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L'Io e l'Altro

Aperto da 0xdeadbeef, 11 Marzo 2019, 20:43:56 PM

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sgiombo

Citazione di: 0xdeadbeef il 25 Marzo 2019, 13:14:36 PM

Ora, un cavallo rimane un cavallo a prescindere dal soggetto che lo interpreta; ma alcune cose di
esso cambiano a seconda che, ad esempio, l'interpretante sia un macellaio foggiano o un "gentleman"
di Oxford, che se anche si sforzassero parecchio di ammirare l"essenza" di quel che stanno
ammirando rimarrebbero in ogni caso con un "fondo" (c'è anche l'inconscio, se vogliamo...)
importante di differenza.

Le più o meno importanti differenze stanno tutte fra i pensieri sul cavallo del (simpatico) macellaio foggiano (che sono "una certa cosa" reale) e dell' (antipatico) dandy britannico (che sono un' altra, diversa "certa cosa" reale), e non affatto nel cavallo (reale) che é uno solo (un' unica e sola "cosa reale"): lo stesso di cui il simpatico foggiano si pregusta la bistecca e l' antipatico oxoniense immagina di cavalcare per giocare a Polo.

Lou

#61
Citazione di: 0xdeadbeef il 25 Marzo 2019, 13:14:36 PM
A Lou (e anche a Davintro...)
Quello che della Fenomenologia mi rende perplesso è il suo, diciamo, "prestarsi" con troppa facilità
ad azzardate conclusioni...
Non si può, a mio parere, far finta che non è possibile "disinteressarsi" del tutto ed ammirare la
cosa nella sua "nudità": questo è più un concetto teologico (l'estasi, nella quale il soggetto si
"perde" nell'oggetto) che filosofico.
Ora, un cavallo rimane un cavallo a prescindere dal soggetto che lo interpreta; ma alcune cose di
esso cambiano a seconda che, ad esempio, l'interpretante sia un macellaio foggiano o un "gentleman"
di Oxford, che se anche si sforzassero parecchio di ammirare l"essenza" di quel che stanno
ammirando rimarrebbero in ogni caso con un "fondo" (c'è anche l'inconscio, se vogliamo...)
importante di differenza.
A livello concettuale, dicevo, mi sembra francamente molto più rigoroso  l'"io penso" kantiano (e
la conoscenza "trascendentale" che ne deriva).
Diciamo che semmai è stata la teoria della relatività a rendere molto più facile allo
scetticismo quella base teoretica (come fece notare acutamente Cassirer), che di suo non trovo
avesse certo la necessità di un simile sbocco (non escludeva assolutamente la conoscenza "a priori",
cioè oggettiva).
saluti
Scusami Ox, variano i modi d'apparire, il nostro sguardo, non il cavallo.
Il fantino ha uno sguardo su questo cavallo che non è lo sguardo di un etologo ad esempio, ed entrambi vedranno questo cavallo in base alle loro intenzioni e interessi che faranno emergere modi dell'essere cavallo, variabili e cangianti ( come tu sostieni, agli occhi di x è mangiabile, ad occhi y no, per fare un esempio ). "Mi disseta" e "H2O" è lo stesso essere-acqua che, detto all'aristotele, si dice in molti modi, ma senza questo sostrato d'essere, in nessun modo può esser visto quel qualcosa che è acqua. Che è correlato, ma autonomo rispetto ai nostri sguardi.
Sul primo punto, dissento dal considerarlo uno sguardo "teologico" o "estatico", è uno sguardo in primis teoretico, in cui sicuramente ritengo giochi un trend contemplativo nelle intenzioni, perciò sul completo disinteresse nutro anch'io in questo, senso, alcuni dubbi. Per l'appunto trovo che uscir dall'inter-esse non sia proprio nemmeno della fenomenologia, sebbene la trovo un respiro al "tutto è un utilizzabile" tanto in voga, provarsi a fermare, contemplare e non farsene di niente è una boccata d'aria. Ma su ciò vorrei leggere con attenzione i post di davintro e alcuni chiarimenti a riguardo che trovo interessanti.
A me, della fenomenologia, piace invece, il carattere di ogni provvisorietà delle conclusioni, tant'è che si va a vedere e rivedere e ririvedere, e ammiro una certa vocazione razionalistica nel considerare la ricerca e i contributi un esercizio di integrazione d'aspetti più che di opposizioni e obiezioni. E personalmente credo che il ritorno alle cose stesse lanci una inesausta sfida di ricerca, forse gli occhiali a-priori kantiani non possiamo toglierli, ma la possibilità di una filosofia trascendentale non ci impedisce, per sua natura, di non poter almeno tentare di pulirli se li troviamo un po' appannati. O meglio, trovati appannamenti e occhiali, da un lato abbiamo modo di indagare chi siamo, e, dall'altro provare a veder quel che resta.
"La verità è brutta. Noi abbiamo l'arte per non perire a causa della verità." F. Nietzsche

0xdeadbeef

Citazione di: sgiombo il 25 Marzo 2019, 15:31:23 PM
Grazie per l' avvertimento, ma é fuori luogo.

Infatti il fatto che l' oggetto reale possa essere conoscibile in quanto tale, quale é indipendentemente dall' eventuale fatto di essere pure conosciuto (credo sia la stessa cosa che afferma Davintro espressa più sobriamente; se così non fosse mi atterrei alle eventuali ulteriori spiegazioni di Davintro stesso) é logicamente compatibilissimo con la banale tautologia per la quale
"l'oggetto, in quanto pensato, non può essere  una realtà indipendente dal soggetto che lo pensa" (evidenziazione in grassetto mia): l' oggetto può anche benissimo essere conosciuto per come (in quanto) é anche indipendentemente dall' essere (inoltre) pensato e conosciuto, quale sarebbe anche se non lo si conoscesse (per come sarebbe la realtà in toto se essa differisse da quella che effettivamente si dà per il solo particolare dell' inesistenza della conoscenza dell' oggetto e non dell' oggetto stesso, che ovviamente non sarebbe conosciuto ma non per questo non sarebbe ciò che é ma qualcos' altro).


Ciao Sgiombo
Per cui dovrei pensare che si può conoscere l'oggetto senza pensarlo?
Perchè è questo che io deduco da: "l' oggetto può anche benissimo essere conosciuto per come (in quanto)
é anche indipendentemente dall' essere (inoltre) pensato e conosciuto".
Se ho capito male ti pregherei di spiegarlo, ma questo mi sembra tu dica (a meno che, come in apertura
di risposta, tu non intenda sottolineare una differenza fra (oggetto) "conoscibile" e "conosciuto").
saluti

0xdeadbeef

Ciao Lou
Che varino i modi d'apparire DEL cavallo al nostro sguardo e non IL cavallo è una cosa su cui non ci
piove (e questo dev'essere chiaro).
Per quanto riguarda l'"utile" (in relazione all'uscire dall'interesse propugnato dalla Fenomenologia)
temo proprio che la faccenda non sia così semplice, e che l'"utile" ritorni al di là dei buoni
propositi...
Voglio dire: siamo sicuri che il "motore primo" di ogni nostro agire non sia proprio l'utile? Questa
è la tesi che sostengo nel post: "La volontà di potenza da un altro punto di vista", cui ti rimando
per ulteriori spiegazioni.
Sono tutto sommato (non comprendo molto il riferimento agli occhiali kantiani...) d'accordo sul resto.
saluti

sgiombo

#64
Citazione di: 0xdeadbeef il 25 Marzo 2019, 17:59:19 PM
Ciao Sgiombo
Per cui dovrei pensare che si può conoscere l'oggetto senza pensarlo?

Perchè è questo che io deduco da: "l' oggetto può anche benissimo essere conosciuto per come (in quanto)
é anche indipendentemente dall' essere (inoltre) pensato e conosciuto".
Citazione
Ma nemmeno per sogno!

Deduci male (scorrettamente).

Dovresti semplicemente pensare che l' oggetto reale può -eventualmente, forse- essere conosciuto (inevitabilmente pensandolo), oltre ad essere realmente esistente, ma -sicuramente- é reale anche se nessuno lo pensa e conosce; non meno reale e non affatto reale diversamente da come é nel caso sia eventualmente (inoltre, anche) conosciuto.



Se ho capito male ti pregherei di spiegarlo, ma questo mi sembra tu dica (a meno che, come in apertura
di risposta, tu non intenda sottolineare una differenza fra (oggetto) "conoscibile" e "conosciuto").
saluti
Citazione
Credo di avere spiegato: l' oggetto  reale può essere conoscibile e sconosciuto, conoscibile e conosciuto, inconoscibile (e ovviamente sconosciuto), di fatto o anche il linea puramente teorica, di principio.
Ma quel che non può non darsi (in qualsiasi dei suddetti casi: che sia conoscibile e conosciuto, conoscibile e sconosciuto, inconoscibile e ovviamente sconosciuto, di fatto o in linea teorica, di principio), é che non sia reale.

E' una mera tautologia, ma evidentemente non banale, dal momento che c' é chi confonde "essere reale" e basta (ovvero: essere reale indipendentemente dal fatto di essere anche, inoltre realmente pensato o meno) ed "essere reale ed inoltre essere anche pensato essere reale" (ovvero essere reale essendo anche reale il fatto di essere pensato).

0xdeadbeef

Citazione di: sgiombo il 25 Marzo 2019, 15:41:25 PM
Le più o meno importanti differenze stanno tutte fra i pensieri sul cavallo del (simpatico) macellaio foggiano (che sono "una certa cosa" reale) e dell' (antipatico) dandy britannico (che sono un' altra, diversa "certa cosa" reale), e non affatto nel cavallo (reale) che é uno solo (un' unica e sola "cosa reale"): lo stesso di cui il simpatico foggiano si pregusta la bistecca e l' antipatico oxoniense immagina di cavalcare per giocare a Polo.


Ciao Sgiombp
Mah guarda, giusto due parole per precisare (si spera definitivamente...) questo aspetto.
Quando dico: "un cavallo rimane un cavallo a prescindere dal soggetto che lo interpreta; ma alcune
cose di esso cambiano a seconda che, ad esempio, l'interpretante sia un macellaio foggiano o un
"gentleman" di Oxford" intendo, naturalmente, dire che a cambiare sono i pensieri degli interpretanti
SUL cavallo, non IL cavallo (l'ho precisato svariate volte ma non fa male ripeterlo, se non ancora chiaro).
Ora, dico sbrigativamente (forse troppo, visto che è ancora fonte di malintesi): "alcune cose di esso
cambiano" non in riferimento al cavallo "in sé", ma al cavallo inteso come "fenomeno", cioè al cavallo
"interpretato".
saluti

sgiombo

Citazione di: 0xdeadbeef il 25 Marzo 2019, 20:00:14 PM
Ciao Sgiombp
Mah guarda, giusto due parole per precisare (si spera definitivamente...) questo aspetto.
Quando dico: "un cavallo rimane un cavallo a prescindere dal soggetto che lo interpreta; ma alcune
cose di esso cambiano a seconda che, ad esempio, l'interpretante sia un macellaio foggiano o un
"gentleman" di Oxford" intendo, naturalmente, dire che a cambiare sono i pensieri degli interpretanti
SUL cavallo, non IL cavallo (l'ho precisato svariate volte ma non fa male ripeterlo, se non ancora chiaro).
Ora, dico sbrigativamente (forse troppo, visto che è ancora fonte di malintesi): "alcune cose di esso
cambiano" non in riferimento al cavallo "in sé", ma al cavallo inteso come "fenomeno", cioè al cavallo
"interpretato".
saluti
Citazione


Qualsiasi cavallo visto e sentito da qualcuno é insieme di sensazioni fenomeniche, é fenomeni.
Non certo casa in sé o noumeno (penso che anche Kant sarebbe d' accordo).

Jacopus

Citazione"l'oggetto, in quanto pensato, non può essere  una realtà indipendente dal soggetto che lo pensa" 

La discussione é interessante. Ma giunta a questo punto devia dal rapporto Io/altro, oppure oggettifica l'altro.
Torniamo sulla retta via:
CitazioneIl soggetto, in quanto pensatonon può essere  una realtà indipendente dal soggetto che lo pensa" 
È questo il mondo delle relazioni sociali e dello sviluppo psichico dell'uomo e non solo. Un'esperimento con le scimmie bonobo lo conferma. I cuccioli lasciati al solo nutrimento meccanico di un biberon, mostrano gravi difetti deambulatori e incapacità a socializzare con i loro simili. La stessa specie, nutrita da un biberon con in più una pelliccia dove potersi rifugiare adotta un comportamento più accettabile.
In homo sapiens questi processi sono ovviamente amplificati. Possiamo tranquillamente affermare che noi siamo ciò che siamo perché siamo stati pensati, all'inizio della nostra storia ontogenetica, come degni di pensiero e di essere pensati. Siamo nati alla vita psichica nel cervello dei nostri genitori e solo riconoscendo il fatto di essere pensati possiamo entrare nell'ambito delle relazioni umane in modo sufficientemente adeguato.
Qualche post fa si parlava proprio del riconoscimento soggetto/altro a partire dalle funzioni genitoriali. Questo è il prototipo, l'idealtipo weberiano della relazione io/altri. Il problema si presenta quando questa relazione é inadeguata. Da qui nascono le patologie più o meno gravi. Chiudo qui per fornire una prospettiva non strettamente filosofica ma psicologica al rapporto io/altri. Sulla presenza dell'alterita' dentro di noi, ovvero il freudiano "perturbante", vi parlerò altrove.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

0xdeadbeef

Ciao Sgiombo
Allora, mi par di capire che con il termine "oggetto reale" tu intendi quel che io chiamo "cosa in sé",
cioè l'oggetto scevro da ogni interpretazione: è questo che intendi?
Se è questo che intendi, sei però alle prese con un grosso problema (che è anche il mio, s'intende),
perchè l'oggetto scevro da ogni interpretazione può essere solo e soltanto un oggetto non ancora
conosciuto (che so: un pianeta non ancora scoperto).
Qualsiasi oggetto "noto" (come ad esempio un cavallo) è necessariamente un "pensato"; un "conosciuto";
un "interpretato". Ed in quanto pensato non può essere una realtà indipendente dal soggetto che lo
pensa (ecco dove risiede la profondità della frase di Gentile...).
saluti

0xdeadbeef

Citazione di: Jacopus il 25 Marzo 2019, 20:07:04 PM
La discussione é interessante. Ma giunta a questo punto devia dal rapporto Io/altro, oppure oggettifica l'altro.

Ciao Jacopus
Beh, la discussione si è "allargata" senz'altro, ma senza poi perdere troppo di vista l'argomento
iniziale...
Dicevo in apertura che l'accusa che Levinas fa all'intero "sguardo" occidentale è precisa (e a
parer mio coglie nel segno): tutta la forma-mentis occidentale è volta alla "fusione", ed è
questo processo millenario che oggi ha portato alla "ontologia dell'io", cioè al "dispotismo"
dell'individuo che caratterizza la contemporaneità.
Tappa fondamentale di questo processo è stato naturalmente l'Idealismo, che con la sua pretesa
equivalenza di realtà e razionalità (come in Hegel) finisce, e forse oltre ogni intenzione, con
il considerare il soggetto come il creatore dell'oggetto.
E tuttavia l'Idealismo, per ammissione dello stesso Levinas, ci ha dato delle "grandi verità",
come ad esempio quella di Gentile (filosofo di primissimo piano, come dice Severino, ma troppo
snobbato forse a cause della sua appartenenza politica) da me riportata.
Gentile pone una sfida severa a chiunque pensi di relegare l'Idealismo fra le "favole" o le "fedi"
per rilanciare l'ennesima versione del "realismo", perchè non esiste modo di eludere l'affermazione
per cui un pensato non può essere una realtà indipendente da chi la pensa.
Dove trovare allora l'"Altro" levinasiano (che, ricordo, non è necessariamente riferito ad un
soggetto "altro", ma è un concetto che comprende tutta la realtà non riducibile all'"io")? Dove
trovare, cioè, quella realtà che è necessariamente dipendente dal soggetto che la pensa ma che
ad esso è, appunto, "altra"?
saluti

davintro

Per Oxdeaedbeef

che ogni modo di pensare la realtà sia sempre condizionato dalla situazione culturale in cui viviamo, e che i nostri interessi pratici finiscano inevitabilmente col sovrapporsi alla visione oggettiva delle cose è un dato di fatto, ma questo non impedisce di individuare la messa fra parentesi di questi fattori come ideale regolativo della ricerca, e, anche se sempre in modo imperfetto e parziale, di mirare a evidenziare il più possibile la struttura apriori dei fenomeni come livello in cui riconoscere verità oggettive e incontrovertibili. E all'interno di questa parzialità imperfetta ottenere alcuni risultati. Anche se la componente pregiudiziale e arbitraria influenza sempre, possiamo impegnarci a minimizzare tale influenza e il più possibile purificare le lenti tramite cui vediamo le cose. Questo era probabilmente anche l'intento della critica kantiana, ciò che contesto, nei limiti in cui penso di averla intesa, è che tale critica sia lo strumento più adeguato per raggiungere tale fine demistificatorio. Penso che il dualismo fenomeno-noumeno inteso in chiave gnoseologica come dualismo tra conoscibile e inconoscibile renda impossibile, al di là delle intenzioni, ogni oggettività della conoscenza, in quanto l'oggettività è relegata al livello dell'inconoscibile, mentre a essere conoscibili sono solo fenomeni, etimologicamente, "manifestazioni", apparenze soggettive, che non possono dirci nulla circa la loro eventuale corrispondenza con una realtà oggettiva al di fuori del pensiero, dato che la cosa in sé resta inconoscibile. Il passaggio metodologico dalla certezza della coscienza a quella di un livello, per così dire, minimale e trascendentale di certezza sulla realtà, necessitato dalla prima certezza, come invece sarebbe possibile in Cartesio e in modo più raffinato nella fenomenologia, è impossibile, nel momento in cui il dualismo fenomeno-noumeno è inteso in un'accezione così rigida, il circuito dei fenomeni, resta chiuso in se stesso senza collegamenti a una realtà oggettiva da svelare. Perché il collegamento si dia è necessario trattare la dualità fenomeno-noumeno non in chiave gnoseologico conoscibile-inconoscibile, ma in chiave logica: l'essenza come fenomeno coincide con un dato immanente alla coscienza, ma che riflette una realtà oggettiva, che esiste al di là del pensiero stesso, che il pensiero può riconoscere in quanto il suo stesso processo, ha come momento iniziale la ricezione passiva, cioè non volontaria, non arbitraria, del dato (non a caso Husserl, parla di sintesi passiva), sono due accezioni diverse ma corrispondenti, in quanto riferiti alla medesima cosa. In questo senso penso di trovarmi d'accordo con la lettura di Sgiombo, sulla non inconciliabilità tra pensabilità delle cosa e sua indipendenza dal pensiero: la pensabilità rende ragione del fatto che la cosa sia pensata, cioè sia fenomeno, l'indipendenza rende ragione del fatto che tale pensabilità è una conseguenza secondaria determinata da una causa che è immanente non al pensiero, ma alla cosa stessa, che se da un lato è pensabile in quanto le sue proprietà coincidono con le categorie con cui ne facciamo esperienza, dall'altro pone questa coincidenza come espressione di un sua condizione naturale, oggettiva, e non come prodotto di un Io pensante, come nelle varie forme di idealismo attualista

sgiombo

Citazione di: 0xdeadbeef il 25 Marzo 2019, 20:21:25 PM
Ciao Sgiombo
Allora, mi par di capire che con il termine "oggetto reale" tu intendi quel che io chiamo "cosa in sé",
cioè l'oggetto scevro da ogni interpretazione: è questo che intendi?
Se è questo che intendi, sei però alle prese con un grosso problema (che è anche il mio, s'intende),
perchè l'oggetto scevro da ogni interpretazione può essere solo e soltanto un oggetto non ancora
conosciuto (che so: un pianeta non ancora scoperto).
Citazione
Non é vero: 

L'oggetto quale realmente é indipendentemente (anche in quanto "scevro") da ogni e qualsiasi interpretazione (la sua esistenza reale essendo altra cosa dall' esistenza reale o meno di eventuali interpretazioni) può anche benissimo essere un oggetto già conosciuto (che  ne so: un pianeta già scoperto); che non diventa qualcos' altro nel momento in cui viene visto al telescopio e poi pensato - predicato- essere reale ovvero conosciuto), ma invece (solo per il fatto di essere visto e fatto oggetto di pensiero, predicazione, conoscenza, ovviamente a prescindere da eventuali altri eventi reali diversi dalla visione di esso e che lo cambierebbero comunque esattamente nello sesso identico modo anche senza che fosse visto, ecc.) rimane esattamente tale e qual era (e sarebbe) senza essere visto, ecc. (é casomai il resto della realtà che cambia per l' accadere di visione, pensiero, conoscenza del pianeta stesso).



Qualsiasi oggetto "noto" (come ad esempio un cavallo) è necessariamente un "pensato"; un "conosciuto"; 
un "interpretato". 
Citazione
Ancora questa banale tautologia (da me ovviamente mai negata, e che "serve" solo a creare la confusione e ambiguità di cui appena sopra) ? ! ? ! ? !


Ed in quanto pensato non può essere una realtà indipendente dal soggetto che lo
pensa (ecco dove risiede la profondità della frase di Gentile...).
saluti
Citazione
E ri-ecco, puntualissimi. l' ambiguità e il fraintendimento!

In quanto pensato ovviamente, banalissimamente, tautologicamente non può essere una realtà indipendente dal soggetto che lo pensa (ecco dove risiede la sesquipedale banalità della frase di Gentile...) ... il che non toglie che continui realmente  ad essere ciò che é esattamente così come é (e come era prima della conoscenza di esso, ovviamente a prescindere da eventuali altri eventi reali diversi dalla visione di esso e che lo cambierebbero comunque nello sesso identico modo anche senza che fosse visto) indipendentemente da qualsiasi eventuale soggetto che eventualmente lo pensasse o meno.

A questo punto sono certo che, come in tante altre occasioni, ripeterai ancora le solite obiezioni.
Ma poiché per parte mia non credo che una tesi falsa e/o scorretta diventi meno falsa e/o scorretta per il semplice fatto di essere ripetuta ad oltranza, né ho tempo da perdere per ripetere sempre inutilmente le stesse obiezioni alle stesse risposte, a meno di un (improbabilissima) proposta da parte tua di nuove argomentazioni (e non delle solite reiterazioni), mi asterrò per parte mia dall' opporvi le solite critiche: per me (anche) questa discussione finisce qui, con la peraltro pleonastica precisazione che in questo caso chi tace (di fronte alle tue reiterazioni) NON acconsente.

sgiombo

Citazione di: davintro il 25 Marzo 2019, 21:42:04 PM
Per Oxdeaedbeef

che ogni modo di pensare la realtà sia sempre condizionato dalla situazione culturale in cui viviamo, e che i nostri interessi pratici finiscano inevitabilmente col sovrapporsi alla visione oggettiva delle cose è un dato di fatto, ma questo non impedisce di individuare la messa fra parentesi di questi fattori come ideale regolativo della ricerca, e, anche se sempre in modo imperfetto e parziale, di mirare a evidenziare il più possibile la struttura apriori dei fenomeni come livello in cui riconoscere verità oggettive e incontrovertibili. E all'interno di questa parzialità imperfetta ottenere alcuni risultati. Anche se la componente pregiudiziale e arbitraria influenza sempre, possiamo impegnarci a minimizzare tale influenza e il più possibile purificare le lenti tramite cui vediamo le cose. Questo era probabilmente anche l'intento della critica kantiana, ciò che contesto, nei limiti in cui penso di averla intesa, è che tale critica sia lo strumento più adeguato per raggiungere tale fine demistificatorio. Penso che il dualismo fenomeno-noumeno inteso in chiave gnoseologica come dualismo tra conoscibile e inconoscibile renda impossibile, al di là delle intenzioni, ogni oggettività della conoscenza, in quanto l'oggettività è relegata al livello dell'inconoscibile, mentre a essere conoscibili sono solo fenomeni, etimologicamente, "manifestazioni", apparenze soggettive, che non possono dirci nulla circa la loro eventuale corrispondenza con una realtà oggettiva al di fuori del pensiero, dato che la cosa in sé resta inconoscibile. Il passaggio metodologico dalla certezza della coscienza a quella di un livello, per così dire, minimale e trascendentale di certezza sulla realtà, necessitato dalla prima certezza, come invece sarebbe possibile in Cartesio e in modo più raffinato nella fenomenologia,
Citazione
Credo di conoscere abbastanza bene Cartesio, e mi sembra evidente l' erroneità logica di tale preteso "passaggio" da parte sua oltre la prima certezza del "cogito" (la pretesa, cosiddetta "prova ontologica" dell' esistenza di Dio).

Vorrei che illustrassi (se appena possibile nei limiti di una discussione come questa) quale sia il "passaggio" in alternativa proposto dalla fenomenologia.

Peraltro per parte mia nego, con Hume, la certezza dl cartesiano "ergo sum".

è impossibile, nel momento in cui il dualismo fenomeno-noumeno è inteso in un'accezione così rigida, il circuito dei fenomeni, resta chiuso in se stesso senza collegamenti a una realtà oggettiva da svelare. Perché il collegamento si dia è necessario trattare la dualità fenomeno-noumeno non in chiave gnoseologico conoscibile-inconoscibile, ma in chiave logica: l'essenza come fenomeno coincide con un dato immanente alla coscienza, ma che riflette una realtà oggettiva, che esiste al di là del pensiero stesso, che il pensiero può riconoscere in quanto il suo stesso processo, ha come momento iniziale la ricezione passiva, cioè non volontaria, non arbitraria, del dato (non a caso Husserl, parla di sintesi passiva), sono due accezioni diverse ma corrispondenti, in quanto riferiti alla medesima cosa. (evidenziazione in grassetto coloratomia)
Citazione
Creo che sia qui che lo illustri.

Ma allora come può essere razionalmente provato (dimostrato logicamente o rilevato empiricamente) che il fenomeno, oltre a coincidere con un dato immanente alla coscienza riflette anche una realtà oggettiva, che esiste al di là del pensiero (cosciente, appartenente alla coscienza) stesso?
Secondo me dal fatto che lo stesso processo del pensiero ha come momento iniziale la ricezione passiva, cioè non volontaria, non arbitraria, del dato, non consegue logicamente (con necessità logica) che un dato immanente alla coscienza riflette (concetto fra l' altro di comprensibilità o significatezza per lo meno discutibile: riflessioni di immagini si danno nell' abito dei fenomeni, visivi in particolare: in che seno -metaforico?- potrebbero darsi anche fra fenomeni e noumeno?) una realtà oggettiva, che esiste al di là del pensiero stesso.
Talvolta anche i nostri propri pensieri (di noi soggetti di coscienza e non di oggetti diversi da noi) non possono essere volontariamente scelti, ma ci ci si impongono come "ricezione passiva, cioè non volontaria, non arbitraria, dei rispettivi dati": per esempio quando siamo ossessionati da ricordi, timori. ecc. cui non riusciamo ad evitare di pensare, o per converso non riusciamo a ricordare qualcosa malgrado i più tenaci "sforzi di memoria").

0xdeadbeef

Ciao Davintro
Credo non ti siano sfuggite le ultime righe della mia risposta a Jacopus...
Perchè il mio "problema" (su cui verte tutta questa discussione) è il tuo: "dove trovare, cioè,
quella realtà che, pur essendo necessariamente dipendente dal soggetto che la pensa è, appunto,
ad esso "altra"?
L'intento di Levinas è stato appunto quello di dimostrare non solo che non tutta la realtà è
riducibile al soggetto che la pensa; ma anche che su questa base è possibile riformulare
un nuovo "sguardo" filosofico che non finisca necessariamente (si badi bene...) nel nichilismo
(senza scomodare Heidegger o Severino: è chiaro che se l'"io" è tutto, allora con la sua morte
finisce tutto - come diceva il tipo del bar da me più volte citato).
E' evidente che l'"altro" è un modo di dire l'"oggetto"...
Levinas dice chiaramente che ci sono "là fuori" degli "oggetti" sui quali l'"io" non ha alcun
potere; ma non lo fa, diciamo, restando "all'interno" della forma-mentis occidentale, che:
"è votata alla fusione già in Parmenide", dice Levinas.
Eccoci allora giunti al punto che ci interessa...
Per me la Fenomenologia è in tutto e per tutto "all'interno" della forma-mentis votata alla
"fusione", per cui non può vedere l'oggetto come "altro" dal soggetto che lo pensa.
Essa intuisce la "parzialità imperfetta" dell'epoché (cioè il dato di fatto che i nostri interessi
pratici finiscano inevitabilmente col sovrapporsi alla visione oggettiva delle cose, come tu dici),
ma non può, in maniera "molto occidentale", sottrarsi al bisogno di concludere con le: "verità oggettive
ed incontrovertibili" (che l'epoché permetterebbe di raggiungere...), cioè non può sottrarsi al
bisogno di effettuare sempre e comunque una "sintesi".
In altre parole, se: "la componente arbitraria e pregiudiziale influenza sempre", allora è bene
essere consapevoli dell'impossibilità di parlare di "verità oggettive ed incontrovertibili"
(non foss'altro che tali aggettivazioni della "verità" appartengono più alla sfera della Fede
che non a quella della ragione...).
Quindi, ecco, comprendo senz'altro lo "sforzo" fenomenologico (e lo apprezzo), ma mi pare
partire da basi sbagliate, che lo conducono poi inevitabilmente a conclusioni sbagliate.
saluti

0xdeadbeef

Ciao Sgiombo
Premesso che non mi capacito come sia possibile "crucciarsi" per dei ragionamenti filosofici,
non capisco come tu faccia a non vedere un dato elementare: quando io vedo un cavallo (o penso
ad un cavallo), io lo "interpreto" secondo quella che è la mia "catena segnica" (cioè la catena
di significati che il mio "io" e la mia "cultura" gli attribuisce).
Un altra persona, con una diversa "catena segnica", probabilmente gli attribuirà qualità e
caratteristiche diverse da quelle che gli attribuisco io.
Nessuno di noi, ovviamente, cambierà il cavallo per come esso "è". Il cavallo, ovvero, cambierà
"per noi" (fenomeno), non "per se" (cosa in sé, noumeno).
Nessuno ti sta dicendo che l'oggetto cambia perchè il soggetto lo pensa, ma ci mancherebbe...
saluti