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L'Io e l'Altro

Aperto da 0xdeadbeef, 11 Marzo 2019, 20:43:56 PM

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Menandro

Citazione di: 0xdeadbeef il 28 Marzo 2019, 20:41:18 PMMa perchè mai non si potrebbe conoscere se "c'è" o se "non c'è"? Se, come dici, la conoscenza fenomenica deve derivare da qualcosa che fenomeno non è (o, detta nei termini della semiotica, al "segno" deve corrispondere la cosa che il segno indica), allora perchè mai, secondo logica, la "cosa in sé" non sarebbe conoscibile nella sua mera esistenza?

la "cosa in sé" è da Kant intesa come un qualcosa che il "nous", l'intelletto, può "afferrare" (nota il concetto di chiara dericazione stoica) fermo restando, ed è ovvio, l'inconoscibilità.

Salve 0xdeadbeef,
hai citato Gentile e Severino: in questo caso alla tua domanda Severino risponderebbe che il concetto di cosa in sé è contraddittorio, cioè secondo logica se l'intelletto la può afferrare, la cosa non è più "in sé", ma aperta al conoscere. Se anche solo la sua esistenza è manifesta, l'inconoscibilità non sussiste.

sgiombo

Premetto ancora una volta che su Kant, dati i miei limiti culturali, potrei sbagliarmi.

Ma indipendentemente da qualsiasi pretesa di fedeltà al konigsbegese (ragiono "a ruota libera", sulla questione, non allo scopo di capire Kant ma di cercare di capire la realtà in cui vivo), mi sembra chiaramente sensato e intelligibile intendere il noumeno o cosa in sé come non apparente sensibilmente alla coscienza (non-fenomeno, letteralmente) ma pensabile, immaginabile: ciò (qualcosa di in qualche inevitabilmente oscuro modo o senso reale) che continuerebbe ad esistere anche in assenza di percezione fenomenica dei fenomeni coscienti (che potrebbe includere il soggetto e gli oggetti di essi; ma essendo per definizione non osservabile potrebbe essere "di tutto e di più", ivi compreso eventualmente "il nulla", dal momento che é -per me; senza pretendere di fare una  corretta esegesi di Kant- indimostrabile, oltre che ovviamente non empiricamente constatabile, -ma solo ipotizzabile: potrebbe anche non esserci realmente).

0xdeadbeef

Citazione di: Lou il 28 Marzo 2019, 20:57:31 PM
io mi riferivo esclusivamente a Kant, poi tanta acqua è passata sotto i suoi ponti. Ripeto,la cosa in sè in Kant non è conoscibile per l'umano, se mi mostri dei passaggi dove afferma il contrario sono tutta orecchi.


Ciao Lou (e scusami per averti confusa con Ipazia...)
Dice Kant ("Analitica dei Principi": "se una conoscenza deve avere una realtà oggettiva,
cioè riferirsi a un oggetto e avere in esso significato e senso, l'oggetto deve, in un
modo qualsiasi, poter essere dato. Senza di questo i concetti sono vuoti, e se anche con
essi si pensa, di fatto questo pensiero non conosce nulla ma soltanto gioca con le
rappresentazioni. Dare un oggetto, se questo a sua volta non deve essere opinato
indirettamente, ma rappresentato immediatamente nell'intuizione, non è altro che
connettere la sua rappresentazione con l'esperienza".
Mi sembra chiarissimo. E' da tener sempre presente che il fondamento su cui Kant poggia
queste sue tesi è il "cogito" cartesiano, per cui l'unico oggetto "immediato" della
conoscenza è l'idea.
Tutto ciò "arriva a Kant" attraverso quello che viene definito "illuminismo inglese"
(direi soprattutto con la tesi di Hume sulla conoscenza come "operazione di connessione
fra le idee"). Ma Kant vi aggiunge un elemento importante, che era "sparito" da Hume come
da Locke (purchè sempre presente nella filosofia anglosassone, come dicevo a proposito di
Duns Scoto), ed appunto quello della "intuizione immediata", cioè di quell'"afferrare"
un oggetto di cui si intuisce l'esistenza senza comprenderlo intellettualmente.
Mi sembra francamente un passaggio che rende superfluo ed azzardato il discorso fenomenologico
(azzardato perchè recupera una oggettività intesa in senso idealistico).
saluti

Lou

#108
"Tuttavia nel nostro concetto, quando denominiamo certi oggetti, come fenomeni, esseri sensibili (phaenomena), distinguendo il nostro modo di intuirli dalla loro natura in sé, c'è già che noi, per dir così, contrapponiamo ad essi o gli oggetti stessi in questa loro natura in sé (quantunque in essa noi non li intuia­mo), o anche altre cose possibili, ma che non sono punto oggetti dei nostri sensi, come oggetti pensati semplicemente dall'intelletto, e li chiamiamo esseri intelligibili (noumena). Ora, si domanda se i nostri concetti puri dell'intellettorispetto a questi ultimi non abbiano un valore, e se di essi non possano essere una specie di conoscenza.
Ma qui si presenta subito un equivoco, che può dare occasione a un grosso malinteso, e cioè: che poiché l'intelletto, quando chiama semplicemente feno­meno un oggetto che è in una relazione, si fa ad un tempo, fuori di questa relazione, ancora una rappresentazione di un oggetto in sé, e quindi si immagina di potersi parimenti far dei concetti di tali oggetti; e poiché l'intelletto non for­nisce altri concetti che le categorie, l'oggetto, nell'ultimo significato, si immagi­na che debba poter esser pensato almeno mediante codesti concetti puri dell'in­telletto; ma così è indotto a ritenere un concetto affatto indeterminato di un essere intelligibile, come qualcosa in generale al di là della nostra sensibilità, per un concetto determinato di un essere, che noi possiamo in qualche modo cono­scere mercé dell'intelletto. Se noi intendiamo per noumeno una cosa, in quanto essa non è oggetto della nostra intuizione sensibile, astraendo dal nostro modo d'intuirla, essa è un noumeno in senso negativo. Ma, se per esso invece intendia­mo l'oggetto d'una intuizione non sensibile, allora supponiamo una speciale maniera di intuizioni, cioè l'intellettuale, la quale però non è la nostra, e della quale non possiamo comprendere nemmeno la possibilità; e questo sarebbe il noumeno in senso positivo.

Se io sottraggo ogni pensiero (per categorie) da una conoscenza empirica, non resta più nessuna conoscenza di un qualsiasi oggetto; giacché con la sola intuizione nulla assolutamente vien pensato, e il fatto che c'è in me questa affezione della sensibilità, non costituisce relazione di sorta di tale rappresentazione con un qualsiasi oggetto. Se invece io sottraggo ogni intuizione, mi rimane an­cora la forma del pensiero, cioè la maniera di assegnare un oggetto al molteplice d`una intuizione possibile. Le categorie quindi si estendono più in là dell'intui­zione sensibile, poiché pensano oggetti in generale, senza ancora guardare alla speciale maniera (di sensibilità), nella quale gli oggetti possono esserci dati. Ma esse non determinano perciò una sfera di oggetti più grande, poiché non è am­missibile che tali oggetti possano esser dati senza presupporre come possibile una specie di intuizione diversa dalla sensibile; al che non siamo in nessun modo autorizzati.
Chiamo problematico un concetto che non contiene contraddizione, e che, come limitazione di concetti dati, si connette anche con altre conoscenze ma la cui verità oggettiva non può essere in alcun modo conosciuta. Il concetto di un noumeno, cioè di una cosa che deve esser pensata non come oggetto dei sensi, ma come cosa in sé (unicamente per l'intelletto puro), non è per niente contrad­dittorio; giacché non si può della sensibilità asserire che sia l'unico modo possi­bile di intuzione. Anzi, questo concetto è necessario, acciò l'intuizione sensibile non venga estesa fino alle cose in sé, e sia così limitata la validità oggettiva della conoscenza sensibile; (giacché le restanti cose, a cui quella non giunge, si chia­mano appunto per ciò noumeni, per indicare così che tale conoscenza non può estendere il suo dominio anche a ciò che pensa l'intelletto). Ma, in fine, nemme­no della possibilità di tali noumeni è possibile punto rendersi conto e il territorio di là dalla sfera dei fenomeni (per noi) è vuoto; cioè, noi abbiamo un intelletto, che si estende al di là problematicamente, ma non una intuizione, e neppure il concetto d'una possibile intuizione, onde possano esser dati oggetti fuori del campo della sensibilità, e l'intelletto possa essere usato al di là di essa in modo assertorio. Il concetto di noumeno è dunque solo un concetto limite (Grenzbe­griff), per circoscrivere le pretese della sensibilità, e di uso, perciò, puramente negativo.Ma esso tuttavia non è foggiato ad arbitrio, sibbene si connette colla limitazione della sensibilità, senza poter nondimeno porre alcunché di positivo al di fuori del dominio di essa. Non può dunque ammettersi punto in senso positivo la divisione degli oggetti in fenomeni e noumeni, e del mondo in sen­sibile e intelligibile, sebbene i concetti consentano sempre di esser divisi in sen­sibili e intellettuali; giacché a questi ultimi non si può assegnare nessun oggetto, né essi perciò possono valere oggettivamente. Se ci si allontana dai sensi come concepire che le nostre categorie (che sarebbero i soli concetti rimanenti per i noumeni) significhino ancora qualche cosa dal momento che per il loro rapporto ad un qualsiasi oggetto dovrebbe esser dato qualcosa più che la semplice unità nel pensiero e cioè inoltre una intuizione possibile, a cui applicarle? Il concetto di noumeno, preso solo problematicamente, rimane, ciò malgrado, non soltanto ammissibile, ma anzi inevitabile, come concetto che limita la sensibilità. Ma, al­lora, esso non è un particolare oggetto intelligibile per il nostro intelletto; ma un intelletto, al quale esso appartenesse, sarebbe già di per sé un problema, in quan­to intelletto capace di conoscere il proprio oggetto non discorsivamente, me­diante le categorie, ma in modo intuitivo, con una intuizione non sensibile; né della possibilità di tale oggetto noi possiamo farci la più piccola idea. Ora il no­stro intelletto riceve in tal modo una estensione negativa, cioè non viene limitato dalla sensibilità, ma piuttosto la limita, pel fatto che chiama le cose in sé (non considerate come fenomeni) noumeni." Cap 3. Analitica Trascendentale

(grassetto mio)

A me pare che si possa parlare correttamente di noumeno solo nel senso di non oggetto di intuizione sensibile.
"La verità è brutta. Noi abbiamo l'arte per non perire a causa della verità." F. Nietzsche

0xdeadbeef

Citazione di: Menandro il 28 Marzo 2019, 22:02:01 PM
Salve 0xdeadbeef,
hai citato Gentile e Severino: in questo caso alla tua domanda Severino risponderebbe che il concetto di cosa in sé è contraddittorio, cioè secondo logica se l'intelletto la può afferrare, la cosa non è più "in sé", ma aperta al conoscere. Se anche solo la sua esistenza è manifesta, l'inconoscibilità non sussiste.


Ciao Menandro
Ti "ri-cito" Gentile: "l'oggetto, in quanto pensato, non può essere una realtà indipendente
dal soggetto che lo pensa". Questo vuol chiaramente dire che la "cosa in sé", in quanto
pensata, è un fenomeno...
Certo, è così, e per comprendere questa (apparente) contraddizione è necessario tornare al
concetto di "intuizione immediata", concetto di radice stoica poi ripreso soprattutto dalla
filosofia anglosassone (come illustro sinteticamente in altri dei miei ultimi interventi).
Visto che quel che è in discussione è l'intero "sguardo sul mondo" occidentale (perchè è
questo che Levinas dice), è necessario tornare almeno un attimo alla radice "assoluta" (che,
come dice Levinas, è la "fusione" platonica di soggetto e oggetto - sono costretto a rimandarti
ai precedenti interventi).
Questa "fusione" (evidentissima in S.Agostino, che dice: "ogni conoscenza deriva insieme dal
conoscente e dal conosciuto"), nello Stoicismo, non avviene. Nello Stoicismo soggetto e oggetto
(conoscente e conosciuto) rimangono nettamente distinti, e l'oggetto, percepito in maniera
"evidente ed immediata", rimane appunto "altro" dal soggetto che ne viene a conoscenza.
Ora, chiaramente di acqua sotto i ponti ne passa parecchia prima di arrivare ai nostri giorni.
Diciamo che questi due "filoni" di pensiero sopravvivono appunto fino all'Idealismo, che sotto
certi aspetti fa piazza pulita perfino dell'empirismo anglosassone classicamente inteso (che
ancora distingueva il soggetto dall'oggetto). Un Idealismo che, si badi bene, anche per Levinas
non dice certo sciocchezze (quella di Gentile non è certo una sciocchezza), ma porta a conclusione
(appunto nella "ontologia dell'io" contemporanea) quella "fusione" che per Levinas parte già con
Parmenide.
Ora, il discorso è, ovviamente, molto complesso me ne rendo conto). Ma per capirlo occorre a mio
parere andare "là" dove l'oggetto "scompare" NEL soggetto. e questo luogo è "fra" Kant e Fichte.
saluti

Menandro

Citazione di: 0xdeadbeef il 29 Marzo 2019, 10:00:46 AMCiao Menandro Ti "ri-cito" Gentile: "l'oggetto, in quanto pensato, non può essere una realtà indipendente dal soggetto che lo pensa". Questo vuol chiaramente dire che la "cosa in sé", in quanto pensata, è un fenomeno... Certo, è così, e per comprendere questa (apparente) contraddizione è necessario tornare al concetto di "intuizione immediata", concetto di radice stoica poi ripreso soprattutto dalla filosofia anglosassone (come illustro sinteticamente in altri dei miei ultimi interventi). Visto che quel che è in discussione è l'intero "sguardo sul mondo" occidentale (perchè è questo che Levinas dice), è necessario tornare almeno un attimo alla radice "assoluta" (che, come dice Levinas, è la "fusione" platonica di soggetto e oggetto - sono costretto a rimandarti ai precedenti interventi). Questa "fusione" (evidentissima in S.Agostino, che dice: "ogni conoscenza deriva insieme dal conoscente e dal conosciuto"), nello Stoicismo, non avviene. Nello Stoicismo soggetto e oggetto (conoscente e conosciuto) rimangono nettamente distinti, e l'oggetto, percepito in maniera "evidente ed immediata", rimane appunto "altro" dal soggetto che ne viene a conoscenza. Ora, chiaramente di acqua sotto i ponti ne passa parecchia prima di arrivare ai nostri giorni. Diciamo che questi due "filoni" di pensiero sopravvivono appunto fino all'Idealismo, che sotto certi aspetti fa piazza pulita perfino dell'empirismo anglosassone classicamente inteso (che ancora distingueva il soggetto dall'oggetto). Un Idealismo che, si badi bene, anche per Levinas non dice certo sciocchezze (quella di Gentile non è certo una sciocchezza), ma porta a conclusione (appunto nella "ontologia dell'io" contemporanea) quella "fusione" che per Levinas parte già con Parmenide. Ora, il discorso è, ovviamente, molto complesso me ne rendo conto). Ma per capirlo occorre a mio parere andare "là" dove l'oggetto "scompare" NEL soggetto. e questo luogo è "fra" Kant e Fichte. saluti

L'affermazione di Gentile "l'oggetto, in quanto pensato, non può essere una realtà indipendente dal soggetto che lo pensa" che sia vera o meno non è contraddittoria. E' contraddittorio, una volta che ci siamo posti da un punto di vista idealistico, continuare a parlare di cosa in sé. Per Gentile la cosa in sé non esiste, perché tutto appare all'interno del pensiero. Quindi, se Gentile ha ragione, Levinas ha torto, perché non c'è più niente che non sia riducibile al soggetto pensante. Quello che non ho capito è chi dei due secondo te ha ragione.
Chiedo scusa se mi esprimo sbrigativamente, non è un tono polemico, ma sto facendo due cose alla volta... mi rendo conto che per le mie capacità è un azzardo :)

Menandro

Citazione di: sgiombo il 29 Marzo 2019, 08:14:32 AMPremetto ancora una volta che su Kant, dati i miei limiti culturali, potrei sbagliarmi. Ma indipendentemente da qualsiasi pretesa di fedeltà al konigsbegese (ragiono "a ruota libera", sulla questione, non allo scopo di capire Kant ma di cercare di capire la realtà in cui vivo), mi sembra chiaramente sensato e intelligibile intendere il noumeno o cosa in sé come non apparente sensibilmente alla coscienza (non-fenomeno, letteralmente) ma pensabile, immaginabile: ciò (qualcosa di in qualche inevitabilmente oscuro modo o senso reale) che continuerebbe ad esistere anche in assenza di percezione fenomenica dei fenomeni coscienti (che potrebbe includere il soggetto e gli oggetti di essi; ma essendo per definizione non osservabile potrebbe essere "di tutto e di più", ivi compreso eventualmente "il nulla", dal momento che é -per me; senza pretendere di fare una corretta esegesi di Kant- indimostrabile, oltre che ovviamente non empiricamente constatabile, -ma solo ipotizzabile: potrebbe anche non esserci realmente).

Anche a me sembra sensata l'idea che continui ad esistere ciò che non appare attualmente alla coscienza. Ma per come ho capito io - magari sbagliando, devo leggere con attenzione la citazione riportata da @Lou - per Kant il noumeno non è l'attualmente non noto, bensì un livello ulteriore della realtà a noi precluso (ulteriore rispetto al fenomeno).

0xdeadbeef

Citazione di: Lou il 29 Marzo 2019, 09:37:48 AM

A me pare che si possa parlare correttamente di noumeno solo nel senso di non oggetto di intuizione sensibile.


Ciao Lou
Certamente non si può parlare della cosa in sè come oggetto di "conoscenza", questo è ovvio.
Se ne può però parlare in termini di "intuizione" (perchè questa, ritengo, è la domanda)?
Andiamo a vedere cosa Kant intende per "conoscenza": ("la conoscenza comprende
due punti: in primo luogo un concetto per cui in generale un oggetto è pensato secondo le
categorie, e in secondo luogo l'intuizione con cui esso è dato").
Quanto all'"intuizione" Kant distingue fra l'intuizione sensibile e quella intellettuale,
con solo la prima di pertinenza dell'essere umano, cui l'oggetto è "dato" (quindi che gli è
dato "passivamente", cioè in senso negativo).
E proprio in quanto l'oggetto "in sé" è dato passivamente al soggetto interpretante che esso
rappresenta un concetto-limite; che circoscrive le pretese della sensibilità (della conoscenza);
ma che le circoscrive in senso negativo IN QUANTO il senso positivo (l'intuizione intellettuale)
non è di pertinenza dell'essere umano.
In altre parole, Kant intende la "cosa in sé" come intuizione intellettuale "passiva"; "negativa"
(e sarebbe molto interessante confrontare le conclusioni di Kant con la "conoscenza negativa",
che dicevo, di U.Eco).
Ora, io credo che prenderemmo un grave abbaglio se restassimo ancorati alla tesi kantiana "in sé".
La cosa più importante che Kant ci dice è che l'oggetto "esiste" a prescindere dal soggetto che
lo interpreta, e che è conoscibile solo molto "problematicamente", come la teoria della relatività
(che Cassirer indicò come comprovante la teoresi kantiana), dopo molti decenni, confermerà.
Ma più importante ancora ritengo sia che Kant mantiene salda quella distinzione fra soggetto e oggetto,
fra "io" e "altro", che è alla base di questa discussione sulla filosofia di Levinas (e che a
parer mio non è mantenuta dalla Fenomenologia in quanto essa "prende" il fenomeno kantiano e lo
trasforma "idealisticamente" in essenza).
saluti

tersite

#113
@ tutti


Volesse una persona  concettualizzare il termine "noumeno" come "tutto quello che non cade all' interno della finestra percettiva" quanto sarebbe lontana dal vero?

Se un petalo che noi  percepiamo rosso* e da altri esseri (insetti canguri elefanti...) viene percepito filtrato da una diversa capacità di percepire colori, posso io dire che tutto quello che il canguro non percepisce del petalo costituisca  "noumeno" come ciò che non percepisco io del petalo costituisca  "noumeno" ?

Ho sempre ritenuto come dato, senza ricorrere al concetto di "noumeno" che ho per ignoranza e pigrizia solamente "orecchiato", che nessun essere vivente potesse avere la più pallida idea di cosa sia un "oggetto" soltanto vedendolo, ed anche in seguito misurandolo, analizzandolo e via di seguito, per il fatto che anche se è possibile estendere la finestra percettiva con micro e macro analisi si può solo giungere ad un certo punto oltre il quale non si va.

Quanto lontana sarebbe questa scorciatoia da ciò che una persona introdotta alla terminologia filosofica considererebbe invece come "noumeno" ?

Non ho nessuna intenzione di aprire dibattiti o di questionare le vostre eventuali risposte, non ho le competenze per farlo, vorrei sapere solo quanto lontana sarebbe questa concezione da quello che ognuno di voi, che avranno tempo e voglia di rispondere, ritenga costituire "noumeno".

* ovviamente all'interno dei valori nominali che la cultura di ogni popolo ha dato a queste frequenze, di cui la luce dicono esser composta, evitandoci così la banale questione che il "verde" che "interpreto" io sia diverso da quello che un aborigeno dachissadovè "interpreta".
Ogni definizione è artificiosa e in ciò è il suo potenziale evolutivo. (anonimo)

paul11

Citazione di: tersite il 29 Marzo 2019, 15:50:45 PM
@ tutti


Volesse una persona  concettualizzare il termine "noumeno" come "tutto quello che non cade all' interno della finestra percettiva" quanto sarebbe lontana dal vero?

Se un petalo che noi  percepiamo rosso* e da altri esseri (insetti canguri elefanti...) viene percepito filtrato da una diversa capacità di percepire colori, posso io dire che tutto quello che il canguro non percepisce del petalo costituisca  "noumeno" come ciò che non percepisco io del petalo costituisca  "noumeno" ?

Ho sempre ritenuto come dato, senza ricorrere al concetto di "noumeno" che ho per ignoranza e pigrizia solamente "orecchiato", che nessun essere vivente potesse avere la più pallida idea di cosa sia un "oggetto" soltanto vedendolo ed anche in seguito misurandolo, analizzandolo e via di seguito.

Quanto lontana sarebbe questa scorciatoia da ciò che una persona introdotta alla terminologia filosofica considererebbe invece come "noumeno" ?

Non ho nessuna intenzione di aprire dibattiti o di questionare le vostre eventuali risposte, non ho le competenze per farlo, vorrei sapere solo quanto lontana sarebbe questa concezione da quello che ognuno di voi, che avranno tempo e voglia di rispondere, ritenga costituire "noumeno".

* ovviamente all'interno dei valori nominali che la cultura di ogni popolo ha dato a queste frequenze, di cui la luce dicono esser composta, evitandoci così la banale questione che il "verde" che "interpreto" io è diverso da quello che un aborigeno dachissadovè "interpreta".
rispondo indirettamente anche a Mauro (Oxdeadbeef) 
La differenza sostanziale fra le antiche filosofie e quelle moderne è dove si pensi e si cerca la verità e come venga dimostrata.
Quando Parmenide pone la celeberrima argomentazione sull'essere che è eterno e impossibilitato al divenire nega profondamente l'esistenza che è in divenire.L'idea è più "forte" del "fatto" la logica deduttiva è più dimostrativa della vita in divenire e di tutte le cose(enti)

Con Kant dopo  i razionalisti Cartesio, Leibniz, Spinoza, arrivano gli empiristi anglosassoni Berkeley, Locke e Hume e siniziano a spostare l'asse filosofico dalle idee ai fatti e inizia a diventare più importante ,dopo l'esplosione scientifica galileana e newtoniana,
il mondo fisico e sensibile in divenire.

Il proposito di Kant è di rendere la filosofia simile alle scienze sperimentali del suo tempo .
La verità e la dimostrazione inizia dal mondo fattuale e non più dalle idee come nel mondo greco.
La teoria della conoscenza diventa più importante dell'ontologia: viene sdoganata la metafisica come luogo di una indimostrabilità secondo i nuovi parametri scientifici per cui una cosa  fisica deve essere misurata per cui gli strumenti sono vedere, toccare e come la mente rappresenterà i segnali dei sensi .Se l'antico  processo era che il mondo sensibile delle moltitudini degli enti dovesse sinteticamente rispondere ad una deduzione finale per arrivare all'Uno, Kant pone il limite  del noumeno poichè oltre non può dimostrare, in quanto oltre il suo limite non è dimostrabile alcuna verità ,sempre secondo i parametri ora esperienziali del mondo fattuale sensibile.
Hegel invece spingerà oltre il noumeno nella Fenomenologia dello spirito ponendo la dialettica positiva e negativa, laddove le
cose-in-sè concrete(fenomeni fattuali) o astratte(il pensiero fine a se stesso) non correlano  idue domini: natura fisica sensibile e pensiero. Il soggetto conoscitivo che si definisca Io penso, oppure coscienza, diviene centrale(come centrale per tutto la cultura umanistica è l'uomo).Il luogo della verità per Hegel è il concetto deduttivo mediato dalla coscienza umana che unisce il dominio del sensibile con quello del pensiero .

La fenomenologia husserliana ,ma sopratutto il pensiero di Heidegger e Levinas diventa una "mistica laica".
Centrale è sempre l'uomo come soggettivizzazione della propria totalità intesa come vissuto all'interno del divenire fattuale.
Come io vivo in termini logici, emotivi ,psichici, intuitivamente ,deduttivamente, persino esteticamente ed estaticamente il mio rapporto con un mondo fisico e con un essere che in quanto nascosti celano la verità .

Il dato di fatto è che nella modernità non c'è più la verità nemmeno nella filosofia e l'uomo vive la sua contraddizione di non avere verità nella segretezza segregata dentro la propria esistenza.Il vissuto è quello che conta e come lo vivo linguisticamente, empaticamente fenomenologicamente.

Oggi il mondo secondo parecchi scienziati e filosofi è costruzionismo: è rappresentazione.
Non importa, o importa meno, di come sia in verità il mondo(essendo limitato il processo conoscitivo dal nostro cervello), ma importa ciò che la mia mente ritene di credere e rappresentare ,perchè è ciò che io creo, come faccio la storia, come procedo nella mia esistenza.

Lou

#115
Citazione di: tersite il 29 Marzo 2019, 15:50:45 PM
@ tutti

Volesse una persona  concettualizzare il termine "noumeno" come "tutto quello che non cade all' interno della finestra percettiva" quanto sarebbe lontana dal vero?

Direi che aprirsi alla possibilità logica che la finestra percettiva non esaurisca "tutto" non sia un concetto contraddittorio. E qui mi fermo.
"La verità è brutta. Noi abbiamo l'arte per non perire a causa della verità." F. Nietzsche

sgiombo

#116
Citazione di: Menandro il 29 Marzo 2019, 11:41:00 AM
Anche a me sembra sensata l'idea che continui ad esistere ciò che non appare attualmente alla coscienza. Ma per come ho capito io - magari sbagliando, devo leggere con attenzione la citazione riportata da @Lou - per Kant il noumeno non è l'attualmente non noto, bensì un livello ulteriore della realtà a noi precluso (ulteriore rispetto al fenomeno).


Ma infatti (e mi sembra di capire che anche Lou potrebbe essere d' accordo, salvo smentite da parte sua di miei eventuali fraintendimenti) per me (e credo, senza presunzione, si parva licet, per Kant) ciò che non appare attualmente alla coscienza e continua ad esistere non può essere fenomeni (che se lo fossero contraddittoriamente apparirebbero alla coscienza; i fenomeni continuando inevitabilmente ad apparire fintanto che che sono reali in quanto tali: non sono e non possono essere per definizione altro che apparenze coscienti): può essere solo cosa in sé o noumeno, pensabile razionalmente ma non percepibile sensibilmente, non apparente ovvero letteralmente non-fenomeno.


Aggiungo che questa (anche mia) accezione del "noumeno" mi sembra coerente con quanto ne afferma Tersite.

0xdeadbeef

Citazione di: Menandro il 29 Marzo 2019, 11:37:18 AM
L'affermazione di Gentile "l'oggetto, in quanto pensato, non può essere una realtà indipendente dal soggetto che lo pensa" che sia vera o meno non è contraddittoria. E' contraddittorio, una volta che ci siamo posti da un punto di vista idealistico, continuare a parlare di cosa in sé. Per Gentile la cosa in sé non esiste, perché tutto appare all'interno del pensiero. Quindi, se Gentile ha ragione, Levinas ha torto, perché non c'è più niente che non sia riducibile al soggetto pensante. Quello che non ho capito è chi dei due secondo te ha ragione.
Chiedo scusa se mi esprimo sbrigativamente, non è un tono polemico, ma sto facendo due cose alla volta... mi rendo conto che per le mie capacità è un azzardo :)

Ciao Menandro
No, mi hai capito male o mi sono espresso male io: non è l'affermazione di Gentile ad essere
contraddittoria (anzi, io penso che essa descriva una "grande verità", per usare la terminologia
di Levinas), ma l'affermazione della "cosa in sè", che in quanto pensata non può essere tale,
ma fenomeno.
Quindi la mia risposta ai tuoi rilievi va riletta alla luce di questa precisazione.
saluti

Lou

#118
Citazione di: sgiombo il 29 Marzo 2019, 18:24:00 PM
Ma infatti (e mi sembra di capire che anche Lou potrebbe essere d' accordo, salvo smentite da parte sua di miei eventuali fraintendimenti) per me (e credo, senza presunzione, si parva licet, per Kant) ciò che non appare attualmente alla coscienza e continua ad esistere non può essere fenomeni (che se lo fossero contraddittoriamente apparirebbero alla coscienza; i fenomeni continuando inevitabilmente ad apparire fintanto che che sono reali in quanto tali: non sono e non possono essere per definizione altro che apparenze coscienti): può essere solo cosa in sé o noumeno, pensabile razionalmente ma non percepibile sensibilmente, non apparente ovvero letteralmente non-fenomeno.


Aggiungo che questa (anche mia) accezione del "noumeno" mi sembra coerente con quanto ne afferma Tersite.
Appunto, ti sottoscrivo, sgiombo!, il noumeno non c'entra nulla con la coscienza, altrimenti sarebbe fenomeno!
"La verità è brutta. Noi abbiamo l'arte per non perire a causa della verità." F. Nietzsche

paul11

#119
Citazione di: tersite il 29 Marzo 2019, 15:50:45 PM
@ tutti


Volesse una persona  concettualizzare il termine "noumeno" come "tutto quello che non cade all' interno della finestra percettiva" quanto sarebbe lontana dal vero?

Se un petalo che noi  percepiamo rosso* e da altri esseri (insetti canguri elefanti...) viene percepito filtrato da una diversa capacità di percepire colori, posso io dire che tutto quello che il canguro non percepisce del petalo costituisca  "noumeno" come ciò che non percepisco io del petalo costituisca  "noumeno" ?

Ho sempre ritenuto come dato, senza ricorrere al concetto di "noumeno" che ho per ignoranza e pigrizia solamente "orecchiato", che nessun essere vivente potesse avere la più pallida idea di cosa sia un "oggetto" soltanto vedendolo, ed anche in seguito misurandolo, analizzandolo e via di seguito, per il fatto che anche se è possibile estendere la finestra percettiva con micro e macro analisi si può solo giungere ad un certo punto oltre il quale non si va.

Quanto lontana sarebbe questa scorciatoia da ciò che una persona introdotta alla terminologia filosofica considererebbe invece come "noumeno" ?

Non ho nessuna intenzione di aprire dibattiti o di questionare le vostre eventuali risposte, non ho le competenze per farlo, vorrei sapere solo quanto lontana sarebbe questa concezione da quello che ognuno di voi, che avranno tempo e voglia di rispondere, ritenga costituire "noumeno".

* ovviamente all'interno dei valori nominali che la cultura di ogni popolo ha dato a queste frequenze, di cui la luce dicono esser composta, evitandoci così la banale questione che il "verde" che "interpreto" io sia diverso da quello che un aborigeno dachissadovè "interpreta".
forse è meglio chiarire il noumeno nella  processo analitico e sintetico di Kant.
L'intuizione passiva ed attiva, potremmo forse definire le prime impressioni che gli oggetti e gli eventi ci danno la prima senza che  neessariamente attiviamo l'intelletto, i lsecondo è attivato. la sintesi  per dirla in breve è data dalla deduzioneTRASCENDENTALE. Oltre vi è il noumeno.
La deduzione sintetizza concettualmente, un ragionamento sui dati sensibili-percettivi .Quindi potremmo dire il pensiero incorpora la percezione, il dato sensibile.Fin quì è dimostrabile il processo, perchè in fondo la scienza sperimentale attraverso il procedimento logico matematico trasforma il dato sensibile in leggi appunto logico matematiche,se i dati sono iterativi e finiscono per confluire agli stessi risultati.
L'induzione si processa in deduzione.
Ma il pensiero che pensa se stesso comincia ad uscire dal mondo percettivo sensibile,supera il confine del dimostrabile secondo i parametri scientifici,Come si potrebbe dimostrare Dio? Se non posso vederlo, toccarlo, sentirlo,
Il limite del noumeno è quindi non nel procedimento fra analisi e sintesi deduttivo ,ma quando il pensiero deduttivo trascende se stesso  per andare nel dominio metafisico.
Ma il dominio metafisico non dovrebbe far altro che mantenere e procedere il sistema logico  deduttivo argomentativo ,ed è quello che farà Hegel