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L'Io e l'Altro

Aperto da 0xdeadbeef, 11 Marzo 2019, 20:43:56 PM

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tersite

Citazione di: paul11 il 04 Aprile 2019, 14:33:38 PM
 Sostengo che . La contraddizione insomma è ritenere che i fondativi non sono fondativi, sono diventati "virtuali" e che l'episteme che è la verità sia fondata invece sulla falsità fallibile, vale a dire tutto diventa opinione e relativismo. Il problema non è solo teorico o filosofico, non vogliamo ancora capire che le pratiche sociali e le istituzioni moderne sono anch'esse fondate (anzi in-fondate) su questa fallibile cultura e lo verifichiamo ormai ovunque. E' la prepotenza, l'arroganza, la forza a determinare la storia e le condizioni umane in cui sguazziamo e hanno addirittura l'alibi culturale che almeno un tempo non avevano. Oggi nemmeno il deterrente culturale può fermare la prevalenza del cretino perché anche l'indignazione popolare non ha più sostenitori culturali, tutti in balia del nulla.
Il sommo poeta aveva previsto tutto :

Piccolino, morta mamma,
non ha più di che campare;
resta solo con la fiamma
del deserto focolare;
poi le poche robe aduna,
mette l'abito più bello
per venirsene in città.
Invocando la fortuna
con il misero fardello,
Piccolino se ne va.

E cammina tutto il giorno,
si presenta ad un padrone:
- "Buon fornaio al vostro forno
accoglietemi garzone". -
Ma il fornaio con la moglie
ride ride trasognato:
- "Piccolino, in verità
il mio forno non accoglie
un garzone appena nato!
Non sei quello che mi va". -

Giunge al re nel suo palagio,
si presenta ardito e fiero:
- "Sono un piccolo randagio,
Sire, fatemi guerriero". -
Il buon Re sorride: - "Omino,
vuoi portare lancia e màlia?
Un guerriero? In verità
tu hai bisogno della balia!
Tu sei troppo piccolino:
Non sei quello che mi va". -

Vien la guerra, dopo un poco,
sono i campi insanguinati;
Piccolino corre al fuoco
tra le schiere dei soldati.
Ma le palle nell'assalto
lo sorvolano dall'alto
quasi n'abbiano pietà.
- "È carino quell'omino,
ma per noi troppo piccino:
non è quello che ci va!" -

Finalmente una di loro
lo trafora in mezzo al viso;
esce l'anima dal foro,
vola vola in Paradiso.
Ma San Pietro: - "O Piccolino,
noi s'occorre d'un Arcangelo
ben più grande, in verità.
Tu non fai nemmeno un Angelo
e nemmeno un Cherubino...
Non sei quello che ci va". -

Ma dal trono suo divino
Gesù Cristo scende intanto,
e sorride a Piccolino
e l'accoglie sotto il manto:
- "Perché parli in questo metro,
o portiere d'umor tetro?
Piccolino resti qua.
Egli è piccolo e mendico
senza tetto e senz'amico:
egli è quello che mi va...
O San Pietro, te lo dico,
te lo dico in verità!..."

G. Gozzano
Ogni definizione è artificiosa e in ciò è il suo potenziale evolutivo. (anonimo)

Ipazia

Aspettando la superiore risposta di davintro provo a dire la mia:

Citazione di: 0xdeadbeef il 04 Aprile 2019, 21:12:53 PM
perchè mai, secondo il ragionamento fenomenologico, non potrebbe "esistere" quella particolare idea che è Dio (come altre idee particolari, naturalmente)?

Certo che esiste, nel campo fenomenologico degli oggetti immaginari insieme a ippogrifi, demoni, angeli e personaggi letterari.

Citazione
Infatti quello che proprio non riesco a capire della Fenomenologia è il "dove" essa intenda porre il limite della, chiamiamola, "oggettivazione del fenomeno".

Più che di fenomenologia descrittiva qui si deve affrontare la questione del metodo scientifico induttivo-deduttivo e dell'ontologia che ne deriva.

Citazione
Dai tuoi discorsi mi sembra di poter capire che viene dato un certo peso all'intersoggettività, per cui l'oggettivazione del fenomeno avverrebbe nel: "richiamo al riconoscimento di un legame di corrispondenza e adeguazione tra le varie tipologie di modalità soggettive di esperienza e apprensione (noesi) e varie tipologie di oggetti (noemi)".
Beh (se così fosse), legittimo e congruo pensarlo, ma questo non mette certo al riparo dal rilievo che E.Severino fa al filosofo "neorealista" tedesco M.Gabriel (il quale parla di "oggettività all'interno di un campo"): "un campo", dice Severino, "è null'altro che un contesto, quindi un già interpretato".
Perchè esattamente questo è il punto: il fenomeno è un già interpretato; ed essendo un già interpretato ogni pretesa di renderlo "oggetto" deve fare i conti con le diverse interpretazioni che si danno del termine "oggetto".
Ora, queste interpretazioni, intendiamoci, possono anche avere una loro intrinseca validità (non è che io intendo equiparare l'opinione di un sapiente a quella di un pazzo); possono, ovvero, offrire un qualche genere di informazione attorno ad un qualcosa. Ma queste "informazioni" sono necessariamente parziali, e comunque relative ad un "campo" o contesto che dir si voglia, mi sembra evidente.
(ovvero: dalla relatività non si scappa - se non congetturando un assoluto)
saluti

L'intersoggettività è necessaria, ma il metodo scientifico fa anche di più quando sottopone il dato empirico alla macchina analitica, per cui il riscontro fenomenologico si avvale anche dell'"oggettività" di giudizio della macchina. Che il sapere che ne deriva sia relativo e contestuale al fenomeno indagato secondo un bias ben preciso (l'acqua del chimico non è quella del marinaio dell'agricoltore del lavoro domestico ...) è irrilevante perchè questa disciplina conoscitiva ottiene i risultati voluti completando il ciclo causale dalla materia alla sua finalizzazione pratica. Con annesse le istruzioni teoriche, l'episteme, sempre in aggiornamento.

Io capisco che per i parmenidei orfani dell'Essere e del Vero tutto ciò sia poco interessante, ma così funziona il sapere umano e anche Severino sono convinta che ne tenga conto in tutte le sue pratiche della vita reale. Funziona così anche quando manipola gli oggetti immateriali della creatività umana (le produzioni mentali care a sgiombo e non solo) perchè, come anche davintro osservava, la ratio è una sola. Tra gli oggetti immateriali la filosofia avrebbe il duro compito di distinguere tra realtà e supercazzole. Aiutandoci anche a capire il senso e la genesi di queste ultime. Questo la scienza non lo può fare da sola, però il suo ausilio è indispensabile per operare tale distinzione: come accade in tribunale quando si scomodano i periti.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

paul11

bah, mi aspetto che arrivi uno scientista riduzionista che neghi la mente e la coscienza in quanto indimostrabili... e fra l'altro contraddicendosi.


La fenomenologia di Heidegger e Levinas non pone più al di sopra dell'esistenza l'Essere. ma lo riporta come necessità del senso della vita ,dentro l'esistenza. Questo in estrema sintesi.

Che cosa lo dimostra? Il fatto che l'uomo pensi anche senza vedere ,sentire, ascoltare, anche isolandosi dal  dal mondo esteriore.
Chi contraddice questo ,contraddice la sua stessa contraddizione perchè non può esistere  un Io cogito,  Io penso, relegato alla dimostrazione veritativa  fisico-naturale . C'è un mondo mentale ,di coscienza, che nessuna scienza sperimentale riuscirà mai a dimostrare: eppure esiste. Questo è il punto, che supera empiristi scetticisti che credono che l'etica nasca dai sentimenti, se fosse vero le prossime elezioni le eseguiremo su schede in Facebook inserendovi le emoticons.Infatti questi social vengono tutti dala lcultura americanoide di derivazione anglofona che ha infatti i suoi epigoni in Hume da cui arriverà Stuart Mill, fino a far diventare l'etica "l'utilità Questo è "lo spirito che cementa i popoli"? Che ha costruito nazioni e Stati?

Ipazia

L'indimostrabile appartiene alla filosofia, non alla scienza. E' il margine da essa presidiato tra conosciuto e sconosciuto, purchè abbia l'accortezza di spostarsi essa stessa con quel margine. Spostamento che spesso è merito della scienza. Quindi la prospettiva di un sapere integrato e dialogante, posta da davintro, diventa cruciale.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

tersite

#229
Citazione di: paul11 il 05 Aprile 2019, 10:18:22 AM

bah, mi aspetto che arrivi uno scientista riduzionista che neghi la mente e la coscienza in quanto indimostrabili... e fra l'altro contraddicendosi.



ora, anche questo potrebbe essere fatto, ma diventerebbe noiosissimo farlo e di poca utilità.  
Siccome  io, tu e tutti quanti, sappiamo benissimo essere indimostrabili mente e coscienza;
siccome io, tu e tutti quanti, sappiamo benissimo che mente e coscienza sono "enti" di cui avvertiamo in ogni minuto l' esistenza e sono "davvero" gli unici enti con cui abbiamo a che fare,  di cui ci importa veramente, qualunque scientista (di cui non riesco a farmi un immagine se non quella del farmacista del paese in opposizione al curato) che volesse dimostrare l'inesistenza di mente e coscienza si ritroverebbe in una condizione (speriamo temporanea) di palese imbecillità.
Che poi la riconosca o no  diventa un suo problema e di chi sente la necessità interiore di combattere la stupidità.
Io apprezzo davvero la tua maniera di porti nei confronti della filosofia perché (sempre a mio giudizio) denota sincerità di intenti e di propositi.
La signorina in questione però non può darti nulla di quello che cerchi : risposte sicure, fondamenta incrollabili ed una guida (intendi la parola "guida" nel senso che gli dai tu, quello positivo, che in questo caso è quello giusto,quello senza le mie sofisticherie) che ti dica quel che succede quando intorno grandinano pietre (piove merda era più calzante e meno ieratico ma magari non si può...) perché non può.
Lei arriva o troppo tardi o troppo presto perché la mondanità del divenire la disgusta.
Quello che cerchi non esiste e rischi di trovarlo in quelle signorine che non sono la filosofia ma si vestono come lei.  
Rassegnati a non aver alcun fondamento che non sia la tua mente la tua sensibilità.
Tutto quel che rimane fuori non conta.  
La poesiola non era per sghignazzare, ma per indicare altre strade e livelli di comprensione; c'e' la filosofia e c'e' la poesia anche, quando la filosofia ha veramente scassato (perché capita anche quello eh?...) allora arriva sua sorella.

p.s.: mi rendo conto di aver fatto il prete; capita di tutto sui forum ;)
Ogni definizione è artificiosa e in ciò è il suo potenziale evolutivo. (anonimo)

0xdeadbeef

Se la Fenomenologia, per ipotesi, non ponesse alcun limite alla oggettivazione del fenomeno, è chiaro che
ciò si risolverebbe in una teoresi che dà per "esistenti" (nel significato etimologico del termine, che
suppone lo "stare" fuori dal soggetto interpretante, cioè di essere "altro" dall'"io") le idee.
Per cui, dicevo provocatoriamente, essa legittimerebbe persino la prova ontologica di S.Anselmo...
Così evidentemente non è, ma quel che non mi è per niente chiaro, dicevo, è il "dove" si pone questo
limite (dove, cioè, il fenomeno come "oggetto intenzionato", cioè come oggetto non necessariamente
"esistente" - spazialmente?) "oltre" il quale l'oggettivazione non avviene (oltre il quale, per fare
un esempio, il fenomeno in questione viene ritenuto l'elucubrazione irreale di un pazzo).
Dunque questo limite, da qualche parte, ci DEVE essere (quindi come individuarlo?)...
Per la mia pratica discorsiva, direbbero i semiologi, Paul11 inquadra benissimo il problema. Perchè
per il pensiero corrente, che è scientista, quel limite lo si individua con le modalità della scienza
anche se il problema cui quella ricerca del limite si riferisce non abbia nulla a che spartire con la
scienza, come ad esempio nel caso di un problema di ordine morale o riguardante la sfera del diritto e
della giustizia.
Questo, in estrema sintesi, il motivo che mi induce a ritenere che la Fenomenologia non abbia fatto altro
che riproporre il medesimo problema da una angolazione diversa (ma potrebbe poi essere diversamente?).
Non intendo certo sostenere che Kant abbia "risolto" e fornito il sapere definitivo. Più volte, negli
interventi, ho sottolineato come in Kant non vi fosse per nulla chiarezza, soprattutto nella sintesi da
lui tentata fra l'antico concetto stoico di "intuizione" e il concetto cartesiano del "cogito", o come
nella sua teoresi vi fosse un netto "stacco" fra il non sapere decretato dalla Ragion Pura e l'imperativo
categorico della morale (teorizzabile solo e soltanto postulando Dio) nella Ragion Pratica.
Solo che non mi sembra la Fenomenologia aggiunga molto nella chiarificazione di queste problematiche. Ma
anzi, che esplicitamente teorizzando la trasformazione del fenomeno in essenza (quindi rimuovendo in
radice la distinzione kantiana di fenomeno e noumeno), abbia contribuito in maniera determinante a
far sì che il paradigma dominante (quello scientifico) non abbia più freno alcuno e sia libero di
esplicarsi ad ogni ambito (risultando in definitiva una diversa versione della sintesi idealistica).
saluti

davintro

Citazione di: 0xdeadbeef il 04 Aprile 2019, 21:12:53 PMA Davintro Nell'intervento #150, in risposta a Sgiombo, affermavi: "perché si dia scienza della realtà è necessario che all'interno della sfera dei fenomeni, accanto alle intuizioni sensibili, che manifestano la cosa senza necessariamente corrisponderne alla loro realtà (ipotesi dell'allucinazione o del genio ingannatore"), vengano comprese anche le intuizioni intellettuali, quelle tramite cui l'oggetto è visto come essenza ideale". Ora, intendi la battuta sulla prova ontologica di S.Anselmo per quel che è: una caricatura della Fenomenologia. Dunque certamente una estremizzazione del concetto; ma che come tutte le estremizzazioni non sarebbe possibile senza qualcosa da estremizzare... Ho capito che viene messa in sospensione l'esistenza; ma cos'è l'esistenza? Con il termine è solo da intendersi la "res extensa" o anche, come io ritengo corretto fare, la "cogitans"? E se "esistesse" la "res cogitans", perchè mai, secondo il ragionamento fenomenologico, non potrebbe "esistere" quella particolare idea che è Dio (come altre idee particolari, naturalmente)? Infatti quello che proprio non riesco a capire della Fenomenologia è il "dove" essa intenda porre il limite della, chiamiamola, "oggettivazione del fenomeno". Dai tuoi discorsi mi sembra di poter capire che viene dato un certo peso all'intersoggettività, per cui l'oggettivazione del fenomeno avverrebbe nel: "richiamo al riconoscimento di un legame di corrispondenza e adeguazione tra le varie tipologie di modalità soggettive di esperienza e apprensione (noesi) e varie tipologie di oggetti (noemi)". Beh (se così fosse), legittimo e congruo pensarlo, ma questo non mette certo al riparo dal rilievo che E.Severino fa al filosofo "neorealista" tedesco M.Gabriel (il quale parla di "oggettività all'interno di un campo"): "un campo", dice Severino, "è null'altro che un contesto, quindi un già interpretato". Perchè esattamente questo è il punto: il fenomeno è un già interpretato; ed essendo un già interpretato ogni pretesa di renderlo "oggetto" deve fare i conti con le diverse interpretazioni che si danno del termine "oggetto". Ora, queste interpretazioni, intendiamoci, possono anche avere una loro intrinseca validità (non è che io intendo equiparare l'opinione di un sapiente a quella di un pazzo); possono, ovvero, offrire un qualche genere di informazione attorno ad un qualcosa. Ma queste "informazioni" sono necessariamente parziali, e comunque relative ad un "campo" o contesto che dir si voglia, mi sembra evidente. (ovvero: dalla relatività non si scappa - se non congetturando un assoluto) saluti

per quanto riguarda l'esistenza, non so se è ho capito bene la questione, direi che fenomenologicamente il problema di stabilire l'esistenza degli oggetti viene metodologicamente sospesa, ma anche che possa essere in un successivo passaggio recuperato, nella misura in cui il riconoscimento dell'esistenza appare necessario al darsi fenomenico dei vissuti coscienti, all'idea di Dio, come di ogni altra idea di oggetto potrà associarsi un'esistenza sulla base di tale condizione. Ecco perché a mio avviso (ma non saprei quanto nella lettura fenomenologica questo passaggio sia esplicitato, come sempre cerco di dare una mia interpretazione sulla base di come reputo più consequenziali i risvolti sulla base di determinate premesse) lo sbocco ontologico più coerente con la fenomenologia sia un "realismo trascendentale", cioè riconoscere l'autonomia di un livello minimo di realtà sufficiente a rendere ragione della struttura della coscienza, cioè il punto di partenza indubitabile del metodo: mentre sul piano metodologico un margine di realtà oggettiva è riconosciuto come condizionato alla necessità di rendere ragione della coscienza, a livello ontologico tale realtà oggettiva esisterebbe indipendentemente da essa. I due punti di vista sono compatibili perché rispondono a questioni tra loro diversa, la prima "come arrivo a conoscere", la seconda "cosa conosco". La sovrapposizione delle due questioni è tipica dell'idealismo storicista che vede la ricerca della verità, il suo metodo come determinante il contenuto reale di ciò che arrivo a conoscere, distinguendo (non separando) i due piani la fenomenologia mostra di poter respingere tale accusa di idealismo

Per il resto direi che la delimitazione degli oggetti, sulla base della loro correlazione intenzionale con la tipologia di atti soggettivi tramite cui ci rivolgiamo verso di loro e attribuiamo loro un senso, può essere intesa come una sorta di relativismo, o comunque di relatività inficiante le possibilità di una conoscenza oggettiva e razionale, solo non considerando la differenza che passa fra "parzialità" e "relatività". La parzialità dell'oggetto lo delimita quantitativamente, lo intende come non esaustivo della realtà, ma contestuale al punto di vista delle modalità di coscienza soggettiva a cui è intenzionalmente correlato, la "relatività del giudizio lo svaluterebbe nella possibilità di essere un campo entro cui concepire un sapere razionale, basto su fondamenti certi o evidenti. Il primo aspetto non determina il secondo, il fatto che un certa tipologia di oggetti non rappresenti la totalità degli strati della realtà indica la non estendibilità ad infinitum del campo di applicazione del sapere ad essa correlato, ma non la sua arbitrarietà e contingenza. Fissare un sistema di conoscenze riguardante i principi apriori della realtà non vuol dire negare il mistero dell'alterità della realtà nel suo complesso rispetto alle nostre pretese conoscitive, ma stabilire un livello di conoscenze fondamentali e trascendentali che tutte le altre scienze riguardanti gli altri livelli sono chiamate, anche implicitamente, a rispettare e applicare, anche se poi nel loro lavoro di ricerca estendono il materiale della conoscenza ben al di là di quel livello: in sintesi, il fatto che una casa non coincida con le fondamenta (parzialità delle fondamenta), non vuol dire negare la solidità di queste ultime (solidità e non relatività della capacità delle fondamenta di sostenere il peso del resto della struttura)

tersite

Citazione di: davintro il 05 Aprile 2019, 16:45:58 PM
Fissare un sistema di conoscenze riguardante i principi apriori della realtà non vuol dire negare il mistero dell'alterità della realtà nel suo complesso rispetto alle nostre pretese conoscitive, ma stabilire un livello di conoscenze fondamentali e trascendentali che tutte le altre scienze riguardanti gli altri livelli sono chiamate, anche implicitamente, a rispettare e applicare, anche se poi nel loro lavoro di ricerca estendono il materiale della conoscenza ben al di là di quel livello: in sintesi, il fatto che una casa non coincida con le fondamenta (parzialità delle fondamenta), non vuol dire negare la solidità di queste ultime (solidità e non relatività della capacità delle fondamenta di sostenere il peso del resto della struttura)

Esattamente l'impostazione adottata da J.S.Gould per fondare  "La struttura della teoria dell'evoluzione" il suo lavoro di una vita intera.
La potrebbero mettere come riassunto a cinquanta pagine di introduzione.
Sei in buona compagnia.
Ogni definizione è artificiosa e in ciò è il suo potenziale evolutivo. (anonimo)

sgiombo

Citazione di: davintro il 04 Aprile 2019, 21:38:39 PM

ho l'impressione, ma potrei benissimo sbagliarmi, che la tua posizione, più o meno tra le righe, presupponga l'idea della non coincidenza tra "scienza" (operante su materiale appreso dai sensi e sulla base di una metodologia empirica) e "razionalità", che sarebbe ciò che caratterizzerebbe la critica filosofica atta a riflettere sulle condizioni di validità delle scienze, sui loro limiti, fondamenti ecc. O meglio, questa distinzione terminologia mi sembrerebbe l'unica soluzione per evitare che, una volta che si pone come unico materiale della scienza quello sensibile, la critica che studia concetti aventi un senso intelligibile come quelli riferiti alle strutture trascendentali della conoscenza, dovrebbe scadere nel dogmatismo. Basterebbe distinguere "razionalità" come procedimento teso a dedurre speculativamente da giudizi analitici a priori, riferito a enti intelligibili dell'epistemologia, così da intenderla anche se non scientifica, comunque razionale e dunque non dogmatica, dalla "scienza" come applicazione della razionalità alla natura fisica, identificandola col modello delle scienze naturali, il modello galileiano. Mi sembra chiaro che se invece scienza e razionalità si identificano, come nel concetto di "episteme" greca, cioè si intende "scienza", come qualunque discorso fondato su argomenti e principi di verità che ne fondino e legittimino la pretesa di rispecchiare la realtà, contrapponendola alla "doxa", all'opinione arbitraria e infondata, allora cadrebbe il veto ad allargare il campo della scienza, non solo alle scienze naturali, ma anche alla critica kantiana, applicata a un contenuto sovrasensibile, e dunque alla metafisica stessa, a prescindere dal fatto che un sapere di questo tipo non allarghi la conoscenza a nuovi fenomeni (essendo fondata sulla deduzione analitica e non sulla sintesi empirica). Ma in fondo, direi, una volta intesa la filosofia come sapere dei principi fondamentali, immutabili della realtà, il fatto che questo sapere non proceda progressivamente per acquisizioni, ma esplicitando dialetticamente delle implicazioni già logicamente conseguenti al significato apriori dei concetti, non sarebbe un difetto, ma qualcosa di coerente con il livello della realtà che le interessa, cioè non quello della molteplicità di enti di cui fare esperienza uno alla volta, ma quello di un sistema di verità necessariamente interconnesse fra loro, per cui partendo da una di queste si deducono tutte le altre in modo rigoroso e non contingente


Per me sia la scienza (le scienze naturali), sia la filosofia (l' ontologia) sono teorie razionali, pensieri razionali circa la realtà, che tentano di conoscere (il più veracemente possibile) ciò che é / accade realmente.
Differiscono per i loro oggetti.
Cioè l' ontologia filosofica cerca di conoscere la realtà in toto nelle sue caratteristiche più generali complessivamente considerate, mentre le scienze naturali cercano di conoscere i fenomeni materiali, costituenti la (parte della) realtà (che é) fenomenica materiale - naturale negli aspetti generali astratti universali e costanti del suo divenire.
Naturalmente la filosofia comprende, oltre all' ontologia, anche la gnoseologia, cioè l' analisi critica razionale e (il tentativo di realizzare) la fondazione (di trovare i criteri di giustificazione in quanto vera) della conoscenza, in generale e scientifica in particolare.
 
Quindi sì, mi sento certamente di condividere la distinzione della "razionalità" come procedimento teso a dedurre speculativamente da giudizi analitici a priori, riferito a enti intelligibili dell'epistemologia, così da intenderla anche se non scientifica, comunque razionale e dunque non dogmatica, dalla "scienza" come applicazione della razionalità alla natura fisica, identificandola col modello delle scienze naturali, il modello galileiano.
 
Non ho dunque problemi ad attribuire anche carattere razionale alla critica kantiana, applicata a un contenuto sovrasensibile, e dunque alla metafisica stessa, a prescindere dal fatto che un sapere di questo tipo non allarghi la conoscenza a nuovi fenomeni (essendo fondata sulla deduzione analitica [ipotetica, però, priva della certezza dei dati empirici, non dimostrabile logicamente se non in quanto possibile -non certa- né provabile empiricamente] e non sulla sintesi empirica): non contesto a Kant una pretesa "illegittimità" di fare dell' ontologia che non si autolimiti alle scienze empiriche o una pretesa irrazionalità di tutto ciò che esulasse da queste ultime.
Semplicemente non condivido (se non limitatamente a determinati aspetti, come l' esistenza di un realtà in sé o noumeno, sulla quale ho peraltro diverse convinzioni, oltre a quella fenomenica, materiale e anche mentale alla materiale non identificabile, riducibile, emergente, sopravveniente, ecc.) la sua ontologia (che ritengo) giustamente non limitata alla materia scientificamente conoscibile.
E inoltre sottolineo l' aspetto ipotetico, non razionalmente fondato, credibile solo irrazionalmente per fede della metafisica del noumeno.
 
Ciò che di Kant recisamente rifiuto, ritenendola errata e falsa é la pretesa che possano darsi giudizi sintetici a priori (oltre che analitici a priori, certi ma conoscitivamente sterili, e sintetici a posteriori, conoscitivamente fecondi ma dubbi).
Credo che un sapere che non proceda progressivamente per acquisizioni (per giudizi sintetici a posteriori), ma esplicitando dialetticamente delle implicazioni già logicamente conseguenti al significato a priori dei concetti (per giudizi analitici a priori, non dandosi giudizi sintetici a priori), sarebbe certamente qualcosa di coerente e anche di certo, ma non una reale conoscenza (di come é - diviene e/o non é - non diviene la realtà); che non abbia nulla a che fare con la molteplicità di enti di cui fare esperienza uno alla volta, ma invece solo con un sistema di verità necessariamente interconnesse fra loro, per cui partendo da una di queste si deducono tutte le altre in modo rigoroso e non contingente, ma tutto ciò per il semplice fatto che si tratta i arbitrari costrutti logici e non di giudizi circa la realtà (o meno): postulati matematici, ecc., e non fatti reali (denotazioni o intensioni reali di concetti ma concetti aventi unicamente connotazioni o estensioni cogitative).
Al limite (é il caso della metafisica del noumeno) con ipotesi credibili per ma non dimostrabili fede (e da ma creduti per fede in quanto spiegano benissimo tante altre mie credenze, più razionalmente fondate).

sgiombo

Mente e coscienza non hanno alcun bisogno di essere dimostrate, per il semplice fatto che si constatano empiricamente, esattamente come le cose materiali.

Le uniche differenze sono che contrariamente a queste non sono misurabili quantitativamente né credibili (ma non affatto dimostrabili!) essere intersoggettive.

Ma non per questo sono affatto meno reali!

0xdeadbeef

#235
Dice Davintro: (scusandomi per la citazione fatta non canonicamente)
"Fissare un sistema di conoscenze riguardante i principi apriori della realtà non vuol dire negare il mistero dell'alterità della realtà nel suo complesso rispetto alle nostre pretese conoscitive, ma stabilire un livello di conoscenze fondamentali e trascendentali che tutte le altre scienze riguardanti gli altri livelli sono chiamate, anche implicitamente, a rispettare e applicare, anche se poi nel loro lavoro di ricerca estendono il materiale della conoscenza ben al di là di quel livello"

Ciao Davintro
Il problema è semmai chi "fissa un sistema di conoscenze riguardante i principi apriori della realtà".
Perchè, e nella scienza economica è palese, certi principi non vengono fuori così, per "puro
amore della conoscenza", ma per precisi interessi particolari.
Ma anche nella scienza giuridica, lo "stabilire un livello di conoscenze fondamentali" non si
identifica certo con un "algido" ed impersonale rigore scientifico; bensì, tipicamente, con una ben più
pragmatica "costituzione", che come risaputo viene stabilita dalla forza militare.
E, naturalmente, gli esempi potrebbero continuare...
A parer mio c'è da notare piuttosto come il termine "scienza" venga usato con molta insistenza (e
direi anche disinvoltura, vista la problematicità dell'applicazione del metodo scientifico a certi
aspetti dell'esistente)
A caso? Non direi, visto che come afferma Severino l'apparato tecno-scientifico è lo strumento più
efficace di cui la volontà di potenza dominante può disporre.
Perchè temo proprio che chi "fissa un sistema di conoscenze riguardante i principi apriori della
realtà" non siano tanto dei seriosi scienziati quanto degli scaltri uomini di potere...
Non che il potere politico e economico si sia visto solo dopo l'intuizione kantiana del fenomeno e
la successiva trasformazione fenomenologica di questo in essenza, o dopo la scoperta della relatività,
ci mancherebbe solo che credessi questo.
Però è stato (anche) sulla base di questi processi che si è costruito l'odierno scientismo. Che, ricordo,
non solo è l'estensione indebita del metodo scientifico ad ogni aspetto dell'esistente; ma anche
l'estensione, sempre indebita naturalmente, della "verità epistemica" (cioè della verità incontrovertibile)
al metodo scientifico.
E tutto questo avviene appunto perchè si è abbandonata l'autentica relatività del "campo", o "contesto"
(nel senso cui lo descrivevo nei precedenti interventi), in favore appunto di un "sistema di conoscenze
fisso che riguarda i principi apriori della realtà".
saluti

sgiombo

Citazione di: 0xdeadbeef il 04 Aprile 2019, 21:12:53 PM

Perchè esattamente questo è il punto: il fenomeno è un già interpretato; ed essendo un già interpretato ogni
pretesa di renderlo "oggetto" deve fare i conti con le diverse interpretazioni che si danno del termine "oggetto".
Ora, queste interpretazioni, intendiamoci, possono anche avere una loro intrinseca validità (non è che io intendo
equiparare l'opinione di un sapiente a quella di un pazzo); possono, ovvero, offrire un qualche genere di
informazione attorno ad un qualcosa. Ma queste "informazioni" sono necessariamente parziali, e comunque relative
ad un "campo" o contesto che dir si voglia, mi sembra evidente.
(ovvero: dalla relatività non si scappa - se non congetturando un assoluto)

Insisto sulla necessità di distinguere due diverse questioni nelle quali può accadere che si impieghino i termini "fenomeno" e "noumeno" in due modi diversi (dando origine complessivamente a quattro diversi concetti, reciprocamente correlati a due a due).

Prima questione: realtà in quanto apparenza (fenomeno1) o in sè, indipendentemente dall' eventuale apparire, dall' accadere anche di sensazioni fenomeniche (noumeno1).

Secondo me é il senso in cui impiegava questi termini Kant (ma non sono in grado e non ho alcuna intenzione di sostenere una discussione filologica sugli scritti del grande konigsbergese).

A questo proposito con Hume (che non usava questi due concetti ma trattava questa questione con altre parole) credo che di tutto quanto esperibile l' "esse est percipi": ciò che percepiamo sensibilmente o mentalmente é percezione, evento di coscienza (materiale o mentale), reale unicamente se e quando accade e in quanto tale: fenomeno1.

Se qualcosa esiste realmente anche allorché non esistono - accadono fenomeni materiali o mentali (se e quando non esistono né gli enti ed eventi materiali né quelli mentali dell' esperienza cosciente: per esempio ipotetici soggetti e oggetti di essa, comunemente considerati essere reali anche quando non percepiscono coscientemente alcunché) non può essere (costituito da) sensazioni ovvero fenomeni materiali o mentali (mostruosissima contraddizione essendo il pretendere che siffatto genere di eventi accada realmente anche se e quando non accade realmente). Può essere unicamente qualcosa di congetturabile e non sensibile (noumeno1 e non fenomeno 1).



Seconda ben diversa questione: realtà (solitamente fenomenica1 di fatto; ma il ragionamento vale indipendentemente dalla prima questione: potrebbe anche trattarsi di noumeno1 in teoria) indipendentemente dall' essere anche eventualmente pensata (possibile denotazione o estensione reali di eventuali pensieri: es. cavalli; "per la cronaca sono fenomeni1", ma qui non ci interessa) == noumeno2; oppure realtà unicamente cogitativa, in quanto connotazione o intensione di concetti privi di denotazione o estensione reale; es ippogrifi == fenomeno2

Il fatto che i noumeni2 possano eventualmente anche essere pensati (coesistere a fenomeni2 costituiti dalle connotazioni o estensioni cogitative di concetti dei quali i noumeni2 stessi sono denotazioni o estensioni reali -o meno- non cambia per nulla la natura reale di essi: il fatto che un cavallo reale (noumeno2) possa essere pensato diversamente (fatto oggetto di considerazioni cogitative diverse), "diversamente interpretato soggettivamente" (per esempio come fonte di bistecche da parte di un simpatico zoticone calabrese o come possibile destriero da usare per giocare a polo da parte di un antipatico dandy britannico) non influisce minimamante in alcun senso sulla sua natura reale di cavallo: che sia pensato "golosamente" a Crotone o "ludicamente" a Cambridge o che non sia pensato in alcun modo da nessuna parte da parte di alcuno, o che sia pensato in qualsiasi altro modo, resta sempre e comunque "tale e quale".

sgiombo

Fino a prova contraria si può benissimo usufruire strumentalmente e anche godere come di un arricchimento interiore fine a se stesso della conoscenza scientifica (nel campo limitato del mondo materiale - naturale che le compete), magari essendo razionalmente consapevoli (da filosofi) dei suoi limiti, condizioni di verità, degli elementi di insuperabile fideismo che implicano, ecc., e gettare come si conviene nella spazzatura indifferenziata non riciclabile lo scientismo, criticare razionalmente il potere e lottare efficacemente contro di esso.


Fra scientismo e severinismo-heideggerismo tertium datur!

Ipazia

Un fideismo che vi permette di cianciare via internet  8)
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

sgiombo

Citazione di: Ipazia il 05 Aprile 2019, 21:55:34 PM
Un fideismo che vi permette di cianciare via internet  8)



No, guarda che fideismi acritici sono proprio il severinismo - heideggerismo e lo scientismo.

Mentre il tertium che datur é una sana filosofia critica razionalistica.