta da quello che è stato (in passato) + altro,  non che quello che è stato sarà annullato, sostituito o cambiato. Può sembrare una banalità, ma è questa semplice verità che dimenticano quelli che credono in una morale oggettiva, e che in nome di essa vogliono "punire".
Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

giopap

#37
Citazione di: niko il 19 Giugno 2020, 21:56:19 PM
Quando invece tutto ciò diventa "punizione", cioè si infierisce sul reo in quanto tale, si pretende di cercare espiazione per il presente cambiando il significato valoriale del passato invece di metterci una bella pietra sopra e limitarsi a creare un futuro migliore, si entra in un territorio di integralismo in cui si suppone che la morale esista oggettivamente, e lo stato abbia il diritto di "punire" chicchessia.

E invece non si può punire nessuno perché in una società aperta le morali sono plurali, (per rispondere a Giopap), quello che spara per strada avrà le sue ragioni e nella sua mente malata è "nel giusto", e i veri colpevoli magari sono i poveracci a cui ha sparato, quindi che vogliamo fare? La sua interiorità è intangibile, e nella sua interiorità lui ha ragione, e chi lo punisce ha torto, per questo dico che il passato è intangibile, è custodito nella memoria delle vittime e dei colpevoli, che non lo vedono allo stesso modo, che di fatto, finché non si riconciliano, non fanno parte della stessa "storia". Due torti non fanno una ragione, altroché malvagi predestinati ad essere puniti, e i "malvagi" finché non si pentono, dal loro punto di vista avranno sempre ragione, e si sentiranno perseguitati dai "buoni", esattamente e specularmente come a soggettività invertite si sentono perseguitati i "buoni" da loro.


La ragione è sempre quella del più forte, e se in passato hanno dominato i malvagi, sicuramente in quello stesso passato hanno dominato anche le ragioni, dei malvagi. Se la storia da un certo punto in poi cambierà, vorrà dire che a quello che è stato succederà altro, e si creerà una totalità composta da quello che è stato (in passato) + altro,  non che quello che è stato sarà annullato, sostituito o cambiato. Può sembrare una banalità, ma è questa semplice verità che dimenticano quelli che credono in una morale oggettiva, e che in nome di essa vogliono "punire".

Accenno ulteriormente ai miei motivi di profondo dissenso in modo da contribuire a chiarire le diverse convinzioni in materia e alla conoscenza e alla valutazione critica di esse da parte di tutti.

Ritengo infatti che la morale esista oggettivamente; anche se non é dimostrabile razionalmente (come acutamente notava David Hume, non si può logicamente dimostrare il "dover essere" inferendolo dall' "essere") ma comunque in qualche misura di fatto (seppur non "di diritto") universalmente avvertita interiormente come  tendenze comportamentali (e a giudicare comportamenti propri e altrui) universali e costanti, ben spiegabili naturalisticamente, nell' ambito della "storia naturale"; e in qualche altra, complementare misura come altre tendenze complementari più particolari e concrete, variabili nel tempo e nello spazio (in parte anche reciprocamente contraddittorie), ben spiegabili culturalmente, nell' ambito della "storia umana").

Poiché di fatto esistono, alquanto ovviamente, sia comportamenti eticamente buoni sia comportamenti eticamente malvagi, in reciproca contraddizione e lotta, chi ben si comporta (i "virtuosi", per dirlo alla maniera degli antichi stoici) non può "mettere una pietra sopra il passato", così come non lo può fare chi si comporta male (i "viziosi").
Sarebbe un inammissibile arrendersi al male (da parte dei primi; o al bene da parte degli ultimi).

E' ovvio che anche i malvagi hanno le loro ragioni per agire (malvagiamente) esattamente come i buoni (per agire generosamente, magnanimamente). Altrimenti si darebbe libero arbitrio e i concetti di "bene" e di "male" non avrebbero senso.
Ma da ciò non consegue affatto (contrariamente a quanto pretenderebbe il pessimo -in realtà- "buonismo" politicamente corretto, che i buoni non debbano (più) agire bene (il che comprende anche l' infliggere le giuste punizioni per le azioni malvagie e ingiuste) per un preteso "rispetto del male e dei malvagi" che sarebbe in realtà malvagità.

Nella lotta fra il ben e il male i malvagi non si tirano indietro, ma di certo nemmeno gli autentici "virtuosi" (magnanimi, giusti, generosi).
Così va il mondo.
E non bisogna confondere magnanimità, generosità e giustizia con debolezza e tolleranza verso malvagità, grettezza e ingiustizia (questo é per l' appunto il pessimo cosiddetto "buonismo politicamente corretto", tanto diffuso in questi nostri tempi e luoghi di decadenza della civiltà umana).

Due torti sarebbero casomai quelli di chi compie un' ingiustizia e di chi non ne pretende la equa, "proporzionata" punizione ma invece la avalla, diventandone connivente e favoreggiatore (come le tre scimmiette simbolo dell' atteggiamento mafioso), non affatto quelli di chi compie un' ingiustizia e di chi ne pretende la punizione, che é parte integrante del rimediarvi nei limiti del possibile.

Per il fatto (del tutto ovvio) che i << "malvagi" finché non si pentono, dal loro punto di vista avranno sempre ragione, e si sentiranno perseguitati dai "buoni", esattamente e specularmente come a soggettività invertite si sentono perseguitati i "buoni" da loro>> non é che i buoni debbano calare le brache di fronte al male, lasciando campo libero ai malvagi, così divenendo conniventi del male steso (che sarebbe una forma "relativamente limitata" di malvagità), così come non lo fanno i malvagi stessi verso il bene: in entrambi i casi tecnicamente si tratterebbe di "conversione", dal bene al male e dal male al bene rispettivamente.

Per chi, come me, crede che la morale esista oggettivamente la ragione é sempre del giusto, anche se e quando non é il più forte e soccombe.
Però la "virtù", come sostenevano gli antichi stoici, sempre e comunque "é premio a se stessa".

Nella storia il passato può essere falsamente riscritto (e continuamente lo é da parte dei vincitori, specie se malvagi, ma non solo; anche perché ovviamente e anche un po' banalmente nessuno é perfetto, né nel male, né nel bene); ma mai rifatto, cambiato.
La lotta fra il bene (in generale un superiore sviluppo della civiltà; e oggi di fatto la sopravvivenza stessa dell' umanità) da una parte e il male (la decadenza e la barbarie; e oggi di fatto l' estinzione "prematura e di sua propria mano" -Timpanaro- dell' umanità e di tante altre specie viventi) é e sarà sempre aperta fino alla fine dell' umanità: in essa il tollerare il male da parte dei buoni significa tradire il bene e passare alla parte del male (e viceversa da parte dei malvagi).

Invito chi, "nietzchainamente" o "(pseudo-)buonistucamente", si scandalizzasse di fronte a questo "integralismo" (che a qualcuno potrebbe ricordare Robespierre e Stalin, personaggi da me infatti molto ammirati) a considerare i
drammaticissimi, pazzeschi pericoli che con indiscutibile evidenza sta correndo la sopravvivenza dell' umanità: il bene é anche coraggio, determinazione, forza d' animo, disponibilità a "sporcarsi le mani".

inquieto68

...la giusta ira nei confronti dell'ingiustizia,, legittimità o illegittimità dell'ira...buonismo, ipocrisia, negazione dell'ira.


Io apprezzo l'autocontrollo sull'aggressività e sulla rabbia, e anche sull'impulso di vendetta. Ma questo non per motivi di moralistico di "bon ton", nè di cieca e fantasiosa fiducia nella bontà dell'uomo.
L'autocontrollo non è autocensura o negazione dei propri sentimenti aggressivi.


Ciò che considero negativo non è l'ira in sè, ma l'abbandonarsi alle conseguenze del'ira agendo comportamenti distruttivi.


Il problema è che la rabbia è un'emozione secondaria, conseguenza/sintomo altre emozioni, dunque intrinsecamente ambigua.
Perciò abbandonarsi all'ira significa abbandonarsi ad una passione di per sé oscura. Anche l'odio (ad esempio quello razziale) è riconducibile ad emozioni di ira[/size]
Per dare un nome all'ira, occorre indagare le emozioni primarie che la generano, emozioni che possono essere molto diverse: invidia, gelosia, senso di minaccia, senso di ingiustizia, paura...