L'inconoscibilità del noumeno non implica la sua inesistenza

Aperto da cvc, 02 Maggio 2016, 16:31:00 PM

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cvc

Nel sentir discorrere intorno alle scienze mi par di capire che la conoscenza sia diretta verso orizzonti sempre più vasti, ma non tanto estesi da poter comprendere il sapere della cosa in sé. Il metodo sperimentale per sua natura non può allontanarsi dal fenomenico ma, dal mio punto di vista almeno, un universo che fosse solo fenomenico sarebbe assurdo. Se si considera la materia solo nel suo agire e non anche in ciò per cui agisce, allora noi assistiamo solo a delle manifestazioni, ma manifestazioni di cosa? Essendo la materia in ultima analisi energia, e non avendo l'energia una forma che permane nel tempo, dovremmo quindi giungere alle medesime conclusioni di Cratilo. Ossia che non possiamo dare un nome a nessuna cosa ma, al massimo, possiamo riferirci ad essa soltanto indicandola. Perché non appena diciamo che x è un bambino, x è già diventato uomo. E quando diciamo x è un uomo, è già un cumulo di ossa. Ciò che ha senso per noi lo ha solo in virtù che qualche manciata di anni a noi pare un'eternità, ma nella prospettiva dell'eternità noi nasciamo, viviamo e moriamo in un granello insignificante di tempo. Il punto di vista dell'eternità potrebbe corrispondere al noumeno, all'essere in sé che noi non siamo nemmeno in grado di definire con precisione. Quindi facciamo lunghe disquisizioni sul sapere tralasciandone l'essenza stessa. Forse è questa la differenza fra la nostra cultura e quella orientale: per noi ciò che pensiamo intorno alle cose è la loro essenza, per la cultura orientale invece il pensiero e funzione dell'essenza. La quale è inconoscibile e indefinibile.
Fare, dire, pensare ogni cosa come chi sa che da un istante all'altro può uscire dalla vita.

paul11

Personalmente ritengo che storicamente l'orientale è legato più a come il pensiero ha pensato il reale, noi occidentali ci siamo invece approcciati alla realtà fisica mettendo in dubbio i nostri pensieri: per noi il focus è la realtà fisica poichè e descrivibile e logicamente falsa o vera e scientificamente dimostrabile nelle sue reiterazioni fenomeniche.
Quindi per noi il razionale e vero equivale al mondo là fuori, per l'orientale il vero equivale al suo pensiero ed è falsa la realtà.
E di nuovo ritorna la filosofia del reale metafisico greco  contro il reale sperimentale della scienza moderna , il mondo del deduttivo contro l'induttivo.

cvc

Citazione di: paul11 il 02 Maggio 2016, 18:26:04 PM
Personalmente ritengo che storicamente l'orientale è legato più a come il pensiero ha pensato il reale, noi occidentali ci siamo invece approcciati alla realtà fisica mettendo in dubbio i nostri pensieri: per noi il focus è la realtà fisica poichè e descrivibile e logicamente falsa o vera e scientificamente dimostrabile nelle sue reiterazioni fenomeniche.
Quindi per noi il razionale e vero equivale al mondo là fuori, per l'orientale il vero equivale al suo pensiero ed è falsa la realtà.
E di nuovo ritorna la filosofia del reale metafisico greco  contro il reale sperimentale della scienza moderna , il mondo del deduttivo contro l'induttivo.
Per quel poco che ne posso dire nella filosofia orientale l'essere è un qualcosa di interiore da cui scaturiamo noi stessi, pensieri compresi. Il mondo esterno è l'ingannatore velo di Maya, ed anche per la filosofia greca il senso è ingannatore, quindi ciò che proviene da fuori. Perciò aveva senso la metafisica, perché solo della ragione ci si può fidare, si pensava. Da Aristotele in poi, credo, lo strumento (organon) della ragione è diventato più importante della ragione stessa. La ragione non è più un entità ma un criterio, meglio se esprimibile in modo formale, così da eliminare possibilità di equivoci. Questo è l'inganno della nostra cultura (almeno secondo il mio miserrimo punto di vista): i mezzi sono diventati più importanti del fine. Tutta questa scienza per cosa? Per vivere di più? Per vivere meglio? Purtroppo è già parecchio tempo che la nostra civiltà ha smesso di interrogarsi su ciò che è meglio. È meglio il benessere, su questo non abbiamo dubbi. Ma la filosofia del benessere porta all'egocentrismo e, in ultima analisi, all'indifferenza verso tutto ciò che non serve ad alimentare il piacere. E ancor peggio, l'egoismo o individualismo porta a smettere di interrogarsi su quell'essere inconoscibile e indefinibile da cui scaturiamo. Detto questo, se sto male vado dal medico e non dal santone.
Fare, dire, pensare ogni cosa come chi sa che da un istante all'altro può uscire dalla vita.

Donalduck

Cvc ha scritto:
CitazioneIl punto di vista dell'eternità potrebbe corrispondere al noumeno, all'essere in sé che noi non siamo nemmeno in grado di definire con precisione. Quindi facciamo lunghe disquisizioni sul sapere tralasciandone l'essenza stessa. Forse è questa la differenza fra la nostra cultura e quella orientale: per noi ciò che pensiamo intorno alle cose è la loro essenza, per la cultura orientale invece il pensiero e funzione dell'essenza. La quale è inconoscibile e indefinibile.
Non mi par proprio che per la "cultura orientale" il pensiero sia "funzione dell'essenza". La tendenza prevalente mi pare che invece sia che il pensiero, sotto la spinta dell'ego, con i suoi desideri e la sua intrinseca limitatezza, maschera, nasconde, distorce l'essenza.
E neppure che questa "essenza" sia inconoscibile (indefinibile, magari, sì). Per molti pensatori e mistici orientali (ma non solo) l'essenza del "tutto" è "conoscibile" per fusione della coscienza individuale con quella universale attraverso pratiche meditative (che non sono pratiche di pensiero, ma ne implicano il superamento).
Ma bisogna precisare che in molti dibattiti filosofici del mondo occidentale si parla di "pensiero" con significati assai diversi, e certamente molto diversi dalla concezione "orientale" (o "orientaleggiante") come rappresentante del mondo psichico in generale, oppure come fonte archetipica delle forme tangibili (le idee platoniche), o altro ancora.
Nella cultura orientale spesso il pensiero non è tenuto in gran considerazione, ma ritenuto un mezzo pittosto rozzo e imperfetto di conoscenza della "realtà", che necessita dello sviluppo di "sensi superiori" per poter essere in qualche modo afferrata.
E in effetti credo sia innegabile che nessuna logica ci potrà mai fornire alcuna risposta a domande sui fondamenti dell'esistenza (può invece smontare delle asserzioni gratuite o incongrue in proposito). La prima difficoltà, secondo me insormontabile, sta nel definire l"esistenza". Cosa vuol dire che qualcosa esiste o non esiste?

cvc

Citazione di: Donalduck il 03 Maggio 2016, 22:00:55 PM
Cvc ha scritto:
CitazioneIl punto di vista dell'eternità potrebbe corrispondere al noumeno, all'essere in sé che noi non siamo nemmeno in grado di definire con precisione. Quindi facciamo lunghe disquisizioni sul sapere tralasciandone l'essenza stessa. Forse è questa la differenza fra la nostra cultura e quella orientale: per noi ciò che pensiamo intorno alle cose è la loro essenza, per la cultura orientale invece il pensiero e funzione dell'essenza. La quale è inconoscibile e indefinibile.
Non mi par proprio che per la "cultura orientale" il pensiero sia "funzione dell'essenza". La tendenza prevalente mi pare che invece sia che il pensiero, sotto la spinta dell'ego, con i suoi desideri e la sua intrinseca limitatezza, maschera, nasconde, distorce l'essenza.
E neppure che questa "essenza" sia inconoscibile (indefinibile, magari, sì). Per molti pensatori e mistici orientali (ma non solo) l'essenza del "tutto" è "conoscibile" per fusione della coscienza individuale con quella universale attraverso pratiche meditative (che non sono pratiche di pensiero, ma ne implicano il superamento).
Ma bisogna precisare che in molti dibattiti filosofici del mondo occidentale si parla di "pensiero" con significati assai diversi, e certamente molto diversi dalla concezione "orientale" (o "orientaleggiante") come rappresentante del mondo psichico in generale, oppure come fonte archetipica delle forme tangibili (le idee platoniche), o altro ancora.
Nella cultura orientale spesso il pensiero non è tenuto in gran considerazione, ma ritenuto un mezzo pittosto rozzo e imperfetto di conoscenza della "realtà", che necessita dello sviluppo di "sensi superiori" per poter essere in qualche modo afferrata.
E in effetti credo sia innegabile che nessuna logica ci potrà mai fornire alcuna risposta a domande sui fondamenti dell'esistenza (può invece smontare delle asserzioni gratuite o incongrue in proposito). La prima difficoltà, secondo me insormontabile, sta nel definire l"esistenza". Cosa vuol dire che qualcosa esiste o non esiste?
La filosofia orientale a differenza di quella occidentale non è incentrata sulla costruzione di edifici razionali ma sulla meditazione.  Swami Sivananda dice che lo scopo del saggio è di coltivate i pensieri puri ed eliminare quelli cattivi. Perciò è centrale l'autocontrollo. Il pensiero è funzione dell'essenza in quanto è un mezzo per raggiungere la perfezione interiore. Ci sono molti punti in comune con la filosofia antica, nella quale Hadot individuò nella scrittura stessa una forma di meditazione. Dall'avvento del cristianesimo in poi la filosofia ha assunto i tratti della sistematicità che poi sarà tipica dell'esposizione scientifica. In questo modo di trattare sistematico, efficace ed efficiente in ambito scientifico, il filosofo sembra preoccuparsi di comprendere la realtà, ma non di intuirla. E il fatto che la scienza abbia mostrato come molti fenomeni fisici siano contro intuitivi, ha contribuito a svalutare questa facoltà. Nonostante molte scoperte scientifiche siano sorte proprio per intuizione. Occorre rivalutare l'aspetto intuitivo dell'esistenza, e le filosofie orientali e antiche mi pare abbiano proprio questa prerogativa di curare l'intuizione. Il sapere non è utile solo per se stesso, ma per l'effetto liberatorio che produce sulle afflizioni dell'anima.
Fare, dire, pensare ogni cosa come chi sa che da un istante all'altro può uscire dalla vita.

maral

Citazione di: cvc il 02 Maggio 2016, 16:31:00 PM
Nel sentir discorrere intorno alle scienze mi par di capire che la conoscenza sia diretta verso orizzonti sempre più vasti, ma non tanto estesi da poter comprendere il sapere della cosa in sé. Il metodo sperimentale per sua natura non può allontanarsi dal fenomenico ma, dal mio punto di vista almeno, un universo che fosse solo fenomenico sarebbe assurdo. Se si considera la materia solo nel suo agire e non anche in ciò per cui agisce, allora noi assistiamo solo a delle manifestazioni, ma manifestazioni di cosa? Essendo la materia in ultima analisi energia, e non avendo l'energia una forma che permane nel tempo, dovremmo quindi giungere alle medesime conclusioni di Cratilo. Ossia che non possiamo dare un nome a nessuna cosa ma, al massimo, possiamo riferirci ad essa soltanto indicandola. Perché non appena diciamo che x è un bambino, x è già diventato uomo. E quando diciamo x è un uomo, è già un cumulo di ossa. Ciò che ha senso per noi lo ha solo in virtù che qualche manciata di anni a noi pare un'eternità, ma nella prospettiva dell'eternità noi nasciamo, viviamo e moriamo in un granello insignificante di tempo. Il punto di vista dell'eternità potrebbe corrispondere al noumeno, all'essere in sé che noi non siamo nemmeno in grado di definire con precisione. Quindi facciamo lunghe disquisizioni sul sapere tralasciandone l'essenza stessa. Forse è questa la differenza fra la nostra cultura e quella orientale: per noi ciò che pensiamo intorno alle cose è la loro essenza, per la cultura orientale invece il pensiero e funzione dell'essenza. La quale è inconoscibile e indefinibile.
Eppure proprio nel nuovo materialismo (a cui avevo accennato in questa discussione nel vecchio forum:http://www.riflessioni.it/forum/filosofia/14689-il-transindividuale-ultima-frontiera-del-materialismo-speculativo.html)
partendo dalla concezione di un'esperienza assoluta originaria, pura praxis, che precede ogni soggetto e oggetto e in cui ogni essere vivente è immerso in un totale presente del tutto immanente e in atto, si perviene a una concezione metafisica forte che richiama l'apeiron presocratico. Senza dubbio è filosoficamente interessante, anche da un punto di vista spirituale (materia e spirito si confondono fino a coincidere qualora si consideri le cose sotto la prospettiva di una pura fenomenologia del divenire, seguendo quello che Gentile definì metodo dell'immanenza in contrapposizione con il metodo della trascendenza che ha dominato il pensiero occidentale di impostazione antropocentrica e coscienziale a partire da Platone (con la verità collocata al di sopra e al di fuori della esperienza e con la funzione demiurgica che crea come un artigiano dando forma poietica alla materia sensibile secondo progetto).
Mi pare che questa concezione metafisica che si considera del tutto immanente richiami alcune considerazioni svolte soprattutto nel precedente forum da alcuni utenti che sostenevano la priorità della percezione, se intesa come esperienza una percettiva in sé, ossia un'esperienza che non è di niente e di nessuno, o, se si preferisce, una sorta di coscienza primaria senza l'io e quindi senza l'uomo, pura meccanicità insita nella natura.
Occorre riconoscere che questa concezione mi pare molto vicina proprio al pensiero orientale (penso soprattutto al taoismo e ad alcune forme di buddismo), la cui spiritualità elevatissima si presenta del tutto immanente e pragmatica (il puro gesto zen, ma anche la meditazione trascendentale dello Yoga, che in ambito induista assolutizza l'esperienza del respiro senza creare alcun disegno trascendente). In Occidente forse questo senso di assoluta immanenza ricorre solo in alcune forme di grande misticismo del passato, ma è rimasta abbastanza marginale nell'evoluzione platonica del pensiero occidentale, dominato dall'io e dal rapporto che sussiste tra un soggetto e un oggetto originari.
Dal mio punto di vista trovo che, pur esprimendo una concezione molto interessante, questa impostazione che fa dell'esperienza un assoluto, mostra una contraddizione evidente soprattutto nel modo occidentale di trattarla attraverso il linguaggio, il logos, che comunque resta ascritto al progetto del tutto cosciente e soggettivo di chi ne parla: ossia, anche se questa esperienza la si dichiara assoluta essa è trattata comunque come oggetto di un soggetto e dunque è del tutto relativa ad essi.
Tra gli esponenti italiani di questo nuovo materialismo, senza dubbio c'è Rocco Ronchi, molto legato al pensiero di Deleuze. Allego il link a un filmato Youtube molto interessante (è piuttosto lungo, ma merita) in cui presenta con grande chiarezza questa linea di pensiero ad "Harmonia Mundi" per legarla alla fenomenologia esoterica, mostrandone come può darne ragione filosofica:
https://www.youtube.com/watch?v=8yQF1OlALsI
(Interessante tra l'altro anche la perplessità finale di uno degli ascoltatori che, avendo basato la sua crescita spirituale sul distacco dall'esperienza, si ritrova messo in crisi da una linea di pensiero che legge la crescita spirituale in direzione del tutto opposta.)

HollyFabius

Non so se in passato ne avete già parlato, ma non esiste un'unica accezione per il noumeno.
Mettendo a confronto le due che conosco, quella di Kant e quella di Schopenhauer mi sento più vicino a quest'ultimo.
In Kant il noumeno rappresenta un limite invalicabile, in Schopenhauer questo limite può venire valicato. Il noumeno di Schopenhauer è espresso dalla volontà a cui si accede attraverso i sensi. Per Kant il noumeno è oggetto di intuizione non sensibile e resta, nella sua essenza, inconoscibile.

acquario69

#7
l'esperienza immediata o prassi pura da quel che mi sembra di aver capito affermerebbe che siano i nostri pensieri (?) se non proprio le nostre immediate percezioni a determinare il reale nel suo svolgersi in atto,in pura praxis..

ma allora questa esperienza che si vuole assoluta originaria,da dove prenderebbe la sua stessa origine?
e che fine farebbe l'immaginazione o le idee e i concetti stessi?

e se tutta la cosiddetta realtà rientrerebbe solo in questa pura praxis,attraverso i nostri sensi immediati quindi nella nostra immediata percezione che fine farebbe l'auto coscienza?
a meno che non si voglia appunto negarla,ma non sarebbe comunque una contraddizione voler affermare un idea o un concetto e poi negare implicitamente (visto che come viene detto sopra: "ossia un esperienza che non e' di niente e di nessuno,o se si preferisce,una sorta di coscienza primaria senza l'io e quindi senza l'uomo"..) l'esistenza stessa dell'idea o il concetto espressi un attimo prima?  (e chi sarebbe dunque l'autore di tale concezione? ..niente e/o nessuno?!?)


il "pensiero" orientale o diciamo spirituale a differenza di quanto sopra,arriva a coincidere con la coscienza suprema ed immutabile e la differenza e' che vi sarebbe consapevole coincidenza,che tra l'altro non ha nulla a che vedere col distacco dall'esperienza

sgiombo

Citazione di: acquario69 il 05 Maggio 2016, 02:55:13 AM
ma allora questa esperienza che si vuole assoluta originaria,da dove prenderebbe la sua stessa origine?
e che fine farebbe l'immaginazione o le idee e i concetti stessi?

e se tutta la cosiddetta realtà rientrerebbe solo in questa pura praxis,attraverso i nostri sensi immediati quindi nella nostra immediata percezione che fine farebbe l'auto coscienza?
a meno che non si voglia appunto negarla,ma non sarebbe comunque una contraddizione voler affermare un idea o un concetto e poi negare implicitamente (visto che come viene detto sopra: "ossia un esperienza che non e' di niente e di nessuno,o se si preferisce,una sorta di coscienza primaria senza l'io e quindi senza l'uomo"..) l'esistenza stessa dell'idea o il concetto espressi un attimo prima?  (e chi sarebbe dunque l'autore di tale concezione? ..niente e/o nessuno?!?)



Non credo sia necessario ammettere che oltre gli immediati dati sensibili (fenomenici) dell' esperienza sia reale qualcosaltro: la realtà potrebbe benissimo anche limitarsi ad essi (ma ciò non toglie che lo credo di fatto, per fede; solo che il mio razionalismo mi impone di essere consapevole dell' indimostrabilità, dell' arbitrarietà delle mie credenze che eccedono l' esisteza dei soli dati fenomenici o sensibili di coscienza di cui é immediatamente evidente l' accadere).

Dunque "un esperienza che non e' di niente e di nessuno, o se si preferisce, una sorta di coscienza primaria senza l'io e quindi senza l'uomo" potrebbe essere tutto ciò che é reale, che costituisce la realtà.

Credere all' esistenza di se stessi (ammettere la realtà dell' autocoscienza) e di altri si può indimostrabilmente, per fede, ma non necessariamente per cogenza logica (e sono anche convinto si debba di fatto se si é psichicamente sani).

cvc

Citazione di: maral il 04 Maggio 2016, 19:43:28 PM
Citazione di: cvc il 02 Maggio 2016, 16:31:00 PM
Nel sentir discorrere intorno alle scienze mi par di capire che la conoscenza sia diretta verso orizzonti sempre più vasti, ma non tanto estesi da poter comprendere il sapere della cosa in sé. Il metodo sperimentale per sua natura non può allontanarsi dal fenomenico ma, dal mio punto di vista almeno, un universo che fosse solo fenomenico sarebbe assurdo. Se si considera la materia solo nel suo agire e non anche in ciò per cui agisce, allora noi assistiamo solo a delle manifestazioni, ma manifestazioni di cosa? Essendo la materia in ultima analisi energia, e non avendo l'energia una forma che permane nel tempo, dovremmo quindi giungere alle medesime conclusioni di Cratilo. Ossia che non possiamo dare un nome a nessuna cosa ma, al massimo, possiamo riferirci ad essa soltanto indicandola. Perché non appena diciamo che x è un bambino, x è già diventato uomo. E quando diciamo x è un uomo, è già un cumulo di ossa. Ciò che ha senso per noi lo ha solo in virtù che qualche manciata di anni a noi pare un'eternità, ma nella prospettiva dell'eternità noi nasciamo, viviamo e moriamo in un granello insignificante di tempo. Il punto di vista dell'eternità potrebbe corrispondere al noumeno, all'essere in sé che noi non siamo nemmeno in grado di definire con precisione. Quindi facciamo lunghe disquisizioni sul sapere tralasciandone l'essenza stessa. Forse è questa la differenza fra la nostra cultura e quella orientale: per noi ciò che pensiamo intorno alle cose è la loro essenza, per la cultura orientale invece il pensiero e funzione dell'essenza. La quale è inconoscibile e indefinibile.
Eppure proprio nel nuovo materialismo (a cui avevo accennato in questa discussione nel vecchio forum:http://www.riflessioni.it/forum/filosofia/14689-il-transindividuale-ultima-frontiera-del-materialismo-speculativo.html)
partendo dalla concezione di un'esperienza assoluta originaria, pura praxis, che precede ogni soggetto e oggetto e in cui ogni essere vivente è immerso in un totale presente del tutto immanente e in atto, si perviene a una concezione metafisica forte che richiama l'apeiron presocratico. Senza dubbio è filosoficamente interessante, anche da un punto di vista spirituale (materia e spirito si confondono fino a coincidere qualora si consideri le cose sotto la prospettiva di una pura fenomenologia del divenire, seguendo quello che Gentile definì metodo dell'immanenza in contrapposizione con il metodo della trascendenza che ha dominato il pensiero occidentale di impostazione antropocentrica e coscienziale a partire da Platone (con la verità collocata al di sopra e al di fuori della esperienza e con la funzione demiurgica che crea come un artigiano dando forma poietica alla materia sensibile secondo progetto).
Mi pare che questa concezione metafisica che si considera del tutto immanente richiami alcune considerazioni svolte soprattutto nel precedente forum da alcuni utenti che sostenevano la priorità della percezione, se intesa come esperienza una percettiva in sé, ossia un'esperienza che non è di niente e di nessuno, o, se si preferisce, una sorta di coscienza primaria senza l'io e quindi senza l'uomo, pura meccanicità insita nella natura.
Occorre riconoscere che questa concezione mi pare molto vicina proprio al pensiero orientale (penso soprattutto al taoismo e ad alcune forme di buddismo), la cui spiritualità elevatissima si presenta del tutto immanente e pragmatica (il puro gesto zen, ma anche la meditazione trascendentale dello Yoga, che in ambito induista assolutizza l'esperienza del respiro senza creare alcun disegno trascendente). In Occidente forse questo senso di assoluta immanenza ricorre solo in alcune forme di grande misticismo del passato, ma è rimasta abbastanza marginale nell'evoluzione platonica del pensiero occidentale, dominato dall'io e dal rapporto che sussiste tra un soggetto e un oggetto originari.
Dal mio punto di vista trovo che, pur esprimendo una concezione molto interessante, questa impostazione che fa dell'esperienza un assoluto, mostra una contraddizione evidente soprattutto nel modo occidentale di trattarla attraverso il linguaggio, il logos, che comunque resta ascritto al progetto del tutto cosciente e soggettivo di chi ne parla: ossia, anche se questa esperienza la si dichiara assoluta essa è trattata comunque come oggetto di un soggetto e dunque è del tutto relativa ad essi.
Tra gli esponenti italiani di questo nuovo materialismo, senza dubbio c'è Rocco Ronchi, molto legato al pensiero di Deleuze. Allego il link a un filmato Youtube molto interessante (è piuttosto lungo, ma merita) in cui presenta con grande chiarezza questa linea di pensiero ad "Harmonia Mundi" per legarla alla fenomenologia esoterica, mostrandone come può darne ragione filosofica:
https://www.youtube.com/watch?v=8yQF1OlALsI
(Interessante tra l'altro anche la perplessità finale di uno degli ascoltatori che, avendo basato la sua crescita spirituale sul distacco dall'esperienza, si ritrova messo in crisi da una linea di
Sulla questione fra immanenza e trascendenza io sospendo volentieri il giudizio, pur non esimendomi dall'osservare che una volta scoperchiato il vaso di Pandora dello sdoppiamento delle due realtà, concettuale e fisica, diventa un'impresa immane (e tuttora non riuscita) quella di ricomporre l'originaria unità del pensiero filosofico. Platone mediò dando però rango di realtà suprema alle idee e relegando il sensibile a realtà subordinata. Quindi il più grande tentativo di mediazione, quello platonico, è tuttavia in un certo senso fazioso. L'apeiron è stato identificato nel concetto, ma una volta che lo si identifica con qualcosa, lo si snatura.
Alla fine nella nostra civiltà è prevalso il platonismo, d'altronde gli atomi e le particelle non sono forse idee? Chi ha mai visto o esperito un atomo? Però il genio greco che ci ha fatto tanto progredire aveva in seno i suoi difetti. Ad esempio la fissazione di poter spiegare l'inspiegabile, di poter trovare la quadratura del cerchio con righello e compasso (cosa peraltro dimostratasi impossibile) tralasciando con ciò gli aspetti più pratici. Cosa che non fecero i romani che passarono dalla matematica astratta greca alla matematica applicata. Ma nell'economia della sfera morale, che è ciò che più mi interessa, è importante fissare dei limiti alla speculazione umana. Non si può quadrare il cerchio, e non si può conoscere il noumeno. Ma ciò non significa che ciononostante non si possa progredire spiritualmente. Socrate docet. Il quale fra l'altro usò il concetto non tanto come prova di possesso di una conoscenza superiore ma, piuttosto, per smontare le pretese dell'umana sapienza
Fare, dire, pensare ogni cosa come chi sa che da un istante all'altro può uscire dalla vita.

cvc

Citazione di: HollyFabius il 04 Maggio 2016, 23:47:58 PM
Il noumeno di Schopenhauer è espresso dalla volontà a cui si accede attraverso i sensi. Per Kant il noumeno è oggetto di intuizione non sensibile e resta, nella sua essenza, inconoscibile.
Penso ci sia differenza fra esperire e conoscere. Vivere non significa conoscere la vita, infatti si commettono spesso gli stessi errori. La conoscenza sensoriale per essere tale deve essere consapevole. Nella differenza fra conoscenza concettuale ed esperienziale  troverebbe collocazione una riflessione sull'intellettualismo socratico, alla base del quale credo ci sia un fraintendimento.
Fare, dire, pensare ogni cosa come chi sa che da un istante all'altro può uscire dalla vita.

HollyFabius

Citazione di: sgiombo il 05 Maggio 2016, 08:07:59 AM
Non credo sia necessario ammettere che oltre gli immediati dati sensibili (fenomenici) dell' esperienza sia reale qualcosaltro: la realtà potrebbe benissimo anche limitarsi ad essi (ma ciò non toglie che lo credo di fatto, per fede; solo che il mio razionalismo mi impone di essere consapevole dell' indimostrabilità, dell' arbitrarietà delle mie credenze che eccedono l' esisteza dei soli dati fenomenici o sensibili di coscienza di cui é immediatamente evidente l' accadere).
Dunque "un esperienza che non e' di niente e di nessuno, o se si preferisce, una sorta di coscienza primaria senza l'io e quindi senza l'uomo" potrebbe essere tutto ciò che é reale, che costituisce la realtà.
Credere all' esistenza di se stessi (ammettere la realtà dell' autocoscienza) e di altri si può indimostrabilmente, per fede, ma non necessariamente per cogenza logica (e sono anche convinto si debba di fatto se si é psichicamente sani).
Citazione di: cvc il 05 Maggio 2016, 08:25:24 AM
 Non si può quadrare il cerchio, e non si può conoscere il noumeno. Ma ciò non significa che ciononostante non si possa progredire spiritualmente. Socrate docet. Il quale fra l'altro usò il concetto non tanto come prova di possesso di una conoscenza superiore ma, piuttosto, per smontare le pretese dell'umana sapienza
Noumeno, inconscibilità, immediato sensibile queste sono le parole chiave.
La nostra sensibilità è la porta di accesso alla trasformazione del noumeno verso il fenomenico. La conoscenza (prima intuitiva, poi razionalizzante, poi razionalizzata) è l'atto di trasformazione del noumeno in fenomeno.
Questa evoluzione è in atto, lo constatiamo nella trasformazione della nostra realtà fenomenica che aggiunge entità oggettuali dove prima mancavano.
Portatrice di questo cambiamento è la spinta del mondo della Tecnica, e avanguardie di queste nuove rappresentazioni sono gli scienziati e gli artisti.
Ma questo cambiamento si può supporre non limitato al logos condiviso, alla conoscenza immateriale che cresce; si può supporre che nel trascorrere del tempo, delle generazioni, cambi anche il nostro corpo, aggiungendo forza all'apparato sensibile. L'uomo di oggi è diverso dall'uomo di mille anni fa e sarà ancora diverso tra mille anni.
Come verrà trasformato il nostro corpo dopo decine di generazioni che vivano nello spazio privo di gravità?
Certo per alcuni, e forse anche per me, può esistere (e la cosa appare anche naturale, comprensibile e spiegabile) un limite alla possibile trasformazione del noumeno in fenomeno. Siamo corpo con limiti temporali, invecchiamo e dobbiamo alimentarci per sopravvivere, i nostri sensi porta del fenomeno potranno lentamente trasformarsi ma non sappiamo e difficilmente sapremo quanti altri sensi siano possibili in natura.
Rispetto al passato, rispetto ai pensatori greci e anche solo ai grandi pensatori del '700 e '800 noi conosciamo un mondo conoscitivo condiviso che travalica il singolo uomo, che ha sede altrove rispetto all'uomo e altrove rispetto al logos del libro, possiamo intravede delle potenzialità che erano oltre il confine cognitivo di questi pensatori.

HollyFabius

Citazione di: cvc il 05 Maggio 2016, 09:02:35 AM
Citazione di: HollyFabius il 04 Maggio 2016, 23:47:58 PM
Il noumeno di Schopenhauer è espresso dalla volontà a cui si accede attraverso i sensi. Per Kant il noumeno è oggetto di intuizione non sensibile e resta, nella sua essenza, inconoscibile.
Penso ci sia differenza fra esperire e conoscere. Vivere non significa conoscere la vita, infatti si commettono spesso gli stessi errori. La conoscenza sensoriale per essere tale deve essere consapevole. Nella differenza fra conoscenza concettuale ed esperienziale  troverebbe collocazione una riflessione sull'intellettualismo socratico, alla base del quale credo ci sia un fraintendimento.

La differenza tra Schopenhauer e Kant credo che sia proprio nell'ordine tra esperire e conoscere. Per Kant viene prima il conoscere e poi l'esperire, per Schopenhauer prima l'esperire e poi il conoscere.
Io penso che abbia ragione Schopenhauer, si può vivere anche senza darsi rappresentazioni e modelli cognitivi, fai prima esperienza diretta ed immediata della realtà, poi se ne hai capacità di razionalizzare aumenti la tua conoscenza, e questo vale non solo per l'uomo ma per ogni essere che vive. Vivi, vivendo esperisci, ricordando (e per l'uomo razionalizzando) conosci. Nel caso dell'uomo la conoscenza viene pure condivisa socialmente.


paul11

Da tempo penso che sostanzialmente ciò che viene problematizzato alla fine è l'ESISTENZA che con essa ha dentro tutti gli elementi che ne derivano, esperienza, conoscenza, pensieri sensibili, immaginari ; eterno, divenire,, linguaggio formale ,ecc.
Per questo sospetto che da Nietzsche, passando per Kierkiegaard ,Schopenauer e arrivando ad Heidegger e la fenomenologia, rimangono ancor oggi l'ultimo punto di riferimento della filosofia. 
Ogni pensatore poi decide la sua costruzione teorica e pratica.

Ciò che intendeva fare Kant era una costruzione filosofica che fosse però scientifica, ecco perchè si ferma al "noumeno", perchè  lì dentro ci sono gli indimostrabili e se vuole rimanere "scentifico" non può far trascendere i concetti e allora si arresta.
Hegel invece prosegue il "viaggio" conoscitivo perchè non accetta la scienza sperimentale dell'osservazione del solo "fisico" è proprio nettamente contrario, anzi ritiene che la  vera scienza sia la filosofia con i concetti dentro il noumeno in cui Kant si è arrestato. Allora  si trovano nei suoi scritti il concreto e l'astratto la coscienza e l'autocoscienza, la legge del cuore, ecc. Non li definisce questi concetti ,non si preoccupa di una loro costruzione ontologica, semplicemente li bypassa come tautologie,.Come dire che se la scienza fisica  li ritiene indimostrabili ,altrettanto non li può negare come esistenza perchè li "viviamo" come l i vive lo stesso  scienziato che li nega come indimostrabili.
E ritengo che proprio questo sia il punto di equilibrio della nostra cultura. Esistono i concetti del noumeno, tutti lo sappiamo, ma scientificamente non sono fenomenologicamente osservabili, quantificabili gestibili in leggi fisiche attuali.
Vale a dire sono tautologie, lo sappiamo perchè li viviamo  ma non assiomatizzabili dentro una logica.

L'altra grande problematica è proprio fra il trascendete e il pragmatico di quel noumeno.
Questa problematica infatti è dentro lo scontro fra Husserl ed Heidegger nell'interpretazione fenomenologica dell'esistenza.
Ed è vero come dice Maral, la spiritualità, ma lo allargherei alla cultura, orientale è più pragmatica che trascendetnale , vale a dire la rendono pratica vivendola. La medicina orientale  le pratiche yoga,respiratorie e di concentrazione hanno paradigmi "invisibili" come il prana, ma che sono dentro il mondo fisico compreso il corpo umano, quindi lo praticano  con delle tecniche non lo trascendono, vale a dire non lo separano dal corpo fisico in quanto energia . Anche per questo motivo la cultura orientale arriva in Occidente e la influisce nel pensiero.

sgiombo

Citazione di: HollyFabius il 05 Maggio 2016, 09:12:59 AMNoumeno, inconscibilità, immediato sensibile queste sono le parole chiave.
La nostra sensibilità è la porta di accesso alla trasformazione del noumeno verso il fenomenico. La conoscenza (prima intuitiva, poi razionalizzante, poi razionalizzata) è l'atto di trasformazione del noumeno in fenomeno.
Questa evoluzione è in atto, lo constatiamo nella trasformazione della nostra realtà fenomenica che aggiunge entità oggettuali dove prima mancavano.
Portatrice di questo cambiamento è la spinta del mondo della Tecnica, e avanguardie di queste nuove rappresentazioni sono gli scienziati e gli artisti.
Ma questo cambiamento si può supporre non limitato al logos condiviso, alla conoscenza immateriale che cresce; si può supporre che nel trascorrere del tempo, delle generazioni, cambi anche il nostro corpo, aggiungendo forza all'apparato sensibile. L'uomo di oggi è diverso dall'uomo di mille anni fa e sarà ancora diverso tra mille anni.
Come verrà trasformato il nostro corpo dopo decine di generazioni che vivano nello spazio privo di gravità? 
Certo per alcuni, e forse anche per me, può esistere (e la cosa appare anche naturale, comprensibile e spiegabile) un limite alla possibile trasformazione del noumeno in fenomeno. Siamo corpo con limiti temporali, invecchiamo e dobbiamo alimentarci per sopravvivere, i nostri sensi porta del fenomeno potranno lentamente trasformarsi ma non sappiamo e difficilmente sapremo quanti altri sensi siano possibili in natura.
Rispetto al passato, rispetto ai pensatori greci e anche solo ai grandi pensatori del '700 e '800 noi conosciamo un mondo conoscitivo condiviso che travalica il singolo uomo, che ha sede altrove rispetto all'uomo e altrove rispetto al logos del libro, possiamo intravede delle potenzialità che erano oltre il confine cognitivo di questi pensatori.


Rispondo:

Ma se per "fenomeno" si intende l' apparire di ciò che è sensibile, cosciente e per "noumeno" si intende "ciò che è in sé, senza apparire alla coscienza" non vedo come sia possibile, che senso possa vere una "trasformazione del noumeno in fenomeno": più che di trasformazione (cambiamento di "forma" di un' unica entità) si tratterebbe di una negazione (il cessare di esistere) di una determinata entità e affermazione (l' iniziare ad esistere) di una determinata altra completamente diversa entità.
 
Se per conoscenza si intende "predicazione vera, cioè conforme alla realtà", allora, potendo essa accadere unicamente nell' ambito di un' esperienza cosciente (si tratta delle sensazioni interiori o mentali di pensieri, di predicati per l' appunto), potrà accadere unicamente di fenomeni, sensazioni coscienti e non di cose in sé o noumeno.
Se vedo il Cervino e penso "vedo il Cervino", allora per definizione ho una conoscenza (del fatto di vedere il Cervino); ma lo stesso non posso dire del noumeno.
Quest' ultimo lo si può unicamente pensare come un concetto "oscuro" (quasi letteralmente: non visibile, né altrimenti sensibile, non apparente alla coscienza), si può dirne che unicamente esiste o che non esiste o poco più, magari allusivamente o metaforicamente); e se si dice che esiste (oppure che non esiste) non si può per definizione verificare, constatare (in ultima analisi percepire sensibilmente, coscientemente) la verità o meno di questa affermazione, in quanto ciò che si può percepire sensibilmente, coscientemente non è noumeno ma fenomeno.

Infatti I cambiamenti che la tecnica rende possibili sono cambiamenti nell' insieme dei fenomeni, tant' é vro che si constatano (= "appaiono" ai sensi, alla coscienza).
Citazione di: HollyFabius il 05 Maggio 2016, 09:12:59 AM 


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