Menu principale

L'Io e l'Altro

Aperto da 0xdeadbeef, 11 Marzo 2019, 20:43:56 PM

Discussione precedente - Discussione successiva

Ipazia

Forse per Kant Dio è un'idea, ma per un credente Dio è un noumeno inconoscibile tanto quello kantiano. Entrambi i concetti contengono la stessa contraddizione metafisica: se sono inconoscibili come possono essere postulati ? Siamo a livello ippogrifo.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

sgiombo

#91
Citazione di: Ipazia il 28 Marzo 2019, 13:55:33 PM
Non era riferito a te il culto dell'individualismo. Semmai dovreste interrogarvi, voi che ci credete, sul culto della cosa in se', altrettanto indimostrabile di Dio, che ha introdotto surrettiziamente il "mistero della fede" nell'atto conoscitivo, nella gnosi. Un conto è dire che la conoscenza è imperfetta e l'induzione implica anche una atto di fede sulla sua riproducibilità ed un conto è postulare un Dio/noumeno corrispettivo della gnosi perfetta, ma irraggiungibile. Scherzi da "metafisica a parte".


Credo che conosciamo ormai abbastanza bene le nostre convinzioni perché per parte mia non ti attribuisca l' attribuzione a me stesso (scusa il gioco di parole) del culto dell' individualismo (semplicemente "ci stava" nella tua affermazione e l' ho lasciato nella mia obiezione).

Di conseguenza nemmeno questo "voi che ci credete" (nel culto della cosa in se', altrettanto indimostrabile di Dio, che ha introdotto surrettiziamente il "mistero della fede" nell'atto conoscitivo, nella gnosi) comprende affatto me; che di tutto ciò credo per fede solo nella cosa in sé(dell' indimostrabilità della quale mi rendo conto), punto e basta: niente "culto" (?), niente Dio (veramente un po' più indimostrabile del noumeno; ma nel caso di quello biblico-coranico essendo invece dimostrabilissimo trattarsi di uno pseudoconcetto autocontraddittorio, assurdo, senza senso), niente "misteri della fede" (ma invece consapevolezza dei limiti della ragione) nell' atto conoscitivo, niente gnosi (?)!

Non ricavo l' ipotesi esplicativa del noumeno, in cui credo per fede, dal fatto che l'induzione implica anche una atto di fede* (sulla sua validità indefinita); noumeno comunque per niente "divino" e che dubito assai possa essere corrispettivo della gnosi perfetta, ma irraggiungibile (gnosi che ignoro completamente cosa sia; lo confesso candidamente: ne ho solo vagamente sentito parlare come di una eresia protocristiana o qualcosa di simile) .

Propongo invece la realtà del noumeno per potermi spiegare come mai se chiudo gli occhi e mi turo e orecchie e il naso il meraviglioso cedro del Libano nel giardino del mio vicino di casa (unicamente costituito da sensazioni visive di varie sfumature di verde e di marrone, sensazioni olfattive di sfumature di odori resinosi, sensazioni uditive di fronde al vento, ecc. e nient' altro: esse est percipi" - Berkeley) non c' é più, ma nonappena li riapro c' é puntualmente di nuovo: qualcosa di reale ma non fenomenico, di diverso dalle sopra accennate sensazioni fenomeniche (necessariamente diverso, onde evitare di cadere in una eclatante contraddizione!) deve pur esserci anche quando impedisco di esserci al cedro del Libano; qualcosa (di propriamente oggettivo) che faccia sì che non appena riapro occhi, naso ed orecchie di nuovo c'é.
E che più in generale giustifichi la credenza (indimostrabile) dell' intersoggettività delle sensazioni materiali in tutte le esperienze fenomeniche coscienti: il fatto che il cedro del Libano e tutto il resto del mondo materiale lo esperisca del tutto analogamente, "pubblicamente" chiunque compia le "opportune osservazioni", contrariamente ai pensieri, sentimenti, "stati d' animo" ecc. di ognuno che invece sono meramente soggettivi "privati": c' é una realtà in sé propriamente oggettiva -indipendente dai soggetti di sensazione e conoscenza- (e non meramente intersoggettiva) con cui sono in una qualche relazione tutti coloro che possono percepire le cose materiali come il meraviglioso albero; e invece qualcos' altro di diversamente reale "all' origine" di sensazioni coscienti solo soggettive, reali solo per ciascun osservatore di se stesso e per nessun altro, con cui é in qualche relazione chiunque può percepire i propri contenuti mentali, pensieri, sentimenti, ecc.
Oserei anzi proporre che la stessa, medesima "cosa in sé" (me stesso) é in determinate relazioni "intrinseche" con se stessa allorché io e solo io esperisco le mie sensazioni fenomeniche mentali di cui sono oggetto e soggetto riflessivamente identificantesi con l' oggetto stesso -nell' ambito della mia esperienza cosciente°- mentre che tu e chiunque altro, collocandovi con essa in determinate altre relazioni "estrinseche", cioé compiendo "le opportune osservazioni", potreste benissimo  osservare il mio cervello  in determinate circostanze neurofisiologiche (in quanto oggetto diverso dal soggetto) -nell' ambito delle vostre proprie esperienze coscienti°° di osservatori; e viceversa. Come ben dimostrato -ma non spiegato: la spiegazione essendo per l' appunto per me quella del noumeno- dalle neuroscienze: in un certo senso i miei pensieri (sensazioni interiori o mentali in generale) sono la cosa in sé (io stesso, soggetto -e in questo caso anche oggetto- della mia esperienza fenomenica cosciente):
a) quale fenomenicamente appare, si manifesta a se stessa;

e il mio cervello nelle corrispondenti fasi di attività neurofisiologica:
b) quale fenomenicamente appare a quella di altri soggetti da me -oggetto- diversi e viceversa.

Sensazioni materiali ("pubbliche", intersoggettive) come manifestazioni fenomeniche di oggetti in sé (noumeno) diversi dai soggetti di esperienza cosciente, e sensazioni mentali ("private", meramente soggettive) come manifestazioni fenomeniche di oggetti in sé (noumeno) riflessivamente identici ai soggetti di esperienza cosciente

Dai, fate uno sforzo per seguire l' elucubrazione (intricata e contorta, lo ammetto; a renderla più semplice in poche parole non ci riesco)!

_________________
* Dunque constato di essere in tua (per me piacevole) compagnia nel credere anche qualcosa per fede.

sgiombo

Citazione di: 0xdeadbeef il 28 Marzo 2019, 14:07:31 PM
Ciao Ipazia
Scusa ma come dicevo in una precedente risposta (che forse ti è sfuggita) mi sembri aver
malcompreso il concetto kantiano di "cosa in sé".
La "cosa in sé" è qualunque cosa non interpretata, quindi è null'altro che un mero oggetto.
Dal punto di vista di Kant, fra l'altro, Dio non avendo realtà (cioè non avendo nessuna estensione
spazio-temporale) è per forza di cose un'idea, e quindi necessariamente non è "cosa in sé".
saluti

Per quanto ricordo dai lontani anni del liceo (in quanto riferito dal professore di filosofia e letto nel manuale scolastico di filosofia, non sui testi originali dell' Autore; ho letto solo i Prolegomeni, ma oltre 50 anni fa! E inoltre la memoria potrebbe ingannarmi) Kant nella Critica della ragion pratica identificherebbe (non per dimostrazione razionale: non nella Critica della ragion pura, infatti) con Dio e con il sé personale - anima immortale alcune delle entità proprie del -o costituenti il- noumeno o "cosa in sé".

Salvo deprecabili fraintendimenti o svarioni di memoria questa era la "vulgata corrente del kantismo", più o meno fedele all' originale che fosse.

0xdeadbeef

Citazione di: Ipazia il 28 Marzo 2019, 15:13:33 PM
Forse per Kant Dio è un'idea, ma per un credente Dio è un noumeno inconoscibile tanto quello kantiano. Entrambi i concetti contengono la stessa contraddizione metafisica: se sono inconoscibili come possono essere postulati ? Siamo a livello ippogrifo.

Ciao Ipazia
Della "cosa in sé" kantiana si può dire di tutto (e specialmente che è un non-senso), ma
non che c'entri qualcosa con la metafisica.
Per Kant: "Dio non ha più realtà dell'idea che io abbia cento talleri in tasca" (te lo cito
integralmente in una celebre affermazione), quindi non può avere quel tipo di "oggettività
pura" (non l'idea dell'oggetto, ma l'oggetto) che è richiesta per avvalersi dell'appellativo
di "cosa in sè".
Ma mi chiedi: "se è inconoscibile (la cosa in sè) come può essere postulata?"
Per rispondere in maniera soddisfacente a questa domanda occorrerebbe fare la storia del
pensiero di diversi millenni...
Diciamo: con quella che viene definita (fin dallo Stoicismo, e poi nella Scolastica medievale
anglosassone per finire a Hume) "intuizione pura", cioè quel tipo di conoscenza "immediata"
che non è la conoscenza "intellettuale (come nella celebre distinzione di Duns Scoto).
Diciamo allora che della "cosa in sè" kantiana possiamo avere questo genere di conoscenza;
una conoscenza meramente intuitiva; un intuire che "c'è" (come mi pare di vedere ad esempio
anche in Levinas). E basta...
saluti

viator

Salve. Per Sgombo : a proposito di "Dal punto di vista di Kant, fra l'altro, Dio non avendo realtà (cioè non avendo nessuna estensione
spazio-temporale) è per forza di cose un'idea, e quindi necessariamente non è "cosa in sé".


Vorrei solo osservare che Dio, qualora consistesse nel'insieme del mondo, avrebbe invece certo estensione ben sufficiente a farne la "cosa in sè".

C'è un solo punto di vista che può mettere d'accordo materialisti e spiritualisti circa Dio  : considerare che esso sia "la causa dell'essere".

Ciò concilierebbe incontrovertibilmente ogni altra interpretazione. Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

viator

Salve. Per Ipazia ed Oxdeadbeef : "Forse per Kant Dio è un'idea, ma per un credente Dio è un noumeno inconoscibile tanto quello kantiano. Entrambi i concetti contengono la stessa contraddizione metafisica: se sono inconoscibili come possono essere postulati ? Siamo a livello ippogrifo."

Pur essendo inconoscibili secondo me possono tranquillamente venir postulati. Basta provare il bisogno interiore di affermare la loro esistenza. Infatti funziona proprio così. Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

0xdeadbeef

Ciao Sgiombo
Mah, diciamo che nella Ragion Pratica Dio è assunto come postulato allo scopo di fondare
l'agire morale (in maniera del tutto analoga al "se Dio non esiste, allora tutto è lecito"
di Dostoevskij).
Per Kant Dio è una speranza (ed improbabile, per giunta); egli dice che l'esistenza reale
di Dio può, al massimo, non essere del tutto esclusa.
Non mi risulta vi sia, in Kant, alcuna relazione fra l'idea di Dio e la "cosa in sé" (non
può logicamente esservi).
saluti

Lou

#97
Citazione di: 0xdeadbeef il 28 Marzo 2019, 18:13:06 PM
Ciao Ipazia
Della "cosa in sé" kantiana si può dire di tutto (e specialmente che è un non-senso), ma
non che c'entri qualcosa con la metafisica.
Per Kant: "Dio non ha più realtà dell'idea che io abbia cento talleri in tasca" (te lo cito
integralmente in una celebre affermazione), quindi non può avere quel tipo di "oggettività
pura" (non l'idea dell'oggetto, ma l'oggetto) che è richiesta per avvalersi dell'appellativo
di "cosa in sè".
Ma mi chiedi: "se è inconoscibile (la cosa in sè) come può essere postulata?"
Per rispondere in maniera soddisfacente a questa domanda occorrerebbe fare la storia del
pensiero di diversi millenni...
Diciamo: con quella che viene definita (fin dallo Stoicismo, e poi nella Scolastica medievale
anglosassone per finire a Hume) "intuizione pura", cioè quel tipo di conoscenza "immediata"
che non è la conoscenza "intellettuale (come nella celebre distinzione di Duns Scoto).
Diciamo allora che della "cosa in sè" kantiana possiamo avere questo genere di conoscenza;
una conoscenza meramente intuitiva; un intuire che "c'è" (come mi pare di vedere ad esempio
anche in Levinas). E basta...
saluti
È implicito in Kant che la conoscenza fenomenica debba derivare da qualcosa che fenomeno non è. Nella seconda edizione il noumeno è una nozione limite, definibile "non fenomeno" che resta inconoscibile, poichè per esserlo dovrebbe cadere nelle intuizioni pure di spazio e tempo e unificata attraverso le categorie, pertanto si avrebbe non già la cosa in sè, ma un fenomeno, che è l'unico oggetto di conoscenza. Pertanto ritengo che in Kant, si approdi a una nozione limite unicamente definibile in termini negativi, appunto "non fenomeno".È la ragione che si spinge oltre questi limiti conoscitivi dell'intelletto puro avventurandosi in mari tempestosi, senza sapere perchè. Propriamente non si può conoscere se "c'è" o "non c'è". Non si da conoscenza della cosa in sè in Kant, in alcun modo. Non mi risulta esista una "intuizione pura" diversa dalle due forme della sensibilità che formano il fenomeno, che permetta di conoscere la cosa in sè, in Kant, una intuizione non sensibile che intuizione è per Kant?
"La verità è brutta. Noi abbiamo l'arte per non perire a causa della verità." F. Nietzsche

0xdeadbeef

Citazione di: viator il 28 Marzo 2019, 18:41:49 PM
Vorrei solo osservare che Dio, qualora consistesse nel'insieme del mondo, avrebbe invece certo estensione ben sufficiente a farne la "cosa in sè".

C'è un solo punto di vista che può mettere d'accordo materialisti e spiritualisti circa Dio  : considerare che esso sia "la causa dell'essere".

Ciò concilierebbe incontrovertibilmente ogni altra interpretazione. Saluti.


Ciao Viator
E perchè mai "mettere d'accordo"; "conciliare" (ma allora Levinas ha ben ragione quando dice che
tutta la filosofia occidentale è volta alla fusione...)?
Perchè mai non lasciare "campo" all'alterità? Su queste questioni, poi...
Per finire consentimi una battuta: se Dio avesse l'estensione del mondo gli consiglierei di andare
immediatamente dal Dott. Nowzaradan a Houston...
saluti

sgiombo

Citazione di: viator il 28 Marzo 2019, 18:41:49 PM
Salve. Per Sgombo : a proposito di "Dal punto di vista di Kant, fra l'altro, Dio non avendo realtà (cioè non avendo nessuna estensione
spazio-temporale) è per forza di cose un'idea, e quindi necessariamente non è "cosa in sé".


Vorrei solo osservare che Dio, qualora consistesse nel'insieme del mondo, avrebbe invece certo estensione ben sufficiente a farne la "cosa in sè".

C'è un solo punto di vista che può mettere d'accordo materialisti e spiritualisti circa Dio  : considerare che esso sia "la causa dell'essere".

Ciò concilierebbe incontrovertibilmente ogni altra interpretazione. Saluti.

Veramente l' aveva scritto Oxdeadbeef.

Io avevo solo obiettato che non quadrava con i miei (un p' traballanti) ricordi liceali circa Kant.

0xdeadbeef

Citazione di: Lou il 28 Marzo 2019, 18:59:32 PM
È implicito in Kant che la conoscenza fenomenica debba derivare da qualcosa che fenomeno non è. Nella seconda edizione il noumeno è una nozione limite, definibile "non fenomeno" che resta inconoscibile, poichè per esserlo dovrebbe cadere nelle intuizioni pure di spazio e tempo e unificata attraverso le categorie, pertanto si avrebbe non già la cosa in sè, ma un fenomeno, che è l'unico oggetto di conoscenza. Pertanto ritengo che in Kant, si approdi a una nozione limite unicamente definibile in termini negativi, appunto "non fenomeno".È la ragione che si spinge oltre questi limiti conoscitivi dell'intelletto puro avventurandosi in mari tempestosi, senza sapere perchè. Propriamente non si può conoscere se "c'è" o "non c'è". Non si da conoscenza della cosa in sè in Kant, in alcun modo. Non mi risulta esista una "intuizione pura" diversa dalle due forme della sensibilità che formano il fenomeno, che permetta di conoscere la cosa in sè, in Kant, una intuizione non sensibile che intuizione è per Kant?

Ciao Ipazia
Ma perchè mai non si potrebbe conoscere se "c'è" o se "non c'è"?
Se, come dici, la conoscenza fenomenica deve derivare da qualcosa che fenomeno non è (o, detta
nei termini della semiotica, al "segno" deve corrispondere la cosa che il segno indica), allora
perchè mai, secondo logica, la "cosa in sé" non sarebbe conoscibile nella sua mera esistenza?
Ovviamente l'"intuizione pura" di Kant non è quella degli Stoici o di Duns Scoto, ma da quella
"forma-mentis" proviene (chiaramente per l'influenza di Hume), per cui la "cosa in sé" è da
Kant intesa come un qualcosa che il "nous", l'intelletto, può "afferrare" (nota il concetto
di chiara dericazione stoica) fermo restando, ed è ovvio, l'inconoscibilità.
Ma il concetto diviene poi a mio avviso palese proprio nella semiotica, la quale afferma
un "oggetto primo" che è all'origine della catena segnica degli interpretanti. Alcuni semiologi,
come ad esempio C.Sini, arrivano a sostenere che l'oggetto primo non esiste, ma per dire questo
sono costretti ad attribuire al verbo "esistere" un significato particolare e, direi, molto
discutibile (in sostanza che una cosa "esiste" solo dopo essere stata interpretata).
Altri, come U.Eco, hanno invece al proposito sostenuto tesi molto interessanti (la conoscenza
"negativa" etc.)
saluti

viator

Salve Sgiombo. Perdona la svista ma recentemente mi sono iscritto al "Festival della Giovinezza". Tra i ricchi premi e cotillons è inclusa la rimbambitaggine. Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

sgiombo

#102
Citazione di: 0xdeadbeef il 28 Marzo 2019, 18:54:46 PM
Ciao Sgiombo
Mah, diciamo che nella Ragion Pratica Dio è assunto come postulato allo scopo di fondare
l'agire morale (in maniera del tutto analoga al "se Dio non esiste, allora tutto è lecito"
di Dostoevskij).
Per Kant Dio è una speranza (ed improbabile, per giunta); egli dice che l'esistenza reale
di Dio può, al massimo, non essere del tutto esclusa.
Non mi risulta vi sia, in Kant, alcuna relazione fra l'idea di Dio e la "cosa in sé" (non
può logicamente esservi).
saluti

Consapevole del poco che ho studiato in anni lontani circa Kant e dell' incertezza della mia memoria, non insisto circa la convinzione che avevo (e sulla quale ora sospendo il giudizio) circa il fatto che il nostro nella Critica della ragion pratica non abbia postulato Dio allo scopo di fondare la morale ma invece (al contrario) abbia ricavato l' esistenza di Dio (e del' anima immortale) come conseguenza dell' imperativo categorico che trovava "di già confezionato" con certezza dentro di sé e non "fondato" o insegnatogli da un Dio" alla cui esistenza previamente credesse (Non: c' é Dio, ergo c' é l imperativo categorico, ma c' é l' imperativo categorico: ergo c' é Dio).

Ma credo fermamente che una identificazione fra ciò che sta "oltre i fenomeni" e Dio può benissimo logicamente darsi (e di fatto si é data, se non da parte di Kant, prima di lui -senza usare la terminologia kantiana ma parlando delle stesse cose, apparenze sensibili e ciò che é reale indipendentemente dall' essere sensibilmente percepito- da parte di Berkeley).

Lou

Citazione di: 0xdeadbeef il 28 Marzo 2019, 20:41:18 PM
Ciao Ipazia
Ma perchè mai non si potrebbe conoscere se "c'è" o se "non c'è"?
Se, come dici, la conoscenza fenomenica deve derivare da qualcosa che fenomeno non è (o, detta
nei termini della semiotica, al "segno" deve corrispondere la cosa che il segno indica), allora
perchè mai, secondo logica, la "cosa in sé" non sarebbe conoscibile nella sua mera esistenza?
Ovviamente l'"intuizione pura" di Kant non è quella degli Stoici o di Duns Scoto, ma da quella
"forma-mentis" proviene (chiaramente per l'influenza di Hume), per cui la "cosa in sé" è da
Kant intesa come un qualcosa che il "nous", l'intelletto, può "afferrare" (nota il concetto
di chiara dericazione stoica) fermo restando, ed è ovvio, l'inconoscibilità.
Ma il concetto diviene poi a mio avviso palese proprio nella semiotica, la quale afferma
un "oggetto primo" che è all'origine della catena segnica degli interpretanti. Alcuni semiologi,
come ad esempio C.Sini, arrivano a sostenere che l'oggetto primo non esiste, ma per dire questo
sono costretti ad attribuire al verbo "esistere" un significato particolare e, direi, molto
discutibile (in sostanza che una cosa "esiste" solo dopo essere stata interpretata).
Altri, come U.Eco, hanno invece al proposito sostenuto tesi molto interessanti (la conoscenza
"negativa" etc.)
saluti
io mi riferivo esclusivamente a Kant, poi tanta acqua è passata sotto i suoi ponti. Ripeto,la cosa in sè in Kant non è conoscibile per l'umano, se mi mostri dei passaggi dove afferma il contrario sono tutta orecchi.
"La verità è brutta. Noi abbiamo l'arte per non perire a causa della verità." F. Nietzsche

sgiombo

Citazione di: viator il 28 Marzo 2019, 20:53:42 PM
Salve Sgiombo. Perdona la svista ma recentemente mi sono iscritto al "Festival della Giovinezza". Tra i ricchi premi e cotillons è inclusa la rimbambitaggine. Saluti.



Benvenuto fra noi!

...Siamo una compagnia numerosa (e neanche troppo noiosa).