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L'Io e l'Altro

Aperto da 0xdeadbeef, 11 Marzo 2019, 20:43:56 PM

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Lou

Citazione di: tersite il 01 Aprile 2019, 00:54:12 AM
Levinas (fatta salva la sua profondissima umanità e il valore incontestabile valore della sua etica) non fa altro che reintrodurre dio nella speculazione filosofica..è sufficiente leggerlo.
Su questo sono assai d'accordo, tant'è che ritengo la fenomenologia di Levinas una fenomenologia declinata in chiave religiosa.
"La verità è brutta. Noi abbiamo l'arte per non perire a causa della verità." F. Nietzsche

sgiombo

Citazione di: 0xdeadbeef il 31 Marzo 2019, 22:05:22 PM
Citazione da: sgiombo - 31 Marzo 2019, 20:05:38 pm
Citazione
Dici: "criterio sicuro indubitabile di realtà" é la constatazione". Bene: la constatazione da
parte di chi? Cos'è che dà "validità" alla constatazione? L'autorità di chi constata? La
maggioranza dei constatanti? Che altro?
Citazione
Citazione

CitazioneLa verifica empirica intersoggettiva (possibile da parte di qualsiasi constatante).

A Sgiombo
A parer mio se l'intersoggettività è il criterio di discernimento del fatto dall'interpretazione
(come affermi esplicitamente), allora per coerenza dovresti ammettere che ciò che dice la maggioranza
degli interpretanti è "fatto", mentre quel che dice la minoranza è "interpretazione" ("maior pars,
melior pars", insomma).
Citazione
Ma che sciocchezza!

L' intersoggettività postulata e indimostrabile dei fenomeni materiali é il fatto che tutti (=qualsiasi constatante) per lo meno in linea teorica di principio possono convenire (nelle loro "interpretazioni", nei loro predicati o giudizi) su quei fatti che sono le caratteristiche e i rapporti quantitativi dei fenomeni materiali stessi e del loro divenire (come presuppone la scienza).



A mio giudizio non si può dire che il criterio è "la verifica empirica intersoggettiva", perchè
per l'empiria l'oggetto è "immediatamente presente" al soggetto (come dico in altri interventi
descrivendo il concetto di "intuizione", dallo Stoicismo a Kant), senza nessun bisogno di "maggioranze"
che qualifichino il risultato raggiunto.
saluti
Citazione
Infatti le maggioranze e le minoranze (chi le avrebbe mai tirate in ballo?) c' entrano come i cavoli a merenda.

Ma ciò è "immediatamente presente" al soggetto (di esperienza fenomenica; ed eventualmente anche di predicato, eventualmente anche di conoscenza, eventualmente anche scientifica circa l' esperienza fenomenica) é fenomeni: "esse est percipi" (Berkeley).
Non é altro che eventi fenomenici (apparenti) di coscienza, nell' ambito del' esperienza cosciente stessa, e non affatto oggetti "in sé" reali indipendentemente (anche a prescindere) da essa.

Ipazia

Citazione di: tersite il 31 Marzo 2019, 19:09:43 PM
Perché il noumeno è l'ennesima immagine di dio.  L'errore sta tutto lì, quando si scrive\pensa della "inconoscibiltà" si finisce "gravitazionalmente" attratti dal pianeta concettuale "dio".  
Vorrei proprio sapere da dove nasce questo concetto di inconoscibilità se non come  ricalco della "conoscenza perfetta" guarda caso appartenente a dio.
Infatti i postulanti di entrambi postulano lo stesso ente inconoscibile facendo ontologia laddove si dovrebbe fare soltanto gnosi. Gnosi dalla quale non li salva nemmeno l'escamotage concettualistico proposto da Lou perchè, fatti salvi i piani del discorso, chi venera la cosa in sè la considera un oggetto sensibile al pari di Dio e non si limita a concettualizzare nemmeno alla guisa del biscomunicato Spinoza.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Ipazia

#168
Citazione di: Lou il 31 Marzo 2019, 21:20:12 PM
Le idee non sono oggetti sensibili, pertanto l'oggetto "in" sè (noumeno) non è l'oggetto "per" me (fenomeno).
E con ciò liquidiamo il noumeno dal mondo sensibile e lo consegnamo al regno che gli compete delle astrazioni antropologiche. Teniamoci invece il fenomeno che è l'approdo umano all'esperienza sensibile. Degno di ontologicizzarsi in contesti in cui recita tutte le parti, comprese quelle metafisicamente e mitologicamente riservate alla "cosa in sè". Dei cui cultori comprendo l'imbarazzo, che non è scansabile declinandolo all'inconoscibile, ma piuttosto all'indefinibile, fantasma consegnato al tempo da un apeiron che rivela i suoi confini ontologici nell'ambito semantico del concetto. E da quella gabbia, fenomenologicamente metafisica seppur sublime, non può fuggire.

(1000 e non più 1000 ?....)
.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

sgiombo

#169
Citazione di: Ipazia il 01 Aprile 2019, 21:01:24 PM

Citazione da: tersite - 31 Marzo 2019, 19:09:43 pm
CitazionePerché il noumeno è l'ennesima immagine di dio.  L'errore sta tutto lì, quando si scrive\pensa della "inconoscibiltà" si finisce "gravitazionalmente" attratti dal pianeta concettuale "dio".  
Vorrei proprio sapere da dove nasce questo concetto di inconoscibilità se non come  ricalco della "conoscenza perfetta" guarda caso appartenente a dio.

Infatti i postulanti di entrambi postulano lo stesso ente inconoscibile facendo ontologia laddove si dovrebbe fare soltanto gnosi. Gnosi dalla quale non li salva nemmeno l'escamotage concettualistico proposto da Lou perchè, fatti salvi i piani del discorso, chi venera la cosa in sè la considera un oggetto sensibile al pari di Dio e non si limita a concettualizzare nemmeno alla guisa del biscomunicato Spinoza.


(Questa é una reazione stizzita; non ho difficoltà ad ammetterlo, in quanto la ritengo giustificatissima).

Ma "chi vi autorizza" ad identificare (quali fondamenti mai avrebbe il farlo, oltre ad un mero pregiudizio arbitrario) il noumeno con Dio e addirittura ad attribuire  ad esso una "venerazione" da parte di chi lo propone come ipotesi razionalmente esplicativa metafisica (e metapsichica; letteralmente "al di là dei fenomeni sia materiali che mentali)?

Metafisica =/ teologia !

Questa è una vostra del tutto gratuita, arbitraria interpretazione del pensiero altrui.

Che per quel che riguarda me in particolare destituisco di ogni fondamento: la mia (ma in realtà non solo) concezione del noumeno non consente alcuno "sbandamento" interpretativo verso il soprannaturale, ma é invece perfettamente compatibile col naturalismo (e ovviamente l' ateismo) delle scienze naturali: non c'é proprio nulla di "personale", né men che meno di "provvidenziale" nel noumeno, che non ha nulla a che vedere nemmeno col deismo (figurarsi col teismo) ! ! !

sgiombo

Citazione di: Ipazia il 01 Aprile 2019, 22:49:44 PM
E con ciò liquidiamo il noumeno dal mondo sensibile e lo consegnamo al regno che gli compete delle astrazioni antropologiche. Teniamoci invece il fenomeno che è l'approdo umano all'esperienza sensibile. Degno di ontologicizzarsi in contesti in cui recita tutte le parti, comprese quelle metafisicamente e mitologicamente riservate alla "cosa in sè". Dei cui cultori comprendo l'imbarazzo, che non è scansabile declinandolo all'inconoscibile, ma piuttosto all'indefinibile, fantasma consegnato al tempo da un apeiron che rivela i suoi confini ontologici nell'ambito semantico del concetto. E da quella gabbia, fenomenologicamente metafisica seppur sublime, non può fuggire.

(1000 e non più 1000 ?....)
.


Innanzitutto non vedo quale imbarazzo ci sarebbe da parte mia di sostenitore del noumeno, che tu (allucinatoriamente) ti illudi di comprendere (conditio sine qua non di essere compreso essendo l' esistere-accadere).

Inoltre quello del noumeno (credo di poter dire anche per Kant e per la fenomenologia; da cui personalmente dissento) non é il "regno delle astrazioni antropologiche" (é ben diversa cosa dalle idee platoniche), bensì quello dell' ontologia (in particolare metafisica e metapsichica, in una parola metafenomenica).

Il "regno" dei fenomeni, dell' esperienza sensibile non ha alcun bisogno di "ontologizzarsi" essendo già di per sé "ontologico" (reale).
Piuttosto a mio parere "ha bisogno" di essere integrato (o meglio: noi si ha bisogno di integrarlo, nell' ambito della nostra ontologia) dal noumeno perché siano spiegate (perché si comprenda che cosa si intende quando le si pensa; o si crede di pensarle senza comprendere bene di che si parla) cose come la (indimostrabile ma indispensabile per la conoscenza scientifica) intersoggettività dei fenomeni materiali e i rapporti cervello-coscienza.
Quindi si tratta di un concetto ben sensato (con una connotazione o intensione logicamente coerente) di cui non é provabile (ma nemmeno é provabile che non ci sia) la denotazione o intensione reale (ma é utilissima a comprendere importantissimi aspetti della realtà).

Che l' esistenza reale del noumeno non sia provabile (logicamente o empiricamente) non mi sembra poi così grave: se dovessimo credere solo a ciò che é provabile (logicamente o empiricamente) non potremmo sortire dal solipsismo, ma nemmeno semplicemente dal più radicale scetticismo; e allora dovremmo considerare un "fantasma consegnato al tempo da un apeiron che rivela i suoi confini ontologici nell'ambito semantico del concetto", chiuso in una "gabbia, fenomenologicamente [ ? ? ? ] metafisica seppur sublime", da cui "non può fuggire" (fra l' altro, anche) l' intera conoscenza scientifica: scusa se é poco! 

Ipazia

Certo che il fenomeno è ontologico, ma riesce perfino a stimolare l'ontologia dell'immaginario umano che comprende, con marcate similitudini, la cosà in sè metafisica e quella divina. Entrambe, seguendo il principio di Ockham,  inutili a capire il reale. Tralasciando quella divina, la cosa in sè metafisica è del tutto ontologicamente insensata in quanto tutto il reale che possiamo conoscere e scoprire si manifesta fenomenicamente. Nel fenomeno c'è tutto quello che serve per capire il mondo e trasformarlo. Postulare un'essenza indefinibile dietro il fenomeno è il solito trito trucco del mondo dietro il mondo: la primula rossa della metafisica. E della religione.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Lou

Citazione di: Ipazia il 01 Aprile 2019, 22:49:44 PM
E con ciò liquidiamo il noumeno dal mondo sensibile e lo consegnamo al regno che gli compete delle astrazioni antropologiche. Teniamoci invece il fenomeno che è l'approdo umano all'esperienza sensibile. Degno di ontologicizzarsi in contesti in cui recita tutte le parti, comprese quelle metafisicamente e mitologicamente riservate alla "cosa in sè". Dei cui cultori comprendo l'imbarazzo, che non è scansabile declinandolo all'inconoscibile, ma piuttosto all'indefinibile, fantasma consegnato al tempo da un apeiron che rivela i suoi confini ontologici nell'ambito semantico del concetto. E da quella gabbia, fenomenologicamente metafisica seppur sublime, non può fuggire.

(1000 e non più 1000 ?....)
.
Ci sono idee, come l'idea di libertà, di mondo etc. che non sono oggetti sensibili, non si trovano tra la frutta del mercato che si mangia o le stelle del cielo, non sono consumabili, utilizzabili, la cui misurabilità e conoscenza non sono date al nostro intelletto eppure è in virtù di questi ideali regolativi che si muove la domanda inesausta e ricorsiva di conoscenza, di scienza per scoprire cosa possiamo conoscere  di poter conoscere, chi siamo e cosa siamo. E che si è fatta la storia. Quella di Kant è l'ennesima riproposizione, in chiave moderna, del conosci te stesso, in forma di possibilità. La filosofia trascendentale è una possibilità, nessuno è costretto.
"La verità è brutta. Noi abbiamo l'arte per non perire a causa della verità." F. Nietzsche

sgiombo

Citazione di: Ipazia il 02 Aprile 2019, 17:34:51 PM
Certo che il fenomeno è ontologico, ma riesce perfino a stimolare l'ontologia dell'immaginario umano che comprende, con marcate similitudini, la cosà in sè metafisica e quella divina. Entrambe, seguendo il principio di Ockham,  inutili a capire il reale.
Citazione
Dissento.
Per me (l'  ho già argomentato troppe volte nel forum per farlo anche qui) il noumeno é utilissimo, anzi necessario a capre il reale. 


Tralasciando quella divina, la cosa in sè metafisica è del tutto ontologicamente insensata in quanto tutto il reale che possiamo conoscere e scoprire si manifesta fenomenicamente. Nel fenomeno c'è tutto quello che serve per capire il mondo e trasformarlo. Postulare un'essenza indefinibile dietro il fenomeno è il solito trito trucco del mondo dietro il mondo: la primula rossa della metafisica. E della religione.
Citazione
Nemmeno per sogno!

Nemmeno di quanto si manifesta fenomenicamente del reale ed ecceda la mera constatazione immediata delle sensazioni coscienti immediatamente in atto si può avere certezza, conoscenza certa.
Ed il noumeno, per nulla "indefinito", é ipotizzato allo scopo di rendere comprensibile, sensato il modo fenomenico in quanto non immediatamente constatato all' effimero presente, ma conosciuto scientificamente.

Ripeto che se si rade, con Ockam, il noumeno, allora, per essere coerenti, si dovrebbe radere anche l' intera conoscenza scientifica, altrettanto (nè più né meno) indimostrabile.

Ipazia

Concordo Lou, e mi guardo bene dall'irriverire al filosofo di Königsberg, da cui le scienze umane hanno tratto un poderoso impulso verso molteplici lidi. Ma noi postumi l'illusione della cosa in sè ce la siamo lasciata dietro le spalle dopo che nemmeno le sacre tavole della legge materiale prodotte da Mendeleev ci hanno fatto toccare il fondo solido su cui essa pretende di abitare. Il noumeno resta ontologicamente racchiuso nella libera immaginazione umana, come stato dell'arte laddove un contesto fenomenologico raggiunga il suo scopo, la sua completezza. Come quello che ci permette di comunicare in questo momento. Oppure come l'Utopia prossima ventura. Entrambi sempre migliorabili.

Caro sgiombo sei tu, non la scienza, ad aver bisogno di posare i piedi sul fondo inesistente della cosa in sè. Alla scienza basta esercitare la sua azione demiurgica sulle cose per noi, fenomenicamente ricche ed abbondanti, creandone sempre di nuove, teoriche e pratiche.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

tersite

#175
-------> Ma "chi vi autorizza" ad identificare (quali fondamenti mai avrebbe il farlo, oltre ad un mero pregiudizio arbitrario) il noumeno con Dio e addirittura ad attribuire  ad esso una "venerazione" da parte di chi lo propone come ipotesi razionalmente esplicativa metafisica (e metapsichica; letteralmente "al di là dei fenomeni sia materiali che mentali)?

Non l'ho fatto.
Io ho proposto che il concetto di inconoscibilità fosse modellato sulla conoscena perfetta posseduta da dio.
La questione del noumeno di kant nasce con la ragion pura e viene risolto nella ragione pratica in dio, e questo lo fa kant; il noumeno e la legge morale risolvono in dio.  Critica pura, pratica e giudizio, liscia gassata o ferrarelle ?  ;D

Poi c'è il noumeno come lo intendi tu e che a me in fin dei conti non da nessun fastidio perché più o meno so da dove parti, ma non è una cosa generale, è una cosa mia.

Non potrei contestarti l'uso\riadattamento\stravolgimento dei termini perché è una mia metodologia di pensiero abituale.
Non potrei nemmeno darti del "metafisico" perché io stesso manipolo\i e mi  balocco\con concetti che con il reale hanno contatti meno che vaporosi.

Tutte le volte però che scrivi noumeno devi assumere la consapevolezza di trascinarti  un orpello gravido di scorie, che prima o poi, tra un discorso e l'altro e tra i mille fraintendimenti della parola scritta emergeranno qua e la, ogni tanto.
Ogni definizione è artificiosa e in ciò è il suo potenziale evolutivo. (anonimo)

0xdeadbeef

A Paul11 (e ovviamente a chi interessa)
Beh, è chiarissima la radice stoica del concetto che ha Kant dell'"intuizione". Appunto per questo
direi che è chiarissima la radice empirista di tutta la teoria della conoscenza di Kant.
Però, ed è fondamentale, dicevo anche che in Kant questa radice "materialista" deve fare i conti
(conti, dicevo, non certo facili...) con il "cogito" cartesiano, in quanto questo "svela" (e per
me in maniera propriamente filosofica. cioè in maniera definitiva ed irrevocabile) che l'oggetto
immediato di conoscenza non è l'oggetto stesso, come per l'intuizionismo, ma l'idea.
Quindi concordo senz'altro nel ritenere fondamentale il capire su quale dominio il filosofo vuole
costruire la verità. Naturalmente Parmenide, e con lui Platone e tutto il "platonismo" fino ai
giorni nostri, costruisce la verità sull'idea, non sul sensibile (come afferma Parmenide: "la
ragione, non l'occhio, vede il vero"). E Kant cerca, è vero, di "mediare" fra questi due mondi
e fra la loro supposta incomunicabilità (con risultati che sono senz'altro discutibili, ma sicuramente
affascinanti - tantè che stiamo, dopo secoli, ancora a discuterne).
Ora, il noumeno è il principale "frutto" di questa mediazione fra mondi...
C'è chi, in maniera risibile, ritiene questo concetto (perchè di un concetto si tratta, cioè di una idea)
"ennesima immagine di Dio", quando invece esso è appunto il tentativo di rendere palese l'evidenza empirica
di un "altro dall'io" (che è empiricamente evidente, come ovvio) tenendo conto che questo "altro" passa
necessariamente dall'"io", cioè che questo altro è una idea DELL'io (questo perchè: "l'oggetto, in quanto
pensato, non è una realtà indipendente dal soggetto che la pensa").
E dunque no, il noumeno non può chiaramente essere dimostrato. Ma non lo può in quanto in esso sono due le
evidenze logiche che si contrappongono e si escludono, gettando così nel dubbio più radicale tutto cio che
noi supponiamo essere "conoscenza"...
Può allora essere "pensabile"? Sì, senz'altro, e lo può essere appunto per mezzo del "nous", dell'intelletto,
che arriva a comprendere la contraddizione di cui il noumeno è il frutto "tangibile".
saluti

0xdeadbeef

Citazione di: tersite il 02 Aprile 2019, 18:45:01 PM
Io ho proposto che il concetto di inconoscibilità fosse modellato sulla conoscena perfetta posseduta da dio.
La questione del noumeno di kant nasce con la ragion pura e viene risolto nella ragione pratica in dio, e questo lo fa kant; il noumeno e la legge morale risolvono in dio.  Critica pura, pratica e giudizio, liscia gassata o ferrarelle ?  ;D

Ciao Tersite
Ma prego, continuiamo a far finta di non sapere che per Kant: "Dio non ha più realtà dell'idea che io abbia cento talleri in tasca"...
saluti

davintro

Citazione di: 0xdeadbeef il 31 Marzo 2019, 21:35:43 PMA Davintro Concordo senz'altro sull'affermazione che già il dire del noumeno che è inconoscibile presuppone un certo grado di conoscenza "positiva". Un pò come il socratico "sapere di non sapere", o il non essere, o nulla, che non è, insomma... Ma a me sembra che Kant fosse, se non del tutto, almeno in un certo qual modo consapevole di questo. E che anzi cercasse questa "positività", ma che questa gli sfuggisse come in realtà non può che sfuggire a chiunque la cerchi. Nella risposta #148 all'amico Paul11 affermo come Kant cerchi di ri-andare al concetto, di radice stoica, di "intuizione" ("l'intuizione è la rappresentazione quale sarebbe per la sua dipendenza dall' immediata presenza dell'oggetto"). Quindi quest'oggetto è presente, eccome, nella sua "noumenicità", ma deve fare i conti (e sono conti a parer mio inesorabili...) con il fondamento cartesiano del "cogito" (per me, come dico in quell'intervento, "punto di non ritorno"), che affermando l'idea come solo oggetto immediato di conoscenza esclude necessariamente la conoscenza "diretta" dell'oggetto. La teoria della conoscenza di Kant è la storia del tentativo (pressoché impossibile) di conciliare questi due opposti... A mio parere la Fenomenologia, come dire, la fa facile... Siccome un pensiero è pensiero di qualcosa, dice questa, allora...questo qualcosa è un oggetto e va inteso oggettivamente. Che è come dire: il pensiero di Dio, essendo Dio l'oggetto di questo pensiero, comporta l'esistenza oggettiva dello stesso. A me sembra somigli parecchio alla "prova ontologica" di S.Anselmo... saluti


non vedo l'intenzionalità come qualcosa che legittimerebbe la pretesa di esistenza dei propri oggetti, in quanto tali, come la prova ontologica (per quanto anch'io tempo fa mi ero accorto di una certa affinità tra le due impostazioni, ma non da estremizzare così). Va sempre considerato che l'evidenziazione dell'intenzionalità è frutto della messa in sospensione (riduzione eidetica) proprio del problema dell'esistenza delle cose di cui abbiamo fenomeni, cosicché non ha senso pensare che gli oggetti intenzionati siano necessariamente esistenti, proprio perché la loro qualifica di "esistenza" è ciò che è stato necessario mettere da parte per evidenziarli come termini degli atti intenzionali. Quindi non trovo valida l'associazione tra essenze fenomenologiche e essenze di tipo platonico, intese come Idee di per sé autosufficienti nella loro realtà separata dalle cose sensibili: in fenomenologia la distinzione tra piano essenzialistico ed esistenziale è basilare (il che non esclude che in un secondo momento anche il problema esistenziale non possa essere in un certo senso ripreso, in un certa ottica, per la quale la "ripulitura delle lenti" è già stata effettuata, chiarendo un livello di conoscenze, se si vuole, "astratto", ma atto a fondare ogni altro discorso)

Invece penso che il significato profondo dell'intenzionalità stia nel richiamo al riconoscimento di un legame di corrispondenza e adeguazione tra le varie tipologie di modalità soggettive di esperienza e apprensione (noesi) e varie tipologie di oggetti (noemi): ad ogni forma di atto intenzionale è correlata una certa forma di oggettività che, anche non associata a una effettiva esistenza, esprime un certo contenuto di un sapere da poter tematizzare in modo autonomo dagli altri, una certa "regione dell'essere", che va indagata con una propria metodologia, distinta da quelle atte a indagare gli altri contenuti, sulla base del tipo di intenzionalità soggettiva a cui è correlato: non si può indagare un oggetto sulla base di un punto di vista soggettivo diverso da quello che lo pone come suo contenuto intenzionale. Ed è l'infrazione di questo fondamentale principio a produrre l'errore kantiano: aver elaborato una critica che sulla base delle sue stesse conclusioni "solo il materiale dei sensi può essere contenuto di una scienza", non può legittimarsi essa stessa come "scienza". Per farlo si sarebbe dovuto riconoscere come materiale scientifico, accanto, e a maggior ragione, al contenuto intenzionato dai sensi, un contenuto intenzionato dalle intuizioni intellettuali su cui la critica deve necessariamente fondarsi. L'errore sta nel non aver considerato la correlazione soggetto-oggetto nell'intenzionalità, presumendo di poter applicare le pretese di scientificità di un punto di vista intelligibile e trascendentale "la critica", non all'oggetto corrispondente, il materiale delle intuizioni intellettuali, ma a un altro, quello fisico dei sensi, posto come l'unico possibile di una scienza, non seguendo la corretta correlazione

0xdeadbeef

Citazione di: Ipazia il 02 Aprile 2019, 17:34:51 PM
Certo che il fenomeno è ontologico, ma riesce perfino a stimolare l'ontologia dell'immaginario umano che comprende, con marcate similitudini, la cosà in sè metafisica e quella divina. Entrambe, seguendo il principio di Ockham,  inutili a capire il reale. Tralasciando quella divina, la cosa in sè metafisica è del tutto ontologicamente insensata in quanto tutto il reale che possiamo conoscere e scoprire si manifesta fenomenicamente. Nel fenomeno c'è tutto quello che serve per capire il mondo e trasformarlo. Postulare un'essenza indefinibile dietro il fenomeno è il solito trito trucco del mondo dietro il mondo: la primula rossa della metafisica. E della religione.

Ciao Ipazia
Stai ripetendo come una liturgia (e toglierei persino il "come"...) le stesse credenze (cioè gli stessi
articoli di fede) senza tener minimamente in conto i rilievi che ti sono stati fatti (e a cui non hai
risposto).
Vogliamo discutere quanto di G.d'Ockham sia presente in Kant? Vogliamo dire che la "metafisica" sorge
allorquando vengono ipotizzate realtà eterne NEL divenire "fisico"?
E che c'entra il noumeno?
saluti