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L'Io e l'Altro

Aperto da 0xdeadbeef, 11 Marzo 2019, 20:43:56 PM

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davintro

per Tersite

certamente tematizzare implica che da parte del soggetto tematizzante  l'utilizzo delle regole della logica, senza le quali sarebbe impossibile alcuna conoscenza oggettiva di ciò che si tematizza. Fermo restando però che la necessità della logica nella tematizzazione non dovrebbe penso essere vista come una mero passaggio logico-deduttivo, alla stregua del modello di procedimento che Kant indica tipico dei giudizi analitici apriori, cioè una pura esplicitazione dei significati già compresi in una definizione, bensì un'applicare la logica a un "materiale" appreso sinteticamente tramite sintesi, che riflette un oggetto reale, e non un semplice ente logico-formale come una definizione. "Intenzionalità" indica una sorta, se si vuole metaforicamente, di tensione, di movimento della coscienza che si "dirige" verso l'attribuzione di senso a degli oggetti posti come qualcosa di "altro" dalla coscienza intenzionante soggettiva". La tematizzazione è sempre intenzionale, cioè indica il riferirsi del pensiero a questo altro da sé, e quindi una visione di questa alterità, che quindi non può essere ridotta alla scomposizione analitica di una definizione, cioè di un puro concetto immanente al pensiero, ma tende alla rappresentazione di qualcosa di reale. Quindi certamente la tematizzazione è logica, ma non come pura dialettica formale mirante alla valutazione della coerenza interna di un discorso chiuso in se stesso, ma sempre applicata a un concreto materiale (non materiale nel senso fisico, ma in senso più ampio come contenuto oggettivo riempiente un atto di conoscenza soggettivo) riferito al mondo reale e appreso tramite intuizione, per così dire


Per Sgiombo

una volta che si conviene sull'idea che ogni giudizio circa l' "inconoscibilità" di un livello della realtà comporta anche un certo margine di sapere in positivo, non vedrei problemi nell'ammettere la possibilità di una conoscenza scientifica anche del noumeno, anche intendendolo nella sua oggettività, distinta dalla fenomenicità immanente alla coscienza soggettiva. Tutto sta nel come intendere questa distinzione: intendendola nel modo kantiano, in senso gnoseologico, come dualismo conoscibile-inconoscibile, diviene fatalmente anche distinzione ontologica, fra una tipologia di realtà conoscibile (quella oggetto dei sensi, fisica) e una inconoscibile (intelligibile, metafisica), oppure intendendola, più opportunamente, in chiave strettamente logico-concettuale: non due tipologie di realtà distinte, bensì la stessa realtà solo intesa da punti di vista diversi, il punto di vista di cui ne abbiamo un'esperienza, e quello in cui la intendiamo come realtà oggettiva in sé, esistente indipendentemente dal fatto di esperirla. Il primo punto di vista non nasconderebbe il secondo, ma lo manifesterebbe, in quanto attinente alla sua stessa realtà, riflettendola, comunicandocela. Quindi, accettando la premessa del margine parziale di conoscenza positiva, come qualcosa sempre presente anche quando giudichiamo qualcosa come "inconoscibile", possiamo dire che questo margine di conoscenza positiva coincide con la misura in cui la cosa, oltre a essere "cosa in sé" è anche fenomeno, mentre resta inconoscibile nella misura in cui non lo è. Cioè è necessario che fenomenicità e oggettività siano due modi d'essere distinti della stessa realtà, cosicché la prima rifletta l'altra e non due ambiti ontologici separati. L'errore dell'accezione kantiana nell'intendere la dualità fenomeno-noumeno sta nel fatto che una volta identificato il noumeno come "inconoscibile" diviene impossibile non solo una scienza della metafisica, ma anche una scienza della realtà naturale, nonché della realtà delle strutture fondamentali della conoscenza umana verso cui si dirige la critica, insomma... diviene impossibile una scienza della realtà in generale! Questo perché, una volta intesi i fenomeni come scollegati dalle cose in sé, e impossibilitati a manifestarle, essi non rimarrebbero che come i MIEI fenomeni, qualcosa che solo arbitrariamente posso presumere di associare a una realtà al di là della mia soggettività, insomma l'esito è lo scetticismo o il solipsismo. Perché si dia scienza della realtà è necessario che all'interno della sfera dei fenomeni, accanto alle intuizioni sensibili, che manifestano la cosa senza necessariamente corrisponderne alla loro realtà (ipotesi dell'allucinazione o del genio ingannatore"), vengano comprese anche le intuizioni intellettuali, quelle tramite cui l'oggetto è visto come essenza ideale, coincidente con la cosa nelle sue proprietà necessarie: una volta intuita l'idea di una cosa, traiamo di quella il suo modo d'essere al di là di ogni contingenza, e quindi, diviene il terreno su cui operare speculativamente, indagando le relazioni logiche tra i vari concetti di cui cogliamo il senso generale, e ricavandone un certo livello, seppur minimo di certezze, di conoscenza trascendentale che poi sarà il presupposto fondamentale che le varie scienze applicheranno nei loro vari ambiti di ricerca. Come diceva giustamente Aristotele, la scienza, è sempre scienza dell'universale, mai del particolare. Ma in questo non c'è nulla di strano o astruso... ogni epistemologia, compresa la critica kantiana lavora in questo modo, non empiricamente ma speculativamente, come ad esempio fa Kant quando si occupa di indagare le relazioni tra categorie estetiche o categorie dell'intelletto, quando elenca le dodici categorie dell'intelletto ricavandole dalla tavola dei giudizi ecc. Il suo limite sta nel fatto che tutto questo lavoro di riflessione non può essere teoreticamente giustificato, fintanto che ci si ferma all'idea che la scienza sia possibile solo sul materiale delle sensazioni: non sono certo le intuizioni sensibili quelle tramite cui pensare a concetti  come categorie, apriori, giudizi analitici, noumeno ecc. Se la critica vuole legittimarsi come scienza deve estendere alle intuizioni intellettuali il materiale su cui una scienza è possibile, quindi rompere la scissione fenomeno-noumeno, così come è stata concepita

tersite



X @tersite, 

dire che le facoltà della coscienza provengono dalla biologia è una posizione filosofica, quindi, no, facendo una tale ipotesi non 'esci' dalla filosofia.



Riflettendo con più cura mi rendo conto di aver formulato ingenuamente la domanda.

Riformulo la questione :

queste facoltà kantiane hanno subito o no,  una qualche sorta di processo evolutivo ?

Ogni definizione è artificiosa e in ciò è il suo potenziale evolutivo. (anonimo)

0xdeadbeef

Citazione di: sgiombo il 31 Marzo 2019, 11:06:41 AM
Se si "parte" dal fondamento cartesiano per cui l'idea è il solo oggetto immediato della conoscenza
(come del resto è in Hume, il quale parla della conoscenza come di una "connessione di idee", concetto
poi ripreso da Kant), allora non si può non notare il rapporto "problematico" dell'idea con la "realtà"
e il "fatto"; perchè dal mio punto di vista se si dice "in realtà" si dovrebbe disporre di un
CRITERIO di connessione fra questa e l'idea di questa.
Citazione
CitazioneNulla di problematico: il "criterio sicuro indubitabile di realtà" é la constatazione (= l' accadere) dei fatti empirici (sensazioni, percezioni, fenomeni che dir si voglia).
Il cui "esse est percipi".

Di qualsiasi altro eventuale ente o evento forse reale (compreso ciò che eventualmente lo fosse mentre le sensazioni costituenti Ebla non le erano; e in generale eventuali soggetti ed oggetti delle sensazioni fenomeniche stesse persistenti anche mentre esse non persistono: cose in sé o noumeno) non può aversi nessuna certezza.



Ciao Sgiombo
Non puoi "arrivare" alla realtà con l'"esse est percipi" di Barkeley semplicemente perchè per
quel concetto non esistono oggetti materiali, ma soltanto idee e relazioni fra le idee.
Sarebbe allora logico che tu la pensassi come Nietzsche ("non esistono fatti, ma solo
interpretazioni").
Come fai a riconoscere un fatto da una opinione? Su cosa ti basi? Qual'è il criterio, dicevo,
per riconoscerli e distinguerli se non si distingue, in radice, il soggetto dall'oggetto?
Dici: "criterio sicuro indubitabile di realtà" é la constatazione". Bene: la constatazione da
parte di chi? Cos'è che dà "validità" alla constatazione? L'autorità di chi constata? La
maggioranza dei constatanti? Che altro?
Sai meglio di me che Berkeley non arriva allo scetticismo radicale di Hume perchè pone, al
medesimo modo di Adam Smith in economia, una "mano invisibile" (che è ovviamente quella di Dio)
a garanzia che la pluralità delle constatazioni corrisponda alla "realtà".
saluti

Apeiron

Citazione di: tersite il 31 Marzo 2019, 18:16:43 PM

X @tersite,  

dire che le facoltà della coscienza provengono dalla biologia è una posizione filosofica, quindi, no, facendo una tale ipotesi non 'esci' dalla filosofia.



Riflettendo con più cura mi rendo conto di aver formulato ingenuamente la domanda.

Riformulo la questione :

queste facoltà kantiane hanno subito o no,  una qualche sorta di processo evolutivo ?


Per Kant no (da quanto mi risulta).

Per alcune filosofie più recenti simili a quella di Kant credo di sì (ad esempio nel caso del filosofo Michel Bitbol).
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

tersite

Citazione di: davintro il 31 Marzo 2019, 17:59:08 PM

L'errore dell'accezione kantiana nell'intendere la dualità fenomeno-noumeno sta nel fatto che una volta identificato il noumeno come "inconoscibile" diviene impossibile non solo una scienza della metafisica, ma anche una scienza della realtà naturale, nonché della realtà delle strutture fondamentali della conoscenza umana verso cui si dirige la critica, insomma... diviene impossibile una scienza della realtà in generale!

Perché il noumeno è l'ennesima immagine di dio.  L'errore sta tutto lì, quando si scrive\pensa della "inconoscibiltà" si finisce "gravitazionalmente" attratti dal pianeta concettuale "dio".  
Vorrei proprio sapere da dove nasce questo concetto di inconoscibilità se non come  ricalco della "conoscenza perfetta" guarda caso appartenente a dio.
Ogni definizione è artificiosa e in ciò è il suo potenziale evolutivo. (anonimo)

sgiombo

Citazione di: 0xdeadbeef il 31 Marzo 2019, 11:30:08 AM
Ciao Lou
E' esattamente come dici. Fenomeno e noumeno sono CONCETTI riferiti al medesimo oggetto;
sono idee; ed in quanto tali sono necessariamente degli interpretati (come giustamente
afferma l'aforisma di Gentile da me più volte riportato).
Questa considerazione, naturalmente, apre all'interrogativo circa la natura del noumeno,
che in quanto interpretato è esso stesso fenomeno. Ma questo fa parte di un altro discorso
(da me già affrontato).
saluti


In attesa della risposta dirimente di Lou, a me non pare proprio che ci sia questa unanimità di vedute.
Mi sembra che per Lou, come anche per me, fenomeni e noumeno non sono affatto concetti riferiti al medesimo oggetto; ovvero il noumeno "interpretato" (pensato, conosciuto, ecc.) o meno che sia, non é affatto esso stesso fenomeno, ma invece é realtà non apparente (= non fenomenica), non facente parte dell' esperienza cosciente.

sgiombo

Citazione di: Apeiron il 31 Marzo 2019, 17:31:56 PM
X @Paul11,

concordo con quanto dici. Però, secondo me di Hume Kant condivide l'asserzione che è impossibile costruire una ontologia del noumeno tramite la 'ragione pura' (la pura teoria, in pratica). I due 'estremi' ontologici da cui voleva 'salvarsi' Kant erano secondo me la posizione di Cartesio, Spinoza ecc da un lato e la posizione di Berkeley dall'altro.  Inoltre, c'è da dire che Kant precludeva ogni posizione 'teorica' sul noumeno. In altri termini, non negava la possibilità che 'in qualche modo' potesse essere conosciuto. La sua posizione era che non poteva essere conosciuto tramite la razionalità, secondo me.
Citazione
Concordo.
Infatti non ne tenta una conoscenza mediante la (nella Critica della) ragion pura, ma invece soltanto mediante la (nella critica della) ragion pratica.




[Off-topic: Per quanto mi riguarda, anche se si rigetta il 'Kantismo', comunque la coscienza non potrebbe essere spiegata (interamente) dalla biologia, secondo me - le due principali argomentazioni filosofiche sono le seguenti, nel mio caso.
In primo luogo, il cosiddetto problema 'difficile' della coscienza (hard problem of consciousness), ovvero l'impossibilità - secondo me - di spiegare il fatto di 'avere esperienza' (e tutto quello che ne consegue) in termini puramente fisici. In secondo luogo, siccome ritengo che ci sia una qualche forma di 'autonomia' o di 'libero arbitrio' non credo che il libero arbitrio possa essa essere spiegato in termini puramente fisici.]
Citazione
Concordo in pieno con quanto affermi in primo luogo, dissento in pieno da quanto affermi in secondo luogo.



X @sgiombo,

Bene o male concordiamo su Kant. Anche se non sono sicuro se abbiamo la stessa interpretazione sul 'noumeno'. Secondo me Kant riteneva qualsiasi posizione ontologica sul noumeno problematica proprio perché le categorie e le forme a priori si potevano applicare ai soli fenomeni. Non so se concordi con questa analisi.


Citazione
Probabilmente in larga misura sì.
Però secondo me per Kant il noumeno é inconoscibile perché innanzitutto non é apparente alla coscienza; e ciò su cui si possono esprimere giudizi sintetici a posteriori (che se corretti, veri costituiscono conoscenze) sono unicamente i fenomeni di cui siamo coscienti.


sgiombo

Citazione di: davintro il 31 Marzo 2019, 17:59:08 PM

Per Sgiombo

una volta che si conviene sull'idea che ogni giudizio circa l' "inconoscibilità" di un livello della realtà comporta anche un certo margine di sapere in positivo, non vedrei problemi nell'ammettere la possibilità di una conoscenza scientifica anche del noumeno, anche intendendolo nella sua oggettività, distinta dalla fenomenicità immanente alla coscienza soggettiva.
Citazione
Ma la conoscenza scientifica può aversi unicamente di realtà empirica, apparente alla coscienza, fenomenica, non di una realtà in sé distinta dalle sensazioni empiricamente constatabili (una realtà non empiricamente constatabile e verificabile/falsificabile).



Tutto sta nel come intendere questa distinzione: intendendola nel modo kantiano, in senso gnoseologico, come dualismo conoscibile-inconoscibile, diviene fatalmente anche distinzione ontologica, fra una tipologia di realtà conoscibile (quella oggetto dei sensi, fisica) e una inconoscibile (intelligibile, metafisica), oppure intendendola, più opportunamente, in chiave strettamente logico-concettuale: non due tipologie di realtà distinte, bensì la stessa realtà solo intesa da punti di vista diversi, il punto di vista di cui ne abbiamo un'esperienza, e quello in cui la intendiamo come realtà oggettiva in sé, esistente indipendentemente dal fatto di esperirla. Il primo punto di vista non nasconderebbe il secondo, ma lo manifesterebbe, in quanto attinente alla sua stessa realtà, riflettendola, comunicandocela.
Citazione
Qui mi sembra che tu compia lo stesso fraintendimento di Oxdeadbeef.
L' unica realtà di cui possiamo fare esperienza é (direi per definizione) é quella costituita dai fenomeni (l' essere dei quali é per l' appunto "percipi", essere percepiti dalla, ovvero apparire alla, coscienza).
Essi non possono essere intesi come realtà oggettiva in sé, esistente indipendentemente dal fatto di esperirla; come realtà oggettiva in sé, esistente indipendentemente dal fatto di esperirla può essere inteso unicamente il noumeno, le cose in sé.
Già etimologicamente il concetto di "realtà intesa da un (qualsiasi) punto di vista" mi sembra inconciliabile con quello di noumeno non apparente alla coscienza in alcun modo, "da alcun punto di vista".
Che poi i fenomeni oltre a potere anche essere pensati, predicati accadere realmente, conosciuti, accadano comunque realmente (= sono realmente percepiti coscientemente), che possano accadere anche indipendentemente da (-l' eventuale accadere inoltre, anche di) qualsiasi eventuale considerazione, pensiero, predicazione di essi (cioè che rimarrebbero realmente tali e quali anche se realmente non accadesse anche, oltre ad essi, alcuna eventuale considerazione, pensiero, predicazione di essi) é un altro paio di maniche.



Quindi, accettando la premessa del margine parziale di conoscenza positiva, come qualcosa sempre presente anche quando giudichiamo qualcosa come "inconoscibile", possiamo dire che questo margine di conoscenza positiva coincide con la misura in cui la cosa, oltre a essere "cosa in sé" è anche fenomeno, mentre resta inconoscibile nella misura in cui non lo è. Cioè è necessario che fenomenicità e oggettività siano due modi d'essere distinti della stessa realtà, cosicché la prima rifletta l'altra e non due ambiti ontologici separati.
Citazione
Fra fenomeno e non-fenomeno (noumeno) tertium non datur: qualcosa o può apparire e appare alla coscienza (fenomeno rispettivamente potenziale o attuale) oppure non le può apparire e non le appare (noumeno).
E infatti, a considerare la cosa per bene, la conoscenza che possiamo avere del noumeno é in realtà "pari a zero" (non ne possiamo avere alcun margine sia pur parziale di conoscenza positiva): il noumeno potrebbe anche coincidere con (il) nulla di reale (non é contraddittorio pensare che la realtà in toto non ecceda per nulla i fenomeni).



Questo perché, una volta intesi i fenomeni come scollegati dalle cose in sé, e impossibilitati a manifestarle, essi non rimarrebbero che come i MIEI fenomeni, qualcosa che solo arbitrariamente posso presumere di associare a una realtà al di là della mia soggettività, insomma l'esito è lo scetticismo o il solipsismo.
L'errore dell'accezione kantiana nell'intendere la dualità fenomeno-noumeno sta nel fatto che una volta identificato il noumeno come "inconoscibile" diviene impossibile non solo una scienza della metafisica, ma anche una scienza della realtà naturale, nonché della realtà delle strutture fondamentali della conoscenza umana verso cui si dirige la critica, insomma... diviene impossibile una scienza della realtà in generale!
Citazione
La scienza é possibilissima (non della realtà in generale, la conoscenza della quale é filosofia, ontologia ma solo) del mondo dei fenomeni materiali, assumendo (indimostrabilmente: Hume!) la loro intersoggettività (= corrispondenza puntuale ed univoca fra tutte le esperienze fenomeniche coscienti).
Si assume cioè che i miei fenomeni sono solo miei (i qualia coscienti del "problema difficile" di Chalmers), ma cionondimeno corrispondono, in particolare nei loro aspetti quantitativi misurabili, con quelli di tutti gli altri: si assume che non siano oggettivi (per forza, inevitabilmente, necessariamente) ma soggettivi; ma nemmeno che siano meramente soggettivi, bensì intersoggettivi.



Perché si dia scienza della realtà è necessario che all'interno della sfera dei fenomeni, accanto alle intuizioni sensibili, che manifestano la cosa senza necessariamente corrisponderne alla loro realtà (ipotesi dell'allucinazione o del genio ingannatore"), vengano comprese anche le intuizioni intellettuali, quelle tramite cui l'oggetto è visto come essenza ideale, coincidente con la cosa nelle sue proprietà necessarie: una volta intuita l'idea di una cosa, traiamo di quella il suo modo d'essere al di là di ogni contingenza, e quindi, diviene il terreno su cui operare speculativamente, indagando le relazioni logiche tra i vari concetti di cui cogliamo il senso generale, e ricavandone un certo livello, seppur minimo di certezze, di conoscenza trascendentale che poi sarà il presupposto fondamentale che le varie scienze applicheranno nei loro vari ambiti di ricerca.
Citazione
Dissento radicalmente.
Le pretese "intuizioni intellettuali, quelle tramite cui l'oggetto è visto come essenza ideale, coincidente con la cosa nelle sue proprietà necessarie: una volta intuita l'idea di una cosa" (anziché essere inteso come fenomeni empiricamente constatabili e verificabili) non sono che metafisica infondata, assurda presunzione di costruire conoscenza della realtà unicamente su giudizi analitici a priori.



Come diceva giustamente Aristotele, la scienza, è sempre scienza dell'universale, mai del particolare. Ma in questo non c'è nulla di strano o astruso... ogni epistemologia, compresa la critica kantiana lavora in questo modo, non empiricamente ma speculativamente, come ad esempio fa Kant quando si occupa di indagare le relazioni tra categorie estetiche o categorie dell'intelletto, quando elenca le dodici categorie dell'intelletto ricavandole dalla tavola dei giudizi ecc. Il suo limite sta nel fatto che tutto questo lavoro di riflessione non può essere teoreticamente giustificato, fintanto che ci si ferma all'idea che la scienza sia possibile solo sul materiale delle sensazioni: non sono certo le intuizioni sensibili quelle tramite cui pensare a concetti  come categorie, apriori, giudizi analitici, noumeno ecc. Se la critica vuole legittimarsi come scienza deve estendere alle intuizioni intellettuali il materiale su cui una scienza è possibile, quindi rompere la scissione fenomeno-noumeno, così come è stata concepita
Citazione
Infatti questa che descrivi di Kant (malgrado le sue illusioni) non é scienza ma metafisica (aprioristicamente fondata su assunzioni arbitrarie).
 
La scienza reale é conoscenza dell' universale, come ben diceva Aristotele perché assumendo la (indimostrabile: Hume!) verità dell' induzione, cerca le regolarità universali e costanti astraibili da parte del pensiero dagli aspetti particolari concreti, contingenti del divenire (solo ed unicamente) dei fenomeni materiali (misurabili ed assunti essere intersoggettivi).
Del noumeno (che pertiene all' ontologia filosofica) si disinteressa (in quanto tale: scienza naturale).

sgiombo

Citazione di: 0xdeadbeef il 31 Marzo 2019, 18:26:58 PMCiao Sgiombo
Non puoi "arrivare" alla realtà con l'"esse est percipi" di Barkeley semplicemente perchè per
quel concetto non esistono oggetti materiali, ma soltanto idee e relazioni fra le idee.
Citazione
Le quali sono realtà: dunque ci si arriva benissimo!



Sarebbe allora logico che tu la pensassi come Nietzsche ("non esistono fatti, ma solo
interpretazioni").
Citazione
 
Ma quando mai ? ? ?
 
Per me i fatti fenomenici materiali sono intersoggettivi (anche se non é dimostrabile -Hume!- ma lo credo letteralmente per fede -alla facciaccia di Nietzche!- come peraltro per lo meno di fatto si comporta come se lo credesse qualsiasi persona comunemente ritenuta sana di mente).



Come fai a riconoscere un fatto da una opinione?
Citazione
Mediante la verifica empirica.



Su cosa ti basi? Qual'è il criterio, dicevo,
per riconoscerli e distinguerli se non si distingue, in radice, il soggetto dall'oggetto?
Citazione
Si distingue il meramente soggettivo (le sensazioni fenomeniche interiori o mentali, non assumibili essere intersoggettive) dall' intersoggettivo (assumibile ed assunto essere tale; ma pur sempre soggettivo nel senso di reale unicamente in quanto insieme - successione di sensazioni, apparenze coscienti, fenomeni: le sensazioni fenomeniche, per l' appunto, esteriori o materiali).



Dici: "criterio sicuro indubitabile di realtà" é la constatazione". Bene: la constatazione da
parte di chi? Cos'è che dà "validità" alla constatazione? L'autorità di chi constata? La
maggioranza dei constatanti? Che altro?
Citazione
La verifica empirica intersoggettiva (possibile da parte di qualsiasi constatante).



Sai meglio di me che Berkeley no
n arriva allo scetticismo radicale di Hume perchè pone, al
medesimo modo di Adam Smith in economia, una "mano invisibile" (che è ovviamente quella di Dio)
a garanzia che la pluralità delle constatazioni corrisponda alla "realtà".
saluti
Citazione
Infatti Hume ha condotto conseguentemente la critica razionale della conoscenza ben più a fondo di Berkeley!

Lou

Citazione di: sgiombo il 31 Marzo 2019, 19:35:46 PM
In attesa della risposta dirimente di Lou, a me non pare proprio che ci sia questa unanimità di vedute.
Mi sembra che per Lou, come anche per me, fenomeni e noumeno non sono affatto concetti riferiti al medesimo oggetto; ovvero il noumeno "interpretato" (pensato, conosciuto, ecc.) o meno che sia, non é affatto esso stesso fenomeno, ma invece é realtà non apparente (= non fenomenica), non facente parte dell' esperienza cosciente.
Le idee non sono oggetti sensibili, pertanto l'oggetto "in" sè (noumeno) non è l'oggetto "per" me (fenomeno).
"La verità è brutta. Noi abbiamo l'arte per non perire a causa della verità." F. Nietzsche

0xdeadbeef

Citazione di: davintro il 31 Marzo 2019, 17:59:08 PM
luna volta che si conviene sull'idea che ogni giudizio circa l' "inconoscibilità" di un livello della realtà comporta anche un certo margine di sapere in positivo, non vedrei problemi nell'ammettere la possibilità di una conoscenza scientifica anche del noumeno, anche intendendolo nella sua oggettività, distinta dalla fenomenicità immanente alla coscienza soggettiva.
A Davintro
Concordo senz'altro sull'affermazione che già il dire del noumeno che è inconoscibile presuppone
un certo grado di conoscenza "positiva". Un pò come il socratico "sapere di non sapere", o il
non essere, o nulla, che non è, insomma...
Ma a me sembra che Kant fosse, se non del tutto, almeno in un certo qual modo consapevole di questo.
E che anzi cercasse questa "positività", ma che questa gli sfuggisse come in realtà non può che
sfuggire a chiunque la cerchi.
Nella risposta #148 all'amico Paul11 affermo come Kant cerchi di ri-andare al concetto, di radice
stoica, di "intuizione" ("l'intuizione è la rappresentazione quale sarebbe per la sua dipendenza dall'
immediata presenza dell'oggetto"). Quindi quest'oggetto è presente, eccome, nella sua "noumenicità",
ma deve fare i conti (e sono conti a parer mio inesorabili...) con il fondamento cartesiano del
"cogito" (per me, come dico in quell'intervento, "punto di non ritorno"), che affermando l'idea
come solo oggetto immediato di conoscenza esclude necessariamente la conoscenza "diretta"
dell'oggetto.
La teoria della conoscenza di Kant è la storia del tentativo (pressoché impossibile) di conciliare
questi due opposti...
A mio parere la Fenomenologia, come dire, la fa facile...
Siccome un pensiero è pensiero di qualcosa, dice questa, allora...questo qualcosa è un oggetto e
va inteso oggettivamente.
Che è come dire: il pensiero di Dio, essendo Dio l'oggetto di questo pensiero, comporta l'esistenza
oggettiva dello stesso. A me sembra somigli parecchio alla "prova ontologica" di S.Anselmo...
saluti

0xdeadbeef

Citazione di: sgiombo il 31 Marzo 2019, 20:05:38 PM

Dici: "criterio sicuro indubitabile di realtà" é la constatazione". Bene: la constatazione da
parte di chi? Cos'è che dà "validità" alla constatazione? L'autorità di chi constata? La
maggioranza dei constatanti? Che altro?
Citazione
CitazioneLa verifica empirica intersoggettiva (possibile da parte di qualsiasi constatante).


A Sgiombo
A parer mio se l'intersoggettività è il criterio di discernimento del fatto dall'interpretazione
(come affermi esplicitamente), allora per coerenza dovresti ammettere che ciò che dice la maggioranza
degli interpretanti è "fatto", mentre quel che dice la minoranza è "interpretazione" ("maior pars,
melior pars", insomma).
A mio giudizio non si può dire che il criterio è "la verifica empirica intersoggettiva", perchè
per l'empiria l'oggetto è "immediatamente presente" al soggetto (come dico in altri interventi
descrivendo il concetto di "intuizione", dallo Stoicismo a Kant), senza nessun bisogno di "maggioranze"
che qualifichino il risultato raggiunto.
saluti

paul11

#162
rispondo a Mauro (Oxdeadbeef)e Aperion
Kant fa esattamente il contrario di quello che ritenevano fosse Parmenide e Platone .
Gli stoici seguirono influenze di Eraclito ed Epicuro, diciamo che erano"materialisti"
Il punto fondamentale in Kant, l'origine veritativa è il mondo fattuale non quello delle idee.
La sintesi è data dalla percezione che viene incorporata da un concetto logico formale.


Ribadisco, in filosofia è fondamentale capire su quale dominio il filosofo vuole costruire la verità
Parmenide non riteneva che il dominio sensibile ,fattuale, fosse il luogo della verità in quanto diveniente e quindi contraddittorio rispetto l'asserto se una cosa è non può anche non essere.
Platone ,ma direi generalizzando tuttala metafisica, non utilizza l'intuizione immanentistica, nel mondo fattuale, bensì dopo la sintesi logico deduttiva del pensiero ed è il salto che permette di superare IL NOUMENO KANTIANO.Perchè è quì che si blocca Kant.La deduzione concettuale nel mondo delle idee che a sua volta nasce dall'induzione nel dominio del sensibile o fa il salto intuitivo verso l'Uno, verso Dio, verso un Archè, oppure non da risposte fondamentali .
Kant forse era credente ,ma non può spiegare Dio concettualmente nel suo processo gnoseologico se ha deciso che la verità fenomenologica sta nella fisicità dei corpi:questo è il punto.La sua dimostrazione non può permettere il salto per  cui IL NOUMENO E' SI' PENSABILE, MA INDIMOSTRABILE .
Ribadisco che Hegel criticò Kant per non aver avuto il coraggio di superare il noumeno e arrivare alla coniugazione, al bilanciamento fra dominio fisico esperienziale e fattuale con il dominio delle idee del pensiero e infatti sposterà la fenomenologia fino allo spirito.
La fenomenologia husserliana fa tesoro di questi pensieri e i suoi epigoni, come Heidegger e Levinas si permettono allora di ri-concettualizzare l'Essere, che era del tutto stato obnulato nella filosofia moderna, che è un concetto metafisico, ma ponendolo nel mondo fattuale, dell'esperienza, dell'esistenza.

tersite

Citazione di: paul11 il 31 Marzo 2019, 23:33:48 PMHeidegger e Levinas si permettono allora di ri-concettualizzare l'Essere, che era del tutto stato obnulato nella filosofia moderna, che è un concetto metafisico, ma ponendolo nel mondo fattuale, dell'esperienza, dell'esistenza.

Levinas (fatta salva la sua profondissima umanità e il valore incontestabile valore della sua etica) non fa altro che reintrodurre dio nella speculazione filosofica..è sufficiente leggerlo.
Ogni definizione è artificiosa e in ciò è il suo potenziale evolutivo. (anonimo)

tersite

Citazione di: tersite il 01 Aprile 2019, 00:54:12 AM
Levinas (fatta salva la sua profondissima umanità e il valore incontestabile valore della sua etica) non fa altro che reintrodurre dio nella speculazione filosofica..è sufficiente leggerlo.

autocitazione...

Se invece non volete sciropparvi levinas potete leggere la confutazione di derrida in un primo momento e del duo dolce&gabbana* ( Mille piani e l'Esausto...) in seguito.
Il volto di levinas è curiosamente diverso dal volto di derrida e deleuze..deciderete poi voi quale sia il senso restituito dal volto, e poi magari passare dal volto al corpo, dal corpo all'io, dall'io alle immagini carceranti l'io, da li alla rizomaticità del desiderio e poi forse abbraccerete il vostro cavallo pure voi  ;D

* Deleuze&Guattari. Loro che si definivano gli Stanlio ed Ollio della filosofia sarebbero stati deliziati da questa sciocchezza...
Ogni definizione è artificiosa e in ciò è il suo potenziale evolutivo. (anonimo)