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L'Io e l'Altro

Aperto da 0xdeadbeef, 11 Marzo 2019, 20:43:56 PM

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0xdeadbeef

Ciao Paul
A me sembra che l'Essere di Levinas abbia molto in comune con quello di Platone...
Dice infatti questo nel "Sofista": "cosa c'è di comune fra le cose corporee e quelle
incorpoee, posto che di entrambe si dice che sono?".
Ecco, allo stesso modo a me sembra che Levinas "dichiari" l'Essere non legato a
nessuna "esistenza", ed evidentemente eterno soprattutto nel pensare l'eterno nei termini
dell'"y'a".
Sicuramente l'Essere di Levinas, in quanto "multiplo e scisso in Medesimo e Altro", non
è l'Essere monolitico di Parmenide, ma questo può forse voler dire che l'Essere levinasiano
è un Essere che coincide con l'esistenza? Io non credo (credo invece, con Levinas, che proprio
questa, diciamo, "monolicità" dell'Essere parmenideo costituisca il fondamento di quella
"ontologia dell'io" da cui è partito tutto questo discorso - chiaramente non che Parmenide
abbia soggettivato l'Essere in un Io, ci mancherebbe).
Perciò non sarei così sbrigativo nel dichiarare la totale estraneità di Parmenide alla
modernità proprio nel senso, cui accennavo, indicatoci da Levinas (il quale dice: "la
concezione eleatica dell'Essere domina la filosofia di Platone, nella quale la
molteplicità è subordinata all'Uno...a partire da Platone l'ideale verrà sempre cercato
nella fusione").
Non è forse così nel Neoplatonismo, nel Cristianesimo o nell'Idealismo? Ma perfino nel
nichilismo odierno, direi, non è forse rinvenibile una traccia di quella antica monoliticità
(chiaramente "tradita", disillusa)?
saluti

0xdeadbeef

Ciao Sgiombo
Per "realismo ingenuo" intendo la pretesa di conoscere l'oggetto escludendo da questa
conoscenza l'elemento soggettivo (così mi pare faccia anche la Fenomenologia, poi
l'amico Davintro certamente non sarà d'accordo...).
Sicuramente esiste una "cosa" che noi (italiani...) chiamiamo "cavallo". L'esistenza
di questa "cosa" è reale nel senso che essa ha indubitabilmente una estensione spaziale;
ma questa "cosa" noi la vediamo in un certo modo (ad esempio come uno strumento di trasporto,
di lavoro, di svago o come un animale anche da compagnia - in certe zone d'Italia anche come
ottima carne da gustare...) perchè la "interpretiamo" in un modo piuttosto che in un altro
(gli Inglesi, ad esempio, inorridiscono al pensiero di mangiare carne di cavallo).
Questo vuol semplicemente dire che l'oggetto (in questo caso il cavallo) non è indipendente
dal soggetto che lo pensa, quindi che Gentile aveva ragione.
saluti

sgiombo

Citazione di: 0xdeadbeef il 24 Marzo 2019, 10:34:31 AM
Ciao Sgiombo
Per "realismo ingenuo" intendo la pretesa di conoscere l'oggetto escludendo da questa
conoscenza l'elemento soggettivo (così mi pare faccia anche la Fenomenologia, poi
l'amico Davintro certamente non sarà d'accordo...).
Sicuramente esiste una "cosa" che noi (italiani...) chiamiamo "cavallo". L'esistenza
di questa "cosa" è reale nel senso che essa ha indubitabilmente una estensione spaziale;
ma questa "cosa" noi la vediamo in un certo modo (ad esempio come uno strumento di trasporto,
di lavoro, di svago o come un animale anche da compagnia - in certe zone d'Italia anche come
ottima carne da gustare...) perchè la "interpretiamo" in un modo piuttosto che in un altro
(gli Inglesi, ad esempio, inorridiscono al pensiero di mangiare carne di cavallo).
Questo vuol semplicemente dire che l'oggetto (in questo caso il cavallo) non è indipendente
dal soggetto che lo pensa, quindi che Gentile aveva ragione.
saluti

No!

Questo vuol dire semplicemente (unicamente) che la nostra conoscenza dell' oggetto reale (in questo caso il cavallo), e non l' oggetto reale, la sua esistenza (pensare questo sì che é davvero, oltre che errato, falso, anche molto ingenuo!) é relativamente (per certi aspetti) non indipendente dal soggetto che lo pensa (oltre che ovviamente incompleta) .
I cavalli esisterebbero (e sarebbero tali e quali a quelli che effettivamente sono) anche se gli Inglesi (che non sanno che cosa si perdono! Specie non mangiandola cruda e ben condita) si gustassero la loro carne o anche se tutti gi uomini inorridissero all' idea di mangiarla.
E di fatto tante specie animali esistenti da prima dell' homo sapiens (per esempio coccodrilli, tartarughe, squali,e cc.) erano reali anche se nessun uomo ne mangiava né ci pensava, né ne sapeva alcunché.

Questo vuol semplicemente dire che gli oggetti reali sono tali indipendentemente dagli eventuali soggetti che li pensassero o meno.
Quindi Gentile aveva torto (ed era decisamente ingenuo nel suo idealismo).

0xdeadbeef

Ciao Sgiombo
Mi sembrava di aver detto: "per "realismo ingenuo" intendo la pretesa di conoscere l'oggetto
escludendo da questa conoscenza l'elemento soggettivo".
Ma forse ho detto un'altra cosa e non me ne sono accorto...
Ma se avessi detto quello, allora ciò sarebbe più o meno equivalente al tuo: "la nostra
conoscenza dell'oggetto reale, non l'oggetto reale, non è indipendente dal soggetto" (anche
se vi aggiungi un non ben chiaro "relativamente").
Non mi sogno neppure di dire che la "cosa" dipende dal soggetto che la pensa (dal mio punto
di vista sarebbe come dire che la "cosa in sè" è un fenomeno...); ma ribadisco che non appena
cerchiamo di conoscere (e anche il solo pensiero è già un "conoscere") in qualche modo la "cosa"
essa non è più indipendente dal soggetto- pensante che cerca di conoscerla.
Quanto a Gentile (che non apprezzo particolarmente in quanto era un idealista), aveva ragione perchè
esprimeva il termine "oggetto" non nel senso che, in questo discorso, noi gli attribuiamo (la "cosa
reale" - per me la "cosa in sè"), ma nel senso di un "già pensato"; di un "già interpretato".
saluti

Lou

#49
@Ox e sgiombo
L'esistere o meno dell'essere-cavallo nulla aggiunge e nulle toglie all'essere-cavallo che è il sostrato eideietico che rimane immutato rispetto alle modalità in cui può apparirmi, ricordato, sognato, immaginato, cavalcabile, mangiabile... etc. Come lo vedo è intenzionato dallo sguardo del soggetto, e il variare dei modi d'apparire dipendono dal soggetto, ma poichè qualcosa appare, sicuramente è. Tanto apparire quanto essere. L'epochè mira a mettere tra parentesi ogni nostra intenzione nello sguardo che tanto meno è interessato più è "puro" quanto più l'esser-cavallo appare nella sua essenza, non "già interpretata", diciamo così.
"La verità è brutta. Noi abbiamo l'arte per non perire a causa della verità." F. Nietzsche

Ipazia

Vedo che sgiombo ha già risposto abbondantemente ad Ox, per cui mi appoggio al suo discorso. Extra realismus, nulla salus...ma tante favole si possono raccontare dagli ippogrifi in su.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

sgiombo

#51
Citazione di: 0xdeadbeef il 24 Marzo 2019, 13:01:44 PM
Ciao Sgiombo
Mi sembrava di aver detto: "per "realismo ingenuo" intendo la pretesa di conoscere l'oggetto
escludendo da questa conoscenza l'elemento soggettivo".
Ma forse ho detto un'altra cosa e non me ne sono accorto...
Citazione
E invece a me sembrava di aver letto (scritto da te):

"Questo vuol semplicemente dire che l'oggetto (in questo caso il cavallo) [e non invece: "la pretesa di conoscere l'oggetto
escludendo da questa conoscenza l'elemento soggettivo"; e non "la conoscenza dell' oggetto con i relativi aspetti soggettivi", N.d.R.] non è indipendente dal soggetto che lo pensa [eventualmente, N.d.R.], quindi che Gentile aveva ragione".

Ma forse ho letto un'altra cosa e non me ne sono accorto...



Ma se avessi detto quello, allora ciò sarebbe più o meno equivalente al tuo: "la nostra
conoscenza dell'oggetto reale, non l'oggetto reale, non è indipendente dal soggetto" (anche
se vi aggiungi un non ben chiaro "relativamente").

Non mi sogno neppure di dire che la "cosa" dipende dal soggetto che la pensa
Citazione
E questo é realismo (non ingenuo).

"Relativamente" perché non dipende unicamente (assolutamente) dal soggetto ma anche dall' oggetto.



(dal mio punto
di vista sarebbe come dire che la "cosa in sè" è un fenomeno...); ma ribadisco che non appena
cerchiamo di conoscere (e anche il solo pensiero è già un "conoscere") in qualche modo la "cosa"
essa non è più indipendente dal soggetto- pensante che cerca di conoscerla.
Citazione
A parte il fatto che il solo pensiero non é necessariamente già un conoscere (se penso che esistono realmente gli ippogrifi penso una balla e limitatamente a tale solo pensiero non conosco già un bel nulla di vero circa la realtà), la cosa continua ad essere ciò che é indipendentemente dal (l' eventuale) soggetto- pensante che cerca di conoscerla: il cavallo che predico veracemente (= conosco) correre nei terreni del mio collega F. N. (non é Nietzche malgrado un animale di tale specie abbia avuto notoriamente a che fare col per me pessimo tedesco, semplicemente non voglio violare la sua privacy), per il fatto che io lo predichi, non acquista né perde un grammo di peso, non cambia di una minima sfumatura il colore del suo pelo, non cambia per nulla alcuna sua propria altra caratteristica, ma rimane in tutto e per tutto tale e quale sarebbe se non  ne avessi conoscenza.

E questo (tuo) invece non é realismo (o per lo meno é assai ingenuo).


Poche righe qui sopra hai scritto testualmente (faccio un copia-incolla):

"Non mi sogno neppure di dire che la "cosa" dipende dal soggetto che la pensa" [senza ulteriori specificazioni; ergo: anchenon appena cerchiamo di conoscere (e anche il solo pensiero è già un "conoscere") in qualche modo la "cosa", N. d. R. ];

e qui invece (idem):

"ribadisco che non appena cerchiamo di conoscere (e anche il solo pensiero è già un "conoscere") in qualche modo la "cosa" essa non è più indipendente dal soggetto- pensante che cerca di conoscerla".

Vedi di metterti d' accordo con te stesso, altrimenti gli altri non ti possono capire.



Quanto a Gentile (che non apprezzo particolarmente in quanto era un idealista), aveva ragione perchè
esprimeva il termine "oggetto" non nel senso che, in questo discorso, noi gli attribuiamo (la "cosa
reale" - per me la "cosa in sè"), ma nel senso di un "già pensato"; di un "già interpretato".
saluti
CitazioneBeh, allora sarebbe (stato) il caso che Gentile traducesse in italiano corrente le sue elucubrazioni.

Perché in italiano il concetto di "cosa in sé (indipendentemente dall' eventuale essere pensata o meno)" é ben diverso concetto (per certi aspetti contrario) che "cosa già pensata, già interpretata".

0xdeadbeef

Ciao Sgiombo
La frase di Gentile citata da Severino (e da me riportata) è la seguente: "l'oggetto, in quanto pensato,
non può essere  una realtà indipendente dal soggetto che lo pensa".
Mi sembra abbia ragione da vendere, e appunto perchè si riferisce NON all'oggetto "in sè" (che non dipende
certo dal soggetto che lo pensa), ma al pensiero dell'oggetto in sè.
Mi sembra sia sufficientemente chiaro...
saluti

sgiombo

Citazione di: 0xdeadbeef il 24 Marzo 2019, 18:39:54 PM
Ciao Sgiombo
La frase di Gentile citata da Severino (e da me riportata) è la seguente: "l'oggetto, in quanto pensato,
non può essere  una realtà indipendente dal soggetto che lo pensa".
Mi sembra abbia ragione da vendere, e appunto perchè si riferisce NON all'oggetto "in sè" (che non dipende
certo dal soggetto che lo pensa), ma al pensiero dell'oggetto in sè.
Mi sembra sia sufficientemente chiaro...
saluti

Adesso é chiaro (ma banalissimo, tautologico).

Ma tu avevi scritto (un bel po' meno chiaramente): "Quanto a Gentile (che non apprezzo particolarmente in quanto era un idealista), aveva ragione perchè esprimeva il termine "oggetto" non nel senso che, in questo discorso, noi gli attribuiamo (la "cosa
reale" - per me la "cosa in sè"), ma nel senso di un "già pensato"; di un "già interpretato".
saluti"

davintro

#54
la distinzione tra realismo ingenuo e realismo critico a mio avviso è soprattutto metodologica, prima che riguardante il contenuto specifico delle tesi. Il realismo ingenuo si fonda su una sorta di dogmatismo della datità, accettare i dati dell'esperienza come riflettenti la realtà oggettiva delle cose sulla base di un certo livello di costanza delle verifiche: una volta che l'esperienza ripete oltre un tot di verifiche lo stesso contenuto, mi convinco l'esistenza transcoscienziale di tale contenuto. L'errore sta nel non considerare come ogni fissazione di una quantità di verifiche oltre le quali poter conseguire la certezza di tale esistenza oggettiva sia arbitraria: la possibilità dell'inganno non viene eliminata oltre un determinato numero di verifiche, ma sussiste fintanto che non si riconosce la validità degli strumenti soggettivi coscienziali tramite cui conosciamo i dati. Occorre cioè orientare lo sguardo dall'apprensione ingenua e immediata dell'oggetto alla riflessione autocritica del soggetto su se stesso. Ed ecco che subentra il realismo critico, che riconosce l'esistenza oggettiva delle cose come indipendente dalla mente, ma criticamente, cioè sulla base di un approccio poggiante su una base certa e indubitabile. In questo l'epoche fenomenologica ripercorre le orme di Agostino e Cartesio, nell'individuare la coscienza e i fenomeni a essa immanenti come residuo indubitabile certezza da cui dedurre un livello di realtà oggettiva. Nella misura in cui l'esistenza della realtà oggettiva è riconosciuta come necessaria per il costituirsi stesso, nella loro essenzialità, dei vissuti coscienti, allora tale esistenza condivide con questi la certezza del loro esistere, Il fatto che questa realtà oggettiva sia stata convalidata a partire dalla riflessione sulla coscienza non implica che la coscienza sia la condizione effettiva del suo esistere. Cioè, non va confuso il piano metodologico/euristico del "come si è arrivati a conoscere", con il piano ontologico del "cosa siamo arrivati a conoscere". Il metodo è uno strumento teoretico, cioè constativo, ma non direttamente performativo, non produce la realtà che serva a riconoscere. Certamente esiste una correlazione fra i due piani, in quanto la realtà scoperta del metodo deve pur sempre essere adeguata in qualche modo agli strumenti conoscitivi operati dal metodo. Nel momento in cui riconosco l'esistenza di una realtà indipendente dal pensiero la sto pensando. Ma questo non è contraddittorio, se la pensabilità resta proprietà secondaria e conseguente e non fondamentale all'esistenza della cosa pensata. Il fatto che la posizione della realtà oggettiva come pensabile può interpretarsi come una sorta di "corrispondenza, di "armonia" tra realtà e pensiero, per la quale ogni aspetto della realtà è associabile a una categoria del pensiero che consente di averne un concetto e un livello di conoscenza. Ma questa corrispondenza non va necessariamente vista nell'ottica idealista del pensiero che determina l'esistenza di ciò che pensa, ma può essere vista in quella di un realismo per cui è la realtà stessa che nel suo esistenziarsi autonomo sviluppa proprietà adeguate a essere contenuto dei concetti. E la validità di questa seconda interpretazione ha anche una convalida fenomenologica, nella distinzione del senso del "pensiero" rispetto alla volontà. I dati su cui il pensiero lavora sono sempre appresi in un processo il cui primo momento è sempre passivo, sia nella passività del contenuto che i sensi ricevono da stimoli posti nel mondo esterno con cui il nostro corpo viene a contatto, sia nella passività intrapsichica che emerge nella necessità di riconoscere il significato oggettivo, cioè non posto arbitrariamente dall'Io, dei contenuti mentali su cui l'Io stesso dirige l'attenzione, non è l'Io che decide arbitrariamente il contenuto dei suoi ricordi, quando lo fa, riconosce implicitamente, che sta effettuando un altro tipo di vissuto, non un ricordo, bensì una fantasia liberamente attuata, e questa distinzione è resa possibile, proprio per il fatto, che al contrario della fantasia, il ricordo viene ricevuto dall'Io passivamente. Questa passività testimonia il carattere attivo della realtà che determina una corrispondenza fra se il pensiero per il quale essa è pensabile, ma una corrispondenza nella quale è il pensiero che recita il ruolo di termine, almeno inizialmente, passivo. Tale carattere attivo della realtà la pone come autonoma

0xdeadbeef

Ciao Sgiombo
Mah guarda, ti rimando alla risposta all'amico Davintro (la #42 in pag.3), la prima in cui tocco
questi temi (in quanto Davintro aveva tirato in ballo la Fenomenologia). Lì puoi vedere in maniera
chiara che la mia critica al concetto fenomenologico di "essenza" è fondata sulla constatazione
che un pensato (e l'"essenza" è un pensato) non può essere una realtà indipendente dal soggetto che pensa.
Quanto all'ipotesi che il soggetto che pensa abbia un qualche "potere" sull'oggetto pensato, è una delle
(nefaste) conseguenze dell'Idealismo (che arriva addirittura a pensare un soggetto "creatore" dell'oggetto).
Queste tematiche sono apparse nell'ambito di questa discussione sull'"Io e l'Altro" proprio in quanto la
struttura del pensiero occidentale è, secondo Levinas (e per me con buone ragioni), una "ontologia dell'io",
cioè una forma-mentis nella quale l'"io" fagocita e riduce a se ogni altro elemento (quindi queste sono
ben altro che "banalissime tautologie"...)
saluti

sgiombo

Banalissimo, tautologico é quanto da te citato di Gentile:

"l'oggetto, in quanto pensato,
non può essere  una realtà indipendente dal soggetto che lo pensa".

Ma l' oggetto può ben essere reale anche in quanto (se e quando é) non pensato, e dunque può ben essere anche "una realtà indipendente dal soggetto che la pensa".

Per il resto mi sembra che ottimamente critici le tue affermazioni Davintro nel suo ultimo intervento, col quale concordo in tutto tranne che sulla possibilità di acquisire certezza della conoscenza degli oggetti, che nego ritenendo con Hume che alcune conditiones sine qua non della conoscenza possano (e debbano) essere "ragionevolmente assunte" pur non essendo dimostrabili logicamente né provabili empiricamente (rimane per me un "residuo di dubbio" insuperabile).

0xdeadbeef

A Lou (e anche a Davintro...)
Quello che della Fenomenologia mi rende perplesso è il suo, diciamo, "prestarsi" con troppa facilità
ad azzardate conclusioni...
Non si può, a mio parere, far finta che non è possibile "disinteressarsi" del tutto ed ammirare la
cosa nella sua "nudità": questo è più un concetto teologico (l'estasi, nella quale il soggetto si
"perde" nell'oggetto) che filosofico.
Ora, un cavallo rimane un cavallo a prescindere dal soggetto che lo interpreta; ma alcune cose di
esso cambiano a seconda che, ad esempio, l'interpretante sia un macellaio foggiano o un "gentleman"
di Oxford, che se anche si sforzassero parecchio di ammirare l"essenza" di quel che stanno
ammirando rimarrebbero in ogni caso con un "fondo" (c'è anche l'inconscio, se vogliamo...)
importante di differenza.
A livello concettuale, dicevo, mi sembra francamente molto più rigoroso  l'"io penso" kantiano (e
la conoscenza "trascendentale" che ne deriva).
Diciamo che semmai è stata la teoria della relatività a rendere molto più facile allo
scetticismo quella base teoretica (come fece notare acutamente Cassirer), che di suo non trovo
avesse certo la necessità di un simile sbocco (non escludeva assolutamente la conoscenza "a priori",
cioè oggettiva).
saluti

0xdeadbeef

Ciao Sgiombo
Naturalmente sei libero di concordare con chi vuoi, ma ti avverto che se concordi con la frase di Gentile
(al punto da ritenerla banale, tautologica) NON puoi concordare con Davintro.
Davintro sostiene infatti che l'oggetto è conoscibile nella sua "essenza" (e questo non è un punto fra
tanti, ma uno snodo filosofico assolutamente dirimente).
saluti
(sono dell tutto d'accordo con: l'oggetto come realtà indipendente dal soggetto - la chiamo "cosa in sè")

sgiombo

#59
Citazione di: 0xdeadbeef il 25 Marzo 2019, 13:33:35 PM
Ciao Sgiombo
Naturalmente sei libero di concordare con chi vuoi, ma ti avverto che se concordi con la frase di Gentile
(al punto da ritenerla banale, tautologica) NON puoi concordare con Davintro.
Davintro sostiene infatti che l'oggetto è conoscibile nella sua "essenza" (e questo non è un punto fra
tanti, ma uno snodo filosofico assolutamente dirimente).
saluti
(sono dell tutto d'accordo con: l'oggetto come realtà indipendente dal soggetto - la chiamo "cosa in sè")


Grazie per l' avvertimento, ma é fuori luogo.

Infatti il fatto che l' oggetto reale possa essere conoscibile in quanto tale, quale é indipendentemente dall' eventuale fatto di essere pure conosciuto (credo sia la stessa cosa che afferma Davintro espressa più sobriamente; se così non fosse mi atterrei alle eventuali ulteriori spiegazioni di Davintro stesso) é logicamente compatibilissimo con la banale tautologia per la quale
"l'oggetto, in quanto pensato, non può essere  una realtà indipendente dal soggetto che lo pensa" (evidenziazione in grassetto mia): l' oggetto può anche benissimo essere conosciuto per come (in quanto) é anche indipendentemente dall' essere (inoltre) pensato e conosciuto, quale sarebbe anche se non lo si conoscesse (per come sarebbe la realtà in toto se essa differisse da quella che effettivamente si dà per il solo particolare dell' inesistenza della conoscenza dell' oggetto e non dell' oggetto stesso, che ovviamente non sarebbe conosciuto ma non per questo non sarebbe ciò che é ma qualcos' altro).