L'impossibilità di una filosofia senza metafisica

Aperto da davintro, 11 Aprile 2019, 20:01:46 PM

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Phil

Citazione di: Ipazia il 09 Maggio 2019, 09:14:24 AM
Il primo fantasma reificato è proprio lui, Dio. Anche il Capitale non scherza. La Patria, tornata in confuso gran spolvero, Individuo, Proprietà Privata, ... Quindi il tutto può essere spiegato in termini di astrazione, concettualizzazione, senza reificare il non-materiale in immateriale. Però l'elenco dell'immateriale continua e vi sono oggetti immateriali a cui è difficile rinunciale: l'amore, l'etica, l'arte, la bellezza, la musica, la letteratura. Persino la scienza e la filosofia, sorelle gemelle della comune madre episteme. Immateriale pure lei. Insomma l'umano è una instancabile fabbrica di entità immateriali,
Tutte queste entità immateriali, concetti astratti, "consistono" sempre nel loro essere pensati da qualcuno; il fatto che siano condivisi da più persone, sembra poter fare ipotizzare la loro identità immateriale astratta (e "ipostatizzata") come unica; ma così non è, almeno secondo me, e provo a spiegare cosa intendo.
Io ho il mio concetto di amore, tu il tuo, il mio meccanico il suo, etc. L'amore come concetto astratto interpersonale è sempre solo un fattore linguistico, basato sul senso comune e generico del termine, ma è sempre e inevitabilmente pensato tale da un singolo uomo (che presuppone pensare qualcosa di condiviso o addirittura universale). L'amore che (per me) esiste è il mio concetto di amore, per come lo penso, non è un'entità immateriale metasoggettiva, autonoma, che abita il "mondo delle idee" (almeno fino a prova contraria). Non posso dire con certezza che tale concetto esisterebbe anche se non ci fossi io a pensarlo e, soprattutto, il fatto che (se) io lo pensi come indipendente dal mio pensarlo, non comporta che lo sia davvero.
Fuori dal mio pensare, esiste davvero come ente immateriale da cui ogni mente attinge il senso o a cui ogni mente fa confluire il suo? Di tale confluire io potrò concepire solo ciò che riuscirò a pensare, e quindi, di nuovo, sarà sempre un mio pensiero individuale su qualcosa che io penso interpersonale.
Individualismo materialista? In fondo tutto il nostro pensare e le nostre percezioni sono individuali (e, per me, materiali).
Anche l'altro uomo è sempre pensato come altro da me; come "puro altro" è impossibile da pensare perché richiederebbe il totale annullamento/neutralizzazione della mia soggettività, e quindi non potrei nemmeno pensarlo poiché non ci sarebbe un "io" a pensare (sarebbe come voler fare una foto che non abbia una prospettiva; che comporta sempre un primo piano, zone d'ombra, etc.).

Se ogni pensato è sempre pensato da qualcuno, allora ogni pensiero è immanente alla mente (non dico «cervello» per evitare "deviazioni") di chi lo pensa, è un suo oggetto, non (fino a prova contraria) oggetto immateriale che aleggia e si connette alle menti che lo pensano; quello della condivisione di concetti è il ruolo del linguaggio, ma il parlare non può costituire una predicazione verificata di esistenza immateriale. La condivisione interpersonale linguistica del senso del pensato viene dopo il concetto individuale, nelle pratiche discorsive, non prima, ovvero non in una ipotetica "esistenza immateriale" (un paradosso, per me) che origina il suo dire.


Citazione di: Ipazia il 09 Maggio 2019, 09:14:24 AM
Nell'universo antropologico non si ha a che fare con bottiglie, persone, fiumi, ma coi loro concetti che ne amplificano la semantica dal materiale all'immateriale, al simbolico. La negazione, come i dialettici fino ad Heidegger capirono, ha una sua concreta produttività.
[...]Esiste una negazione nullificante ed una edificante attraverso la nullificazione. La prima produce (nichtet)  nichilismo, la seconda lo supera. Siamo nel pieno dell'immaterialità effettuale umana.
Eppure l'influenza concreta non è una negazione concreta; ritorniamo all'esempio della morte: è negazione concettuale della vita, ma concretamente (chimicamente, etc.) è cambiamento, non negazione, proprio perché «negazione» è categoria del pensiero non della materia. Da questa confusione nascono ontologie poetiche come quella di Heidegger, etc., idealismi come quello di Hegel (che parla di Spirito, non dimentichiamolo, come Heidegger parla di Essere...) e altre letture concettuali del reale che "entificano" la negazione, confondendo il significato con il segno.

Citazione di: Ipazia il 09 Maggio 2019, 09:14:24 AM
Infatti l'universo antropologico, benchè ne abbia da esso origine, non è ontologicamente assimilabile senza resto alcuno all'universo fisico-chimico, rispetto al quale anche la biologia ha una sua rudimentale trascendentalità.
Appunto da vocabolario: non direi «trascendentalità» che esula dal fisico, ma astrazione concettuale (quindi pensiero, quindi, stando alla mia scommessa, materialità cerebrale immanente al fisico. Per questo mi ritrovo, volente o nolente, a fare l'avvocato della chiusura causale del mondo fisico...).

Citazione di: Ipazia il 09 Maggio 2019, 09:14:24 AM
"... e anche questa è un'interpretazione" disse il Maestro. La chimica Ipazia riconosce nella sua ultramaterica disciplina la differenza tra fatti e interpretazioni, ma non la estende meccanicamente ad altre sfere del reale dove si rischia di non vedere i fatti a causa delle proprie errate, analogiche, interpretazioni.
Nietzsche come se la cavava con le neuroscienze? Per quanto apprezzi indubbiamente il suo spunto soggettivista (v. sopra), ho l'umile vantaggio nozionistico, rispetto a lui, di vivere nel 2019 (per carità, sono a malapena "microbo sulle spalle dei giganti"). Ad esempio, se mi fido dell'interpretazione chimica che mi suggerisce che H2O è acqua, mi risulta facile fidarmi anche quando la biologia mi dice che la morte non è la negazione di nulla ma è descrivibile come determinate condizioni materiali.
Chiaramente, c'è poi la dimensione estetico-metafisica e sarebbe (opinione mia) un peccato ridurre l'uomo ad un analizzatore della materia privandolo della piacevole illogicità delle poesie (molti filosofi hanno fatto letteratura, come direbbe Rorty), del sollazzo della musica, etc.
L'importante, come sempre, è non confondere i piani, mettendo istintivamente quello più umano (quello estetico-metafisico) sopra e/o oltre (meta, uber, etc.) tutti gli altri, come regolarmente avveniva nel pensiero dei millenni precedenti. Qui ed ora, il ruolo delle scienze (come la chimica) è quello di metterci in guardia da tale vetusto, per quanto spontaneo, antropocentrismo; rendendoci consapevoli che il nostro punto di vista costruisce (sovra)strutture di senso che non sono immanenti alla realtà, ma immanenti solo alla nostra mente.

Citazione di: Ipazia il 09 Maggio 2019, 09:14:24 AM
A questo ha già risposto la storia nei fatti: hanno fatto più morti ammazzati le ideologie immateriali che la materialissima, darwiniana, lotta per l'esistenza.
(En passant: sicura che le prime morti non rientrino dissimulatamente nella seconda lotta?) Le ideologie (che, ancora, in quanto pensiero sono per me cerebrali, quindi materiali, ma sorvoliamo) non fanno morti ammazzati; sono gli uomini persuasi da ideologie o altro a fare morti ammazzati. Un pensiero non può uccidere (metafore a parte); soprattutto per chi crede nel libero arbitrio, la scelta etica (che la scienza potrebbe presto indagare, vedi topic aperto da Jacopus) è causa dell'azione (omicida o meno). La responsabilità/causalità è dunque dell'uomo materiale che compie atti materiali, anche quando si fa abbindolare da ideologie. "Scaricare il barile" sull'ideologia è un alibi per assolvere uomini oppure per condannare uomini (ripeto: ciò vale soprattutto se si vuole restare fedeli al libero arbitrio, che è un altro topic ma qui ha comunque un suo ruolo).

Citazione di: Ipazia il 09 Maggio 2019, 09:14:24 AM
Solo l'immateriale paletto metafisico può penetrare il cuore metafisico del fantasma decostruendone la reificazione e ponendo fine al suo eterno ritorno. In tal senso l'immateriale metafisica è necessaria alla vita umana, nella sua concretezza, non solo alla filosofia.
Su tale "immaterialità", rimando a quanto scritto prima sull'amore; sulla metafisica in generale non mi addentro più (mi sono ripetuto già abbastanza) perché dai suoi "sonetti" me ne vedo/vado fuori.



P.s.
Citazione di: Sariputra il 09 Maggio 2019, 09:58:53 AM
In primis dunque la coscienza immateriale, poscia il resto...Tutto il materiale non è altro che un contenuto di coscienza. Se c'è dell'"altro" (noumeno,ecc.) non è dato sapere...
Concordo pienamente; tuttavia la mia scommessa (risibile, ma in fondo, cosa ho da perdere?) è che anche la coscienza sia materiale, intendendo per «materia» qualunque entità che abbia uno spazio e un tempo percepibili (quindi butto nel calderone non solo atomi ma anche vibrazioni, onde, elettricità e varie amenità quantistiche).

Ipazia

Suvvia Phil non te la prendere. Sono immanentista quanto te, ma cerco di esserlo anche dove la materia si fa liquida andando di surf sull'immateriale. Dove trovo tanto da baccagliare con gli spirit(ual)isti. Sul loro stesso terreno. Goduria pura.

Su concetti astratti importanti come l'amore ammetterai che ci sia una certa intersoggettività fondamentale, anche perchè solitamente lo si fa in due o più. Con una comunità di intenti davvero rara in natura.

Sulla vita, non me la puoi ridurre a concetto e la morte a negazione di un concetto. La vita è la caratteristica essenziale del biologico e la morte è la sua negazione. La vita non è un assemblaggio inorganico di atomi che rimangono, salvo fissione nucleare, perennemente gli stessi. Se tu vuoi ridurre la vita a questo, ha ragione green a parlare di robotica. Neppure un biologo ultramaterialista ti darebbe ragione: l'organismo è più della somma delle sue parti.

Sui "sonetti" della metafisica ti capisco. Ma poiesis vuol dire creare. Anche nelle scienze dure. La metafisica è una creatura umana. Conviene fare di necessità virtù e farsela persino piacere perchè come dicono i napoletani: ogni scarrafone è bello a mamma soja.

Saluti
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Phil

Citazione di: Ipazia il 09 Maggio 2019, 17:38:37 PM
Su concetti astratti importanti come l'amore ammetterai che ci sia una certa intersoggettività fondamentale, anche perchè solitamente lo si fa in due o più.
L'intersoggettività è certamente linguistica, culturale, etc. tuttavia, mi concederai, nel caso dell'amore fatto, è inevitabilmente un'esperienza fisica individuale, nonostante i corpi si "intersechino" (detto fra adulti: ognuno vive quell'esperienza a modo suo, con i suoi "up and down", nonostante le premure e il coinvolgimento emotivo nei confronti dell'altro/a... non vorrai parlarmi di "unione mistica fra le anime attraversi i corpi", vero?). Per questo non vedo la necessità logica dell'immaterialità (e la necessità materiale dell'immaterialità suonerebbe troppo paradossale).
Certo, l'amore è un concetto intersoggettivo perché comprende un'alterità (se è questo che intendevi), ma il suo essere concetto è sempre e solo soggettivo, è sempre un concetto e un vissuto per qualcuno (l'amore per me, non è l'amore per te, dicevamo; né fisicamente, né concettualmente).
Come in uno sport di squadra: do il mio apporto ad un gruppo, tuttavia l'esperienza del vissuto è, per me, inevitabilmente individuale (anche se il concetto generico di squadra rimanda ad una "pluralità").

Citazione di: Ipazia il 09 Maggio 2019, 17:38:37 PM
Con una comunità di intenti davvero rara in natura.
D'altronde la "base" è un istinto comune, feromoni, ormoni, etc. pura materia (non me ne vogliano i romantici).

Citazione di: Ipazia il 09 Maggio 2019, 17:38:37 PM
Sulla vita, non me la puoi ridurre a concetto e la morte a negazione di un concetto. La vita è la caratteristica essenziale del biologico e la morte è la sua negazione. La vita non è un assemblaggio inorganico di atomi che rimangono, salvo fissione nucleare, perennemente gli stessi. Se tu vuoi ridurre la vita a questo, ha ragione green a parlare di robotica. Neppure un biologo ultramaterialista ti darebbe ragione: l'organismo è più della somma delle sue parti.
La vita è per me una condizione materiale (biologica, chimica, etc.), ma non intendo certo una condizione casuale o statica o condizione equivalente alla morte: sono proprio queste differenze che le scienze ci spiegano, e lo fanno senza parlare di negazione (quello lo fa la logica, la filosofia, la poesia, etc.). Lo saprai meglio di me: le scienze parlano di presenza/assenza; che in un composto non ci sia acqua (assenza) non significa che quel composto "neghi" l'acqua; che in un circuito non "passi la corrente", non significa che esso "neghi" la corrente (questa è molto pertinente con la vita, non trovi?).
Come dicevo, c'è anche un'innegabile componente linguistica, umana, narrativa, etc. sulla vita ma, tuttavia, essa non è la vita; il segno non è il significato/senso (né della vita, né di altro).

Citazione di: Ipazia il 09 Maggio 2019, 17:38:37 PM
Sui "sonetti" della metafisica ti capisco. Ma poiesis vuol dire creare. Anche nelle scienze dure. La metafisica è una creatura umana. Conviene fare di necessità virtù e farsela persino piacere perchè come dicono i napoletani: ogni scarrafone è bello a mamma soja.
Certo, mi premeva solo distinguere fra filosofia e "letteratura" (un documentario da una saga fantasy, un telegiornale da un'opera teatrale, etc.), ma ciò non significa che proponga di eliminare la letteratura, secondo me va anzi tutelata, studiata, etc.

Lou

@phil
"Come dicevo, c'è anche un'innegabile componente linguistica, umana, narrativa, etc. sulla vita ma, tuttavia, essa non è la vita; il segno non è il significato/senso (né della vita, né di altro)."
Perchè no?
Perchè una narrazione sulla vita non ha a che fare in qualche modo e inerisce in qualche modo alla vita. Il segno non è avulso dal significato, altrimenti, banalmente, che senso avrebbe? Una cesura netta tra segno e significato, non può esistere, c'è una genealogia forse, tra i due? Altrimenti, di che stiamo parlando?
"La verità è brutta. Noi abbiamo l'arte per non perire a causa della verità." F. Nietzsche

Phil

Citazione di: Lou il 09 Maggio 2019, 18:56:20 PM
@phil
"Come dicevo, c'è anche un'innegabile componente linguistica, umana, narrativa, etc. sulla vita ma, tuttavia, essa non è la vita; il segno non è il significato/senso (né della vita, né di altro)."
Perchè no?
Perchè una narrazione sulla vita non ha a che fare in qualche modo e inerisce in qualche modo alla vita.
(Non so se hai avuto il masochismo di leggere le "puntate precedenti", nel dubbio non le do per scontate) L'affermare che «il segno non è il significato» implica una distinzione, ma non nega che i due abbiano un rapporto solidale, reciproco, dialettico, etc. Fuor di metafora, sostengo che «la narrazione sulla vita non è la vita» ovvero il nostro speculare e teorizzare sensi e metafisiche sulla vita, non vanno confusi con ciò che la vita è, almeno stando alle scienze (condizione biologica, etc.). Non nego il rapporto, nego l'identificazione (reciproca).

Citazione di: Lou il 09 Maggio 2019, 18:56:20 PM
Il segno non è avulso dal significato
Raramente, ma è comunque possibile: ci sono segni senza significati (lettere inventate e scarabocchi; non posso fare esempi perché la tastiera non lo consente...).

Lou

#260
Chiaro, anche perchè, per quanto ne sappiamo sino ad ora, è dalla vita che partono narrazioni sulla vita. Azzardando - la narrazione sulla vita è una tra le forme espressive della vita, appartiene alla vita.
Forse il problema esiste quando si ipostatizza una narrazione sulla vita a vita, se questo era il senso delle puntate precedenti, in parte concordo.

Sul secondo punto non so, trovo difficile pensare un segno scarabocchiato da qualcuno che non trovi almeno in un significato mancante la sua ragion d'essere. È con i significati che ci si confronta, anche quando paiono assenti e vuoti - lo scaffale vuoto o la chance mancata - a mio mero parere.
"La verità è brutta. Noi abbiamo l'arte per non perire a causa della verità." F. Nietzsche

Phil

Citazione di: Lou il 09 Maggio 2019, 20:11:26 PM
trovo difficile pensare un segno scarabocchiato da qualcuno che non trovi almeno in un significato mancante la sua ragion d'essere
O in un significato mancante o in un'infinità di significati possibili, di cui nessuno "vero": proprio come in un rorschach, nella vita ognuno ci vede quello che può/vuole e nessuno può dirgli che oggettivamente si sbaglia.
Ciò che è oggettivo è infatti solo la struttura grafica del di-segno, i colori, etc. proprio come sono oggettive bio-logia, neurologia, etc.

Lou

#262
Il "vero" del possibile, ha da essere, pre-supposto, in questo caso, oggettivamente. E inerisce ogni realtà che si da, altrimenti si direbbe impossibile.
"La verità è brutta. Noi abbiamo l'arte per non perire a causa della verità." F. Nietzsche

viator

Salve Ox. Rieccomi. Anzitutto ti ringrazio per il tuo apprezzamento. Proseguendo, ti cito : "A parer mio è infatti necessario distinguere fra il concetto e il concetto di qualcosa...
Voglio dire, se io, adesso, penso ad un cavallo e ad un ippogrifo, ci sarà pure una
differenza fra queste due idee, o no?".


Anzitutto io farei distinzione tra pensiero e concetto. Il pensierò in sè è semplicemente l'immagine di qualcosa (immagine ricordata di un cavallo visto dal vero o disegnato, ippografo solamente disegnato) che la mente richiama per collegarla a ricordi, nozioni, sensazioni, di cui ha voglia o bisogno di occuparsi.

Il concetto rappresenta lo specifico collegamento mentale alle nostre nozioni circa cavalli od ippogrifi, che vengono sintetizzate ed organizzate dall'intelletto (in forma logica e linguisticamente comunicabile) allo scopo di fissarlo per iscritto o poterlo comunque comunicare in modalità intersoggettiva,

Tempo fa la maggior parte della gente, quando pensava alla Terra, pensava di "sapere" che essa fosse piatta. Sviluppava quindi concetti, pensieri, intenzioni e persino decisioni che consideravano reale un bellissimo disco terrestre, poi magari qualcuno si divertiva anche ad immaginare ed a concettualizzare una bel globo, ma lo faceva in silenzio per timore di passar per matto.

Quindi di concetti ce ne sono ALMENO due tipi : quelli che corrispondono ad una realtà "scientifica" e "materiale" e quelli "campati per aria".

Anche anima e spirito sono concetti. Molta gente, nonostante affermi che essi siano rigorosamente immateriali, è pronta a spergiurare che la loro (Esistenza ? INsistenza?) ha importantissime conseguenze materiali, tra le quali la capacità – se abbinate a dei cadaveri – di farli un giorno resuscitare.

A dire il vero trovo capziosa la distinzione che hai voluto fare tra "concetti" e "concetti delle cose".
Un concetto che non possa venir riferito (vedere soprastante relazione tra pensiero e concetto) ad alcuna cosa.............che sarebbe ? Il concetto del Nulla ? Cioè il concetto dell'assenza dell'esistente ?

Il Nulla è citabile ma non concepibile, dal momento che implica anche la negazione (assenza) dell'esistenza di una sua concepibilità.

Il Tutto invece, è citabile, concepibile, ma pure materialmente esistente.
E' sufficiente postulare l'esistenza di qualcosa. Questo me lo concederai, vero ? Uno o più cosine materiali, anche minime minime. Se anche il regno della materia fosse limitato all'esistenza di un granello di sabbia e basta...........altro non esistendo quello sarebbe appunto il Tutto, no?
E poi l'esistenza di qualcosa giustifica, oltre al Tutto anche - come dissi nei giorni scorsi - la condizione per la quale le cause producono i loro effetti. L'Essere.

Infine per :"E non la possiede (la materialità) perchè non la può possedere: perchè è un'idea che non corrisponde ad un "oggetto""secondo me si ricade nella curiosa concezione dell'energia cui ho ultimamente accennato.
Dunque, sembra – a mio parere - che l'energia rappresenti una dimensione in sè immateriale che però produce una immensa mole di effetti materiali.

Questo però accade nella realtà a noi esterna. All'interno della nostra scatola cranica però – sempre a mio parere – sembra che la situazione si capovolga. Le nostre funzioni cerebrali si svolgono grazie ad un metabolismo ed un'attività neuronale che rappresentano l'effetto materiale dell'energia.

Quindi l'energia, dentro il cranio, si trasmette sempre su base materiale (mai radiante - no wi-fi e no Bluetooth !) riuscendo però a generare ed esprimere effetti immateriali.

L'energia "cosmica" sarebbe l'immateriale che genera effetti materiali.
L'energia "cerebrale" diventerebbe il materiale che genera effetti immateriali !

Potrà essere cosi ? O piuttosto – come io credo – non saremo noi stessi a poterlo credere essendo portati a "capovolgere specularmente" la realtà a noi esterna poichè essa comunica con noi solo attraverso LO SPECCHIO DELLA COSCIENZA ?

Energia, spirito, anima, pensiero, concettualità, sentimento sono solo la medesima immaterialità diversamente collocata nel tempo e nello spazio e destinata a suscitare una incomprensibile, irriconoscibile (a causa della vertiginosa complessità del mondo) varietà di effetti materiali.
Tutti i particolari della realtà possono da noi venir riconosciuti prima o poi, ma il problema è che la scena nel suo complesso presenterà i lati invertiti.

Si tratta della umana sindrome che ci porta a confondere (invertire tra loro) le CAUSE e gli EFFETTI. Pochi se ne accorgono, ma essa è costantemente in agguato.

Pensa a quante migliaia di situazione di questo tipo hanno infarcito la storia dell'umanità ! In questo stesso thread leggo di concezioni che affermano che Dio sicuramente esiste altrimenti l'Uomo non avrebbe avvertito il bisogno della sua esistenza.

Altri contestanol'utilità o la validità della metafisica. Cioè delle prime risposte (non importa se giuste o sbagliate) che l'Uomo ha cercato di darsi circa il senso del Mondo !! Come se senza le prime domande e risposte (che oggi sono semplicemente diventate le ULTERIORI domande e risposte) ci si fosse potuti porre le seconde e poi terze risposte e avessero potuto nascere le scienze !
Nuovi saluti a te e tutti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

Phil

Citazione di: Lou il 09 Maggio 2019, 21:10:08 PM
Il "vero" del possibile, ha da essere, pre-supposto, in questo caso, oggettivamente.
Se ho ben capito il senso della frase, non concordo: il "vero" significato della vita o di un segno non è pre-supposto, bensì post-ulato arbitrariamente, e non oggettivamente. Restando all'esempio del rorscach: guardo l'immagine e per me è "vero" che rappresenta un grattacielo, per te è "vero" che è una nave, etc. tutti significati "veri" (per chi ce li vede) che non erano presupposti e non hanno nulla di oggettivo; estemporanee interpretazioni possibili (comunque non sono uno psichiatra: magari non è l'esempio migliore?).

Citazione di: viator il 09 Maggio 2019, 21:24:29 PM
Altri contestanol'utilità o la validità della metafisica.
Avendo infestato le ultime pagine ed essendo non esattamente "follower" della metafisica (e non avendo tu fatto nomi), preferisco chiarire, a scanso di equivoci: non contesto l'utilità della metafisica (v. il mio ritenerla da tutelare, studiare, etc.), né tanto meno nego che sia utilizzata anche oggi da molti (il fatto che io non lo faccia, non è per me un vanto, solo una scelta, anzi «scommessa»); sulla sua validità e sulle sue tematiche classiche, ho addirittura scomodato Godel e il modus ponens per illustrarne la solidità logica: che poi la ritenga infalsificabile (poiché «valido», in logica, non significa «vero»), è dovuto alla sua stessa struttura, alla sua storia, al suo deduttivo scontrarsi con la chiusura causale del mondo fisico (almeno per come la vedo... fino a prova contraria).

davintro

per Phil

la possibilità di dimenticare il concetto di "penna" dopo averlo formato non toglie in nulla il carattere di universalità. A prescindere dal fatto di dimenticarlo o ricordarlo, resta comunque un concetto che poniamo come valente per tutte le penne possibili in ogni circostanza, dunque come universale. Anche quando provvisoriamente dimenticata, l'idea di penna resta nel fondo della mia coscienza come idea vigente per ogni penna possibile immaginabile, dunque sempre universale, e in questa latenza profonda non c'è nulla di fideistico e infalsificabile: la sua realtà è dimostrata a posteriori nel momento in cui, una volta che quell'idea mi torna in mente, non mi torna come fosse la prima volta, ma come concetto già "riempito" di un significato posto come universalmente valido, se l'idea dell'universalità fosse andata persa, nel momento del "richiamo" dovremmo concepire l'esperienza dell'oggetto come ancora del tutto individuale, senza averne un concetto, senza cioè attribuirle un senso universale, trascendente il modo in cui si presenta all'esperienza del richiamo circoscritta spazio temporalmente. Questo mostra come la coscienza non sia riducibile ai contenuti verso cui rivolgiamo la nostra attenzione in un determinato momento. Anche quando un contenuto non è oggetto della mia attenzione, resta comunque presente a dei livelli profondi, più difficili da "illuminarsi" sulla base degli atti di un Io, che deve per motivi pratico-esistenziali, badare al rapporto con gli stimoli del mondo esterno, senza poter realizzare una piena introspezione. E questo riconoscimento, come mostrato sopra, è razionale a posteriori, in quanto si può per via dialettica mostrare l'assurdo in cui incapperebbe la sua negazione (appunto, pretendere di trattare un'idea ricordata dopo una fase di oblio come fosse esperita la prima volta, senza riconoscere che il carattere di universalità costituente il significato resta intatto, comunque non si era mai davvero perso). La trascendenza dei pensieri adeguati alle possibilità della coscienza rispetto agli atti tramite cui, tramite stimoli sensibili, li sottoponiamo ad attenzione, rende ragione dell'autonomia, tornando al discorso di partenza, della questione metafisica sulle condizioni di adeguazione del pensiero umano nella pensabilità, anche solo potenziale, delle categorie che attribuiamo a Dio, e quello dei modi in base a cui l'uomo ha cominciato a esplicitare tali categorie, oggettivandole e tematizzandole in determinati momenti della storia. L'errore nel confondere il campo dell'attenzione cosciente con quello della coscienza nel complesso dei suoi livelli psichici, non solo quelli superficiali, penso stia dietro anche all'idea di vedere le parole del linguaggio come producenti i corrispondenti significati intelligibili. Le parole "richiamano" delle idee provvisoriamente dimenticate, ma possono farlo solo in quanto di quelle idee il significato è già stato inteso e compreso come corrispondente a un ente, al di là del segno sensibile tramite cui il significato viene comunicato. Le parole, i segni sensibili, privati dell'associazione con un significato intelligibile (nei concetti "astratti" l'intelligibilità è sia nella forma universale che nel contenuto intenzionato, in quelli riferite a oggetti fisici, non nel contenuto, ma pur sempre nella forma) non avrebbero alcun senso, mentre il significato, cioè ciò a cui si intende nel pronunciare una certa parola, resterebbe tale, anche una volta che convenzionalmente decidessimo di non utilizzare più le parole per comunicarlo. Il linguaggio non produce il pensiero, in quanto già nel momento in cui decidiamo di creare una parola per comunicare un'idea quell'idea dovrebbe per forza essere stata pensata, riconosciuta con un certo valore, tale da meritare ai nostri occhi l' "onore" di essere associata a un termine che consenta di comunicarne il significato ad altre persone. Il linguaggio non produce il pensiero, dunque ma tenta di rispecchiarlo in funzione comunicativa, pensare che lo produca sarebbe come pensare che un dipinto produca l'oggetto reale che cerca di rappresentare


Per Sgiombo


L'oggettività del significato non consiste in una presunta realtà trascendente rispetto alla mente pensante, non è necessario che l'albero verso cui si dirigono le rappresentazioni dei due individui nell'esempio esista davvero, anche ipotizzando sia solo immaginato, come fosse un ippogrifo, il suo significato resterebbe oggettivo nel senso che, al netto di varianti legate all'individualità soggettiva dei modi in cui viene immaginato, gli individui possono convenire del fatto di stare  immaginando la STESSA specie di oggetto. Anche solo immaginata, l'idea di albero è costituita da proprietà che accomuna tutti gli alberi, in questo senso è "oggettiva", ha un "nocciolo" essenziale, al di là dei differenti modi di immaginarlo, esattamente come nel momento in cui ciascuno di noi si immagina un ippogrifo, deve comunque attenersi a delle caratteristiche che definiscono l'ippogrifo in quanto tale. Non ci sarebbe la possibilità di definire le cose, se non ci riconoscessero delle caratteristiche comuni a degli enti, che ne costituiscono l'essenza invariante, oggettiva, al di là di alcuni aspetti accidentali legati alla soggettività di chi li pensa. E qui nasce l'equivoco nominalista: confondere le definizioni come prove a posteriori dell'esistenza delle proprietà comuni, con l'idea che il complesso di tali proprietà, l'essenza coincida con la definizione, riducendo l'idea a flatus voci, e dunque a mera convenzione terminologica. La confusione nasce dal non considerare che un conto è il percorso dimostrativo tramite cui le definizioni servono come prova per dimostrare la presenza nella nostra mente di idee universali, un altro pretendere sul piano ontologico di dire che tali idee non sono altro che definizioni, e che una volta deciso di eliminare queste, anche quelle sarebbero private di un loro senso oggettivo. In sintesi, le definizioni dimostrano le essenze nel senso che le presuppongono, ma le essenze non sono definizioni. Anche il giorno in cui decidessimo di eliminare dai vocabolari termini, sia applicabili a realtà esistenti come gli alberi che fantastiche come gli ippogrifi (o anche nel caso tali termini non fossero mai stati storicamente stabiliti) non per questo la sensatezza oggettiva delle motivazioni tramite cui i termini sono effettivamente stati creati, cioè le qualità comuni a tutti gli alberi o a tutti gli ippogrifi, verrebbero cancellate, al contrario esse manterrebbero una pensabilità, cioè un senso, che così mostrerebbe di essere preesistente rispetto all'arbitrarietà delle nostre soggettive scelte linguistiche

viator

Salve. Per Phil. Non pensavo proprio a te. Anzi, a nessuno in particolare. Solo ricordavo - qui e là - l'esistenza di accenni di questo tipo in questa ed altre discussioni. Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

Phil

Citazione di: davintro il 12 Maggio 2019, 22:27:16 PM
la possibilità di dimenticare il concetto di "penna" dopo averlo formato non toglie in nulla il carattere di universalità. A prescindere dal fatto di dimenticarlo o ricordarlo, resta comunque un concetto che poniamo come valente per tutte le penne possibili in ogni circostanza, dunque come universale.
Non parlavo del concetto di penna in generale ma de
Citazione di: Phil il 09 Maggio 2019, 00:51:52 AM
la sua esatta forma astratta, ma è solo un "calco vuoto" nella mia mente
ed è qualcosa che nella tua mente (probabilmente) non c'è, perché magari non hai mai visto la forma esatta della mia penna, quindi non hai potuto astrarla. Il che non significa che tu non la riconosca come penna, ma dimostra che, come dicevo, l'astrazione non è sempre universale (almeno non lo è quella della forma esatta ed astratta della mia penna particolare).

Citazione di: davintro il 12 Maggio 2019, 22:27:16 PM
Il linguaggio non produce il pensiero, in quanto già nel momento in cui decidiamo di creare una parola per comunicare un'idea quell'idea dovrebbe per forza essere stata pensata
Eppure, nel momento in cui leggi (non pensi) una parola nuova ma intuitiva (il mio improvvisato esempio era «disilluminare»), il pensiero dell'azione corrispondente non è forse creato prodotto dal linguaggio scritto?
Se «il linguaggio non produce il pensiero»(cit.), com'è possibile apprendere nuovi concetti? Perché leggere libri (soprattutto, di filosofia)? Mera anamnesi?

Comunque, riguardo le idee che preesistono il rispettivo contenuto di esperienza cosciente, come dicevo
Citazione di: Phil il 09 Maggio 2019, 00:51:52 AM
Non entro nel merito dell'esistenza di idee platoniche latenti, eterne e universali, poiché è indimostrabile sia la loro presenza (almeno finché non affiorano/si formano) che la loro assenza (essendo per definizione inverificabili).

Ipazia

Citazione di: Phil il 09 Maggio 2019, 22:16:31 PM
non contesto l'utilità della metafisica (v. il mio ritenerla da tutelare, studiare, etc.), né tanto meno nego che sia utilizzata anche oggi da molti (il fatto che io non lo faccia, non è per me un vanto, solo una scelta, anzi «scommessa»); sulla sua validità e sulle sue tematiche classiche, ho addirittura scomodato Godel e il modus ponens per illustrarne la solidità logica: che poi la ritenga infalsificabile (poiché «valido», in logica, non significa «vero»), è dovuto alla sua stessa struttura, alla sua storia, al suo deduttivo scontrarsi con la chiusura causale del mondo fisico (almeno per come la vedo... fino a prova contraria).

Scommessa persa in partenza visto che la stessa chiusura causale del mondo fisico è un postulato metafisico "infalsificabile". (tu accetti le faccine ?)
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

sgiombo

Citazione di: davintro il 12 Maggio 2019, 22:27:16 PM


L'oggettività del significato non consiste in una presunta realtà trascendente rispetto alla mente pensante, non è necessario che l'albero verso cui si dirigono le rappresentazioni dei due individui nell'esempio esista davvero, anche ipotizzando sia solo immaginato, come fosse un ippogrifo, il suo significato resterebbe oggettivo nel senso che, al netto di varianti legate all'individualità soggettiva dei modi in cui viene immaginato, gli individui possono convenire del fatto di stare  immaginando la STESSA specie di oggetto.
Citazione
Ma c' é una bella differenza fra la denotazione o estensione reale di un concetto di "un certo albero" (== un certo albero che oltre ad essere pensato é anche realmente esistente) e la sola connotazione o intensione meramente cogitativa di un concetto inesistente nella realtà ma solo pensato; e questo anche se intersoggettivamente si può convenire (arbitrariamente; indipendentemente da ciò che é reale o meno) pure sulle connotazioni o intensioni di concetti privi di denotazioni o estensioni reali.




Anche solo immaginata, l'idea di albero è costituita da proprietà che accomuna tutti gli alberi, in questo senso è "oggettiva",
Citazione
Ma é comunque convenzionalmente che si stabilisce il concetto di "albero"; per esempio distinguendolo (cosa che si potrebbe anche non fare, volendo) dall' erba anziché accomunarvelo nel concetto di "vegetale".





ha un "nocciolo" essenziale, al di là dei differenti modi di immaginarlo, esattamente come nel momento in cui ciascuno di noi si immagina un ippogrifo, deve comunque attenersi a delle caratteristiche che definiscono l'ippogrifo in quanto tale.
Citazione
Sempre arbitrariamente stabilite: nessuno vieta che arbitrariamente si convenga che un ippogrifo oltre che quattro arti equini e due ali da uccello debba vere anche un bel paio di corna o meno.

Ma al concetto di "cavallo", se si vuole che rispecchi la realtà, non si possono attribuire ali, né corna.



Non ci sarebbe la possibilità di definire le cose, se non ci riconoscessero delle caratteristiche comuni a degli enti, che ne costituiscono l'essenza invariante, oggettiva, al di là di alcuni aspetti accidentali legati alla soggettività di chi li pensa.
Citazione
Questo é il caso del concetto di "cavallo" ma non di quello di "ippogrifo".




E qui nasce l'equivoco nominalista: confondere le definizioni come prove a posteriori dell'esistenza delle proprietà comuni, con l'idea che il complesso di tali proprietà, l'essenza coincida con la definizione, riducendo l'idea a flatus voci, e dunque a mera convenzione terminologica. La confusione nasce dal non considerare che un conto è il percorso dimostrativo tramite cui le definizioni servono come prova per dimostrare la presenza nella nostra mente di idee universali, un altro pretendere sul piano ontologico di dire che tali idee non sono altro che definizioni, e che una volta deciso di eliminare queste, anche quelle sarebbero private di un loro senso oggettivo. In sintesi, le definizioni dimostrano le essenze nel senso che le presuppongono, ma le essenze non sono definizioni. Anche il giorno in cui decidessimo di eliminare dai vocabolari termini, sia applicabili a realtà esistenti come gli alberi che fantastiche come gli ippogrifi (o anche nel caso tali termini non fossero mai stati storicamente stabiliti) non per questo la sensatezza oggettiva delle motivazioni tramite cui i termini sono effettivamente stati creati, cioè le qualità comuni a tutti gli alberi o a tutti gli ippogrifi, verrebbero cancellate, al contrario esse manterrebbero una pensabilità, cioè un senso, che così mostrerebbe di essere preesistente rispetto all'arbitrarietà delle nostre soggettive scelte linguistiche
Citazione
L' errore sta tutto nell' indebita confusione fra concetti che sono dotati, oltre che di una connotazione o intensione cogitativa, anche di una denotazione o estensione reale e concetti che hanno solo quest' ultima e non la prima (fra cose meramente pensate ed eventualmente reali solo in quanto tali e cose reali indipendentemente dal fatto che eventualmente che le si pensi o meno).
E inoltre dall' erronea convinzione che gli universali "realisticamente" abbiano una realtà che ecceda le loro caratteristiche di astrazioni da fatti concreti.

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