L'impossibilità di una filosofia senza metafisica

Aperto da davintro, 11 Aprile 2019, 20:01:46 PM

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davintro

Non è la prova ontologica (di cui considero un punto debole argomentativo il carattere morale-assiologico della categoria di "grandezza", carattere che rende arbitraria la sua applicazione riguardo l'utilizzabilità come predicato di enti) la via tramite cui considero un passaggio deduttivo tra la presenza tra la pensabilità dell'idea di Dio e la sua esistenza, bensì tale pensabilità non come pensabilità in generale, ma come pensabilità di un ente per definizione spirituale, immateriale, irriducibile all'essere un insieme di parti spaziali da unire tramite l'immaginazione. Quindi paragonare l'idea di Dio a quella di un ippogrifo o a una teiera vuol dire non considerare la differenza qualitativa tra il modo di formarsi l'idea di un oggetto materiale, formarsi concepibile come sommatoria di parti spaziali, tramite la fantasia, e quello di una nozione, che significando un contenuto immateriale, non può essere pensato come un'insieme di spazi di cui l'immaginazione ne inventa l'unificazione, ma come un'unità semplice e primitiva che richiede una realtà ad essa corrispondente responsabile della sua presenza tra le potenzialità del nostro pensiero. Questa richiesta è un'esigenza della nostra razionalità, non ci trovo nulla di infalsificabile o fideistico, chi intende falsificare tale esigenza è libero di argomentare riguardo la riconduzione della modalità di formazione delle idee di enti immateriali alla stessa di quelli materiali, se ci riesce (riconduzione che io troverei assurda, ma resto disponibile a vagliare eventuali argomenti a riguardo e a valutare la loro forza persuasiva senza alcun dogmatismo).

La data di nascita dell'idea di Dio può riferirsi al suo divenire esplicito oggetto di attenzione da parte dell'essere umano in un certo momento della storia, ma il mio discorso, come precisato in precedenza, non riguarda l'origine dell'idea di Dio nel momento in cui diviene effettivamente pensata da un uomo, ma le condizioni della sua pensabilità da parte dell'uomo come predisposto a pensarla, indipendentemente dal fatto che in un certo momento tale pensabilità sia attuata effettivamente. Confondere i due piani, quello dell'effettivo pensare un'idea, e quello delle condizioni di potenzialità della pensabilità del significato è il classico errore dello psicologismo relativistico, che presume di far coincidere il significato oggettivo di un'idea con i soggettivi atti psicologici tramite cui esso viene storicamente pensato da un pensiero, arrivando all'assurdo di negare la verità oggettiva e universale dei princìpi logici sulla base della contingenza storica degli atti soggettivi tramite cui questi atti vengono pensati. La questione delle condizioni di pensabilità potenziale del significato dell'idea di Dio da parte dell'uomo è altra rispetto a quella, non filosofica, ma storica, dei modi in cui l'uomo ha effettivamente cominciato a pensare a Dio, e non si risolve in questa. Possiamo pensare a una data di nascita per quanto riguarda l'attualizzazione del pensiero di Dio, non rispetto alla sua pensabilità in generale, che, essendo inscritta nell'essenza del significato dell'idea in questione e nell'essenza del pensiero umano predisposto verso di esso, attiene a un piano trascendentale, sovratemporale, quello della relazione di adeguazione di un'idea alle possibilità, non necessariamente attuali, per un pensiero di riceverla. Far coincidere il piano della pensabilità potenziale con quello delle attualizzazioni del pensiero porterebbe a concepire assurdità come pensare che la potenzialità per il pensiero umano di apprendere la matematica si originerebbe nel momento in cui effettivamente il bambino impara a contare a scuola, e allora, una volta negato ogni innatismo della predisposizione, facendo coincidere quest'ultima con la sua esplicita attualizzazione dell'idea, dovremmo arrivare a sostenere che qualunque essere, anche un cane o una pianta, potrebbero con la stessa facilità imparare a contare, proprio perché le differenze ontologiche, essenziali di predisposizione non avrebbero più alcuna autonomia rispetto al momento in cui si passa dalla predisposizione all'attuazione del pensiero. In realtà, così come la mente umana è predisposta a contare indipendentemente dal fatto di ricevere quegli stimoli che portano a tematizzare esplicitamente tale facoltà, così l'idea di Dio è eternamente presente tra le potenzialità del pensiero umano, indipendentemente dall'individuazione di una data storica in cui l'uomo ha cominciato a tematizzare esplicitamente tale idea, e dunque il problema di rendere ragione di tale predisposizione non può essere risolto sulla base dell'individuazione storica stessa

Phil

Continuo con le domande e i contro-esempi perché ancora non riesco a capire esattamente (dal punto di vista logico).
Citazione di: davintro il 07 Maggio 2019, 23:32:10 PM
una nozione, che significando un contenuto immateriale, non può essere pensato come un'insieme di spazi di cui l'immaginazione ne inventa l'unificazione, ma come un'unità semplice e primitiva che richiede una realtà ad essa corrispondente responsabile della sua presenza tra le potenzialità del nostro pensiero. Questa richiesta è un'esigenza della nostra razionalità, non ci trovo nulla di infalsificabile
Qual'è la ragione di tale «esigenza»? Ovvero, se così non fosse, se non ci fosse una «unità semplice e primitiva che richiede una realtà ad essa corrispondente responsabile della sua presenza tra le potenzialità del nostro pensiero»(cit.), ma tale presenza fosse generata in modo endogeno (come intuizioni, colpi di genio, fobie, etc.), dove sarebbe il crollo della razionalità?

La razionalità richiede di identificare un'identità logica (a=a); che a ciò corrisponda qualcosa di esistente o meno è irrilevante per la logica.
Posso infatti postulare l'idea di un fantasma invisibile (esempio banale, ma l'ora è tarda e la fantasia latita) come idea non commensurabile ai miei sensi né alla mia esperienza, ma ciò non "esige" razionalmente l'esistenza reale del fantasma, solo perché "se non esistesse, non sarei stato in grado di immaginarlo". Giusto?

Citazione di: davintro il 07 Maggio 2019, 23:32:10 PM
Questa richiesta è un'esigenza della nostra razionalità, non ci trovo nulla di infalsificabile
Il suo contenuto non è forse infalsificabile? Ad esempio
Citazione di: davintro il 07 Maggio 2019, 23:32:10 PM
un ente per definizione spirituale, immateriale, irriducibile all'essere un insieme di parti spaziali da unire tramite l'immaginazione.
L'esistenza di un tale ente è infalsificabile? Se è razionalmente (o in altro modo) falsificabile, come?

Citazione di: davintro il 07 Maggio 2019, 23:32:10 PM
chi intende falsificare tale esigenza è libero di argomentare riguardo la riconduzione della modalità di formazione delle idee di enti immateriali alla stessa di quelli materiali
Come dicevo nel post, credo che il processo di astrazione sia sufficiente: ogni idea di un ente immateriale (dio, anima, fantasmi, etc.) nasce astraendo caratteristiche del reale e poi alterandole o pensandone l'opposto; la stessa idea di im-materiale, nasce così (negando astrattamente il materiale), no?

Citazione di: davintro il 07 Maggio 2019, 23:32:10 PM
Far coincidere il piano della pensabilità potenziale con quello delle attualizzazioni del pensiero porterebbe a concepire assurdità come pensare che la potenzialità per il pensiero umano di apprendere la matematica si originerebbe nel momento in cui effettivamente il bambino impara a contare a scuola, e allora, una volta negato ogni innatismo della predisposizione, facendo coincidere quest'ultima con la sua esplicita attualizzazione dell'idea, dovremmo arrivare a sostenere che qualunque essere, anche un cane o una pianta, potrebbero con la stessa facilità imparare a contare, proprio perché le differenze ontologiche, essenziali di predisposizione non avrebbero più alcuna autonomia rispetto al momento in cui si passa dalla predisposizione all'attuazione del pensiero.
La predisposizione alla matematica è il pensiero astratto (anche altri animali hanno pensiero astratto; ce ne sono infatti alcuni che sembra siano stati addestrati a contare, ma non è questo il punto). Al contrario: un cane e una pianta non contano, eppure, stando alla tua prospettiva, potremmo davvero dire che hanno comunque la predisposizione a farlo, pur non avendola ancora attualizzata (poiché, come suggerisci, non dobbiamo «far coincidere il piano della pensabilità potenziale con quello delle attualizzazioni del pensiero»)?
Possiamo dimostrare che non abbiano tale predisposizione e che fra qualche eone non inizino a contare?
Ancora: se usiamo idee indimostrabili, tutto è possibile; tuttavia il possibile non è il reale (per quanto astratto) che non è l'esistente (fino a prova contraria).

Citazione di: davintro il 07 Maggio 2019, 23:32:10 PM
In realtà, così come la mente umana è predisposta a contare indipendentemente dal fatto di ricevere quegli stimoli che portano a tematizzare esplicitamente tale facoltà, così l'idea di Dio è eternamente presente tra le potenzialità del pensiero umano
L'«eternamente presente» è un'altro fattore infalsificabile (che "giustifica" chi non crede in un dio come chi non ha ancora "attivato" quell'idea; come chi potrebbe imparare la matematica, ma non l'ha ancora dimostrato; sia esso uomo o cane. Non so se l'epigenetica concordi con tale "rigidità cognitiva"... ma è altro argomento e non ne sono affatto esperto).

Secondo me, le potenzialità del pensiero umano (quindi anche pensare a fantasmi o uomini invisibili ed immortali) non rispecchiano sempre la potenzialità effettive del reale (uomini immortali e invisibili non sono geneticamente possibili) e nemmeno l'esistenza dei contenuti delle idee pensate (non ci sono i fantasmi... ma sempre fino a prova contraria, semmai si possa averla... altrimenti tocca "scommettere").

Ipazia

Citazione di: Phil il 08 Maggio 2019, 01:07:42 AM
Come dicevo nel post, credo che il processo di astrazione sia sufficiente: ogni idea di un ente immateriale (dio, anima, fantasmi, etc.) nasce astraendo caratteristiche del reale e poi alterandole o pensandone l'opposto; la stessa idea di im-materiale, nasce così (negando astrattamente il materiale), no ?

Concordo con l'affermazione (e il post nel suo insieme) nel contesto del discorso sull'immateriale fantasmatico, estrapolabile dal reale immanente come insegnano la storia umana e le psicoscienze ma, dopo aver riflettuto su astratto e immateriale, rimango dell'idea che vi sia una differenza reale tra i due concetti. L'astratto teorizza, l'immateriale opera (lo fa anche l'i. fantasmatico).

Anche il negativo (figlio del polemos eracliteo), come insegna la dialettica materialistica, opera. L'immateriale antropologico è negazione non solo astratta, ma anche concreta, del materiale. L'astrazione si individua a posteriori quando la "negazione" dialettica ha operato la sua sintesi concreta.

La morte, nel contesto del vivente, è negazione reale, terribilmente concreta, della vita. Nel contesto degli elementi chimici che compongono il vivente invece non produce alcun mutamento. Quindi è sempre il contesto il fondamento ontologico su cui costituire una episteme fondata. Nel contesto antropologico l'immateriale è un ente reale (mente, psiche, cogito,...) capace di rendere operative e concrete le sue astrazioni, manipolando materiale con materiale. Realizzando alfine quello che Marx definisce condizioni materiali dell'esistenza la cui regia non è certo ascrivibile a mamma natura se non attraverso una sua emergenza alquanto originale.

Il trascendentale immanente kantiano esiste ed è una cosa seria, reale. Non un fantasma. E' un reale  impossibile da interpretare e manipolare senza una sua metafisica ad hoc che Kant iniziò a delineare nel suo processo esistenziale principale ("l'ape e l'architetto" di Marx) sfruttando al meglio del suo tempo l'assist cartesiano.

pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

sgiombo

Citazione di: davintro il 07 Maggio 2019, 23:32:10 PM
Non è la prova ontologica (di cui considero un punto debole argomentativo il carattere morale-assiologico della categoria di "grandezza", carattere che rende arbitraria la sua applicazione riguardo l'utilizzabilità come predicato di enti) la via tramite cui considero un passaggio deduttivo tra la presenza tra la pensabilità dell'idea di Dio e la sua esistenza, bensì tale pensabilità non come pensabilità in generale, ma come pensabilità di un ente per definizione spirituale, immateriale, irriducibile all'essere un insieme di parti spaziali da unire tramite l'immaginazione. Quindi paragonare l'idea di Dio a quella di un ippogrifo o a una teiera vuol dire non considerare la differenza qualitativa tra il modo di formarsi l'idea di un oggetto materiale, formarsi concepibile come sommatoria di parti spaziali, tramite la fantasia, e quello di una nozione, che significando un contenuto immateriale, non può essere pensato come un'insieme di spazi di cui l'immaginazione ne inventa l'unificazione, ma come un'unità semplice e primitiva che richiede una realtà ad essa corrispondente responsabile della sua presenza tra le potenzialità del nostro pensiero. Questa richiesta è un'esigenza della nostra razionalità, non ci trovo nulla di infalsificabile o fideistico, chi intende falsificare tale esigenza è libero di argomentare riguardo la riconduzione della modalità di formazione delle idee di enti immateriali alla stessa di quelli materiali, se ci riesce (riconduzione che io troverei assurda, ma resto disponibile a vagliare eventuali argomenti a riguardo e a valutare la loro forza persuasiva senza alcun dogmatismo).
Citazione
Non vedo proprio alcuna differenza con la celebre prova anselmiana.
 
Di qualunque idea si parli, si può stabilire se essa abbia un referente reale o meno unicamente attraverso una verifica empirica (un giudizio sintetico a posteriori) e non attraverso giudizi analitici a priori, dal momento che qualsiasi considerazione sulle caratteristiche proprie dell' idea stessa é relativa ad essa in quanto pensata, "contenuto di pensiero" e non a eventuali suoi referenti reali (reali ulteriormente rispetto alla realtà del pensiero stesso dell' idea come mero concetto cogotativo).



La data di nascita dell'idea di Dio può riferirsi al suo divenire esplicito oggetto di attenzione da parte dell'essere umano in un certo momento della storia, ma il mio discorso, come precisato in precedenza, non riguarda l'origine dell'idea di Dio nel momento in cui diviene effettivamente pensata da un uomo, ma le condizioni della sua pensabilità da parte dell'uomo come predisposto a pensarla, indipendentemente dal fatto che in un certo momento tale pensabilità sia attuata effettivamente. Confondere i due piani, quello dell'effettivo pensare un'idea, e quello delle condizioni di potenzialità della pensabilità del significato è il classico errore dello psicologismo relativistico, che presume di far coincidere il significato oggettivo di un'idea con i soggettivi atti psicologici tramite cui esso viene storicamente pensato da un pensiero, arrivando all'assurdo di negare la verità oggettiva e universale dei princìpi logici sulla base della contingenza storica degli atti soggettivi tramite cui questi atti vengono pensati. La questione delle condizioni di pensabilità potenziale del significato dell'idea di Dio da parte dell'uomo è altra rispetto a quella, non filosofica, ma storica, dei modi in cui l'uomo ha effettivamente cominciato a pensare a Dio, e non si risolve in questa. Possiamo pensare a una data di nascita per quanto riguarda l'attualizzazione del pensiero di Dio, non rispetto alla sua pensabilità in generale, che, essendo inscritta nell'essenza del significato dell'idea in questione e nell'essenza del pensiero umano predisposto verso di esso, attiene a un piano trascendentale, sovratemporale, quello della relazione di adeguazione di un'idea alle possibilità, non necessariamente attuali, per un pensiero di riceverla. Far coincidere il piano della pensabilità potenziale con quello delle attualizzazioni del pensiero porterebbe a concepire assurdità come pensare che la potenzialità per il pensiero umano di apprendere la matematica si originerebbe nel momento in cui effettivamente il bambino impara a contare a scuola, e allora, una volta negato ogni innatismo della predisposizione, facendo coincidere quest'ultima con la sua esplicita attualizzazione dell'idea, dovremmo arrivare a sostenere che qualunque essere, anche un cane o una pianta, potrebbero con la stessa facilità imparare a contare, proprio perché le differenze ontologiche, essenziali di predisposizione non avrebbero più alcuna autonomia rispetto al momento in cui si passa dalla predisposizione all'attuazione del pensiero. In realtà, così come la mente umana è predisposta a contare indipendentemente dal fatto di ricevere quegli stimoli che portano a tematizzare esplicitamente tale facoltà, così l'idea di Dio è eternamente presente tra le potenzialità del pensiero umano, indipendentemente dall'individuazione di una data storica in cui l'uomo ha cominciato a tematizzare esplicitamente tale idea, e dunque il problema di rendere ragione di tale predisposizione non può essere risolto sulla base dell'individuazione storica stessa
Citazione
L' uomo nasce con la predisposizione a pensare (anche) cose inesistenti, (anche) concetti matematici.
Ma questa predisposizione comportamentale (che invece, per lo meno per quanto riguarda i concetti matematici, non é del cane né di altri animali) in nessun modo prova l' esistenza reale di ciò che essa, esplicandosi, attuandosi (da mera potenzialità che era) in seguito alle sollecitazioni empiriche e agli insegnamenti ricevuti, fa sì che venga pensato.
Questo vale indifferentemente per ogni e qualsiasi cosa pensata (Dio, ippogrifi, teiere interplanetarie e chi più ne ha più ne metta): non si può in base al solo pensiero, attraverso giudizi analitici a priori, indipendentemente da verifiche-falsificazioni empiriche a posteriori stabilire che cosa esista- accada realmente e che cosa no (ma solo che cosa sia coerente o meno con le premesse ideali, "cogitative" e non necessariamente reali, di partenza).
Pretenderlo significa proprio confondere i ben diversi piani ontologici del (reale unicamente in quanto) pensato-pensabile e del reale in quanto tale.
 
l'idea di Dio è presente tra le potenzialità del pensiero umano (== può esere pensata dagli uomini), esattamente come quelle di triangolo, di linea retta, circonferenza, ippogrifo, teiera interplanetaria, ecc., indipendentemente dall'individuazione di una data storica in cui l'uomo ha cominciato a tematizzare esplicitamente tale e tali altre idee.
Ma ciò non ne prova di certo l' esistenza reale.

sgiombo

Citazione di: Ipazia il 08 Maggio 2019, 14:07:42 PM
Citazione di: Phil il 08 Maggio 2019, 01:07:42 AM
Come dicevo nel post, credo che il processo di astrazione sia sufficiente: ogni idea di un ente immateriale (dio, anima, fantasmi, etc.) nasce astraendo caratteristiche del reale e poi alterandole o pensandone l'opposto; la stessa idea di im-materiale, nasce così (negando astrattamente il materiale), no ?

Concordo con l'affermazione (e il post nel suo insieme) nel contesto del discorso sull'immateriale fantasmatico, estrapolabile dal reale immanente come insegnano la storia umana e le psicoscienze ma, dopo aver riflettuto su astratto e immateriale, rimango dell'idea che vi sia una differenza reale tra i due concetti. L'astratto teorizza, l'immateriale opera (lo fa anche l'i. fantasmatico).

Anche il negativo (figlio del polemos eracliteo), come insegna la dialettica materialistica, opera. L'immateriale antropologico è negazione non solo astratta, ma anche concreta, del materiale. L'astrazione si individua a posteriori quando la "negazione" dialettica ha operato la sua sintesi concreta.

La morte, nel contesto del vivente, è negazione reale, terribilmente concreta, della vita. Nel contesto degli elementi chimici che compongono il vivente invece non produce alcun mutamento. Quindi è sempre il contesto il fondamento ontologico su cui costituire una episteme fondata. Nel contesto antropologico l'immateriale è un ente reale (mente, psiche, cogito,...) capace di rendere operative e concrete le sue astrazioni, manipolando materiale con materiale. Realizzando alfine quello che Marx definisce condizioni materiali dell'esistenza la cui regia non è certo ascrivibile a mamma natura se non attraverso una sua emergenza alquanto originale.

Il trascendentale immanente kantiano esiste ed è una cosa seria, reale. Non un fantasma. E' un reale  impossibile da interpretare e manipolare senza una sua metafisica ad hoc che Kant iniziò a delineare nel suo processo esistenziale principale ("l'ape e l'architetto" di Marx) sfruttando al meglio del suo tempo l'assist cartesiano.


Che (il pensiero di) ciò che non é reale possa avere effetti ben reali (anche "corposi", anche "grandiosi") concordo ovviamente: quanta gente é stata ed é ammazzata per effetto, diretto o meno, coerente o meno, "debito" o "indebito", dell' idea di Dio!

Ma ciò non ne fa (di ciò che é pensato e non reale se non unicamente in quanto tale, mero oggetto di pensiero) altrettanto ovviamente qualcosa di reale.

MI scuso per la banalità di queste affermazioni, ma mi sembrava che potesse sorgere qualche malinteso.

davintro

Citazione di: Phil il 08 Maggio 2019, 01:07:42 AMContinuo con le domande e i contro-esempi perché ancora non riesco a capire esattamente (dal punto di vista logico).
Citazione di: davintro il 07 Maggio 2019, 23:32:10 PMuna nozione, che significando un contenuto immateriale, non può essere pensato come un'insieme di spazi di cui l'immaginazione ne inventa l'unificazione, ma come un'unità semplice e primitiva che richiede una realtà ad essa corrispondente responsabile della sua presenza tra le potenzialità del nostro pensiero. Questa richiesta è un'esigenza della nostra razionalità, non ci trovo nulla di infalsificabile
Qual'è la ragione di tale «esigenza»? Ovvero, se così non fosse, se non ci fosse una «unità semplice e primitiva che richiede una realtà ad essa corrispondente responsabile della sua presenza tra le potenzialità del nostro pensiero»(cit.), ma tale presenza fosse generata in modo endogeno (come intuizioni, colpi di genio, fobie, etc.), dove sarebbe il crollo della razionalità? La razionalità richiede di identificare un'identità logica (a=a); che a ciò corrisponda qualcosa di esistente o meno è irrilevante per la logica. Posso infatti postulare l'idea di un fantasma invisibile (esempio banale, ma l'ora è tarda e la fantasia latita) come idea non commensurabile ai miei sensi né alla mia esperienza, ma ciò non "esige" razionalmente l'esistenza reale del fantasma, solo perché "se non esistesse, non sarei stato in grado di immaginarlo". Giusto?
Citazione di: davintro il 07 Maggio 2019, 23:32:10 PMQuesta richiesta è un'esigenza della nostra razionalità, non ci trovo nulla di infalsificabile
Il suo contenuto non è forse infalsificabile? Ad esempio
Citazione di: davintro il 07 Maggio 2019, 23:32:10 PMun ente per definizione spirituale, immateriale, irriducibile all'essere un insieme di parti spaziali da unire tramite l'immaginazione.
L'esistenza di un tale ente è infalsificabile? Se è razionalmente (o in altro modo) falsificabile, come?
Citazione di: davintro il 07 Maggio 2019, 23:32:10 PMchi intende falsificare tale esigenza è libero di argomentare riguardo la riconduzione della modalità di formazione delle idee di enti immateriali alla stessa di quelli materiali
Come dicevo nel post, credo che il processo di astrazione sia sufficiente: ogni idea di un ente immateriale (dio, anima, fantasmi, etc.) nasce astraendo caratteristiche del reale e poi alterandole o pensandone l'opposto; la stessa idea di im-materiale, nasce così (negando astrattamente il materiale), no?
Citazione di: davintro il 07 Maggio 2019, 23:32:10 PMFar coincidere il piano della pensabilità potenziale con quello delle attualizzazioni del pensiero porterebbe a concepire assurdità come pensare che la potenzialità per il pensiero umano di apprendere la matematica si originerebbe nel momento in cui effettivamente il bambino impara a contare a scuola, e allora, una volta negato ogni innatismo della predisposizione, facendo coincidere quest'ultima con la sua esplicita attualizzazione dell'idea, dovremmo arrivare a sostenere che qualunque essere, anche un cane o una pianta, potrebbero con la stessa facilità imparare a contare, proprio perché le differenze ontologiche, essenziali di predisposizione non avrebbero più alcuna autonomia rispetto al momento in cui si passa dalla predisposizione all'attuazione del pensiero.
La predisposizione alla matematica è il pensiero astratto (anche altri animali hanno pensiero astratto; ce ne sono infatti alcuni che sembra siano stati addestrati a contare, ma non è questo il punto). Al contrario: un cane e una pianta non contano, eppure, stando alla tua prospettiva, potremmo davvero dire che hanno comunque la predisposizione a farlo, pur non avendola ancora attualizzata (poiché, come suggerisci, non dobbiamo «far coincidere il piano della pensabilità potenziale con quello delle attualizzazioni del pensiero»)? Possiamo dimostrare che non abbiano tale predisposizione e che fra qualche eone non inizino a contare? Ancora: se usiamo idee indimostrabili, tutto è possibile; tuttavia il possibile non è il reale (per quanto astratto) che non è l'esistente (fino a prova contraria).
Citazione di: davintro il 07 Maggio 2019, 23:32:10 PMIn realtà, così come la mente umana è predisposta a contare indipendentemente dal fatto di ricevere quegli stimoli che portano a tematizzare esplicitamente tale facoltà, così l'idea di Dio è eternamente presente tra le potenzialità del pensiero umano
L'«eternamente presente» è un'altro fattore infalsificabile (che "giustifica" chi non crede in un dio come chi non ha ancora "attivato" quell'idea; come chi potrebbe imparare la matematica, ma non l'ha ancora dimostrato; sia esso uomo o cane. Non so se l'epigenetica concordi con tale "rigidità cognitiva"... ma è altro argomento e non ne sono affatto esperto). Secondo me, le potenzialità del pensiero umano (quindi anche pensare a fantasmi o uomini invisibili ed immortali) non rispecchiano sempre la potenzialità effettive del reale (uomini immortali e invisibili non sono geneticamente possibili) e nemmeno l'esistenza dei contenuti delle idee pensate (non ci sono i fantasmi... ma sempre fino a prova contraria, semmai si possa averla... altrimenti tocca "scommettere").

intuizioni, colpi di genio ecc. non sono atti capaci di produrre ex novo delle idee, si limitano a consentire a una mente di rivolgere attenzione a dei contenuti il cui significato già precedentemente a tali atti, rientrava nella pensabilità potenziale di tale mente. Le intuizioni, essendo atti sintetici, ricevono nozioni, non le producono, non sono atti creativi, ma constatativi. La questione delle condizioni di tale pensabilità potenziale è altra rispetto a quelle dei modi in cui le idee divengono oggetti della nostra attenzione in un determinato momento, cioè passano da una implicita latenza a un'esplicita tematizzazione. Il passaggio metafisico è richiesto dalla prima, non dalla seconda. La pensabilità potenziale di un'idea presuppone pur sempre un'adeguazione, una corrispondenza tra pensiero soggettivo e significato oggettivo dell'idea in questione. Se categorie, come eternità, perfezione, infinito, universale, quelle con cui comunemente definiamo Dio, fossero pienamente adeguati alla mente umana che le utilizza, senza alcuna necessità di concepire l'esperienza di una realtà trascendente da cui far derivare la loro pensabilità, allora la mente umana dovrebbe essere a sua volta, eterna, infinita ecc., ma la finitezza ontologica dell'uomo, nonché di ogni entità fisica di cui avere un'esperienza mondana, fa sì che tali idee derivino la loro pensabilità dall'unica fonte, la cui realtà sarebbe adeguata ad esse. La mente umana, stante i suoi limiti ontologici, non crea idee dal nulla, ma attende di formarle tramite l'esperienza di realtà adeguate al significato delle idee in questione. L'astrazione non può sostituire tali esperienze, perché il suo ruolo non consiste nell'apprensione di contenuti, ma in una loro elaborazione secondaria in cui un contenuto passa dall'essere visto come proprietà inscritta in un ente individuale che esperiamo "qui e ora", a una categoria dotata di un significato universale, valente per ogni possibile determinazione individuale. Quindi l'astrazione utilizza necessariamente la categoria di universalità, la utilizza ma non la apprende, non la apprende perché l'apprensione dei fenomeni spetta a delle intuizioni, che possono essere sensibili o intellettuali, le astrazioni portano a considerarli in modo diverso, non come individuali ma come universali, ma non sono esse a recepirli, quindi non sono esse responsabili delle condizioni della loro pensabilità. L'idea di universalità, correlata necessariamente a quelle di eternità o infinito è presupposto di ogni astrazione possibile, senza che sia questa a produrla, ed essendo immateriale il significato intenzionato, dunque semplice e indivisibile, dovrebbe essere appresa da un atto semplice e diretto, non attraverso una sintesi posticcia. Quindi far coincidere la formazione dell'idea di immaterialità con la composizione linguistica del concetto di "materialità" e un prefisso privativo vuol dire confondere il piano del pensiero (interiore rappresentazione di stati di cose oggettive), con quello del linguaggio (complesso di segni sensibili esteriori). Il significato di un'idea non coincide necessariamente con il segno sensibile che convenzionalmente utilizziamo per comunicarlo a qualcuno, è qualcosa che resta tale indipendentemente dalla scelta umana, culturale, di farla corrispondere con una parola, quindi la questione della formazione di quella è indipendente da quella della formazione delle parole atte a comunicarle. Posso utilizzare al posto di "immateriale", termini non composti, logicamente semplici, come "spirituale" o "intelligibile", senza che il significato non cambi, e anche volendo contestare tale sinonimia, nulla escluderebbe la sensatezza teorica della possibilità di immaginare un linguaggio nel quale il significato che noi attribuiamo al concetto di "immateriale" o "universale", è espresso con un termine non complesso, la cui formazione non sia riducibile a una sommatoria. Confondere il piano del pensiero con quello del linguaggio è un errore frutto di pregiudizi empiristi/materialisti, che escludono ogni margine di autonomia dell'intelligibile, il significato, i pensieri rispetto ai segni sensibili delle parole.


L'esempio dell'impossibilità presunta di piante e animali di saper contare voleva mostrare come ogni attualizzazione della facoltà è sempre relativa a delle potenzialità innatamente prestabilite, e la confusione tra la questione dell'attualizzazione con quella dei presupposti della potenzialità, avrebbe portato all'assurdo di pensare che ogni attualizzazione di qualsivoglia pensiero sarebbe possibile indipendentemente dalla preesistente natura del pensiero in questione, che dunque sia indifferente cercare di insegnare la matematica a un pensiero umano predisposto ad apprenderlo rispetto all'insegnarlo a un cane o a un albero. Quindi un conto è chiarire la cause che porterebbero un pensiero ad attualizzare in un certo momento una facoltà (tra cui certamente rientrerebbe l'insegnamento, l'ambiente culturale ecc.), un altro chiarire le cause che rendono quel pensiero almeno potenzialmente in grado di farlo, al di là del fatto di realizzarlo effettivamente. Che poi davvero un giorno si venisse a scoprire che anche una pianta può imparare a contare, questo non cambia nulla del senso del discorso, in ogni caso le cause che porterebbero a realizzare tale facoltà agirebbero su un piano diverso rispetto a quelle necessarie a determinarne la predisposizione, queste ultime sono eterne, in quanto inscritte nell'essenza del soggetto in questione. A me interessava chiarire la distinzione dei due piani del discorso.

odradek

a Davintro,
citazione:
un'unità semplice e primitiva che richiede una realtà ad essa corrispondente responsabile della sua presenza tra le potenzialità del nostro pensiero.

Quindi, esiste una unità semplice e primitiva (interna alla mente umana)  che richiede una realtà ad essa corrispondente e questa realtà diventa responsabile della presenza di questa potenzialità del nostro pensiero.
L'unità semplice e primitiva (idea del trascendente) richiede una realtà (se no non esisterebbe l'idea primitiva) immanente che giustifichi l'idea trascendente.
A me sembra che tu specchi la trascendenza nell'immanenza, non riesco a giustificare questo passaggio che mi sembra abbia un qualche carattere circolare.
L'unità semplice e primitiva potrebbe anche essere costituita dalla "meraviglia", lo "stupore" nei confronti di ciò che non conosciamo.
Il primitivo la sperimenta come "potenza", e la constata attraverso impressioni empiriche; "potenza" che caratterizza le manifestazioni naturali -tuoni, terremoti, apparizioni, fuoco, fulmini, sogno, un unico albero sulla cima di un monte, un monte che assomigli ad un volto, insomma, una potenza che si manifesta nella natura ed anche nell'uomo, nel quale la "potenza" è in grado a volte di manifestarsi.  Gli oggetti investiti da questa "potenza" diventano quindi sacri.
Il pensiero teorico man mano  inquadrando gli avvenimenti in un ordine universale (la natura e le sue leggi) ha eliminato ogni "potenza" dal mondo sensibile e quindi non riesco a vedere come la realtà debba necessariamente render conto di una idea di Dio.

citazione:
il mio discorso riguarda le condizioni della sua pensabilità da parte dell'uomo come predisposto a pensarla, indipendentemente dal fatto che in un certo momento tale pensabilità sia attuata effettivamente.

Non riesco a capire cosa consistano le condizioni della sua pensabilità; io non vedo nessuna condizione per pensare l'esistenza di Dio, tutto funziona "perfettamente" senza presupporre la sua esistenza, ha funzionato prima della comparsa dei vertebrati e continuerà sino all' autocombustione (o qualsiasi cosa gli capiterà) del sole.
Le "condizioni della sua pensabilità da parte dell'uomo come predisposto a pensarla", mi sembra un altro ragionamento circolare, come quello riferito alla unità semplice e primitiva.

citazione :
Confondere i due piani, quello dell'effettivo pensare un'idea, e quello delle condizioni di potenzialità della pensabilità del significato

Non riesco a capire cosa siano le "condizioni di potenzialità della pensabilità del significato". Una potenzialità pensabile del significato non riesco a capire cosa intendi.

citazione:
significato oggettivo di un'idea con i soggettivi atti psicologici tramite cui esso viene storicamente pensato da un pensiero,

E da dove viene questo significato oggettivo di una idea? Chi stabilisce che sia oggettivo ?
A me sembra si ritorni al platonismo. A "Significato oggettivo di una idea" non riesco a dar  senso.

citazione:
soggettivi atti psicologici tramite cui esso viene storicamente pensato da un pensiero,

ma i soggettivi atti psicologici siamo noi, i soggettivi atti psicologici sono la nostra vita la nostra esistenza e la nostra realtà; presuppore altro significa appunto presuppore qualcosa di altro da noi, ovvero Dio.

Troppo lungo, a poi.

Phil

Citazione di: Ipazia il 08 Maggio 2019, 14:07:42 PM
rimango dell'idea che vi sia una differenza reale tra i due concetti. L'astratto teorizza, l'immateriale opera (lo fa anche l'i. fantasmatico).
Solita vexata quaestio: come fa l'immateriale ad operare sul materiale? "Indovinellizzando": come fa un fantasma a dare una spinta ad un uomo e farlo cadere, senza ricorrere alla materia?

Citazione di: Ipazia il 08 Maggio 2019, 14:07:42 PM
L'immateriale antropologico è negazione non solo astratta, ma anche concreta, del materiale.
La «negazione concreta del materiale» è, secondo me, un non senso: la negazione è operazione solo astratta-mentale-cerebrale-soggettiva, etc, invece la materia, di volta in volta, non appartiene a quelle dimensioni, per quanto da esse venga elaborata, identificata, razionalizzata, etc.
Non trovo esempi per negare concretamente il materiale: se devo negare concretamente una bottiglia, una persona, un fiume, cosa faccio? Posso negarlo solo verbalmente, ma materialmente non saprei...

Citazione di: Ipazia il 08 Maggio 2019, 14:07:42 PM
La morte, nel contesto del vivente, è negazione reale, terribilmente concreta, della vita.
La morte è negazione solo logico-astratta della vita (v. sopra); come condizione concreta, non è negazione ma stato di cose (che in sé non nega nulla), presenza di alcune caratteristiche (che rendono morto ciò che umanamente si definisce tale); infatti:
Citazione di: Ipazia il 08 Maggio 2019, 14:07:42 PM
Nel contesto degli elementi chimici che compongono il vivente invece non produce alcun mutamento.
La chimica ci fornisce dunque un interessante spunto materiale per distinguere fra fatti e interpretazioni, o almeno, fra caratteristiche del materiale e caratteristiche dell'astratto-mentale-cerebrale-psichico-etc.

Citazione di: Ipazia il 08 Maggio 2019, 14:07:42 PM
Nel contesto antropologico l'immateriale è un ente reale (mente, psiche, cogito,...) capace di rendere operative e concrete le sue astrazioni, manipolando materiale con materiale.
Altra versione della quaestio di cui sopra: parafrasando, come fa l'immateriale (se è tale) a concretizzare la sue astrazioni manipolando il materiale?
Secondo me ogni ente (postulato come) immateriale necessita, fino a prova contraria, di "rivelarsi" come materiale per poter interagire con la materia e solo a questo punto si attiva l'epistemologia. Ovvero non avremo mai prova che fosse "prima" immateriale, potendoci (mistica a parte) relazionare solo al materiale. Nel quale faccio, assai discutibilmente, confluire anche mente, psiche, cogito, etc. in quanto concetti astratti, quindi pur sempre pensieri (interpretativi), quindi (per me) materiali (come sempre nel senso più omnicomprensivo del termine; se siano impulsi elettrici o onde o particelle, non saprei), poiché mi sembrano avere comunque un tempo e uno spazio (o almeno io li sento spazializzati non nel braccio, non nel cuore, ma dentro la testa, dove risiede la loro unica condizione di possibilità che, scommetto, li rende "output interni"... dottore, sono grave?).

davintro

Citazione di: odradek il 08 Maggio 2019, 19:23:49 PMa Davintro, citazione: un'unità semplice e primitiva che richiede una realtà ad essa corrispondente responsabile della sua presenza tra le potenzialità del nostro pensiero. Quindi, esiste una unità semplice e primitiva (interna alla mente umana) che richiede una realtà ad essa corrispondente e questa realtà diventa responsabile della presenza di questa potenzialità del nostro pensiero. L'unità semplice e primitiva (idea del trascendente) richiede una realtà (se no non esisterebbe l'idea primitiva) immanente che giustifichi l'idea trascendente. A me sembra che tu specchi la trascendenza nell'immanenza, non riesco a giustificare questo passaggio che mi sembra abbia un qualche carattere circolare. L'unità semplice e primitiva potrebbe anche essere costituita dalla "meraviglia", lo "stupore" nei confronti di ciò che non conosciamo. Il primitivo la sperimenta come "potenza", e la constata attraverso impressioni empiriche; "potenza" che caratterizza le manifestazioni naturali -tuoni, terremoti, apparizioni, fuoco, fulmini, sogno, un unico albero sulla cima di un monte, un monte che assomigli ad un volto, insomma, una potenza che si manifesta nella natura ed anche nell'uomo, nel quale la "potenza" è in grado a volte di manifestarsi. Gli oggetti investiti da questa "potenza" diventano quindi sacri. Il pensiero teorico man mano inquadrando gli avvenimenti in un ordine universale (la natura e le sue leggi) ha eliminato ogni "potenza" dal mondo sensibile e quindi non riesco a vedere come la realtà debba necessariamente render conto di una idea di Dio. citazione: il mio discorso riguarda le condizioni della sua pensabilità da parte dell'uomo come predisposto a pensarla, indipendentemente dal fatto che in un certo momento tale pensabilità sia attuata effettivamente. Non riesco a capire cosa consistano le condizioni della sua pensabilità; io non vedo nessuna condizione per pensare l'esistenza di Dio, tutto funziona "perfettamente" senza presupporre la sua esistenza, ha funzionato prima della comparsa dei vertebrati e continuerà sino all' autocombustione (o qualsiasi cosa gli capiterà) del sole. Le "condizioni della sua pensabilità da parte dell'uomo come predisposto a pensarla", mi sembra un altro ragionamento circolare, come quello riferito alla unità semplice e primitiva. citazione : Confondere i due piani, quello dell'effettivo pensare un'idea, e quello delle condizioni di potenzialità della pensabilità del significato Non riesco a capire cosa siano le "condizioni di potenzialità della pensabilità del significato". Una potenzialità pensabile del significato non riesco a capire cosa intendi. citazione: significato oggettivo di un'idea con i soggettivi atti psicologici tramite cui esso viene storicamente pensato da un pensiero, E da dove viene questo significato oggettivo di una idea? Chi stabilisce che sia oggettivo ? A me sembra si ritorni al platonismo. A "Significato oggettivo di una idea" non riesco a dar senso. citazione: soggettivi atti psicologici tramite cui esso viene storicamente pensato da un pensiero, ma i soggettivi atti psicologici siamo noi, i soggettivi atti psicologici sono la nostra vita la nostra esistenza e la nostra realtà; presuppore altro significa appunto presuppore qualcosa di altro da noi, ovvero Dio. Troppo lungo, a poi.

non vedo un circolo vizioso nelle mie argomentazioni,  in quanto le conclusioni non sono contenute nelle premesse. La premessa del mio discorso è un dato da tutti riconoscibile, l'idea di Dio di cui anche un ateo deve per forza riconoscerne la presenza per poterne negare l'associazione con un'esistenza. Le differenti conclusioni discendono dal modo in cui tale presenza viene presa in considerazione e analizzata, quindi eventualmente si può discutere sul rigore logico di certi passaggi, ma non parlerei di "circolarità"

Ciò verso cui proviamo meraviglia e stupore implica una componente di ignoto che ci atterrisce e ci colpisce emotivamente (l'accezione romantica del "sublime") a cui però è pur sempre mescolata una componente che invece conosciamo e che si manifesta in noi come fenomeno, senza la quale, ci sarebbe una totale assenza dell'esperienza dell'oggetto che ci procura tali stati d'animo, e di conseguenza, come ovvio, l'assenza di questi ultimi anni. Quindi l'oggetto della meraviglia e dello stupore mi pare presupponga sempre la sua pensabilità (seppur parziale), che essendone presupposto, non può essere spiegata da essi. Il fatto poi che Dio possa essere avvertito come espresso da fenomeni sensibili non toglie che in questo caso l'evento sensibile venga sempre visto come manifestazione di qualcosa di immateriale, colto dunque non nell'esperienza sensibile, ma, "agostinianamente", in quella interiore. In questo senso i progressi conoscitivi delle scienze fondate sull'esperienza sensibile possono individuare sempre più anelli della catena che congiungono la Causa prima spirituale alle cause intermedie di ordine materiale oggetto delle scienze naturali, ma senza poter  mai arrivare a negare la necessità della Causa prima, in quanto al di fuori dei limiti epistemici del loro metodo. Il salto qualitativo tra intelligibile e sensibile non può essere colmato sulla base dei quantitativi progressi nell'ambito sensibile

i significati sono oggettivi, nel senso che costituiscono l'essenza delle cose a cui sono riferiti, indipendente dalle componenti particolari e accidentali delle nostre interpretazioni su di esse. In questo senso, il significato di un'idea non si risolve nell'arbitrio degli atti soggettivi in cui la pensiamo. Se due persone di fronte a un albero pensano due distinte rappresentazioni mentali dell'albero, non per questo ciò che intendiamo con "albero" perderebbe la sua unità qualitativa, duplicandosi in base ai due pensieri dei due individui che lo pensano, e questo proprio in virtù dell'oggettività del significato (ma forse sarebbe meglio parlare di "senso") autonoma dalla soggettività degli atti psicologici. La molteplicità di tali atti determinano la molteplicità quantitativa dei pensieri dell'albero, ma dal punto qualitativo tali pensieri sarebbero riferiti alla stessa idea dell'albero. Il fatto che nelle rappresentazioni individuali lo stesso albero sarebbe compreso accanto a elementi legati al vissuto soggettivo delle menti individuali non preclude ad un'analisi fenomenologica di poter isolare concettualmente un nucleo di senso identico consistente nello stesso albero verso cui le rappresentazioni sono rivolte. L'oggettività del significato è data dalla natura rappresentativa e non creativa del pensiero: pensando un oggetto non lo creo, ma lo riconosco come idea avente un senso logico che resta tale indipendentemente dal fatto che il mio modestissimo e accidentale pensiero empirico lo sottoponga alla sua empirica attenzione,  e il fatto che ogni significato in quanto tale resti nella sua essenza lo stesso al di là dell'esistenza effettiva che in determinato spazio-tempo lo pensano, mostra come, tornando al nostro caso, il significato generale dell'idea di Dio, con le relative questioni riguardo la sua pensabilità potenziale nella mente umana, sia altra cosa dalle rappresentazioni storiche in cui in particolari contesti empirici l'uomo effettivamente ne ha formato una rappresentazione. Il primo piano riguarda la metafisica, il secondo l'antropologia empirica, e non possono risolversi l'uno nell'altro, ma restano questioni distinte, da risolversi in metodologie distinte

Phil

Citazione di: davintro il 08 Maggio 2019, 23:19:57 PM
non vedo un circolo vizioso nelle mie argomentazioni,  in quanto le conclusioni non sono contenute nelle premesse. La premessa del mio discorso è un dato da tutti riconoscibile, l'idea di Dio di cui anche un ateo deve per forza riconoscerne la presenza per poterne negare l'associazione con un'esistenza.
Secondo me la differenza la fa l'altra premessa implicita. La circolarità mi pare sia quella di un sillogismo del tipo: Dio è l'unica fonte possibile della sua idea / la sua idea esiste / quindi Dio esiste. Proprio come fece Godel o come dicevano nel medioevo: solo Dio può aver creato il mondo / il mondo esiste / quindi anche Dio esiste.
La prima premessa regge la conclusione che sembra verificata empiricamente dalla seconda premessa. Usando questo schema, possiamo dimostrare l'esistenza di quasi qualunque cosa. Infatti questo sillogismo non è formalmente invalido (modus ponens), ma per assegnargli un valore di verità, il problema è "solo" stabilire la verità della prima premessa, quella contenente la caratteristica di dio (creatore del mondo, emanatore della sua idea, etc.); possiamo verificarla (come per l'origine del mondo) o è infalsificabile (come per l'origine platonica dell'idea di Dio)?

Citazione di: davintro il 08 Maggio 2019, 23:19:57 PM
In questo senso i progressi conoscitivi delle scienze fondate sull'esperienza sensibile possono individuare sempre più anelli della catena che congiungono la Causa prima spirituale alle cause intermedie di ordine materiale oggetto delle scienze naturali, ma senza poter  mai arrivare a negare la necessità della Causa prima, in quanto al di fuori dei limiti epistemici del loro metodo.
Quella della Causa prima è una necessità della logica, quindi della ragione (che mal tollera l'illimitato regresso all'infinito), ma non mi pare sia conseguentemente anche una necessità dell'esistenza. La Causa prima è un'idea limite come quella dei confini dell'universo: entrambe aiutano a pensare l'identità di ciò che identificano (la catena causale, l'universo, etc.). Entrambe sono tuttavia mere astrazioni, ipotesi di "realtà" non verificate e non identificate, proprio perché essendo (al) limite del pensabile non possono essere totalmente identificate, altrimenti rimanderebbero a loro volta ad un "oltre" (cosa causa la Causa prima? cosa c'è oltre i confini dell'universo?). Siamo sempre sul piano della ragione umana, ma non dell'esistenza reale.

Citazione di: davintro il 08 Maggio 2019, 18:44:27 PM
Se categorie, come eternità, perfezione, infinito, universale, quelle con cui comunemente definiamo Dio, fossero pienamente adeguati alla mente umana che le utilizza, senza alcuna necessità di concepire l'esperienza di una realtà trascendente da cui far derivare la loro pensabilità, allora la mente umana dovrebbe essere a sua volta, eterna, infinita ecc.,
Non capisco il «dovrebbe» (corsivo mio): le categorie pensate dalla mente devono appartenere come caratteristica anche alla mente, per esserne pensate? Che la mente possa pensare l'idea di inesistenza (di insieme vuoto etc.) comporta che la mente debba essere inesistente?

Citazione di: davintro il 08 Maggio 2019, 18:44:27 PM
L'idea di universalità, correlata necessariamente a quelle di eternità o infinito è presupposto di ogni astrazione possibile, senza che sia questa a produrla
Qui mi sembrano rovesciati i ruoli fra astrazione e universalità: l'universalità richiede astrazione (ogni universalità è astratta), non viceversa (non tutte le astrazioni sono universali: guardando una penna posso astratte la sua esatta forma astratta, ma è solo un "calco vuoto" nella mia mente che dimenticherò fra due minuti; niente di universale).
Non entro nel merito dell'esistenza di idee platoniche latenti, eterne e universali, poiché è indimostrabile sia la loro presenza (almeno finché non affiorano/si formano) che la loro assenza (essendo per definizione inverificabili).

Citazione di: davintro il 08 Maggio 2019, 18:44:27 PM
far coincidere la formazione dell'idea di immaterialità con la composizione linguistica del concetto di "materialità" e un prefisso privativo vuol dire confondere il piano del pensiero (interiore rappresentazione di stati di cose oggettive), con quello del linguaggio (complesso di segni sensibili esteriori).
Faccio un esempio; leggi questa parola: «disilluminare» (non credo esista).
Bene, non è stato forse il linguaggio a produrre nella tua mente l'idea dell'azione corrispondente?
Lo stesso, secondo me, è successo con «immaterialità»: il linguaggio, non l'esperienza o l'anamnesi (altro processo infalsificabile), produce istantaneamente il significato dell'idea corrispondente.

Citazione di: davintro il 08 Maggio 2019, 18:44:27 PM
Posso utilizzare al posto di "immateriale", termini non composti, logicamente semplici, come "spirituale" o "intelligibile", senza che il significato non cambi, e anche volendo contestare tale sinonimia, nulla escluderebbe la sensatezza teorica della possibilità di immaginare un linguaggio nel quale il significato che noi attribuiamo al concetto di "immateriale" o "universale", è espresso con un termine non complesso, la cui formazione non sia riducibile a una sommatoria.
Concettualmente, la derivazione logica, o meglio, astrattiva, non viene falsificata dalle strutture semiologiche piuttosto che dai neologismi, proprio perché il processo concettuale-astrattivo conta più di quello semiotico: posso infatti creare una parola arbitraria ad hoc, diciamo "xyz", che descriva tutte le "persone che odiano il cinema". Senza usare prefissi o simili, tale idea resta comunque la negazione concettuale (per via astratta) dell'idea di «cinefilo».
Perché non potrebbe avvenire lo stesso processo per «materiale» e «immateriale» o suoi sinonimi?

sgiombo

Citazione di: Phil il 08 Maggio 2019, 21:51:43 PM
Citazione di: Ipazia il 08 Maggio 2019, 14:07:42 PM
rimango dell'idea che vi sia una differenza reale tra i due concetti. L'astratto teorizza, l'immateriale opera (lo fa anche l'i. fantasmatico).
Solita vexata quaestio: come fa l'immateriale ad operare sul materiale? "Indovinellizzando": come fa un fantasma a dare una spinta ad un uomo e farlo cadere, senza ricorrere alla materia?

Citazione di: Ipazia il 08 Maggio 2019, 14:07:42 PM
L'immateriale antropologico è negazione non solo astratta, ma anche concreta, del materiale.
La «negazione concreta del materiale» è, secondo me, un non senso: la negazione è operazione solo astratta-mentale-cerebrale-soggettiva, etc, invece la materia, di volta in volta, non appartiene a quelle dimensioni, per quanto da esse venga elaborata, identificata, razionalizzata, etc.
Non trovo esempi per negare concretamente il materiale: se devo negare concretamente una bottiglia, una persona, un fiume, cosa faccio? Posso negarlo solo verbalmente, ma materialmente non saprei...



Altra versione della quaestio di cui sopra: parafrasando, come fa l'immateriale (se è tale) a concretizzare la sue astrazioni manipolando il materiale?
Secondo me ogni ente (postulato come) immateriale necessita, fino a prova contraria, di "rivelarsi" come materiale per poter interagire con la materia e solo a questo punto si attiva l'epistemologia. Ovvero non avremo mai prova che fosse "prima" immateriale, potendoci (mistica a parte) relazionare solo al materiale. Nel quale faccio, assai discutibilmente, confluire anche mente, psiche, cogito, etc. in quanto concetti astratti, quindi pur sempre pensieri (interpretativi), quindi (per me) materiali (come sempre nel senso più omnicomprensivo del termine; se siano impulsi elettrici o onde o particelle, non saprei), poiché mi sembrano avere comunque un tempo e uno spazio (o almeno io li sento spazializzati non nel braccio, non nel cuore, ma dentro la testa, dove risiede la loro unica condizione di possibilità che, scommetto, li rende "output interni"... dottore, sono grave?).

L' immateriale non può "manipolare" (interferire causalmente con) il materiale" se di quest' ultimo é possible la conoscenza scientifica (chiusura causale del mondo fisico).

Lo può il materiale avente coesistenze - corrispondenze immateriali (mentali): il cervello nei suoi processi neurofisiologici coesistenti - corrispondenti alla rispettiva mente pensante con il suo volere.

Da un punto di vista più astrattamente ontologico, il non reale (il pensato senza estensione - denotazione reale: per esempio il concetto di Dio) può avere effetti reali in quanto é reale come concetto dotato di connotazione - intensione meramente cogitativa, pur sempre reale, anche se unicamente in quanto tale (cogitativa: mero pensiero, immaginazione, illusione).




Gli enti immateriali (i pensieri, sentimenti, ecc. sono già manifesti alla coscienza di per sé, esattamente come gli enti materiali: sono parimenti fenomeni (la felicità, l' amicizia, l' insoddisfazione li si sente eccome! Sono coscientemente manifesti almeno quanto il monte Bianco).

Casomai sono le cose in sé che si possono manifestarsi solo in quanto fenomeni; ma tanto materiali (se si tratta di oggetti in sé diversi dal soggetto in sé cui si manifestano) quanto mentali (se si tratta di oggetto in sé riflessivamente identificantesi col soggetto in sé cui si manifesta).

Discuto nel senso di negarlo che  mente, psiche, cogito, etc. in quanto concetti astratti, possano rienrare nel materiale, per il fatto che non sono intersoggettivamente constatabili ma solo in maniera meramente soggettiva né misurabili quantitativamente (al contrario dei loro necessariamente coesistenti corrispettivi materiali, neurofisiologici, coi quali non vanno confusi).

I concetti di mente, psiche, cogito, etc. sono eventi di coscienza ben diversi da mente, psiche, cogito, etc. che ne sono le estensioni o denotazioni reali: il pensiero reale é diverso dal pensiero (reale) del pensiero (pensato: reale in quanto meramente tale).

Non sono i fenomeni materiali ad essere reali in sé, indipendentemente dalla coscienza nel cui ambito accadono (essi sono reali unicamente in quanto appaiono alla coscienza esattamente come i fenomeni mentali, anche se contrariamente a questi ultimi sono anche intersoggettivi), e dunque ad implicare che siano in ultima analisi materiali anche i fenomeni mentali, ma casomai il noumeno o cose in sé.

Ipazia

Citazione di: Phil il 08 Maggio 2019, 21:51:43 PM
Citazione di: Ipazia il 08 Maggio 2019, 14:07:42 PM
rimango dell'idea che vi sia una differenza reale tra i due concetti. L'astratto teorizza, l'immateriale opera (lo fa anche l'i. fantasmatico).
Solita vexata quaestio: come fa l'immateriale ad operare sul materiale? "Indovinellizzando": come fa un fantasma a dare una spinta ad un uomo e farlo cadere, senza ricorrere alla materia?

Reificandosi. Nell'universo antropologico funziona così. Siamo aldilà delle leggi della scienza naturale e delle sue materiche ontologie. Se si trattasse solo di fantasmi avresti ragione tu. I fantasmi appartengono alla superstizione e la scienza naturale con la sua logica deterministica ci aiuta, dioglienerendamerito, a liberarcene. Il primo fantasma reificato è proprio lui, Dio. Anche il Capitale non scherza. La Patria, tornata in confuso gran spolvero, Individuo, Proprietà Privata, ... Quindi il tutto può essere spiegato in termini di astrazione, concettualizzazione, senza reificare il non-materiale in immateriale. Però l'elenco dell'immateriale continua e vi sono oggetti immateriali a cui è difficile rinunciale: l'amore, l'etica, l'arte, la bellezza, la musica, la letteratura. Persino la scienza e la filosofia, sorelle gemelle della comune madre episteme. Immateriale pure lei. Insomma l'umano è una instancabile fabbrica di entità immateriali, non limitabili alla fantasmatica nefasta, ma che si estendono al senso stesso della vita umana, in assenza delle quali non resta che la robotica. E' proprio a tutela di questa realtà antropologica che io mi avventuro nell'ontologia dell'immateriale cercando di salvare il bambino umano dall'acqua sporca delle sue reificazioni, fantasmi e feticci che il suo metabolismo immateriale continuamente produce.

Citazione di: Phil il 08 Maggio 2019, 21:51:43 PM
Citazione di: Ipazia il 08 Maggio 2019, 14:07:42 PM
L'immateriale antropologico è negazione non solo astratta, ma anche concreta, del materiale.
La «negazione concreta del materiale» è, secondo me, un non senso: la negazione è operazione solo astratta-mentale-cerebrale-soggettiva, etc, invece la materia, di volta in volta, non appartiene a quelle dimensioni, per quanto da esse venga elaborata, identificata, razionalizzata, etc.
Non trovo esempi per negare concretamente il materiale: se devo negare concretamente una bottiglia, una persona, un fiume, cosa faccio? Posso negarlo solo verbalmente, ma materialmente non saprei...

Nell'universo antropologico non si ha a che fare con bottiglie, persone, fiumi, ma coi loro concetti che ne amplificano la semantica dal materiale all'immateriale, al simbolico. La negazione, come i dialettici fino ad Heidegger capirono, ha una sua concreta produttività. La negazione del mondo attraverso il suo retro fantasmatico ha scritto millenni di storia umana, visto nascere e morire intere civiltà, influenzato concretamente la vita di chi sia vissuto sotto il loro segno e continua a farlo anche oggi con il fantasma dominante e i suoi simboli reificati. Per modificare non solo l'asset ideologico ma anche gli effetti materiali di questa negazione è necessaria un'altra negazione. Das Nichts nichtet, diceva Heidegger, ma das Nicht macht. Esiste una negazione nullificante ed una edificante attraverso la nullificazione. La prima produce (nichtet)  nichilismo, la seconda lo supera. Siamo nel pieno dell'immaterialità effettuale umana.

Citazione di: Phil il 08 Maggio 2019, 21:51:43 PM
Citazione di: Ipazia il 08 Maggio 2019, 14:07:42 PM
La morte, nel contesto del vivente, è negazione reale, terribilmente concreta, della vita.
La morte è negazione solo logico-astratta della vita (v. sopra); come condizione concreta, non è negazione ma stato di cose (che in sé non nega nulla), presenza di alcune caratteristiche (che rendono morto ciò che umanamente si definisce tale); infatti:

Infatti l'universo antropologico, benchè ne abbia da esso origine, non è ontologicamente assimilabile senza resto alcuno all'universo fisico-chimico, rispetto al quale anche la biologia ha una sua rudimentale trascendentalità. Ma quando essa acquista autocoscienza e intelligenza ci avventuriamo veramente in un altro mondo, creatore di mondi non solo concettuali ma anche concreti: l'artificiale.

Citazione di: Phil il 08 Maggio 2019, 21:51:43 PM
Citazione di: Ipazia il 08 Maggio 2019, 14:07:42 PM
Nel contesto degli elementi chimici che compongono il vivente invece non produce alcun mutamento.
La chimica ci fornisce dunque un interessante spunto materiale per distinguere fra fatti e interpretazioni, o almeno, fra caratteristiche del materiale e caratteristiche dell'astratto-mentale-cerebrale-psichico-etc.

"... e anche questa è un'interpretazione" disse il Maestro. La chimica Ipazia riconosce nella sua ultramaterica disciplina la differenza tra fatti e interpretazioni, ma non la estende meccanicamente ad altre sfere del reale dove si rischia di non vedere i fatti a causa delle proprie errate, analogiche, interpretazioni.

Citazione di: Phil il 08 Maggio 2019, 21:51:43 PM
Citazione di: Ipazia il 08 Maggio 2019, 14:07:42 PM
Nel contesto antropologico l'immateriale è un ente reale (mente, psiche, cogito,...) capace di rendere operative e concrete le sue astrazioni, manipolando materiale con materiale.
Altra versione della quaestio di cui sopra: parafrasando, come fa l'immateriale (se è tale) a concretizzare la sue astrazioni manipolando il materiale?

A questo ha già risposto la storia nei fatti: hanno fatto più morti ammazzati le ideologie immateriali che la materialissima, darwiniana, lotta per l'esistenza.

Citazione
Secondo me ogni ente (postulato come) immateriale necessita, fino a prova contraria, di "rivelarsi" come materiale per poter interagire con la materia e solo a questo punto si attiva l'epistemologia. Ovvero non avremo mai prova che fosse "prima" immateriale, potendoci (mistica a parte) relazionare solo al materiale. Nel quale faccio, assai discutibilmente, confluire anche mente, psiche, cogito, etc. in quanto concetti astratti, quindi pur sempre pensieri (interpretativi), quindi (per me) materiali (come sempre nel senso più omnicomprensivo del termine; se siano impulsi elettrici o onde o particelle, non saprei), poiché mi sembrano avere comunque un tempo e uno spazio (o almeno io li sento spazializzati non nel braccio, non nel cuore, ma dentro la testa, dove risiede la loro unica condizione di possibilità che, scommetto, li rende "output interni"... dottore, sono grave?).

Il nerettato è senz'altro un argomento forte. Risponderei che la nostra parte psichica si relaziona "naturalmente" con l'immateriale/astratto essendo essa stessa immateriale/astratta, ma a causa della sua primogenitura materiale, di cui ha continua percezione, si relaziona anche col materiale al punto da usarlo per realizzare concretamente i propri progetti. Propendo anch'io per un'eziologia naturale di tutto l'ambaradan, ma nel frattempo mi devo confrontare con i fatti che popolano l'universo antropologico nella loro materializzazione sociale a partire da astrazioni concettuali che producono sì fantasmi, ma anche tutto ciò per cui vale la pena di vivere.

Porto la battaglia culturale sul piano immateriale, philosophisch, metafisico, perchè non è possibile sconfiggere i fantasmi restando sul piano fisico. L'epistemologia del piano antropologico si attiva dalla storia, non dalla bigscience. Malgrado gli sforzi di quest'ultima, è ancora del tutto inadeguata al compito.

Combattere i fantasmi senza entrare nel loro sanctasanctorum reificato metafisico, limitandosi a discutere sulla fenomenologia tecnica apparente (tipo gli enti reificati dell'Economics suo terreno elettivo di vittoria) è inconsapevole volontà di sconfitta: Wille zur Unmacht. Solo l'immateriale paletto metafisico può penetrare il cuore metafisico del fantasma decostruendone la reificazione e ponendo fine al suo eterno ritorno. In tal senso l'immateriale metafisica è necessaria alla vita umana, nella sua concretezza, non solo alla filosofia.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Sariputra

#252
Non è l "'immateriale" che emerge dal "materiale" ma semmai il materiale si fa presente alla coscienza immateriale. Il corpo stesso è una struttura di pensiero in un certo senso. Togli la coscienza e il "materiale", che esista o non esista, non è più dato di sapere ad alcuno. In primis dunque la coscienza immateriale, poscia il resto...Tutto il materiale non è altro che un contenuto di coscienza. Se c'è dell'"altro" (noumeno,ecc.) non è dato sapere...
Comunque "materiale" è un termine obsoleto. Sarebbe da superare ormai. fa così "ottocento", primi novecento...mi ricorda il Titanic...la belle epoque, la Torre Eiffel in metallo e tutto l'ottimismo finto e forzato... ecc.  ;D
Un saluto a voi tutti filosofi
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

sgiombo

Citazione di: davintro il 08 Maggio 2019, 23:19:57 PM

non vedo un circolo vizioso nelle mie argomentazioni,  in quanto le conclusioni non sono contenute nelle premesse. La premessa del mio discorso è un dato da tutti riconoscibile, l'idea di Dio di cui anche un ateo deve per forza riconoscerne la presenza per poterne negare l'associazione con un'esistenza. Le differenti conclusioni discendono dal modo in cui tale presenza viene presa in considerazione e analizzata, quindi eventualmente si può discutere sul rigore logico di certi passaggi, ma non parlerei di "circolarità"
Citazione
Ma (pretendere di) dedurre che Dio esiste dal fatto che per "Dio" si intende qualcosa di esistente é un circolo vizioso; oppure quella specie di "corto circuito nell' ambito di un circolo vizioso" che é una tautologia.

Infatti in realtà si può affermare con certezza che Dio esiste solo se con "Dio" si intende "ciò che esiste, qualsiasi cosa sia (fosse pure il demonio; o magari il nulla)"



i significati sono oggettivi, nel senso che costituiscono l'essenza delle cose a cui sono riferiti, indipendente dalle componenti particolari e accidentali delle nostre interpretazioni su di esse. In questo senso, il significato di un'idea non si risolve nell'arbitrio degli atti soggettivi in cui la pensiamo. Se due persone di fronte a un albero pensano due distinte rappresentazioni mentali dell'albero, non per questo ciò che intendiamo con "albero" perderebbe la sua unità qualitativa, duplicandosi in base ai due pensieri dei due individui che lo pensano, e questo proprio in virtù dell'oggettività del significato (ma forse sarebbe meglio parlare di "senso") autonoma dalla soggettività degli atti psicologici. La molteplicità di tali atti determinano la molteplicità quantitativa dei pensieri dell'albero, ma dal punto qualitativo tali pensieri sarebbero riferiti alla stessa idea dell'albero. Il fatto che nelle rappresentazioni individuali lo stesso albero sarebbe compreso accanto a elementi legati al vissuto soggettivo delle menti individuali non preclude ad un'analisi fenomenologica di poter isolare concettualmente un nucleo di senso identico consistente nello stesso albero verso cui le rappresentazioni sono rivolte. L'oggettività del significato è data dalla natura rappresentativa e non creativa del pensiero: pensando un oggetto non lo creo, ma lo riconosco come idea avente un senso logico che resta tale indipendentemente dal fatto che il mio modestissimo e accidentale pensiero empirico lo sottoponga alla sua empirica attenzione,  e il fatto che ogni significato in quanto tale resti nella sua essenza lo stesso al di là dell'esistenza effettiva che in determinato spazio-tempo lo pensano, mostra come, tornando al nostro caso, il significato generale dell'idea di Dio, con le relative questioni riguardo la sua pensabilità potenziale nella mente umana, sia altra cosa dalle rappresentazioni storiche in cui in particolari contesti empirici l'uomo effettivamente ne ha formato una rappresentazione. Il primo piano riguarda la metafisica, il secondo l'antropologia empirica, e non possono risolversi l'uno nell'altro, ma restano questioni distinte, da risolversi in metodologie distinte
Citazione
Ma nei significati delle parole si deve distinguere, con Frege, una connotazione o intensione cogitativa arbitrariamente (soggettivamente) definita (sempre reale per definizione, se di un vero e proprio simbolo verbale o "vocabolo" significante un concetto  e non di un mero flatus vocis o una sequenza insignificante di caratteri tipografici si tratta) e una (eventuale, non sempre e necessariamente realmente presente) denotazione o estensione reale.

Il concetto dell' albero visto intersoggettivamente dalle due persone di cui parli presenta, oltre che una connotazione o intensione cogitativa (che può almeno in parte differire fra le due persone che la pensano) , anche una denotazione o estensione reale, quello di "ippogrifo" no di sicuro (nei limiti dell' ineliminabile fallibilità umana e delle mera falsificabilità della conoscenza scientifica), quello di Dio (se non autocontraddittoriamente inteso come quello delle religioni abramitiche, onnipotente e immensamente buono in presenza reale del male; che nemmeno ha una connotazione o intensione: é in realtà una mera sequenza di tre lettere senza senso in quanto autocontraddittoria) non si può sapere se l' abbia o meno.

acquario69

Citazione di: Sariputra il 09 Maggio 2019, 09:58:53 AM
Non è l "'immateriale" che emerge dal "materiale" ma semmai il materiale si fa presente alla coscienza immateriale. Il corpo stesso è una struttura di pensiero in un certo senso. 

Esatto!  
Non saprei esattamente come ma mi sarebbero tornati alla mente gli esperimenti di masuru emoto sull'acqua...
https://www.youtube.com/watch?v=rXkEWjDkPiE
e che ci dicono la stessa cosa 

CitazioneTogli la coscienza e il "materiale", che esista o non esista, non è più dato di sapere ad alcuno.

in verità, come dimostra anche il video sopra,tutto e' Coscienza (ovviamente immateriale e dunque non locale!) cambiano solo le sue diverse forme,di cui anche la nostra,oppure quella del pianeta...perché la forma/e e' l'esistenza,il suo manifestarsi di questa Unica Coscienza


CitazioneComunque "materiale" è un termine obsoleto. Sarebbe da superare ormai. fa così "ottocento", primi novecento...mi ricorda il Titanic...la belle epoque, la Torre Eiffel in metallo e tutto l'ottimismo finto e forzato... ecc.   
Un saluto a voi tutti filosofi

proprio cosi...finto e forzato !! ...anche da qui,si capisce che i termini sono appunto tutti rovesciati   ::)

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