L'inconoscibilità del noumeno non implica la sua inesistenza

Aperto da cvc, 02 Maggio 2016, 16:31:00 PM

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acquario69

Citazione di: Phil il 23 Maggio 2016, 18:34:10 PM
Concordo; le mie perplessità erano principalmente linguistiche, soprattutto nell'uso della parola "trascendenza", molto (troppo, direi) impregnata di metafisica occidentale... il "trascendere la mente" potrebbe essere inteso da qualcuno come un gesto mistico (quasi alchemico) che ci solleva dal Reale; invece, credo che lo zen alluda piuttosto ad uno "scendere dalla mente", dalle sue discriminanti elucubrazioni, dai suoi falsi problemi sofistici, proprio per restare con i piedi (e la mente) per terra... già, la parola chiave credo sia quella che proponi: "intuizione", che intenderei come forma di "comprensione non-verbalizzata" (né verbalizzabile), e proprio per questo al riparo dai dualismi cognitivi che ci fanno salire sulla mongolfiera della speculazione (con tutte le aporie che ne conseguono...)


secondo me questa riflessione può portare ad un ulteriore considerazione,ossia del fatto che quando intendiamo "mondo" come sopra,questo non sia qualcosa di separato rispetto ad un ipotetico "altro mondo".
la trascendenza allora diventa più semplicemente consapevolezza

penso che,come dici tu,la parola intuizione sia stata da molto tempo fraintesa,concepita appunto come qualcosa di misticheggiante e fuori dal mondo,invece io credo che sia vero proprio il contrario e che sia appunto un aderenza effettiva e più che mai concreta del reale,mondo compreso.

la dicotomia nasce a mio avviso proprio attraverso la ragione e diventa alienante nel momento stesso che se ne fa un uso esclusivo.
chiaro che non sto dicendo affatto che non bisogna pensare o ragionare ma di non cadere nella sua trappola
la sola ragione allora finisce per considerare le cose solo in vista di qualcos'altro,ma che questo altro diventa fittizio,inesistente in realtà,quindi si estranea e direi pure nella maniera più riduttiva e utilitaristica e dimentica cosi (non visualizza più) cio che (di reale) ha davanti a se
 
un giorno il maestro, atteso dalla comunità dei monaci per un discorso, non fece altro che sollevare un fiore e mostrarlo, senza dire una parola. Tutti si interrogavano sul significato di quel gesto. Ma esso non aveva alcun significato. "Amici, perdervi nei pensieri vi impedisce di entrare in contatto con la vita" 

in tutto questo non ce assolutamente niente di strano ed appunto non e' necessario ne ambire a diventare un buddha,o isolarsi come un eremita a fare o non fare chissa che,questi sono soltanto pregiudizi tra l'altro secondo me molto radicati,ogni momento,ogni gesto,anche il più ordinario il più semplice e banale,(apparentemente banale) ,soli o in mezzo alla gente,del nostro vissuto diventa (e') trascendentale,e' consapevolezza...sta qui,non chissa dove

certo il contesto in cui viviamo non facilita affatto le cose,ce la fretta,le distrazioni che si sono nel frattempo pure moltiplicate in maniera esponenziale,e che per molti sono pure considerati dei valori!..e che vanno in direzione contraria alla quiete e alla concentrazione (che come al solito vengono considerati anch'essi in maniera pregiudiziale) 
non siamo più centrati ma decentrati,votati così all'esterno e non all'interno...per me questo significa solo essere alienati,oggi stiamo tutti vivendo in un grave stato di allucinazione..questo penso!
quindi non un aggiungere,un accumulare ma un togliere...e' il "vuoto" che allora diventa pieno

Sariputra

Citazione di: acquario69 il 24 Maggio 2016, 03:25:21 AM
Citazione di: Phil il 23 Maggio 2016, 18:34:10 PMConcordo; le mie perplessità erano principalmente linguistiche, soprattutto nell'uso della parola "trascendenza", molto (troppo, direi) impregnata di metafisica occidentale... il "trascendere la mente" potrebbe essere inteso da qualcuno come un gesto mistico (quasi alchemico) che ci solleva dal Reale; invece, credo che lo zen alluda piuttosto ad uno "scendere dalla mente", dalle sue discriminanti elucubrazioni, dai suoi falsi problemi sofistici, proprio per restare con i piedi (e la mente) per terra... già, la parola chiave credo sia quella che proponi: "intuizione", che intenderei come forma di "comprensione non-verbalizzata" (né verbalizzabile), e proprio per questo al riparo dai dualismi cognitivi che ci fanno salire sulla mongolfiera della speculazione (con tutte le aporie che ne conseguono...)
secondo me questa riflessione può portare ad un ulteriore considerazione,ossia del fatto che quando intendiamo "mondo" come sopra,questo non sia qualcosa di separato rispetto ad un ipotetico "altro mondo". la trascendenza allora diventa più semplicemente consapevolezza penso che,come dici tu,la parola intuizione sia stata da molto tempo fraintesa,concepita appunto come qualcosa di misticheggiante e fuori dal mondo,invece io credo che sia vero proprio il contrario e che sia appunto un aderenza effettiva e più che mai concreta del reale,mondo compreso. la dicotomia nasce a mio avviso proprio attraverso la ragione e diventa alienante nel momento stesso che se ne fa un uso esclusivo. chiaro che non sto dicendo affatto che non bisogna pensare o ragionare ma di non cadere nella sua trappola la sola ragione allora finisce per considerare le cose solo in vista di qualcos'altro,ma che questo altro diventa fittizio,inesistente in realtà,quindi si estranea e direi pure nella maniera più riduttiva e utilitaristica e dimentica cosi (non visualizza più) cio che (di reale) ha davanti a se  un giorno il maestro, atteso dalla comunità dei monaci per un discorso, non fece altro che sollevare un fiore e mostrarlo, senza dire una parola. Tutti si interrogavano sul significato di quel gesto. Ma esso non aveva alcun significato. "Amici, perdervi nei pensieri vi impedisce di entrare in contatto con la vita" in tutto questo non ce assolutamente niente di strano ed appunto non e' necessario ne ambire a diventare un buddha,o isolarsi come un eremita a fare o non fare chissa che,questi sono soltanto pregiudizi tra l'altro secondo me molto radicati,ogni momento,ogni gesto,anche il più ordinario il più semplice e banale,(apparentemente banale) ,soli o in mezzo alla gente,del nostro vissuto diventa (e') trascendentale,e' consapevolezza...sta qui,non chissa dove certo il contesto in cui viviamo non facilita affatto le cose,ce la fretta,le distrazioni che si sono nel frattempo pure moltiplicate in maniera esponenziale,e che per molti sono pure considerati dei valori!..e che vanno in direzione contraria alla quiete e alla concentrazione (che come al solito vengono considerati anch'essi in maniera pregiudiziale) non siamo più centrati ma decentrati,votati così all'esterno e non all'interno...per me questo significa solo essere alienati,oggi stiamo tutti vivendo in un grave stato di allucinazione..questo penso! quindi non un aggiungere,un accumulare ma un togliere...e' il "vuoto" che allora diventa pieno

Imbrigliare la mente è come voler legare una scimmia. La consapevolezza , se costante, il che è tutt'altro che facile, è consapevolezza proprio di questa natura della nostra mente. Attenzione poi a vedere l'intuizione e la consapevolezza come estranei a questo flusso , a questo affanno continuo della mente. Esercitandosi nella pratica dell'attenzione si diventa sempre più consapevoli di questo flusso continuo, ma non lo si arresta, se non per brevi, brevissimi momenti. In quegli attimi  si sperimenta lo stato prima del pensiero, la "sorgente" per così dire, se non fosse pure questo un concetto mentale.
Il maestro zen mostra il fiore e sta in silenzio. Se solo avesse chiesto:"Cos'è questo ?" il suo sarebbe stato un gesto che avrebbe dato vita ad un intero mondo di concetti, di speculazioni, di definizioni. Il maestro vuole che i monaci vedano il fiore con la mente che non discrimina. Il satori dello zen è uno stato indicibile, ineffabile. Si può vivere il satori, ma non descriverlo. Se io dico :"Il satori è questo!"  non lo è più, se ne è andato, perduto. Il satori visto da noi occidentali, ritenuto un puro esser-ci, manca però di un elemento fondamentale, che è la saggezza inerente a questo puro esserci. L'attenzione priva di saggezza non ha un grande significato. E' la saggezza che nasce dall'attenzione il vero satori. Pertanto, visto lo zen come centrato sull'insegnamento del Buddha, è saggezza riguardo alle tre caratteristiche fondamentali, le tre "stigmate" dell'esistenza nella sua totalità: l'impermanenza di tutti i fenomeni, il loro carattere insoddisfacente, l'assenza di un Sè nelle cose. Nel caso del maestro che mostra il fiore, i monaci , osservandolo, con consapevolezza dovrebbero vedere il sorgere e lo svanire del "fiore", il suo carattere insoddisfacente in quanto impossibilitato a soddisfare il loro desiderio di possederlo, l'assenza di un Sè nel fiore, ossia il suo essere vuoto dal concetto di "fiore". Senza comprensione della natura dei fenomeni , la pura attenzione o concentrazione o consapevolezza che dir si voglia non porta al risveglio. Il problema non è il pensiero, ma la sua degenerazione, il suo prolificare incontrollato, il suo diventare come una scimmia che si aggrappa ad ogni ramo della foresta. Nella sua purezza, che nasce dalla consapevolezza, il pensiero è un'arma affilata che taglia le radici dell'illusione in cui viviamo.
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

acquario69

Citazione di: Sariputra il 24 Maggio 2016, 09:36:46 AMNel caso del maestro che mostra il fiore, i monaci , osservandolo, con consapevolezza dovrebbero vedere il sorgere e lo svanire del "fiore", il suo carattere insoddisfacente in quanto impossibilitato a soddisfare il loro desiderio di possederlo, l'assenza di un Sè nel fiore, ossia il suo essere vuoto dal concetto di "fiore". Senza comprensione della natura dei fenomeni , la pura attenzione o concentrazione o consapevolezza che dir si voglia non porta al risveglio. Il problema non è il pensiero, ma la sua degenerazione, il suo prolificare incontrollato, il suo diventare come una scimmia che si aggrappa ad ogni ramo della foresta. Nella sua purezza, che nasce dalla consapevolezza, il pensiero è un'arma affilata che taglia le radici dell'illusione in cui viviamo.

e perché mai dovrebbe essere insoddisfacente la contemplazione di un fiore (io direi della natura in generale) a me ad esempio quando mi e' capitato mi ha ispirato ad una beatitudine che e' per l'appunto ineffabile e indescrivibile :)

e in quei momenti posso dire che ero al massimo della concentrazione..che chiaramente non va intesa come sforzo 

Sariputra

Citazione di: acquario69 il 24 Maggio 2016, 10:16:04 AM
Citazione di: Sariputra il 24 Maggio 2016, 09:36:46 AMNel caso del maestro che mostra il fiore, i monaci , osservandolo, con consapevolezza dovrebbero vedere il sorgere e lo svanire del "fiore", il suo carattere insoddisfacente in quanto impossibilitato a soddisfare il loro desiderio di possederlo, l'assenza di un Sè nel fiore, ossia il suo essere vuoto dal concetto di "fiore". Senza comprensione della natura dei fenomeni , la pura attenzione o concentrazione o consapevolezza che dir si voglia non porta al risveglio. Il problema non è il pensiero, ma la sua degenerazione, il suo prolificare incontrollato, il suo diventare come una scimmia che si aggrappa ad ogni ramo della foresta. Nella sua purezza, che nasce dalla consapevolezza, il pensiero è un'arma affilata che taglia le radici dell'illusione in cui viviamo.
e perché mai dovrebbe essere insoddisfacente la contemplazione di un fiore (io direi della natura in generale) a me ad esempio quando mi e' capitato mi ha ispirato ad una beatitudine che e' per l'appunto ineffabile e indescrivibile :) e in quei momenti posso dire che ero al massimo della concentrazione..che chiaramente non va intesa come sforzo

Insoddisfacente perchè transitoria,  impermanente, soggetta a mutare, trasformarsi, dissolversi. Non è l'osservare il fiore, o la natura, che desta in noi beatitudine. E' la beatitudine che è in noi che si meraviglia della bellezza del puro fiore.  La mente non discriminante non trova differenze tra l'ammirare un fiore o pulire le latrine. Il frutto della concentrazione è la beatitudine (samadhi). Ma la beatitudine non è il risveglio. E' un frutto da cogliere, per me, sul sentiero per il risveglio. Il satori ( o chiamiamolo Nirvana, illuminazione, risveglio, ecc.) non è uno stato estatico. E' uno stato di liberazione da...di estinzione della sofferenza interiore...La differenza fondamentale tra la beatitudine e il "satori" è che la prima è temporanea mentre il secondo è uno stato continuo e definitivo. Non è uno stato ordinario l'illuminazione, nonostante molte tradizioni orientali vedano "illuminati" dappertutto, andando incontro alle istanze fideistiche delle masse. Pochi esseri sono in grado di raggiungere questo stato duraturo , veramente pochi, mentre molti hanno come dei flash d'intuizione che però, non sorretti dalla pratica e dalla moralità ("Ecco la virtù, ecco la meditazione, ecco la sapienza" Siddharta) producono effetti positivi (entrati nella corrente) che potranno portare a questa meta, ma che al momento appaiono passeggeri. I legami del mondo sono molto forti in noi...
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acquario69

Citazione di: Sariputra il 24 Maggio 2016, 11:49:10 AM
Insoddisfacente perchè transitoria,  impermanente, soggetta a mutare, trasformarsi, dissolversi. Non è l'osservare il fiore, o la natura, che desta in noi beatitudine. E' la beatitudine che è in noi che si meraviglia della bellezza del puro fiore.  La mente non discriminante non trova differenze tra l'ammirare un fiore o pulire le latrine. Il frutto della concentrazione è la beatitudine (samadhi). Ma la beatitudine non è il risveglio. E' un frutto da cogliere, per me, sul sentiero per il risveglio. Il satori ( o chiamiamolo Nirvana, illuminazione, risveglio, ecc.) non è uno stato estatico. E' uno stato di liberazione da...di estinzione della sofferenza interiore...La differenza fondamentale tra la beatitudine e il "satori" è che la prima è temporanea mentre il secondo è uno stato continuo e definitivo. Non è uno stato ordinario l'illuminazione, nonostante molte tradizioni orientali vedano "illuminati" dappertutto, andando incontro alle istanze fideistiche delle masse. Pochi esseri sono in grado di raggiungere questo stato duraturo , veramente pochi, mentre molti hanno come dei flash d'intuizione che però, non sorretti dalla pratica e dalla moralità ("Ecco la virtù, ecco la meditazione, ecco la sapienza" Siddharta) producono effetti positivi (entrati nella corrente) che potranno portare a questa meta, ma che al momento appaiono passeggeri. I legami del mondo sono molto forti in noi...

certo e' transitorio ma non per questo e' motivo di insoddisfazione...
perché (almeno per me) e' un esperienza che ti ricollega a qualcosa che non e' al contempo transitorio e ne hai la certezza nonostante come e' ovvio che sia siamo legati al mondo..finche siamo nel mondo.

Sariputra

Citazione di: acquario69 il 24 Maggio 2016, 12:46:19 PM
Citazione di: Sariputra il 24 Maggio 2016, 11:49:10 AMInsoddisfacente perchè transitoria, impermanente, soggetta a mutare, trasformarsi, dissolversi. Non è l'osservare il fiore, o la natura, che desta in noi beatitudine. E' la beatitudine che è in noi che si meraviglia della bellezza del puro fiore. La mente non discriminante non trova differenze tra l'ammirare un fiore o pulire le latrine. Il frutto della concentrazione è la beatitudine (samadhi). Ma la beatitudine non è il risveglio. E' un frutto da cogliere, per me, sul sentiero per il risveglio. Il satori ( o chiamiamolo Nirvana, illuminazione, risveglio, ecc.) non è uno stato estatico. E' uno stato di liberazione da...di estinzione della sofferenza interiore...La differenza fondamentale tra la beatitudine e il "satori" è che la prima è temporanea mentre il secondo è uno stato continuo e definitivo. Non è uno stato ordinario l'illuminazione, nonostante molte tradizioni orientali vedano "illuminati" dappertutto, andando incontro alle istanze fideistiche delle masse. Pochi esseri sono in grado di raggiungere questo stato duraturo , veramente pochi, mentre molti hanno come dei flash d'intuizione che però, non sorretti dalla pratica e dalla moralità ("Ecco la virtù, ecco la meditazione, ecco la sapienza" Siddharta) producono effetti positivi (entrati nella corrente) che potranno portare a questa meta, ma che al momento appaiono passeggeri. I legami del mondo sono molto forti in noi...
certo e' transitorio ma non per questo e' motivo di insoddisfazione... perché (almeno per me) e' un esperienza che ti ricollega a qualcosa che non e' al contempo transitorio e ne hai la certezza nonostante come e' ovvio che sia siamo legati al mondo..finche siamo nel mondo.

Nella concezione buddhista una soddisfazione temporanea è vista come insoddisfacente, in più viene addirittura equiparata a sofferenza in formazione. La mente cercherà di ripetere l'esperienza, ne avrà nostalgia, soffrirà per non riuscire a riviverla, ecc. Ma questo non è un "male" come viene inteso nella tradizione giudaico-cristiana. La beatitudine è uno stato positivo, uno stato di crescita e sviluppo interiore. L'importante è non aggrapparsi a questi stati, altrimenti diventano un altro ostacolo sulla via. In particolar modo quando si identificano questi stati con il concetto mentale di Vero o Santo. Può essere una trappola insidiosissima se non viene vista come un ristoro, un'oasi serena nel mare del divenire. Comunque, nemmeno fare esperienza di vera beatitudine è una cosa comune nel mondo attuale...
Per legami intendo tutto ciò che ci vincola, che ci tiene in suo potere. Legami interiori ed esteriori.
Sulla strada del bosco
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Phil

Citazione di: Sariputra il 24 Maggio 2016, 15:00:23 PMNella concezione buddhista una soddisfazione temporanea è vista come insoddisfacente, in più viene addirittura equiparata a sofferenza in formazione
Se la soddisfazione temporanea non è soddisfazione di un desiderio pregresso (brama), ma è intesa come piacere consapevole del vissuto, serenità nell'atto presente (senza proiezioni o attaccamento), non credo venga sconsigliata dal buddismo, anzi, può essere indice di una retta attitudine (mi viene in mente il racconto dell'uomo che gusta la fragola appeso nel burrone sopra le tigri...).

Sariputra

Citazione di: Phil il 24 Maggio 2016, 16:42:05 PM
Citazione di: Sariputra il 24 Maggio 2016, 15:00:23 PMNella concezione buddhista una soddisfazione temporanea è vista come insoddisfacente, in più viene addirittura equiparata a sofferenza in formazione
Se la soddisfazione temporanea non è soddisfazione di un desiderio pregresso (brama), ma è intesa come piacere consapevole del vissuto, serenità nell'atto presente (senza proiezioni o attaccamento), non credo venga sconsigliata dal buddismo, anzi, può essere indice di una retta attitudine (mi viene in mente il racconto dell'uomo che gusta la fragola appeso nel burrone sopra le tigri...).

Infatti non le sconsiglia . Invita solo a vederle per quello che sono...cioè temporanee e a non aggrapparvisi in quanto l'attaccamento a quelle soddisfazioni è possibile causa di futura sofferenza. La fragola è molto buona...il difficile è non desiderare assaggiarne ancora, e poi ancora e ancora...
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acquario69

#38
Citazione di: Sariputra il 24 Maggio 2016, 15:00:23 PM
Nella concezione buddhista una soddisfazione temporanea è vista come insoddisfacente, in più viene addirittura equiparata a sofferenza in formazione. La mente cercherà di ripetere l'esperienza, ne avrà nostalgia, soffrirà per non riuscire a riviverla, ecc. Ma questo non è un "male" come viene inteso nella tradizione giudaico-cristiana. La beatitudine è uno stato positivo, uno stato di crescita e sviluppo interiore. L'importante è non aggrapparsi a questi stati, altrimenti diventano un altro ostacolo sulla via. In particolar modo quando si identificano questi stati con il concetto mentale di Vero o Santo. Può essere una trappola insidiosissima se non viene vista come un ristoro, un'oasi serena nel mare del divenire. Comunque, nemmeno fare esperienza di vera beatitudine è una cosa comune nel mondo attuale...
Per legami intendo tutto ciò che ci vincola, che ci tiene in suo potere. Legami interiori ed esteriori.

qualcosa non mi sarebbe ancora chiaro.

a prescindere innanzitutto da cio che e' stato concepito dal buddhismo,o dai giudaico-cristiani o altro ancora (secondo me meglio non affidarsi troppo alle dottrine,religioni ecc,personalmente penso che potrebbe risultare anche questo come un attaccamento)

a me sembra,almeno da come ne parli,(o ne parla il buddhismo?) che dai come per scontato,o quasi del tutto, che un esperienza simile debba comportare per tutti lo stesso identico effetto o le stesse identiche conseguenze.
un po mi da pure l'idea,come a dire ; visto che e' scontato che le cose vanno così (partendo pero dal pregiudizio sopra) meglio precludere ogni possibilita,il che a me sembra anche una chiusura.

in riferimento al maestro che mostra semplicemente il fiore ai suoi discepoli,non per questo la semplice osservazione deve "produrre" un estasi,ma piuttosto un distacco,e per come lo interpreto io sarebbe il cessare della mente,credo quei stessi legami interiori ed esteriori che dici tu...e il fiore non e' più un oggetto "esterno" al soggetto e secondo me questo significa "vedere" come il maestro si era proposto di far intuire ai monaci

Sariputra

Citazione di: acquario69 il 25 Maggio 2016, 05:30:28 AM
Citazione di: Sariputra il 24 Maggio 2016, 15:00:23 PMNella concezione buddhista una soddisfazione temporanea è vista come insoddisfacente, in più viene addirittura equiparata a sofferenza in formazione. La mente cercherà di ripetere l'esperienza, ne avrà nostalgia, soffrirà per non riuscire a riviverla, ecc. Ma questo non è un "male" come viene inteso nella tradizione giudaico-cristiana. La beatitudine è uno stato positivo, uno stato di crescita e sviluppo interiore. L'importante è non aggrapparsi a questi stati, altrimenti diventano un altro ostacolo sulla via. In particolar modo quando si identificano questi stati con il concetto mentale di Vero o Santo. Può essere una trappola insidiosissima se non viene vista come un ristoro, un'oasi serena nel mare del divenire. Comunque, nemmeno fare esperienza di vera beatitudine è una cosa comune nel mondo attuale... Per legami intendo tutto ciò che ci vincola, che ci tiene in suo potere. Legami interiori ed esteriori.
qualcosa non mi sarebbe ancora chiaro. a prescindere innanzitutto da cio che e' stato concepito dal buddhismo,o dai giudaico-cristiani o altro ancora (secondo me meglio non affidarsi troppo alle dottrine,religioni ecc,personalmente penso che potrebbe risultare anche questo come un attaccamento) a me sembra,almeno da come ne parli,(o ne parla il buddhismo?) che dai come per scontato,o quasi del tutto, che un esperienza simile debba comportare per tutti lo stesso identico effetto o le stesse identiche conseguenze. un po mi da pure l'idea,come a dire ; visto che e' scontato che le cose vanno così (partendo pero dal pregiudizio sopra) meglio precludere ogni possibilita,il che a me sembra anche una chiusura. in riferimento al maestro che mostra semplicemente il fiore ai suoi discepoli,non per questo la semplice osservazione deve "produrre" un estasi,ma piuttosto un distacco,e per come lo interpreto io sarebbe il cessare della mente,credo quei stessi legami interiori ed esteriori che dici tu...e il fiore non e' più un oggetto "esterno" al soggetto e secondo me questo significa "vedere" come il maestro si era proposto di far intuire ai monaci

Attaccarsi ad una credenza o ad una filosofia è senz'altro, come dici, una forma di condizionamento.  Nel ragionamento che stavamo facendo, riferito al maestro zen e al fiore mostrato ai monaci, ritenevo più corretto valutarlo all'interno della filosofia buddhista perchè è un isegnamento di Dharma che il maestro vuole dare. Quindi è alla luce di questo insegnamento che i monaci vedono il fiore. Diverso sarebbe il caso se fosse una persona qualunque a mostrare il fiore, rimanendo in silenzio. Ho cercato di delineare la differenza tra "risveglio" (Nirvana, Illumininazione)  e stati estatici perchè , purtroppo, ma non è sicuramente il tuo caso, in Occidente, dai movimenti hippy in avanti, fino alla cosiddetta new age si è diffusa la convinzione che il Nirvana sia uno stato sensibile, estatico, di immersione nella totalità, di fusione con l'universo, di adesione a chissà quale forza vitale e chi più ne ha più ne metta ( spesso accompagnato da un bel "cannone" da fumare per dare un aiutino alla venuta del Nirvana :) ). Spesso mi trovo a verificare di persona questa convinzione, partecipando a congressi  e conferenze varie tenute da maestri o monaci buddhisti, in cui, negli interventi, a volte interessantissimi, dei presenti si manifesta nettamente questa convinzione erronea. Nirvana, come tu sai (o Nibbana in pali ) significa letteralmente "estinzione"; nello specifico dell'insegnamento di Siddharta deve essere inteso come estinzione del dolore di vivere. Che poi purtroppo, anche all'interno delle varie tradizioni in cui si è divisa questa religione, abbia assunto a volte sfumature diverse e modalità di insegnamento varie, a volte inglobando elementi pre-buddistici presenti nelle varie culture ( e proprio lo zen ne è un esempio) con cui è venuto a contatto, questo non deve essere un pretesto per mutare il significato dell'insegnamento originale.
Hai perfettamente ragione quando dici che il maestro zen non ha assolutamente l'intenzione di produrre un'esperienza estatica nei monaci, mostrando in silenzio il fiore. In monaci particolarmenti sensibili e predisposti questa estasi può sorgere inaspettata però, anche semplicemente osservando quel fiore,  e in questo sorgere non c'è assolutamente niente di sbagliato, ribadisco, anzi può essere la spontanea manifestazione di una grande purezza interiore ( purezza dai famosi legami che dicevamo sopra...). Solo che non bisogna fermarsi...solo questo volevo dire,per giungere a "vedere" veramente il fiore, come hai scritto giustamente.
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Mario Barbella

Citazione di: paul11 il 02 Maggio 2016, 18:26:04 PM
Personalmente ritengo che storicamente l'orientale è legato più a come il pensiero ha pensato il reale, noi occidentali ci siamo invece approcciati alla realtà fisica mettendo in dubbio i nostri pensieri: per noi il focus è la realtà fisica poichè e descrivibile e logicamente falsa o vera e scientificamente dimostrabile nelle sue reiterazioni fenomeniche.
Quindi per noi il razionale e vero equivale al mondo là fuori, per l'orientale il vero equivale al suo pensiero ed è falsa la realtà.
E di nuovo ritorna la filosofia del reale metafisico greco  contro il reale sperimentale della scienza moderna , il mondo del deduttivo contro l'induttivo.

Condivido il pieno il parere qui espresso da Paul11. E' vero, per l'occidentale l'Universo è là fuori e non nell'IO cosciente il quale è unico. ???
Un augurio di buona salute non si nega neppure a... Salvini ! :)
A tavola potrebbe pure mancare il cibo ma... mai il vino ! Si, perché una tavola senza vino è come un cimitero senza morti  ;)  (nota pro cultura (ed anche cucina) mediterranea)

Mario Barbella

I sentiti sono tutte i tantissimi concetti che sono assolutamente refrattari alla loro definizione rigorosa, nel senso qualsiasi tentativo di definizione o finisce in una tautologia più o meno banale oppure impatta in uno o più altri sentiti che, perciò dovrebbero essere rigorosamente definiti per essere utilizzati, appunto, nelle definizioni.
A pensarci bene (come spesso tento di fare senza riuscirci) mi sorge il dubbio, che pare sempre più diventare certezza, che nessun concetto elaborato dalla Coscienza si possa rigorosamente dimostrarlo o definirlo, al massimo lo si può sostenere (leggasi pure dimostrare) poggiandosi su un numero limitato di basi, diciamo così, rigide, cioè su principi (leggasi sentiti) in numero finito e non deformate dal peso dei concetti che si vogliono sorreggere.

Qualcuno potrebbe allora chiedere: "ma cosa sono quei principi che sostengono le nostre conoscenze, non solo scientifiche ma astrattamente matematiche?"  
RISPOSTA: Chiedetelo all'Osservatore, (con la  O maiuscola) cioè all'IO!
Un augurio di buona salute non si nega neppure a... Salvini ! :)
A tavola potrebbe pure mancare il cibo ma... mai il vino ! Si, perché una tavola senza vino è come un cimitero senza morti  ;)  (nota pro cultura (ed anche cucina) mediterranea)

and1972rea

Ma davvero possiamo assumere per definizione kantiana che il noumeno e' inconoscibile? Esistono cose che appaiono ai nostri sensi che non possiamo liquidare come fenomeni conoscibili unicamente nelle loro forme e non nel loro essere in se' e per se'. Quando ci guardiamo allo specchio osserviamo una apparenza del tutto inadeguata ad essere spiegata nelle forme piu' complesse del sapere umano, pero' , oltre a questa conoscenza puramente fisica e formale ,noi possiamo constatare di possederne una intimamente sostanziale , possiamo affermare che a quella immagine fenomenica che osserviamo nello specchio corrisponde il se'e per se' dell' IO SONO'. Quel fenomeno che io vedo allo specchio, o in una tomografia assiale computerizzata, non e' solamente un organismo di atomi, molecole, cluster e cellule logicamente organizzati, ma e' l' "in se'" che io sento attraverso la mia autocoscienza; in questo caso, attraverso lo specchio del reale fenomenico, io sono in grado di cogliere la sostanza noumenica che pervade la forma fenomenica del mio essere; quel fenomeno allo specchio smette di essere pura apparenza, ma diviene emanazione sostanziale dell' "IO SONO". Questa nostra conoscenza noumenica dell'" IO SONO" ci permette di compiere una considerazione rilevante sulla natura della conoscenza delle forme del Reale;  che accadrebbe se in quello stesso specchio del reale dovesse apparire un altro identico fenomeno a quello che esprime l'"IO SONO"? tale relazione fra noumeno e fenomeno si rivelerebbe evidentemente non biunivoca, nel senso che allo stesso fenomeno non si potrebbe far corrispondere lo stesso noumeno, trovando in questo modo che la relazione fra i due stati della conoscenza  del reale procede dal noumeno verso il fenomeno e non viceversa. L'IO SONO , quindi, pare essere logicamente la fonte reale della mia immagine fenomenica, ma , allo stesso modo, pare non consistere in essa

sgiombo

#43
Citazione di: and1972rea il 24 Luglio 2016, 11:32:08 AM
Ma davvero possiamo assumere per definizione kantiana che il noumeno e' inconoscibile? Esistono cose che appaiono ai nostri sensi che non possiamo liquidare come fenomeni conoscibili unicamente nelle loro forme e non nel loro essere in se' e per se'. Quando ci guardiamo allo specchio osserviamo una apparenza del tutto inadeguata ad essere spiegata nelle forme piu' complesse del sapere umano, pero' , oltre a questa conoscenza puramente fisica e formale ,noi possiamo constatare di possederne una intimamente sostanziale , possiamo affermare che a quella immagine fenomenica che osserviamo nello specchio corrisponde il se'e per se' dell' IO SONO'. Quel fenomeno che io vedo allo specchio, o in una tomografia assiale computerizzata, non e' solamente un organismo di atomi, molecole, cluster e cellule logicamente organizzati, ma e' l' "in se'" che io sento attraverso la mia autocoscienza; in questo caso, attraverso lo specchio del reale fenomenico, io sono in grado di cogliere la sostanza noumenica che pervade la forma fenomenica del mio essere; quel fenomeno allo specchio smette di essere pura apparenza, ma diviene emanazione sostanziale dell' "IO SONO". Questa nostra conoscenza noumenica dell'" IO SONO" ci permette di compiere una considerazione rilevante sulla natura della conoscenza delle forme del Reale;  che accadrebbe se in quello stesso specchio del reale dovesse apparire un altro identico fenomeno a quello che esprime l'"IO SONO"? tale relazione fra noumeno e fenomeno si rivelerebbe evidentemente non biunivoca, nel senso che allo stesso fenomeno non si potrebbe far corrispondere lo stesso noumeno, trovando in questo modo che la relazione fra i due stati della conoscenza  del reale procede dal noumeno verso il fenomeno e non viceversa. L'IO SONO , quindi, pare essere logicamente la fonte reale della mia immagine fenomenica, ma , allo stesso modo, pare non consistere in essa

Citazione
Trovo il tuo argomentare interessante e profondo, ma ambiguo, e ti rivolgo due obiezioni (sperando di non farti l' impressione di chi cerca ad ogni costo il pelo nell' uovo: in pratica non ci sono differenze rilevanti fra quanto sostieni tu e quanto intendo precisare io; ma noi filosofi, direi per definizione, non ci limitiamo alla pratica ma cerchiamo una più profonda e chiara e ben definita conoscenza teorica).

Prima obiezione:
L' autocosciente sensazione interiore "io sono", puramente mentale, soggettiva, "in prima persona", "privata  é diversa, altra cosa della sensazione (di fatto inevitabilmente  indiretta, attraverso l' immagine riflessa dallo specchio o l' imaging neurologico: TC, o meglio PET o meglio ancora RM funzionale) del mio corpo o meglio, più precisamente, del mio cervello (la quale ultima fra l' altro é "pubblica" intersoggettiva, "in terza persona).
Trovo una certa ambiguità nelle tue parole dal momento che prima affermi che il primo (l' "io sono") corrisponde alla seconda (alla tua immagine fenomenica riflessa nello specchio), mentre successivamente sostieni che quel fenomeno che tu vedi allo specchio, o in una tomografia assiale computerizzata, non e' solamente un organismo di atomi, molecole, cluster e cellule logicamente organizzati, ma é l' "in se'" che tu senti attraverso la tua autocoscienza (o con un' ulteriore elemento di ambiguità l' "emanazione sostanziale" di esso: è evidente che "emanazione, sia pur sostanziale, di qualcosa" =/= "qualcosa" ).
Evidentemente "corrispondere a" =/= "essere" o "identificarsi con", e io trovo corretta la prima versione per così dire "corrispondentista" dei rapporti fra tua mente cosciente e  tuo corpo (cervello), errata la seconda "identitista (o identitaria?)".
Fra le due esperienze fenomeniche coscienti (entrambe: la visione del tuo corpo -cervello- e le sensazioni costituenti tua esperienza cosciente) non si dà con tutta evidenza identità bensì necessaria "corrispondenza biunivoca": (sensazioni costituenti) il tuo cervello in una certa determinata condizione funzionale e solo in quella (neuroni, sinapsi, fatte di molecole, atomi, ecc.) da una parte e il tuo vedere un albero nel giardino, sentirti felice o pensare la dimostrazione del teorema di Pitagora dall' altra (sensazioni materiali o mentali, di sentimenti, pensieri, ecc. dall' altra) sono cose ben diverse, reciprocamente altre; anche se non si possono dare le une senza le altre e viceversa.

Seconda obiezione:
Quel fenomeno allo specchio non smette di essere pura apparenza (fenomenica: insieme e/o successione di sensazioni; cioè non smette di essere se stesso: e come potrebbe, non contraddittoriamente?), per divenire la tua coscienza, la quale pure non smette di essere pura apparenza (fenomenica: insieme e/o successione di sensazioni), allorché ti addormenti senza sognare e non esiste più realmente.
Dire che quando ciascuno dei due reciprocamente corrispondenti insiemi e/o successioni di sensazioni (fenomeni), tuo cervello e tua coscienza, smette di accadere (di essere reale, di esistere; ovvero non accade, non è reale, non esiste più) ancora c' è, ancora accade (è, reale, esiste) è una patente contraddizione.
Invece se qualcosa ancora c' è, ancora accade (è, reale, esiste), e spiega come mai (e fa sì che) se guardi di nuovo allo specchio o nella RMf di nuovo puntualmente rivedi il tuo cervello e se ti svegli o sogni di nuovo puntualmente hai esperienze fenomeniche coscienti, se poni attenzione a te stesso di nuovo puntualmente sei autocosciente (cosciente dell' "io sono"), allora questo "qualcosa" non può che essere "altre cose" che le sensazioni fenomeniche che in tali circostanze non sono, qualcosa di ad entrambi i tipi di sensazioni fenomeniche non identico (altre "cose", non le stesse "cose") bensì" biunivocamente corrispondente. Non può che essere qualcosa che non è (costituito da) sensazioni fenomeniche coscienti (nelle circostanze nelle quali esse non esistono, non sono più reali) ma che semplicemente può essere pensato, congetturato (dal greco e a la Kant "noumeno"), qualcosa di "in sé" e non di apparente, non sensibile (dal greco e a la Kant "fenomeni").

Differenza fra "sentire" e conoscere":
I fenomeni si sentono, il noumeno non si sente e non si può sentire; tuttavia si può pensare, si può in qualche limitata misura, in qualche senso conoscere (se ne sa che per esempio "qualcosa di esso" corrisponde biunivocamente al tuo cervello se osservato, percepito "dall' esterno, estrinsecamente", nel modo in cui solitamente lo percepiscono gli altri, mentre corrisponde biunivocamente alla tua esperienza cosciente se osservato, percepito "dall' interno, intrinsecamente", nel modo in cui si percepisce da sé).

and1972rea

Citazione di: sgiombo il 24 Luglio 2016, 16:23:42 PM
Citazione di: and1972rea il 24 Luglio 2016, 11:32:08 AM
Ma davvero possiamo assumere per definizione kantiana che il noumeno e' inconoscibile? Esistono cose che appaiono ai nostri sensi che non possiamo liquidare come fenomeni conoscibili unicamente nelle loro forme e non nel loro essere in se' e per se'. Quando ci guardiamo allo specchio osserviamo una apparenza del tutto inadeguata ad essere spiegata nelle forme piu' complesse del sapere umano, pero' , oltre a questa conoscenza puramente fisica e formale ,noi possiamo constatare di possederne una intimamente sostanziale , possiamo affermare che a quella immagine fenomenica che osserviamo nello specchio corrisponde il se'e per se' dell' IO SONO'. Quel fenomeno che io vedo allo specchio, o in una tomografia assiale computerizzata, non e' solamente un organismo di atomi, molecole, cluster e cellule logicamente organizzati, ma e' l' "in se'" che io sento attraverso la mia autocoscienza; in questo caso, attraverso lo specchio del reale fenomenico, io sono in grado di cogliere la sostanza noumenica che pervade la forma fenomenica del mio essere; quel fenomeno allo specchio smette di essere pura apparenza, ma diviene emanazione sostanziale dell' "IO SONO". Questa nostra conoscenza noumenica dell'" IO SONO" ci permette di compiere una considerazione rilevante sulla natura della conoscenza delle forme del Reale;  che accadrebbe se in quello stesso specchio del reale dovesse apparire un altro identico fenomeno a quello che esprime l'"IO SONO"? tale relazione fra noumeno e fenomeno si rivelerebbe evidentemente non biunivoca, nel senso che allo stesso fenomeno non si potrebbe far corrispondere lo stesso noumeno, trovando in questo modo che la relazione fra i due stati della conoscenza  del reale procede dal noumeno verso il fenomeno e non viceversa. L'IO SONO , quindi, pare essere logicamente la fonte reale della mia immagine fenomenica, ma , allo stesso modo, pare non consistere in essa

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Trovo il tuo argomentare interessante e profondo, ma ambiguo, e ti rivolgo due obiezioni (sperando di non farti l' impressione di chi cerca ad ogni costo il pelo nell' uovo: in pratica non ci sono differenze rilevanti fra quanto sostieni tu e quanto intendo precisare io; ma noi filosofi, direi per definizione, non ci limitiamo alla pratica ma cerchiamo una più profonda e chiara e ben definita conoscenza teorica).

Prima obiezione:
L' autocosciente sensazione interiore "io sono", puramente mentale, soggettiva, "in prima persona", "privata  é diversa, altra cosa della sensazione (di fatto inevitabilmente  indiretta, attraverso l' immagine riflessa dallo specchio o l' imaging neurologico: TC, o meglio PET o meglio ancora RM funzionale) del mio corpo o meglio, più precisamente, del mio cervello (la quale ultima fra l' altro é "pubblica" intersoggettiva, "in terza persona).
Trovo una certa ambiguità nelle tue parole dal momento che prima affermi che il primo (l' "io sono") corrisponde alla seconda (alla tua immagine fenomenica riflessa nello specchio), mentre successivamente sostieni che quel fenomeno che tu vedi allo specchio, o in una tomografia assiale computerizzata, non e' solamente un organismo di atomi, molecole, cluster e cellule logicamente organizzati, ma é l' "in se'" che tu senti attraverso la tua autocoscienza (o con un' ulteriore elemento di ambiguità l' "emanazione sostanziale" di esso: è evidente che "emanazione, sia pur sostanziale, di qualcosa" =/= "qualcosa" ).
Evidentemente "corrispondere a" =/= "essere" o "identificarsi con", e io trovo corretta la prima versione per così dire "corrispondentista" dei rapporti fra tua mente cosciente e  tuo corpo (cervello), errata la seconda "identitista (o identitaria?)".
Fra le due esperienze fenomeniche coscienti (entrambe: la visione del tuo corpo -cervello- e le sensazioni costituenti tua esperienza cosciente) non si dà con tutta evidenza identità bensì necessaria "corrispondenza biunivoca": (sensazioni costituenti) il tuo cervello in una certa determinata condizione funzionale e solo in quella (neuroni, sinapsi, fatte di molecole, atomi, ecc.) da una parte e il tuo vedere un albero nel giardino, sentirti felice o pensare la dimostrazione del teorema di Pitagora dall' altra (sensazioni materiali o mentali, di sentimenti, pensieri, ecc. dall' altra) sono cose ben diverse, reciprocamente altre; anche se non si possono dare le une senza le altre e viceversa.

Seconda obiezione:
Quel fenomeno allo specchio non smette di essere pura apparenza (fenomenica: insieme e/o successione di sensazioni; cioè non smette di essere se stesso: e come potrebbe, non contraddittoriamente?), per divenire la tua coscienza, la quale pure non smette di essere pura apparenza (fenomenica: insieme e/o successione di sensazioni), allorché ti addormenti senza sognare e non esiste più realmente.
Dire che quando ciascuno dei due reciprocamente corrispondenti insiemi e/o successioni di sensazioni (fenomeni), tuo cervello e tua coscienza, smette di accadere (di essere reale, di esistere; ovvero non accade, non è reale, non esiste più) ancora c' è, ancora accade (è, reale, esiste) è una patente contraddizione.
Invece se qualcosa ancora c' è, ancora accade (è, reale, esiste), e spiega come mai (e fa sì che) se guardi di nuovo allo specchio o nella RMf di nuovo puntualmente rivedi il tuo cervello e se ti svegli o sogni di nuovo puntualmente hai esperienze fenomeniche coscienti, se poni attenzione a te stesso di nuovo puntualmente sei autocosciente (cosciente dell' "io sono"), allora questo "qualcosa" non può che essere "altre cose" che le sensazioni fenomeniche che in tali circostanze non sono, qualcosa di ad entrambi i tipi di sensazioni fenomeniche non identico (altre "cose", non le stesse "cose") bensì" biunivocamente corrispondente. Non può che essere qualcosa che non è (costituito da) sensazioni fenomeniche coscienti (nelle circostanze nelle quali esse non esistono, non sono più reali) ma che semplicemente può essere pensato, congetturato (dal greco e a la Kant "noumeno"), qualcosa di "in sé" e non di apparente, non sensibile (dal greco e a la Kant "fenomeni").

Differenza fra "sentire" e conoscere":
I fenomeni si sentono, il noumeno non si sente e non si può sentire; tuttavia si può pensare, si può in qualche limitata misura, in qualche senso conoscere (se ne sa che per esempio "qualcosa di esso" corrisponde biunivocamente al tuo cervello se osservato, percepito "dall' esterno, estrinsecamente", nel modo in cui solitamente lo percepiscono gli altri, mentre corrisponde biunivocamente alla tua esperienza cosciente se osservato, percepito "dall' interno, intrinsecamente", nel modo in cui si percepisce da sé).
Quando affermo che la mia immagine riflessa nello specchio smette di essere pura apparenza e alterità per diventare emanazione dell"io sono" , intendo che quel fenomeno dismette i panni formali del fenomeno conoscibile razionalmente( ma più  avanti dirò che nemmeno l'alterita' può considerarsi fuori DALL' "IO SONO") per diventare ente ,per così dire ,"sapibile" in un tutt'uno con la nostra consapevole coscienza di essere. Ammetto che è facile scorgere delle ambiguità nel mio intervento senza aver prima capito il mio modo di intendere il "soggettivo"; l'opinione che mi sono formato , per certi versi influenzata da parecchie suggestioni hegeliane, è che non si può logicamente considerare nulla di soggettivo se non in maniera e da un punto di vista oggettivo;nello stesso momento in cui noi distinguiamo il soggetto dall' oggetto, infatti, noi poniamo il soggetto sullo stesso piano dell'oggetto, e facciamo sussistere l'idea di soggetto solo in funzione di un piano oggettivo, parliamo di soggetto e di oggetto,dunque, ma finiamo inevitabilmente per discutere soltanto di due oggetti. In questo senso, quando considero ció che appare , considero la sensazione pura soltanto come una diversa declinazione dell "IO SONO", e tutto ciò che posso logicamente considerare oggettivo non può andare oltre , non può astrarsi,  non può razionalmente considerarsi altro da ciò che " IO SONO". l'immagine che mi rimanda lo specchio è,  dunque, parte di me, perchè nell'istante in cui cambia la più piccola proprietà di quell'immagine,  e , ancor più,  di quel fenomeno, io cambio insieme ad essa, ma non per semplice analogia o corrispondenza biunivoca, ma per intima e coesistente sincronicità; l'entità che appare , dunque, non puó che consistere "NELL'IO SONO", ma non si può affermare che l'IO SONO consista tutto in quel fenomeno, prova logica ne è il fatto che una ulteriore identica immagine riflessa in quello stesso specchio non consisterebbe nelle stesse sensazioni "sapute", "sentite" ( non , cioé,  semplicemente, "conosciute") nella coscienza del mio essere Io; fenomeni identici, dunque, consistono diversamente fra loro nella autocoscienza del nostro essere, e mentre alcuni fenomeni li sentiamo più intimamente connessi alla nostra autocoscienza(per esempio, se agiamo chirurgicamente o chimicamente in alcune precise zone del nostro cervello FENOMENICO: memoria,funzioni emozionali etc...), altri ci appaiono più distanti (per esempio, se agiamo chirurgicamente o con farmaci in precise zone di un cervello che ci appare non essere il nostro), a tal punto da considerare quelle sensazioni in cui quelle apparenze consistono ,quasi altre da noi , quasi altre dall'"IO SONO". Esistono , dunque, fenomeni di cui evidentemente conosciamo in modo "sapiente", cioè profondo, assoluto, il nocciolo essenziale, perché quei fenomeni sono il Noi, cioè  l'io in sé e per sé,  altri fenomeni , a volte gli stessi identici, sono in apparenza distanti da noi, ma comunque non scindibili dalla coscienza del nostro "IO sono". Per le stesse ragioni è chiaro che non è possibile ridurre L'IO SONO ad un dato fenomenico, poiché sembrano proprio i fenomeni una proprietà dell "io sono" e non viceversa.

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