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L'Io e l'Altro

Aperto da 0xdeadbeef, 11 Marzo 2019, 20:43:56 PM

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0xdeadbeef

#120
Citazione di: tersite il 29 Marzo 2019, 15:50:45 PM
@ tutti


Volesse una persona  concettualizzare il termine "noumeno" come "tutto quello che non cade all' interno della finestra percettiva" quanto sarebbe lontana dal vero?


Ciao Tersite
Mi perdonerai se provo a spostare un attimo il discorso da Kant alla semiotica (uno spostamento
poi non certo grandissimo), ma la terminologia kantiana, essendo quella che è (cioè per noi di
200 anni e passa successivi a lui desueta), rischia di complicare inutilmente il discorso.
Allora, anni fa parlando con un "cultore" della semiotica gli sentii dire: "l'oggetto primo, quello
da cui si origina la catena delle interpretazioni, non esiste".
Io gli replicai: "ma come fa a non esistere, se è l'oggetto cui il "segno" si riferisce? Qualcuno
può dire, ad esempio, che un segnale stadale preannuncia un qualcosa che non esiste?".
Lui mi replicò che l'"esistenza" è tale solo a seguito di una interpretazione (che è la posizione
di Carlo Sini, allora suo "maestro").
Beh, diversa è la posizione di altri eminenti semiologi, come ad esempio U.Eco, che si riferiscono
all'"oggetto primo" in termini negativi: come ciò non che "è", ma come ciò che non potrebbe sicuramente
essere (e qui ci starebbe più che bene il paragone con l'"intuizione intellettuale negativa" di Kant,
ma non complichiamo senza motivo).
Quindi ecco, volendo definire il "noumeno", o "cosa in sé" in una riga io direi: "l'oggetto puro, cioè al netto delle interpretazioni".
saluti

viator

Salve Ox. Io mi permetterei di precisare come "ciò che produce un qualsiasi effetto anche se eventualmente estraneo alla nostra percezione".
Infatti il produrre degli effetti rappresenta il requisito indispensabile che consente l'esistere.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

0xdeadbeef

Citazione di: sgiombo il 29 Marzo 2019, 08:14:32 AM
Premetto ancora una volta che su Kant, dati i miei limiti culturali, potrei sbagliarmi.

Ma indipendentemente da qualsiasi pretesa di fedeltà al konigsbegese (ragiono "a ruota libera", sulla questione, non allo scopo di capire Kant ma di cercare di capire la realtà in cui vivo), mi sembra chiaramente sensato e intelligibile intendere il noumeno o cosa in sé come non apparente sensibilmente alla coscienza (non-fenomeno, letteralmente) ma pensabile, immaginabile: ciò (qualcosa di in qualche inevitabilmente oscuro modo o senso reale) che continuerebbe ad esistere anche in assenza di percezione fenomenica dei fenomeni coscienti (che potrebbe includere il soggetto e gli oggetti di essi; ma essendo per definizione non osservabile potrebbe essere "di tutto e di più", ivi compreso eventualmente "il nulla", dal momento che é -per me; senza pretendere di fare una  corretta esegesi di Kant- indimostrabile, oltre che ovviamente non empiricamente constatabile, -ma solo ipotizzabile: potrebbe anche non esserci realmente).

Ciao Sgiombo
Condivido tutto fuorchè le ultime righe: perchè mai potrebbe non esserci?
Voglio dire: secondo logica come fa ad esserci l'interpretazione ma non l'interpretato?
saluti

0xdeadbeef

Citazione di: paul11 il 29 Marzo 2019, 18:55:01 PM
Il limite del noumeno è quindi non nel procedimento fra analisi e sintesi deduttivo ,ma quando il pensiero deduttivo trascende se stesso  per andare nel dominio metafisico.

Ciao Paul
A proposito dei modi cui, in Kant ma direi fin dallo Stoicismo (da cui queste tesi derivano),
l'oggetto è "dato" all'intuizione, dicevo in una precedente risposta all'amica Lou: "E proprio
in quanto l'oggetto "in sé" è dato passivamente al soggetto interpretante che esso rappresenta
un concetto-limite; che circoscrive le pretese della sensibilità (della conoscenza); ma che
le circoscrive in senso negativo IN QUANTO il senso positivo (l'intuizione intellettuale) non
è di pertinenza dell'essere umano.
In altre parole, Kant intende la "cosa in sé" come intuizione intellettuale "passiva"; "negativa".
Questo perchè Kant (sempre nella Analitica dei Principi) afferma: "lo stesso noumeno è l'oggetto
di una intuizione non sensibile", quindi verrebbe da dire necessariamente intellettuale, ma
ammessa in negativo, in quanto in positivo non potrebbe essere propria dell'essere umano.
Ora, a parer mio questi "ingarbugliamenti" sono dati dal fatto che Kant "intuiva" (in senso
moderno, per carità...) la relatività, ma naturalmente non ne aveva chiarezza.
Oggi è secondo me molto più facile capire il concetto che sottostà al noumeno, o oggetto in sé,
e lo si può facilmente intendere se pensiamo, ad esempio, all'oggetto "primo" della semiotica.
Vorrei un tuo parere su queste cose e un chiarimento sulla frase da me riportata in citazione.
saluti

sgiombo

Citazione di: 0xdeadbeef il 29 Marzo 2019, 21:30:27 PM
Ciao Sgiombo
Condivido tutto fuorchè le ultime righe: perchè mai potrebbe non esserci?
Voglio dire: secondo logica come fa ad esserci l'interpretazione ma non l'interpretato?
saluti

Per me (ma mi pare anche per Kant) fenomeno é ciò che appare alla coscienza, ciò che é sentito; e non ciò che é interpretato, pensato, ecc. (come invece mi pare lo intenda tu). Può anche essere pensato, ma allora alla coscienza appare (anche) il fenomeno "pensiero che pensa (considera, predica, ecc.) altri fenomeni coscienti (ulteriori rispetto ad esso)".

E noumeno é ciò che é reale in sé, non sentito, non apparente alla coscienza (che può esserci oppure no, che può anche essere costituito da nulla: non é dimostrabile né che nient' altro che i fenomeni esista né che esista qualcos' altro); e non invece (come invece mi pare lo intenda tu) ciò che é (qualsiasi cosa sia, anche fenomeni) senza essere fatto oggetto di (fenomeni costituenti) pensieri, considerazioni teoriche, perdicazioni, ecc.

Apeiron

#125
Provo a contribuire con la mia interpretazione della filosofia kantiana della conoscenza (della quale non sono sicuro)...

Dunque, credo che sia necessario partire da alcune definizioni:

  • Per idealismo (applicato a qualcosa)si intende una posizione per cui qualcosa esiste dipendentemente dal soggetto conoscente;
  • Per realismo (applicato a qualcosa)si intende una posizione per cui qualcosa esiste indipendentemente dal soggetto conoscente;
  • Per empirico si intende il contenuto della nostra esperienza cosciente;
  • Per trascendentale si intendono gli oggetti di conoscenza indipendenti dall'esperienza;

Utilizzando questi termini, si può analizzare le opinioni dei filosofi pre-kantiani.

Il razionalista Cartesio proponeva un realismo trascendentale: ovvero riteneva che gli oggetti della conoscenza erano indipendenti dall'esperienza cosciente ('trascendentale') e indipendenti dal soggetto conoscente. Per Cartesio, infatti, la nostra 'esperienza cosciente' (le impressioni sensoriali - ovvero: ciò che vediamo, sentiamo ecc) è una costruzione della nostra mente. In essa proprietà come colori, ruvidezza ecc sono definite 'qualità secondarie' perché sono 'aggiunte' dalla mente e quindi esistono solo in relazione ad essa. Le qualità primarie, invece, sono gli aspetti quantitativi della realtà, es: dimensioni, forme ecc. Secondo Cartesio, quindi, i contenuti della nostra esperienza cosciente non erano i veri oggetti della conoscenza. Tuttavia, potevamo dedurre tramite un'analisi quantitativa le proprietà della realtà all'infuori della nostra esperienza diretta ('trascendentale') che esiste indipendentemente da noi soggetti coscienti ('realismo'). Simili posizioni si trovano in Spinoza, Galileo ecc

L'empirista Berkeley proponeva un idealismo empirico: i contenuti della nostra esperienza esistevano in dipendenza da noi soggetti conoscenti.

Kant propose invece:

  • realismo empirico: i contenuti della nostra esperienza esistono indipendentemente da noi;
  • idealismo trascendentale: gli oggetti della nostra conoscenza dipendono dal soggetto conoscente.

Che vuol dire, in pratica? Partiamo dall''idealismo trascendentale'. Secondo Kant, la nostra esperienza cosciente era dovuta alla presenza di una realtà esterna (Kant rifiuta l''idealismo empirico' o 'dogmatico' di Berkeley). Tuttavia, la nostra esperienza cosciente era 'ordinata' dalla nostra mente. In altre parole, la nostra mente non è una 'tabula rasa' - come sostenevano gli empiristi - che passivamente riceve informazioni. In realtà 'ordina' (attraverso determinate 'facoltà'*) l'esperienza e questo 'ordinamento' dipende dalla struttura della nostra mente. Dunque, nella nostra esperienza ciò che dipende dalla nostra mente è il come gli oggetti della nostra esperienza appaiono, il modo in cui essi appaiono. Tuttavia, questo non significa che l'esistenza di tale 'realtà' dipende da noi ('realismo empirico').

Queste 'facoltà' che ordinano l'esperienza ci sono note 'a priori' (trascendentale - indipendenza dalle esperienze particolari) e sono 'facoltà' che si trovano nella nostra mente (quindi 'idealismo', queste facoltà si trovano nella nostra mente).

Ora, per Kant la conoscenza aveva una doppia origine. Da un lato doveva partire dall'esperienza: nell'esperienza c'è il contenuto della nostra conoscenza. Tuttavia, dall'altro lato tale contenuto se non viene 'ordinato' dalle 'facoltà ordinatrici' presenti nella nostra mente è incomprensibile. Deve essere 'formato', deve essere data ad esso una 'forma'.**

Lo studio delle 'facoltà ordinatrici', invece, non ci può dare vera conoscenza. Ci dice semplicemente il modo in cui la nostra mente 'funziona'.

In una analogia, studiare il funzionamento di una calcolatrice ci fa capire come funziona. Tuttavia, per conoscere quanto fa una determinata somma dobbiamo inserire un input. Nel caso della nostra conoscenza, l'input è l'esperienza cosciente.

Detto ciò, passiamo al dualismo fenomeno/noumeno.

Il 'fenomeno' è il contenuto della nostra esperienza cosciente così come appare a noi ovvero 'formato' dalle facoltà ordinatrici della nostra mente. Siccome qualsiasi studio approfondito della nostra esperienza cosciente si basa sulle facoltà della nostra mente, non possiamo conoscere una 'realtà al di fuori' della nostra esperienza. Infatti, non ci è possibile tramite la nostra mente vedere come è la realtà indipendentemente da essa (analogia: se abbiamo degli occhiali da sole e non possiamo toglierceli, qualsiasi nostra esperienza visiva sarà condizionata dal fatto che abbiamo quegli occhiali. E per quanto ci possiamo sforzare non possiamo 'trascurare' questo fatto).
Questa impossibilità di conoscere la realtà senza la mediazione della nostra mente è ciò che rende impossibile la conoscenza della 'cosa in sé' (il cosiddetto 'noumeno'). La 'cosa in sé' perciò è indeterminata.

Il 'noumeno' è inconoscibile perché per Kant la nostra conoscenza parte dall'esperienza, la quale è già condizionata dalla nostra mente che la ordina in un certo modo.    

*facoltà non è un termine usato da Kant (credo) ma mi pare utile per spiegare la sua posizione...

**da qui la frase: "pensieri senza contenuto sono vuoti; intuizioni" (ovvero impressioni sensoriali, contenuti empirici) "senza concetti sono ciechi".

N.B. La filosofia kantiana è notoriamente ambigua ed è stata soggetta storicamente a molte interpretazioni contrastanti. E le mie analogie non devono essere prese troppo sul serio (se sono motivo di confusione, meglio ignorarle).
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

0xdeadbeef

Citazione di: sgiombo il 29 Marzo 2019, 22:20:01 PM
Per me (ma mi pare anche per Kant) fenomeno é ciò che appare alla coscienza, ciò che é sentito; e non ciò che é interpretato, pensato, ecc. (come invece mi pare lo intenda tu). Può anche essere pensato, ma allora alla coscienza appare (anche) il fenomeno "pensiero che pensa (considera, predica, ecc.) altri fenomeni coscienti (ulteriori rispetto ad esso)".

E noumeno é ciò che é reale in sé, non sentito, non apparente alla coscienza (che può esserci oppure no, che può anche essere costituito da nulla: non é dimostrabile né che nient' altro che i fenomeni esista né che esista qualcos' altro); e non invece (come invece mi pare lo intenda tu) ciò che é (qualsiasi cosa sia, anche fenomeni) senza essere fatto oggetto di (fenomeni costituenti) pensieri, considerazioni teoriche, perdicazioni, ecc.

Ciao Sgiombo
Non mi è facile capire cosa intendi...
Personalmente la penso come C.S.Peirce: "già il pensare è inserire il pensato in una catena
segnica", che tradotto in termini kantiani vuol dire: "già il pensarla vuol dire far
diventare la cosa in sé fenomeno".
Dicevo precedentemente che Kant così definisce la conoscenza: "la conoscenza comprende
due punti: in primo luogo un concetto per cui in generale un oggetto è pensato secondo le
categorie, e in secondo luogo l'intuizione con cui esso è dato".
Riconosci in questa definizione la tua distinzione fra ciò che appare alla coscienza
(intuito) e ciò che è interpretato (pensato)?
saluti

paul11

#127
Citazione di: 0xdeadbeef il 29 Marzo 2019, 22:15:53 PM
Ciao Paul
A proposito dei modi cui, in Kant ma direi fin dallo Stoicismo (da cui queste tesi derivano),
l'oggetto è "dato" all'intuizione, dicevo in una precedente risposta all'amica Lou: "E proprio
in quanto l'oggetto "in sé" è dato passivamente al soggetto interpretante che esso rappresenta
un concetto-limite; che circoscrive le pretese della sensibilità (della conoscenza); ma che
le circoscrive in senso negativo IN QUANTO il senso positivo (l'intuizione intellettuale) non
è di pertinenza dell'essere umano.
In altre parole, Kant intende la "cosa in sé" come intuizione intellettuale "passiva"; "negativa".
Questo perchè Kant (sempre nella Analitica dei Principi) afferma: "lo stesso noumeno è l'oggetto
di una intuizione non sensibile", quindi verrebbe da dire necessariamente intellettuale, ma
ammessa in negativo, in quanto in positivo non potrebbe essere propria dell'essere umano.
Ora, a parer mio questi "ingarbugliamenti" sono dati dal fatto che Kant "intuiva" (in senso
moderno, per carità...) la relatività, ma naturalmente non ne aveva chiarezza.
Oggi è secondo me molto più facile capire il concetto che sottostà al noumeno, o oggetto in sé,
e lo si può facilmente intendere se pensiamo, ad esempio, all'oggetto "primo" della semiotica.
Vorrei un tuo parere su queste cose e un chiarimento sulla frase da me riportata in citazione.
saluti
ciao Mauro(Oxdeadbeef)
ti sbagli ed è deducibile da quanto avevo scritto.
Kant segue la filosofia empirista soprattutto di Hume, ma vuole compiere un passo successivo dopo l'analitica, con la deduzione trascendentale.
ma ribadisco, bisogna focalizzare dove il filosofo sposta il suo asse argomentativo di dimostrazione di una verità
Nel caso di Kant la dimostrazione è ancora nel mondo fattuale e  non nel mondo delle idee.
Un oggetto fisico è dimostrabile come esistente, è evidente, è tautologico.
ora prendi un oggetto astratto ,ippogrifo che piace tanto come esempi, e prova a darne una dimostrazione probatoria, evidente ,tautologica: ma chi ti crede? Questo è il noumeno, l'indimostrabilità degli oggetti astratti e per questo Kant è riconosciuto grande filosofo nella modernità, per la Critica della ragion pura.ma quando proseguirà a scrivere la ragion pratica e il giudizio, avrà difficoltà a costruire un paradigma oggettivo per fondare la morale e infine giudicare.
Se la verità viene ritenuta giustificabile tramite dimostrazione di un oggetto esistente e quindi appartenete al dominio sensibile, mi pare chiaro che Kant si ferma alla deduzione trascendentale di come l'uomo logicamente costruisce un concetto nel pensiero originatosi dalla percezione.
ma non è più possibile seguire questo metodo probatorio sui concetti astratti deduttivi riferiti a oggetti astratti, non più appartenenti al dominio sensibile.
Kant arrivo a dire che avrebbe anche voluto andare oltre il noumeno, nasce in Prussia da religione "pietisti"e si sente quando scrive sulla morale nella C.ragione pratica, ma ha scelto un metodo "scientifico" e si ferma con il noumeno.

A mio parere è possibile..............

la fenomenologia focalizza nel fenomeno non più l'oggetto in-sè diviso dal pensiero soggettivo, lo correla intimamente fino a quasi confondere oggetto e soggetto e il linguaggio della fenomenologia infatti rivela diverse modalità di argomentazione.

Ho letto adesso  quello che ha scritto Aperion:ottimo.Ma tieni presente è Hume il centro focale dell'empirismo e il problema,anche se implicitamente è in ciò che hai scritto, è la prova di un oggetto del mondo sensibile fattuale ed esperienziale che è possibile e necessaria secondo la scienza moderna, mentre un oggetto astratto è deducibile solo secondo logica e fuori dal dominio fattuale.
Io direi che è un altro tipo di esperienza

tersite

Citazione di: Apeiron il 29 Marzo 2019, 22:22:31 PM

Queste 'facoltà' che ordinano l'esperienza ci sono note 'a priori' (trascendentale - indipendenza dalle esperienze particolari) e sono 'facoltà' che si trovano nella nostra mente (quindi 'idealismo', queste facoltà si trovano nella nostra mente).


@ tutti

sarebbe uscire dalla filosofia ritenere queste facoltà  di origine biologica ?
Ogni definizione è artificiosa e in ciò è il suo potenziale evolutivo. (anonimo)

davintro

Se conoscere, e mi pare, spero di non sbagliare, che anche per Kant, è giudicare, allora qualunque tematizzazione del noumeno, anche mirante a intenderlo come "idea-limite", strumento necessario per la delimitazione delle pretese della conoscenza sensibile, o puro oggetto di conoscenza negativa, ecc. presuppone dei giudizi rivolti alla sua sfera, e dunque una conoscibilità della stessa. Anche l'idea di una conoscenza "in negativo" (e del resto lo stesso problema che, in un contesto diverso, riguarda la teologia del negativo, come tempo fa cercai di trattare in un topic  che avevo aperto) finisce in un certo senso, con l'essere autocontraddittoria, in quanto l'affermazione circa l'inconoscibilità di una cosa implica sempre necessariamente una visione della cosa che GIUDICHIAMO vera, dunque ne abbiamo una conoscenza, se restiamo coerenti con l'assunto "conoscere è giudicare". Quando dico che qualcosa è "inconoscibile" sto operando un raffronto tra i miei strumenti conoscitivi e la cosa che qualifico come inconoscibile, e ogni raffronto, come è evidente, presuppone sempre la conoscenza di entrambi i termini. In questo caso presuppone che riconosca la cosa "inconoscibile" come dotata di caratteristiche che la rendano irriducibile alle nostre facoltà soggettive di conoscenza. La contraddizione sta nel fatto che il riconoscimento di queste caratteristiche nella cosa è incompatibile con l'idea della sua totale inconoscibilità: se davvero ci fosse inconoscibilità, non potremmo nemmeno attribuire alla cosa quelle prerogative in base a cui la consideriamo come inattingibile per le nostre possibilità conoscitive, insomma il giudizio di una inconoscibilità di qualunque cosa nasconde sempre necessariamente un livello di conoscenza positiva, e l'unico modo per uscire dalla contraddizione sarebbe quello di ammettere, non una totale inconoscibilità, ma piuttosto una conoscenza parziale, l'impossibilità di un sapere esaustivo, ma comunque adeguato a cogliere degli aspetti che legittimino la sua  pensabilità, tramite cui riconosciamo la sua stessa, parziale, irriducibilità alle nostre pretese conoscitive. In fondo la metafisica classica, contro cui tanto Kant si è contrapposto, non si è mai sognata di negare i limiti della conoscenza umana riguardo un livello metafisico della realtà da essa trattato, solo che questi limiti erano giustamente accompagnati dall'affermazione di un certo grado di conoscenza positiva, anche se parziale, nella misura in cui tale grado appariva fondato su argomentazioni razionali, e non superasse una certa soglia oltre la quale sarebbe diventato incompabatibile con il riconoscimento del piano del mistero e della trascendenza. Non credo che Platone, Aristotele, Agostino o  Tommaso pretendessero da esseri umani di raggiungere una perfetta conoscenza della dimensione sovrasensibile da essi indicata, e i loro sistemi di conoscenza in positivo di tale dimensione, seppur magari discutibili per altre motivazioni, non avevano il difetto di essere in contraddizione con lo scarto tra l'ideale di una piena e perfetta adeguazione del pensiero alla realtà. Senza quella conoscenza in positivo anche se parziale, nemmeno il riconoscimento dello scarto sarebbe possibile (ad esempio, molto opportunamente Tommaso distingueva in Dio delle proprietà come l'esistenza, valutabile dalla teologia razionale, da altre che delegava al mistero della fede, distinta dalla scienza, la teologia rivelata). La contraddizione non è in loro, ma in chi come Kant, presume di poter tematizzare concetti come "noumeno", apriori", "trascendentale", tutti di natura intelligibile, affermandone al contempo la loro inconoscibilità, cioè l'impossibilità di porli come materiale di una scienza. In questo modo, la critica stessa viene squalificata nelle sue pretese di scientificità, dato che non è certo rivolta direttamente al materiale sensibile (l'unico su cui secondo Kant poter fare scienza), ma alle condizioni trascendentali, cioè sovrasensibili  della conoscenza stessa, con tutto l'apparato concettuale che ne consegue. L'intenzionalità fenomenologica in questo supera il criticismo svelandone l'errore: se ogni atto di pensiero è intenzionale, cioè ogni pensiero è sempre pensiero "di qualcosa", cioè rivolto a un oggetto, allora anche l'intuizione intellettuale, come atto intenzionale possiede il proprio oggetto in quanto tale, cioè proprio in quanto oggetto, non meno di come avviene per l'intuizione sensibile con i propri oggetti. A questo punto la sfera dell'intelligibile, intesa come complesso di oggetti tematizzabili come tali, si presta ad essere terreno di giudizi e di conoscenza oggettiva nella stessa misura di come ciò è possibile per quanto riguarda la realtà materiale, ed è per questo che una critica trascendentale della conoscenza è possibile: è possibile in quanto intenziona il livello trascendentale tematizzandolo come particolare oggetto di conoscenza da studiare scientificamente, così come le scienze naturali intenzionano la realtà fisica (presupponendo implicitamente, anch'esse una visione trascendentale, in realtà... ma questo è un altro discorso anche se connesso con questo). Se le categorie dell'intelletto apriori, se il noumeno, fossero, poichè non sensibili, impossibili da oggettivare come contenuto scientifico, fossero solo riducibili a forme vuote, astrazioni, strumenti che si limitano a funzionare nel meccanismo della conoscenza, potrebbero continuare tranquillamente a svolgere il loro ruolo senza essere tematizzate da una critica che le tematizza trattandole a tutti gli effetti come oggetti della sua scienza, dunque non certo inconoscibili. In sintesi, la fenomenologia supera il kantismo nel senso che individua i presupposti stessi della possibilità di una critica della conoscenza in generale: l'intenzionalità, l'oggettivazione del proprio ambito di ricerca come disciplina peculiare e autonoma.

tersite

Citazione di: davintro il 29 Marzo 2019, 23:52:48 PM
  A questo punto la sfera dell'intelligibile, intesa come complesso di oggetti tematizzabili come tali, si presta ad essere terreno di giudizi e di conoscenza oggettiva nella stessa misura di come ciò è possibile per quanto riguarda la realtà materiale, ed è per questo che una critica trascendentale della conoscenza è possibile: è possibile in quanto intenziona il livello trascendentale tematizzandolo come particolare oggetto di conoscenza da studiare scientificamente, così come le scienze naturali intenzionano la realtà fisica (presupponendo implicitamente, anch'esse una visione trascendentale, in realtà... ma questo è un altro discorso anche se connesso con questo).

Ho capito tutto ma ho bisogno di una precisazione di carattere esclusivamente lessicale. Non riesco a focalizzare bene i termini tematizzare e intenzionare.

Io li ho intesi come : " applicare alla analisi del livello trascendentale le regole della logica".

Non la logica banale del -non lo vedo quindi è logico non esista- e simili affermazioni(non lo sottolineo a tuo uso, ma a mia chiarificazione beninteso..per farmi capire meglio) ma la Logica consistente in "quella cosa da trecento pagine a volume".

E' giusto come li ho intesi ?

Ogni definizione è artificiosa e in ciò è il suo potenziale evolutivo. (anonimo)

sgiombo

Premessa: mi conforta la cautela con la qual anche gli altri intervenuti (tranne mi pare Oxdeadbeef) parlano di ciò che pensano di avere capito di Kant (non sono il solo ad avere dubbi sul pensiero del grande konigsbergese). :)
 
X Oxdeadbeef
Citaz. Dall' intervento # 120:
<<[un un "cultore" della semiotica] mi replicò che l' "esistenza" è tale solo a seguito di una interpretazione (che è la posizione di Carlo Sini, allora suo "maestro")>>
Seguo la semiotica di Frege, per la quale i concetti (simboleggiati da vocaboli) possono riferirsi unicamente a un connotato o intensione "cogitativa mentale, reale unicamente in quanto pensata o "contenuto di pensiero" (se realmente accade il pensiero del concetto stesso; solito esempio dell' ippogrifo), oppure anche a un denotato o estensione reale (solito esempio del cavallo).
In questo secondo caso (quando e se accade) l' esistenza della denotazione o estensione reale del concetto pensato é tale (reale) anche a prescindere da qualsiasi eventuale (ulteriore evento reale costituito da un') interpretazione come denotazione o intensione del concetto che lo pensa (o mediante il quale un soggetto lo pensa).
Cioè l' esistenza reale (oggettiva, di un oggetto di pensiero, predicazione, eventuale conoscenza, ecc.) può (non: deve) benissimo essere tale anche senza alcuna interpretazione (da parte di un soggetto di pensiero, predicazione, eventuale conoscenza, ecc.).
 
Citaz. Dall' intervento # 122":
Condivido tutto fuorchè le ultime righe: perchè mai potrebbe non esserci [il noumeno o cosa in sé]?
Voglio dire: secondo logica come fa ad esserci l'interpretazione ma non l'interpretato?

Secondo me bisogna distinguere fra oggetto (e soggetto) di percezione fenomenica cosciente ed oggetto (e soggetto) di pensiero, predicazione, eventualmente conoscenza (sono due questioni ben diverse, da non confondere).
Le percezioni fenomeniche coscienti, sia materiali (Berkeley) sia mentali (Hume) realmente esistono-accadono solo ed unicamente in quanto tali, il loro "esse est percipi".
Se qualcosa esiste-accade anche se e quando esse non esistono accadono (per esempio i loro soggetti e i loro oggetti che ammettiamo essere reali non sempre necessariamente in quanto attualmente tali ma anche potenzialmente, anche se e quando non accadono percezioni fenomeniche coscienti, ovvero non sono percepiti fenomenicamente fenomeni), per non cadere in una plateale contraddizione, si deve ammettere che tale "qualcosa" non é (costituito da) percezioni fenomeniche coscienti, materiali o mentali (altrimenti si pretenderebbe che qualcosa é-accade realmente anche se e quando e in quanto non é-accade realmente !!!): può sensatamente) essere (si può sensatamente pensare che sia) solo qualcosa di non apparente alla coscienza, non percepito (non fenomeno) ma solo pensato, congetturato (noumeno).
Ma sottolineo il "se": non é detto che (lo si può pensare non contraddittoriamente, sensatamente = é possibile) la realtà non sia imitata solo ed unicamente alle percezioni o fenomeni coscienti e basta, senza alcunché d' altro di reale oltre ad essi.
Invece gli oggetti di (quelle peculiari percezioni fenomeniche coscienti interiori, mentali che sono) pensiero, predicazione, eventualmente conoscenza possono (essere pensati in maniera logicamente corretta, non contraddittoria, sensata) essere reali indipendentemente dall' eventuale accadere realmente o meno anche dei pensieri (di concetti) dei quali sono i denotati o estensioni reali: anche se questi pensieri non accadono (= si può pensare non contraddittoriamente, ovvero come possibile, una realtà diversa da quella comprendente enti ed eventi che costituiscono denotazioni o estensioni reali di concetti pensati e inoltre tali concetti pensati, i pensieri di tali concetti, solo ed unicamente per il fatto di non comprenderli: una realtà costituita da cavalli realmente esistenti senza nessun uomo che realmente li pensi, oltre che: una realtà da questa diversa unicamente per il fato di comprendere oltre a cavalli realmente esistenti anche qualche uomo che realmente li pensi).
E questo sia che si tratti di enti ed eventi certamente reali (se e quando sono-accadono: denotazioni o estensioni reali per lo meno potenziali di eventuali concetti) ovvero percezioni o fenomeni coscienti, sia che siano enti ed eventi non dimostrabili (né logicamente, né empiricamente) essere-accadere realmente (per o meno fra l' altro, se non unicamente, il noumeno o cose in sé; che potrebbe essere un concetto con una connotazione o intensione reale -ovviamente: altrimenti non sarebbe un concetto- ma "dotato" inoltre oppure anche "privo" di alcuna denotazione o estensione reale).
 
Quindi l' interpretato reale (il pensato veracemente esserci: la denotazione o estensione reale di concetti predicati essere-accadere realmente) é necessario ci sia-accada affinché ce ne sia-ne accada l' interpretazione; ma il noumeno o caso in sé non é necessario ci sia-accade affinché ce ne sia il fenomeno, le percezioni, la manifestazione fenomenica cosciente.
 
Il noumeno non é (#124) "dato passivamente al soggetto interpretante che esso rappresenta un concetto-limite; che circoscrive le pretese della sensibilità (della conoscenza)", non é i fenomeni (potenzialmente reali) non (o non ancora) accadenti in quanto tali (che anche se meramente potenziali non sono e non possono essere altro, nel momento in cui si attuassero ovvero accadessero realmente, che fenomeni, come giustamente sottolinea Lou), ma invece -se c'é- é ciò che trascende la sensibilità: per esempio soggetto ed oggetti dei fenomeni coscienti: io che -almeno potenzialmente o indirettamente- vedo il tuo cervello (ma ci sono anche quando non lo vedo) ovvero tu che -almeno potenzialmente o indirettamente- vedi il mio cervello (ma ci sei anche quando non lo vedi; e non invece i fenomeni materiali "mio cervello" di cui io-noumeno sono oggetto diverso dal soggetto nella tua esperienza cosciente e i fenomeni mentali "miei pensieri, sentimenti, ecc. di cui io-noumeno sono oggetto riflessivamente identico al soggetto nella mia esperienza cosciente; e viceversa).
 
Quindi, per rispondere alla domanda dell' intervento #126:
"Riconosci in questa definizione la tua distinzione fra ciò che appare alla coscienza
(intuito) e ciò che è interpretato (pensato)?"
credo di avere spiegato come e perché non la riconosco.
 
X Viator
Citaz. Dall' intervento # 121:
"Infatti il produrre degli effetti rappresenta il requisito indispensabile che consente l'esistere".
Dissento: é ben pensabile in maniere logicamente corretta, non contraddittoria, sensata (= possibile) anche l' esistenza di qualcosa che non produce effetti.
Questo almeno in teoria, a prescindere da come di fatto é la realtà fenomenica materiale accessibile al senso comune e alla scienza nonché la realtà fenomenica mentale accessibile all' introspezione.
Cioè non é detto che di fatto esistano enti od eventi reali che non producono effetti, ma solo che é possibile esistano, ovvero che il produrre degli effetti non rappresenta il requisito indispensabile che consente l'esistere.
Peraltro (e forse questo intendevi dire) se consideriamo l' essere conosciuto un effetto (ma credo che ciò sia per lo meno problematico; dipendentemente dal significato che si attribuisce per definizione, arbitrariamente al concetto di "causare effetti"), allora il produrre degli effetti rappresenta il requisito indispensabile che consente l'esistere di qualcosa di conosciuto o per lo meno conoscibile, di qualcosa di cui si possa sapere qualcosa, che si possa pensare, su cui si possa ragionare.
Se anche ci fosse qualcosa che non produce l' effetto di essere conosciuto e pensato non se ne potrebbe sapere né comunque dire alcunché.
 
 
X Apeiron
La tua trattazione della questione mi sembra chiara e condivisibile.
La critica di Berkeley a Cartesio (la sola pars destruens) mi sembra inattaccabile (anche delle qualità primarie l' "esse est percipi", esattamente come delle secondarie).
Di Kant (come da te "schizzato" credo per lo meno in gran parte correttamente) rifiuto con gli empiristi le conoscenze a priori (la mente é una tabula rasa che senza -prima di compiere- esperienze non conosce nulla, ma solo ha la potenzialità di recepire sensazioni, comprese le sensazioni dei propri pensieri -che ha la facoltà di produrre attivamente- mediante i quali conosce le altre sensazioni passivamente recepite, nonché i pensieri attivi stessi); inoltre distinguo i fenomeni coscienti dei quali l' "esse st percipi" dalle cose in sé o noumeno. Il fatto che i primi siano manifestazioni coscienti del secondo non consente di identificarli: restano enti ed eventi reali (certamente i primi, senza inoppugnabile certezza i secondi) reciprocamente distinti seppure correlati.
 
 
X Tersite:
Filosofia e biologia trattano di coese diverse anche se correlate: la prima (fra l' altro) del nostro modo di conoscere e della realtà di ciò che conosciamo, la seconda del nostro cervello (il cui funzionamento nell' ambito delle esperienze coscienti** di chi lo osservi é biunivocamente corrispondente ad un' esperienza cosciente* per ciascun cervello diversa da quelle** degli osservatori dello stesso).
 
 
X Davintro
Circa la tua acuta distinzione fra oggetto di conoscenza in sé e oggetto di conoscenza in quanto conosciuto (diversa da quella fra fenomeni e noumeno - oggetto e/o soggetto di sensazione) a me pare che in realtà implichi non necessariamente l' inconoscibilità dell' oggetto di conoscenza in sé, in quanto non pensato, ma piuttosto l' incertezza (la possibilità o meno e non la necessaria negazione) di tale eventuale (possibile) conoscenza.
Credo che possa accadere (non é contraddittorio il pensarlo), o meno, che l' oggetto reale in quanto conosciuto (la connotazione o intensione cogitativa del concetto dell' oggetto reale) descriva "fedelmente", veracemente almeno in parte (ma inevitabilmente sempre in parte per lo meno di fatto) il denotato o estensione reale del concetto stesso (senza aggiungervi nulla di falso - non reale per lo meno; se non anche, per lo meno in linea puramente teorica, di principio, senza togliervi nulla di reale -vero).
Il fatto é che se anche ciò accadesse non si potrebbe sapere, se non attraverso predicazioni di ulteriori concetti dotati di estensione o denotazione reale (concetti dell' evento reale della conoscenza) fatto di cui a sua volta non si potrebbe sapere se non attraverso predicazioni di ulteriori concetti dotati di estensione o denotazione reale (concetti dell' evento reale della conoscenza della conoscenza), e così via in un regresso all' infinito.
Ma in fondo questo é solo un cervellotico cavillo, mentre consento convintamente con la tua affermazione che [#129]:
"il giudizio di una inconoscibilità di qualunque cosa nasconde sempre necessariamente un livello di conoscenza positiva, e l'unico modo per uscire dalla contraddizione sarebbe quello di ammettere, non una totale inconoscibilità, ma piuttosto una conoscenza parziale, l'impossibilità di un sapere esaustivo, ma comunque adeguato a cogliere degli aspetti che legittimino la sua pensabilità, tramite cui riconosciamo la sua stessa, parziale, irriducibilità alle nostre pretese conoscitive" (in quanto possibilità, ovviamente, in quanto riferito a ciò che di fatto si conosca; che non esaurisce la realtà in toto, non essendo certamente onniscienti; precisazione dovuta alla mia maniacale pognoleria, che credo del tutto pleonastica).
 
Naturalmente dissento, come già tante volte (noiosamente) affermato, dalla tesi del superamento del criticismo kantiano (o meglio ancora dello scetticismo humeiano) da parte dell' intenzionalità fenomenologica, in quanto ritengo che di certo e indubitabile (impensabile se non autocontraddittoriamente non essere-accadere realmente) vi siano unicamente i dati fenomenici immediati di percezione (se e quando accadono); e questo indipendentemente dalla loro "passività" o "attività" (= accadere o non accadere contemporaneamente o dopo che sia accaduta la volontà che accadano, e magari contemporaneamente alla volontà che non accadano).
 
Invece non capisco proprio come si possa ritenere scientificamente conoscibile, oltre ai fenomeni, il noumeno (il trascendentale, il -pensabile come- trascendente l' esperienza fenomenica cosciente; a meno di differenze che non colgo fra questi concetti):
"A questo punto la sfera dell'intelligibile, intesa come complesso di oggetti tematizzabili come tali, si presta ad essere terreno di giudizi e di conoscenza oggettiva nella stessa misura di come ciò è possibile per quanto riguarda la realtà materiale, ed è per questo che una critica trascendentale della conoscenza è possibile: è possibile in quanto intenziona il livello trascendentale tematizzandolo come particolare oggetto di conoscenza da studiare scientificamente, così come le scienze naturali intenzionano la realtà fisica".
E nemmeno come "le scienze naturali intenzionano la realtà fisica (presupponendo implicitamente, anch'esse una visione trascendentale, in realtà": per me le scienze naturali postulano (indimostrabilmente) l' intersoggettività dei fenomeni materiali, cioè la loro "poliunivoca corrispondenza per filo e per segno" fra tutte le diverse esperienze fenomeniche coscienti, ma non la loro "trascendentalità", ovvero realtà dei loro "dati" o "contenuti" anche indipendentemente dall' accadere delle esperienze fenomeniche coscienti stesse, come se -contradittoriamente- si trattasse di cose in sé o noumeno.
Secondo me il noumeno può essere trattato non affatto scientificamente ma solo filosoficamente (ontologicamente), come ipotesi esplicativa dei fenomeni e di ciò che di essi si postula (fra l' altro e soprattutto come conditiones sine qua non della conoscibilità scientifica di quelli materiali).

0xdeadbeef

Citazione di: paul11 il 29 Marzo 2019, 22:57:13 PM
ciao Mauro(Oxdeadbeef)
ti sbagli ed è deducibile da quanto avevo scritto.
Kant segue la filosofia empirista soprattutto di Hume, ma vuole compiere un passo successivo dopo l'analitica, con la deduzione trascendentale.
ma ribadisco, bisogna focalizzare dove il filosofo sposta il suo asse argomentativo di dimostrazione di una verità
Nel caso di Kant la dimostrazione è ancora nel mondo fattuale e  non nel mondo delle idee.


Ciao Paul
Questa volta non sono per nulla d'accordo con le tue argomentazioni (oltre che non
comprenderne del tutto il nesso con il mio discorso).
In primo luogo ho tirato in ballo Kant perchè la sua idea circa il "noumeno" mi sembra
ricalcare quella di Levinas dell'"altro": così come questo è "totalmente", o "assolutamente"
altro dall'io (e perciò, dice Levinas, è "mistero"), così il noumeno kantiano è inconoscibile
al soggetto, che può conoscerlo solo come fenomeno.
In secondo luogo, a me il noumeno, così come l'"altro", sembrano concetti perfettamente
rispondenti ad una logica. E sia per quel che riguarda la mera esistenza (la medesima logica per cui,
in semiotica, non può esservi interpretazione senza qualcosa da interpretare - o segno senza l'oggetto
che quel segno indica), sia per quel che riguarda l'inconoscibilità (ammesso sia vero, come
io ritengo vero, che: "l'oggetto, in quanto pensato, non può essere una realtà indipendente dal
soggetto che lo pensa" - G.Gentile).
Non capisco, quindi, l'accostamento che fai del noumeno ad un'idea irreale quale quella dell'ippogrifo.
Sembra che tu attribuisca al noumeno un carattere metafisico ("Il limite del noumeno è quindi non nel
procedimento fra analisi e sintesi deduttivo , ma quando il pensiero deduttivo trascende se stesso 
per andare nel dominio metafisico") nel momento in cui l'"asse argomentativo di dimostrazione di
una verità è, nel caso di Kant, nel mondo fattuale" (argomento che senz'altro condivido - ma non
condivido affatto l'affermazione di "metafisicità" del noumeno...)
Non capisco nemmeno il perchè di questa critica "ad ampio raggio" all'intera filosofia di Kant (posto
anche che su alcuni aspetti la condivido, come ad esempio sulla problematicità di fondare un paradigma
oggettivo per la morale ed il giudizio - di fatto impossibile, dopo il "non sapere" decretato dalla
Ragion Pura). Ma, diciamo, ci può stare.
saluti

0xdeadbeef

Citazione di: sgiombo il 30 Marzo 2019, 13:29:43 PMCioè l' esistenza reale (oggettiva, di un oggetto di pensiero, predicazione, eventuale conoscenza, ecc.) può (non: deve) benissimo essere tale anche senza alcuna interpretazione (da parte di un soggetto di pensiero, predicazione, eventuale conoscenza, ecc.).


Ciao Sgiombo
Ma certo che ci può essere esistenza di un oggetto senza che vi sia alcuna interpretazione di esso.
L'antica città di Ebla, in Siria, è stata scoperta solo negli anni 50 (se ricordo bene), eppure
esisteva indubitabilmente anche se erano passati millenni dall'ultima sua "interpretazione".
Nel momento in cui Ebla è stata scoperta, essa è diventata oggetto di interpretazione (nello
specifico di diatribe fra gli archeologi). E "insieme alla" interpretazione è sorto il
concetto (perchè è di un concetto che stiamo parlando) di una Ebla noumenica, cioè di una Ebla
come "in verità" era al netto dei diversi pareri degli archeologi.
E' insomma, chiarissimo che "fenomeno" e "noumeno" sono due concetti che si riferiscono al
medesimo oggetto (pur se c'è da citare la posizione di U.Eco, che ne: "La Soglia e l'Infinito"
sostiene - non del tutt assurdamente - l'esistenza di DUE oggetti).
In altre parole, non è che il noumeno SIA l'oggetto e il fenomeno sia la sua interpretazione: è
che ambedue i termini sono concetti che si riferiscono al medesimo oggetto.
saluti

tersite

Citazione di: 0xdeadbeef il 30 Marzo 2019, 18:18:56 PM
E "insieme alla" interpretazione è sorto il
concetto (perchè è di un concetto che stiamo parlando) di una Ebla noumenica, cioè di una Ebla
come "in verità" era al netto dei diversi pareri degli archeologi.


e quindi gli abitanti di ebla avrebbero dovuto vedere manifestarsi la ebla noumenica...c'è qualcosa che non funziona nell'analogia.
Ogni definizione è artificiosa e in ciò è il suo potenziale evolutivo. (anonimo)