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L'Io e l'Altro

Aperto da 0xdeadbeef, 11 Marzo 2019, 20:43:56 PM

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0xdeadbeef

Ciao Paul
Ma per Heidegger: "l'esserci progetta il suo essere in possibilità", che non vedo cos'altro possa
voler dire se non che la "possibilità" e la "progettazione" identificano l'intima sostanza dell'
esistente (chiaramente è dell'Heidegger di "Essere e Tempo" che stiamo parlando).
Non mi pare assolutamente sia così in Levinas, per il quale l'essere sembra coincidere con il
"c'è" (l'"y'a"), ovvero con l'esistere senza l'esistente (scrive Levinas: "in Heidegger
l'esistere è sempre colto all'interno dell'esistente"..."non credo che Heidegger possa ammettere
un esistere senza esistente"). E del resto il tempo, che in Heidegger coincide con l'essere nel
senso proprio della "progettualità", in Levinas coincide con l'"altro" ("lo scopo di queste
conferenze - che vanno sotto il titolo di "Il Tempo e l'Altro" - consiste nel mostrare che il
tempo non fa parte del modo d'essere di un soggetto isolato e solo, ma è la relazione stessa
del soggetto con altri", dice Levinas).
Da un certo punto di vista mi sentirei di dire che per Levinas Essere, Tempo ed Altro sono la
medesima cosa...
Dice F.P.Ciglia nella prefazione a: "Il Tempo e l'Altro": "intravede il tempo non come
l'orizzonte ontologico dell'essere nell'essente, ma come modo dell'al di là dell'essere,
come relazione del pensiero con l'altro...come relazione con il Tutt'altro, con il
trascendente, con l'infinito".
Ecco, in Levinas non c'è traccia di quella centralità dell'"io" che ritroviamo in tutta la
teoresi filosofica occidentale degli ultimi secoli, Heidegger compreso; ma c'è piuttosto la
marginalità di esso, una "piccolezza" che sembra voler lasciare campo appunto all'infinità
rappresentata dal Mistero e dal Totalmente Altro (che per il credente Levinas è senz'altro
la divinità).
Non è "questo" il Levinas che, personalmente, mi interessa. Mi interessa invece il Levinas di,
diciamo così, un "attimo prima"; il Levinas che teorizza una realtà "altra all'io" che è
essenzialmente Mistero, e che lo sguardo occidentale ha obliato: questà, sì, è davvero una verità
incontrovertibile (come del resto è verità incontrovertibile l'"io").
Dunque, per me verità incontrovertibile "prima" è proprio il Mistero, l'Altro. E possiamo anche
chiamarlo  "Arché", origine di tutto e tutti, ma senza che nulla cambi.
saluti

paul11

Citazione di: 0xdeadbeef il 21 Marzo 2019, 21:35:01 PM
Ciao Paul
Ma per Heidegger: "l'esserci progetta il suo essere in possibilità", che non vedo cos'altro possa
voler dire se non che la "possibilità" e la "progettazione" identificano l'intima sostanza dell'
esistente (chiaramente è dell'Heidegger di "Essere e Tempo" che stiamo parlando).
Non mi pare assolutamente sia così in Levinas, per il quale l'essere sembra coincidere con il
"c'è" (l'"y'a"), ovvero con l'esistere senza l'esistente (scrive Levinas: "in Heidegger
l'esistere è sempre colto all'interno dell'esistente"..."non credo che Heidegger possa ammettere
un esistere senza esistente"). E del resto il tempo, che in Heidegger coincide con l'essere nel
senso proprio della "progettualità", in Levinas coincide con l'"altro" ("lo scopo di queste
conferenze - che vanno sotto il titolo di "Il Tempo e l'Altro" - consiste nel mostrare che il
tempo non fa parte del modo d'essere di un soggetto isolato e solo, ma è la relazione stessa
del soggetto con altri", dice Levinas).
Da un certo punto di vista mi sentirei di dire che per Levinas Essere, Tempo ed Altro sono la
medesima cosa...
Dice F.P.Ciglia nella prefazione a: "Il Tempo e l'Altro": "intravede il tempo non come
l'orizzonte ontologico dell'essere nell'essente, ma come modo dell'al di là dell'essere,
come relazione del pensiero con l'altro...come relazione con il Tutt'altro, con il
trascendente, con l'infinito".
Ecco, in Levinas non c'è traccia di quella centralità dell'"io" che ritroviamo in tutta la
teoresi filosofica occidentale degli ultimi secoli, Heidegger compreso; ma c'è piuttosto la
marginalità di esso, una "piccolezza" che sembra voler lasciare campo appunto all'infinità
rappresentata dal Mistero e dal Totalmente Altro (che per il credente Levinas è senz'altro
la divinità).
Non è "questo" il Levinas che, personalmente, mi interessa. Mi interessa invece il Levinas di,
diciamo così, un "attimo prima"; il Levinas che teorizza una realtà "altra all'io" che è
essenzialmente Mistero, e che lo sguardo occidentale ha obliato: questà, sì, è davvero una verità
incontrovertibile (come del resto è verità incontrovertibile l'"io").
Dunque, per me verità incontrovertibile "prima" è proprio il Mistero, l'Altro. E possiamo anche
chiamarlo  "Arché", origine di tutto e tutti, ma senza che nulla cambi.
saluti
ciao Mauro (Oxdeadbeef)
L'Essere(che si può semmai far corrispondere all'Archè, all'origine) non può che essere eterno se corrisponde alla verità .A me pare che nè Heidegger e forse nemmno Levinas chiariscano il rapporto fra Esistere nel tempo e l'Essere.
Esistere è una necessità, non è possiblità, noi siamo gettati nel mondo senza domande, lo siamo "di fatto".
Il rapporto fra Esistenza ed Essere, poichè esistere è conoscere, fare esperienza senza alcuna verità "in tasca", ed è quindi una ricerca e in questo caso possiamo dire è possiblità di svelare nell'Esistenza l'Essere, di intuirlo, di sapere, di conoscere.
il senso delal vita è la tensione fra Esistere ed Essere.Fra ciò che possiamo conoscere è una verità che c'è ed è originaria al fatto che noi siamo gettati nel mondo. Le grandi domande filosfiche del perchè esistiamo non possono essere che rivolte ad una unica verità che va oltre il tempo e le singole esistenze e che quindi è Tutto in quanto origine di Tutto.L'altrui è una modalità di conoscere di sapere,di comprendere poichè l'Altrui ha le mie stesse domande, porta con sè la sua esperienza nel mondo e conoscerlo signifca condividere esperienze che sono anche affettive, perchè queste sono le più abissali e profonde, svelano l'intimità umana priva di sovrastrutture e più è profonda e più è condivisibile, perchè ciò che è e non ciò che appare. Se tutto viene dall'Essere ,quindi l'esistere porta con sè la possibilità di svelare l'essere.

In Heidegger ho la sensazione che il dasein, l'esser-ci, l'esistere nel mondo si focalizza troppo nell'Esitenza perdendo di vista l'Essere.
L'Essere ,ribadisco non esiste, "è" da sempre.mentre l'Esisitenza è vivere il tempo,Quindi è la necessità, dell'essitenza che deve svelare l'essere e questo è il senso dell'esitenza ,poichè dovrà tornare all'origine, all'essere, il luogo della verità.
Non ha senso un'esistenza fine a se stessa, senza un prima e senza un dopo, perchè daccapo non possiamo venire dal nulla e finire nel nulla, poichè il Tutto sopravvive alle minuzie temporali delle singole esistenze che susseguono,con le stesse domande, con le stesse inquietudini, e in fondo, con le stesse ricerche anche se da punti divista culturali e temporali  diversi.

L'altro non è l'Esssere è un'altra esistenza, un'altra tensione, un'altra inquietudine, un altro mistero;Ma nulla di tutto ciò è Essere. semmai portano con sè qualcosa dell'origine e quindi dell'Essere, per questo è importante conoscere l'Altrui.Il Mistero in fondo è la nostra ignoranza,perchè questa è la condizione dell'essitenza, diversamente non conosceremmo, non sapremmo, non avremmo forse nemmeno necessità di comunicare e comunicare in fondo è anche amare, per certi versi.

Non penso quindi che l'altrui e il Mistero corrispondano  all'Essere o Archè.

Il punto debole delle filosofie di Heidegger e Levinas che non c'è un prima e un dopo l'esisitenza nel tempo.Il muro del tempo si rompe solo se l'Essitenza corrisponde all'Essere.Ho la netta sensazione che la filosofia non riesca o non voglia addirittura più andare oltre al fatto materiale esistenza/tempo, forse per il timore di entrare nelal sfera teologica.
Perchè già qualcuno disse ama il prossimo tuo come te stesso, ma è un mezzo, non un fine. Le religioni sono costruite su una "rivelazione" che va oltre l'esistenza, ma hanno la logica di costruire il senso dell'esisitenza  e tutto ciò che nella modernità vada appunto oltre il vissuto "puzza" di teologico, religioso, metafisico.E' un errore.Per questo dicevo di filosofie "monche".

Sariputra

Mi sembra che quando si finisce a discettare se l'essere è l'esistente, ma non è l'esser-ci, il quale è diverso dall'essere ma forse non dall'esistente e se esisto non vuol dire che ci sono, ma forse che semplicemente penso di esser-ci, direi, da non filosofo...che la filosofia ha qualche problema. :(
Mi sembra che tutta questa riflessione manchi di una cosa importante:  l'esperienza concreta della percezione di questo fantomatico "io" su cui poggia la speculazione "dura e pura", puramente mentale; un speculare senza aggancio con l'esperienza percettiva, svincolato, alieno...in fondo autoreferenziale.

-Soffro...Perché soffro?-
-E' per via del tuo esser-ci -
-Grazie capo!... Se non c'ero non soffrivo, questo l'avevo già capito da un bel pezzo. Ma tu che sei un filosofo mi sai dire perché?-
-E' per via che tu pensi all'essere e non all'esser-ci. Devi immergerti nell'esistente e così affiorare all'esser-ci, svincolato dall'Essere, ma non all'essere che, come sai, è ben diverso dall'Essere e dall'esistente.-
-Aaahhh...ecco!..Ecco dove sbagliavo...perché...in definitiva, sì...sì, hai proprio ragione...è che pensavo...non so...è una stupidaggine, lo so...pensavo fosse colpa di mia moglie!-
-Mi stai perculando?-
-No capo! No...non ti offendere...è che proprio questa mattina mia moglie mi ha fatto la domanda, capisci?-
-Che domanda?..-
- Sariiii!!!..Ci sei o ci fai?-
-Sì, mi stai proprio perculando..-
-Noo! Ti prego, non devi pensare questo...anzi, mi hai dato la chiave per la risposta. Una risposta saggia, profonda, filosofica per l'appunto. Le dirò: donna, ci sono, ma il mio esser-ci non significa affatto essere...quel che "tu" vuoi che "io" sia!...-

Scusate la digressione, continuate pure...ho scritto questo "intermezzo" giusto per ravvivare un pò ( o per deprimere, valutate voi..), visto il momento di 'stanca' nel forum...non prendetelo troppo seriamente... :)  ;)
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

viator

Salve Sari. Tu se modesto al punto da risultare autolesionista. Hai appena messo in luce di non riuscire a comprendere un'ovvietà : la base filosofica della distinzione tra l'io e l'altro consiste nel quesito esistenziale seguente : "per quale ragione se l'altro incorre in una forte vincita....all'io non va in tasca nulla ??". Ovviamente si tratta quindi di una distinzione incomprensibilmente discriminatoria che la filosofia deve assolutamente chiarire. Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

paul11

citaz. Davintro 
Il sapere delle essenze non pretende di essere sapere della realtà nella totalità, ma si limita evidenziare una struttura di leggi necessarie, che è fondamentale per la realtà, senza però esaurirla

Questo è un punto importante.
Mentre la cultura moderna è presa a fare conoscenza quantitativa , ad accumulare conoscenza  e tenendola separata nei domini,
la vera conoscenza è qualitativa, è essenza, è la regola e la misura di come funziona l'universo e non orientandosi  "solo" alle sensibilità empiriche, poi materialiste e naturaliste.
La deduzione porta al pensiero ciò che il mondo sensibile ed esperienziale manifesta. 
Il tempo umano è sincronizzato al tempo universale ,delle galassie ,delle le stelle ,dei pianeti , così come il respiro lo è con il battito cardiaco.Tutto è correlato.
Pensare al Tempo e   all'Esistenza umana,senza correlare all' Universo, è ancora egocentrismo umano.
Quindi temo che anche Levinas se non correla l'Esistenza ai parametri universali cade in una filosofia ancora egocentrista.

0xdeadbeef

Ciao Paul
Ma cos'è l'"Essere"? A me pare che per Heidegger (sia pre che  post "svolta") questo abbia lo stesso senso
che per Aristotele, cioè che sia un significato primario e fondamentale DELL'esistente.
E qui dici bene, perchè affermi che in Heidegger il "dasein" è focalizzato nell'esistenza. Ma
nell'esistenza "di chi", verrebbe da chiedersi; perchè infatti, come giustamente rilevi, l'Essere,
se "c'è", non può essere relativo a nessuna esistenza.
In realtà, trovo, l'Essere heideggeriano (e aristotelico) è un Essere "tecnico" (e perciò metafisico);
un Essere che ha già evidentemente perduto, in quanto legato all'esistenza, il connotato fondamentale
che aveva in Parmenide (e che è chiaramente la necessità di essere eterno).
Il medesimo connotato parmenideo che, credo, ritroviamo in Levinas, con il suo senso dell'Essere
come "l'esistere senza l'esistenza (l'"y'a").
Quindi, ecco, non credo che il senso dato all'Essere da Levinas possa essere confuso con quello di
Heidegger. Senonchè, dice Levinas, il concetto parmenideo va "superato" in quanto fondamento di
quella "ontologia dell'io" che contraddistingue la modernità (e la modernità è strutturata sul
pensiero occidentale); ma va superato, ed è questo il punto, non partendo dalla teoresi del
"parricidio", cioè del divenire, ma dalla affermazione dell'"altro" (dice Levinas: "l'Essere
si produce come multiplo e come scisso in Medesimo e in Altro. Questa è la sua struttura ultima").
A me, francamente, sembra un concetto molto interessante. Che rompe, eccome, quello che chiami il
"muro del tempo" laddove afferma chiaramente l'eternità nel senso che prima dicevo.
Naturalmente senza con questo rischiarare certe zone d'ombra, ci mancherebbe...
saluti

0xdeadbeef

Citazione di: Sariputra il 22 Marzo 2019, 10:54:04 AM
Mi sembra che quando si finisce a discettare se l'essere è l'esistente, ma non è l'esser-ci, il quale è diverso dall'essere ma forse non dall'esistente e se esisto non vuol dire che ci sono, ma forse che semplicemente penso di esser-ci, direi, da non filosofo...che la filosofia ha qualche problema. :(


Ciao Sari
Stavolta devo, per così dire, "bacchettarti" ;) , perchè fingi di non capire la filosofia (che in
realtà capisci benissimo...).
Dicevo in un intervento precedente che una volta sentii un tizio in un bar dire: "il giorno
che muoio io finisce il mondo". Oppure, che so, hai mai sentito dire che il ladro pensa che
siano tutti ladri (o l'onesto che siano tutti onesti) o che "con la volontà si ottiene tutto"?
Ecco, questa in filosofia si chiama "ontologia dell'io", ed è esattamente il punto da cui sono
"partito" per questa riflessione.
Chiaramente si tratta di analizzare le cause i i fondamenti dei processi che hanno portato a
ragionare in questo modo (per me sbagliato, e lo si insegna anche ai bambini...); un "lavoro
di scavo" non semplice (ammetto tranquillamente che un "profano" che legga i dialoghi fra me
e l'amico Paul ci possa prendere per pazzi...)
saluti

sgiombo

Citazione di: Sariputra il 22 Marzo 2019, 10:54:04 AM
Mi sembra che quando si finisce a discettare se l'essere è l'esistente, ma non è l'esser-ci, il quale è diverso dall'essere ma forse non dall'esistente e se esisto non vuol dire che ci sono, ma forse che semplicemente penso di esser-ci, direi, da non filosofo...che la filosofia ha qualche problema. :(
Mi sembra che tutta questa riflessione manchi di una cosa importante:  l'esperienza concreta della percezione di questo fantomatico "io" su cui poggia la speculazione "dura e pura", puramente mentale; un speculare senza aggancio con l'esperienza percettiva, svincolato, alieno...in fondo autoreferenziale.



CitazioneDa filosofo (ma razionalista...) quale  presuntuosamente mi ritengo, concordo.


-Soffro...Perché soffro?-
-E' per via del tuo esser-ci -
-Grazie capo!... Se non c'ero non soffrivo, questo l'avevo già capito da un bel pezzo. Ma tu che sei un filosofo mi sai dire perché?-
-E' per via che tu pensi all'essere e non all'esser-ci. Devi immergerti nell'esistente e così affiorare all'esser-ci, svincolato dall'Essere, ma non all'essere che, come sai, è ben diverso dall'Essere e dall'esistente.-
-Aaahhh...ecco!..Ecco dove sbagliavo...perché...in definitiva, sì...sì, hai proprio ragione...è che pensavo...non so...è una stupidaggine, lo so...pensavo fosse colpa di mia moglie!-
-Mi stai perculando?-
-No capo! No...non ti offendere...è che proprio questa mattina mia moglie mi ha fatto la domanda, capisci?-
-Che domanda?..-
- Sariiii!!!..Ci sei o ci fai?-
-Sì, mi stai proprio perculando..-
-Noo! Ti prego, non devi pensare questo...anzi, mi hai dato la chiave per la risposta. Una risposta saggia, profonda, filosofica per l'appunto. Le dirò: donna, ci sono, ma il mio esser-ci non significa affatto essere...quel che "tu" vuoi che "io" sia!...-

Scusate la digressione, continuate pure...ho scritto questo "intermezzo" giusto per ravvivare un pò ( o per deprimere, valutate voi..), visto il momento di 'stanca' nel forum...non prendetelo troppo seriamente... :)  ;)
Citazione
Sempre grande, Sari !

paul11

#38
Citazione di: 0xdeadbeef il 22 Marzo 2019, 16:57:06 PM
Ciao Paul
Ma cos'è l'"Essere"? A me pare che per Heidegger (sia pre che  post "svolta") questo abbia lo stesso senso
che per Aristotele, cioè che sia un significato primario e fondamentale DELL'esistente.
E qui dici bene, perchè affermi che in Heidegger il "dasein" è focalizzato nell'esistenza. Ma
nell'esistenza "di chi", verrebbe da chiedersi; perchè infatti, come giustamente rilevi, l'Essere,
se "c'è", non può essere relativo a nessuna esistenza.
In realtà, trovo, l'Essere heideggeriano (e aristotelico) è un Essere "tecnico" (e perciò metafisico);
un Essere che ha già evidentemente perduto, in quanto legato all'esistenza, il connotato fondamentale
che aveva in Parmenide (e che è chiaramente la necessità di essere eterno).
Il medesimo connotato parmenideo che, credo, ritroviamo in Levinas, con il suo senso dell'Essere
come "l'esistere senza l'esistenza (l'"y'a").
Quindi, ecco, non credo che il senso dato all'Essere da Levinas possa essere confuso con quello di
Heidegger. Senonchè, dice Levinas, il concetto parmenideo va "superato" in quanto fondamento di
quella "ontologia dell'io" che contraddistingue la modernità (e la modernità è strutturata sul
pensiero occidentale); ma va superato, ed è questo il punto, non partendo dalla teoresi del
"parricidio", cioè del divenire, ma dalla affermazione dell'"altro" (dice Levinas: "l'Essere
si produce come multiplo e come scisso in Medesimo e in Altro. Questa è la sua struttura ultima").
A me, francamente, sembra un concetto molto interessante. Che rompe, eccome, quello che chiami il
"muro del tempo" laddove afferma chiaramente l'eternità nel senso che prima dicevo.
Naturalmente senza con questo rischiarare certe zone d'ombra, ci mancherebbe...
saluti
No, è fuori da ogni logica "seria" ritenere che l'esistenza, e quindi un ente che vive e quindi un essente che diviene nel divenire possa costiture l'uguaglianza con l'Essere.Su questo rimango d'accordo con Severino.L'essere è eterno e non diveniente. L'esistenza nel divenire è necessità del disvelamento(aletheia ,molto utilizzato da Heidegger) e possibilità attraverso la conoscenza di giungere al "nocciolo" (che è l'essenza) che correla gli essenti (regole e misure,ecc.):esistenza,(essenti)-essenza- Essere,questo è il percorso che può permettere all'esistenza quanto meno di avvicinarsi alla verità. Che potrebbe ( e quì i filosfi applicano argomentazioni e metodologie diverse) voler dire collegare il mondo fenomenico fattuale alla deduzione del pensiero attraverso la coscienza.

ribadisco che Heidegger  segue Aristotele(polemizzando con Platone) in quanto ritiene più pratico (è in un certo modo la stessa differenza che c'è fra Hegel e e Fichte, dove quest'ultimo è più prassi del primo). Così facendo heidegger "perde" l'Essere che era molto più chiaro in Platone e già confuso in Aristotele. E cosa c'è più pratico se non l'Esistenza?Ma l'Esistenza non è l'Essere.
La Technè non è l'Essere .
Aristotele sa beni ssimo che non può vincere Parmenide su l'Essere che è e non può non essere nell ostesso tempo e quindi divenire.
Per questo la logica dialettica utilizza il "negativo" il non-essere, come elemento identitario che diviene contraddittorio , per cui un ente che è non può diventare altro da sè.
Ed è il Tempo il discrimine, fra eterno e divenire.

Non capisco come Parmenide possa aver soggettivato l'Essere in un Io.Parmenide si riferisce ad ogni ente non all'io.Severino supera dialetticamente con la regola  logica il principio parmenideo , ma è lo stesso Severino nel celebre esempio della legna e della cenere che indica che la legna non può essere cenere. L'errore è credere alla manifestazione perdendo l'essenza.Anche noi siamo "diversi" dal nascituro che fummo, ma  che forse   perdiamo una identità per averne  un'altra ogni giorno? Cosa ci permette di identificarci nonostante cambiamo fiscamente? Cosa fa sì che nonostante  mutiamo e appariamo diversi a noi stessi e agli altri ,siamo comunque sempre noi stessi?

Il pensiero antico greco è arrivato alla modernità soprattutto con Aristotele e la scuola peripatetica che a lui si ispira. La stessa scolastica e il tomismo sono più ispirati ad Aristotele che ad altri(Platone e Parmenide).Parmenide in poco o niente influisce nella modernità che è totalmente altra , accettando come luogo della verità l'empirismo del sensibile affermatosi come positivismo, ecc.
Ha totalmente spostato l'asse filosfico la modernità cancellando i concetti di Essere e di Eterno.

Non è l'Essere a scindersi in quella contraddizone moderna della molteplicità .Semmai ogni individuo della molteplicità ,in quanto correlato all'Essere che è origine può, ma come essenza, portare con sè un' indicazione di verità:questo sì.

Ipazia

L'Essere è il noumeno dell'essente. E' l'e(sse)nte in sè. Altrettanto chimerico della cosa in sè. L'Altro è il contronoumeno speculare. Narcisismo filosofico che finisce, come da leggenda, affogato nella pozza in cui si contempla. Mentre il mondo sta altrove.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

sgiombo

Ci tengo a precisare che la filosofia non é "tutta qui".

Esistono anche filosofie razionalistiche che cercano di comprendere e conoscere criticamente, razionalmente il mondo (la realtà) e non si limitano a contemplare narcisisticamente il proprio ombelico o a elaborare sistemi di concetti arbitrari e "campati in aria".

paul11

#41
Citazione di: Ipazia il 22 Marzo 2019, 23:31:05 PM
L'Essere è il noumeno dell'essente. E' l'e(sse)nte in sè. Altrettanto chimerico della cosa in sè. L'Altro è il contronoumeno speculare. Narcisismo filosofico che finisce, come da leggenda, affogato nella pozza in cui si contempla. Mentre il mondo sta altrove.
L'essere non è il noumeno dell'essente, ogni umano è motivato e intenzionato verso qualcosa,  spesso nemmeno conosce il perchè.
Assolutamente l'essere non è l'essente in sè, diversamente non avrebbe motivazioni e neppure intenzioni.
L'atro è un essente che ha una  sua esperienza e ontologicamente è come me. Allora signifca che conoscendo e comprendendo l'altrui posso avvicinarmi all'essere, verso una verità. e che non lo capiscano persone che ritenegono di essere "sociali", indica il livello.........
Levinas è niente affatto un narcisista, ha patito da ebreo la condizione umiliante e inumana  nei lager nazisiti e ne è uscito non come risentimento, ma cercando di capire il perchè l'uomo possa arrivare a creare lager.E questo mi basta indipendentmente dal giudizio sulla  sua costruzione di pensiero filosfico, a stimare la sua dignità umana.

Il mondo siamo anche tutti noi. E questo mondo è fatto di sputasentenze .

0xdeadbeef

#42
Ciao Davintro
Mah, parafrasando G.Gentile potrei risponderti che l'essenza, essendo pensata, non può essere una
realtà indipendente dal soggetto che la pensa.
Voglio dire che il fenomeno non è concetto facilmente eludibile....
Questo è ciò che Severino risponde al filosofo tedesco M.Gabriel nella discussione sul "Nuovo
Realismo" di qualche anno fa (non so se l'hai seguita). Gabriel, come Ferraris nel nostro paese,
sono i "paladini" di un nuovo (nuovo per modo di dire...) concetto di "oggettività"; in sostanza
quella che solo qualche decennio fa era chiamata "realismo ingenuo".
A questi Severino risponde citando Gentile: "l'oggetto, in quanto pensato, non può essere una
realtà indipendente dal soggetto che lo pensa" (concetto che ti ripropongo tal quale).
Ora, Gabriel rispose a Severino dicendo che l'oggetto è comunque pensabile all'interno di un
"campo", affermazione cui Severino replicò sostendo che un campo altro non è se non un "contesto"
(e che questo, essendo in possibilità riducibile fino al singolo individuo, esclude radicalmente
ogni pretesa di oggettività - perlomeno quella filosoficamente intesa).
Ora, non che io contesti del tutto la tesi fenomenologica: è che semplicemente la ritengo superflua,
visto che l'"io penso" di Kant già aveva, per me, esaurito l'argomento.
Certamente saprai che nella filosofia di Kant la conoscenza "trascendentale" è la conoscenza delle
possibilità della conoscenza oggettiva (e che quindi, sulla base di ciò, il "dato" riveste un ruolo
centrale).
Mi chiedo: si può andare "oltre" questo senza finire dritti nell'idealismo o nel suo contrario, cioè
nel materialismo? Cioè si può, come tu affermi ("l'essenza rispecchia - della realtà delle cose - la
loro struttura apriorica, costante, necessaria"), sostenere una conoscenza NON delle possibilità della
conoscenza oggettiva, ma della stessa conoscenza oggettiva senza fare, pari pari, il medesimo
ragionamento di Gabriel e di ogni "realista ingenuo"?
saluti

0xdeadbeef

#43
Citazione di: Ipazia il 22 Marzo 2019, 23:31:05 PM
L'Essere è il noumeno dell'essente. E' l'e(sse)nte in sè. Altrettanto chimerico della cosa in sè. L'Altro è il contronoumeno speculare. Narcisismo filosofico che finisce, come da leggenda, affogato nella pozza in cui si contempla. Mentre il mondo sta altrove.



Ciao Ipazia
E dove sta il mondo? Forse in quelle scuole o famiglie dove si insegna ai bambini che "con la
volontà si ottiene tutto"?
Come e da dove credi nascano questi sciocchi pensieri? Forse non vedi come in quel mondo che
menzioni l'"io", cioè l'individuo, sta fagogitando e riducendo a se ogni cosa?
Ritieni narcisismo filosofico il tentare di capire come questo abbia potuto originarsi?
Oppure ritieni il cercare di capire equivalente all'onanismo e pensi si debba in qualche modo
agire per cambiare le cose? In questo caso potrei consigliarti di iscriverti ad un partito
politico o di fondarne uno (o in altermativa iscriverti all'ottimo forum "Armi e Tiro"...)
saluti

sgiombo

Citazione di: 0xdeadbeef il 23 Marzo 2019, 22:55:33 PM
Ciao Davintro
Mah, parafrasando G.Gentile potrei risponderti che l'essenza, essendo pensata, non può essere una
realtà indipendente dal soggetto che la pensa.
Voglio dire che il fenomeno non è concetto facilmente eludibile....
Questo è ciò che Severino risponde al filosofo tedesco M.Gabriel nella discussione sul "Nuovo
Realismo" di qualche anno fa (non so se l'hai seguita). Gabriel, come Ferraris nel nostro paese,
sono i "paladini" di un nuovo (nuovo per modo di dire...) concetto di "oggettività"; in sostanza
quella che solo qualche decennio fa era chiamata "realismo ingenuo".
A questi Severino risponde citando Gentile: "l'oggetto, in quanto pensato, non può essere una
realtà indipendente dal soggetto che lo pensa" (concetto che ti ripropongo tal quale).
Ora, Gabriel rispose a Severino dicendo che l'oggetto è comunque pensabile all'interno di un
"campo", affermazione cui Severino replicò sostendo che un campo altro non è se non un "contesto"
(e che questo, essendo in possibilità riducibile fino al singolo individuo, esclude radicalmente
ogni pretesa di oggettività - perlomeno quella filosoficamente intesa).
Citazione
Probabilmente (l' argomento qui discusso non l' ho capito proprio) vado fuori tema, ma mi sembra interessante obiettare a Gentile e Severino (non che mi entusiasmi Gabriel e men che meno Ferraris) che si può pensare qualcosa di reale predicando l' esistenza reale di un soggetto (in senso grammaticale o meglio sintattico) il quale é un concetto avente, oltre che una connotazione o intensione "cogitativa" anche una denotazione o estensione reale.
Per esempio "esistono -realmente- cavalli", posto che cavalli reali esistono anche indipendentemente dall' eventuale fatto reale ulteriore che siano pensati o meno; contrariamente a "esistono -realmente- ippogrifi", posto che non esistono ippogrifi reali anche indipendentemente dall' eventuale fatto reale che siano pensati (ovvero: che sia reale meramente in quanto pensato, "contenuto di pensiero" il concetto di "ippogrifo -i" privo di denotato o estensione reale).

E' ovvio che tutto ciò che di reale conosciamo lo pensiamo; per definizione, "conoscenza (vera)" significando "predicazione come reale di qualcosa che é reale o come non reale di qualcosa che non é reale".
Ma ciò non implica che non possiamo pensare (e in particolare conoscere) l' esistenza (anche, non solo; ma in caso contrario si tratterebbe di pretesa conoscenza falsa nel caso la si predichi affermativamente) di qualcosa di reale che sarebbe reale anche nel caso non fosse pensato esserlo (nel caso la realtà fosse tale quale realmente é salvo l' inesistenza dell' evento costituito dal pensiero - conoscenza di tale cosa reale).

Il cavallo del mio vicino di casa é reale che io lo pensi o meno, ed era reale anche prima che io lo vedessi e ci pensassi e che te ne parlassi e tu ci pensassi; e sono reali anche se non tu le pensi anche tante altre cose che tu ignori ma io ben so essere reali e viceversa; ma anche tante cose (per esempio in sistemi stellari disabitati di lontane galassie) che nessuno pensa essere reali.


A me questo sembra realismo tutt' altro che "ingenuo" o sprovveduto.