L'impossibilità di una filosofia senza metafisica

Aperto da davintro, 11 Aprile 2019, 20:01:46 PM

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Ipazia

Citazione di: odradek il 02 Maggio 2019, 21:45:47 PM
P.s.:  non esiste semantica concordata, esiste una terminologia concordata.

Sì, ma poi la terminologia concordata produce una semantica concordata, altrimenti sarebbe impossibile qualsiasi comunicazione e collaborazione su base comunicativa. Non contesto il metodo di viator, che trovo più evolutivo e creativo del feticismo semantico, che non produce nulla e rimesta sempre la stessa minestra (il quale rimanda ad una semantica nascosta e lì sta il bello da decifrare) ma per produrre cultura bisogna avere almeno una base comune di significati. Un linguaggio condiviso. Col quale anche le definizioni di viator si devono confrontare. Cosa che tu fai certosinamente su ogni "aggregato semantico" o pseudo tale, ti venga propinato in questo forum.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

0xdeadbeef

Citazione di: viator il 02 Maggio 2019, 21:22:45 PM
Salve Ox. Per la precisione Dio - secondo il mio punto di vista - consisterebbe nell'Entità suprema ed appunto totalizzante.
Sistema che trovo rozzo ma non del tutto inefficiente. Salutoni.


Ciao Viator
Per cui dovrei dedurne che il tuo punto di vista è identico a quello di un credente?
Perchè il problema risiede nel come si considera quel "completo insieme di tutto ciò che è" (che
tu identifichi con Dio). E', questo insieme, "diveniente" e sono divenienti le sue parti?
Spinoza, con la distinzione fra natura "naturata" e "naturante", distingue ciò che diviene (e
"divenendo" è finito e mortale) e ciò che non "diviene" (ciò che è infinito ed eterno),
riproponendo in questo, di fatto (pur malcelato), quella medesima visione di Aristotele che,
attenzione, funge da fondamento per la "Scolastica" di Tommaso d'Aquino (che con S.Agostino è
per me il massimo teologo del Cristianesimo).
In parole povere, questa "Entità suprema e totalizzante" di cui parli è infinita ed eterna (cioè
è indiveniente)? E' semplicemente un concetto che risiede in una delle sue parti (la mente umana)
finite e mortali?
Se è il primo caso essa è in tutto e per tutto coincidente con il Dio della tradizione religiosa;
se è il secondo è semplicemente un'idea, come può esserlo, che so, l'ippogrifo o l'araba fenice
(semplicemente una fantasia).
saluti

odradek

a Davintro :

citazione :

In questo senso, non creiamo i significati delle cose, bensì li riconosciamo.

si apre il problema metafisico di rendere ragione dello scarto tra la finitezza ontologica del nostro pensiero e il significato che si riferisce a una realtà, nella sua idealità, trascendente l'uomo, perfetta, eterna, infinita, un significato del tutto irriducibile alle proprietà degli enti mondani da cui il nostro pensiero ricava i concetti di questi enti.


Qua sta quello che ci divide, forse siamo giunti alla fine ed abbiamo trovato il punto oltre il quale ogni discorso sarebbe inutile, che tra l'altro è lo scopo del "parlarsi"; esaurito l'argomento si gioca a bocce o si va a prendere un caffè assieme.
Non inutile perchè io\tu non riusciamo a capire le ragioni dell'altro ma inutile perchè sarebbe un tentare (ridicolo, penoso e strumentale) di trarre l'altro a sè.

Lo snodo sta che per me il problema metafisico che poni non lo riesco nemmeno a scorgere.
 
Io non riconosco e non concepisco in nessun modo una realtà perfetta, eterna ed infinita, trascendente l'uomo e nemmeno riesco ad immaginarla: io dico che  non esiste -o esiste sullo stesso piano del paradiso e dell'ippogrifo- , e tu dici che esiste e che apre un problema metafisico. Per me esistono solo e soltanto enti mondani; null'altro.

Raggiunto il punto dove continuare sarebbe inutile posso solo ringraziarti per la pazienza, la disponibilità a discorrere in modo "piano", non allusivo o insinuante.
Datosi che è anche un "piacere" discorrere con te, continuerò a seguirti anche solo per avere l' opportunità di "infastidirti" nuovamente, e lo farò sicurissimo.  :)

viator

Salve Ox. Quindi dovresti dedurre che il mio punto di vista è identico a quello di un credente.
Deduzione non campata in aria, anche se la mia replica risulterà, ahimè, problematica e deludente.

Io divido i credenti in due distinte tipologie :

  • quelli oggettivistici, come me. Sono coloro che risultano convinti (lasciamo perdere i concetti di verità, illusione, erroneità) di qualcosa che non riguarda loro stessi, ma piuttosto i fondamenti dell'esistenza del mondo. Il fatto è che io trovo che, riassumendo, condensando tutti gli attributi tradizionali attribuiti a Dio da chi vi crede (i credenti soggettivistici e fideistici di cui sto per parlare) essi non possono che convergere nella definizione conclusiva che io ho fornito. In questo modo tra l'altro viene cancellata ogni distinzione possibile tra scienza, fede, filosofia, metafisica, le quali vorrei ben vedere cosa avrebbero da obiettare.

    Ciascuna disciplina certo avrà da aggiungere (perlopiù inutili ciance) ed infatti lo fa continuamente, ma ciò avverrà senza poter toccare l'essenziale della definizione stessa, che io stesso trovo del tutto soddisfacente.
  • L'altra categoria è rappresentata dai credenti soggettivistici, fideistici. L'avere fede consiste nell'essere convinti che esiste o esisterà un qualcosa che ci riguarda o finirà per riguardarci.

    Nel nutrire fiducia in una qualche certezza. Che, naturalmente, dovrebbe servire a soddisfare un qualche nostro desiderio, bisogno, necessità (pochetti quelli che hanno fede nel male, nella morte, nella sofferenza, no?). Al credente soggettivista – è cosa nota – interessano solo le prospettive gratificanti.

A parte il concetto di Dio, Viator quindi si considera un credente oggettivistico.
Il fatto è che ciò in cui credo veramente e fondamentalmente non è tanto Dio (come si fa a credere – cioè a riporre fiducia – in una Entità inconoscibile ed irraggiungibile ?) bensì l'aporia, la contraddizione fondamentale espressa dal dettato "Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza", che sfido chiunque trovare non vera.


  • D'altra parte il prendere atto di ciò provocherebbe un'ecatombe filosofica.

    Il concetto è trovato assai demoralizzante per quasi tutti. Non da me, poichè trovo assai più interessanti gli inaspettati panorami offerti dal viaggiare senza una meta piuttosto che le preventive accurate descrizioni degli scorci che aspettano il viaggiatore e che vengano ammanniti da qualche guida turistica in forma di dottrina itineraria per raggiungere mete forse improbabili.

Venendo al diveniente/indiveniente (che io chiamerei meno astrusamente dinamico/statico (la tradizione e traduzione filosofica vanno bene, ma insomma !!)), secondo me il concetto di Dio è tranquillamente indiveniente.
L'obiezione per la quale ciò che diviene è costretto a mutare, è effimero, può perdere degli attributi magari acquisendone dei nuovi, la trovo priva di senso se applicata alla totalità.
Ho già accennato al fatto che il tutto non è affatto in relazione con le proprie parti, e l'obiezione fatta qui sopra vale solo per le parti.
Tutti gli assunti fondamentali convergono verso la monade, la quale è anch'essa una Entità suprema e totalizzante (a tale livello spariscono le distinzioni tra le diverse discipline che dovrebbero descrivere il Mondo) che realizza la perfetta sovrapposizione ed intercambiabilità tra i concetti di Dio, unicità, totalità ed assolutezza.
Il principio di Lavoisier, ad esempio, è perfetto per chiarirsi il significato del diveniente e dell'indiveniente : "Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma".
Ovviamente esso va pedantemente interpretato come "nessuna cosa viene creata dal nulla, nessuna cosa è destinata a dissolversi nel nulla, ciascuna cosa è destinata a trasformarsi ma l'insieme delle cose è eterno ed invariante", altrimenti si cadrebbe anche qui nell'aporia.
Perciò il tutto di Lavoisier, inteso come totalità e non come ciascuna cosa, risulta indiveniente esattamente come i concetti di Dio, Assoluto, Perfezione.
Infine, avendo identificato Dio come una Entità totalizzante, dovrebbe essere ovvio che essa entità possiede ogni genere di attributo, inclusa l'eternità (che, come ho accennato sopra, non trovo affatto in contraddizione con il divenire (il giacere invece – che corrisponde all'indiveniente – non può venir considerato un attributo bensì LA INERTE MANCANZA dell'attributo del divenire), e – per finire – il fatto che l'entità consista in ciò che è nominabile ma non conosciuto rende del tutto probabile l'assenza di suoi limiti. Salutoni.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

0xdeadbeef

Ciao Viator
Per come la vedo io il problema risiede essenzialmente nello stabilire se quella "Entità suprema
e totalizzante" è un concetto ("res cogitans") o è qualcos'altro.
Ora, dici di aver già accennato alla relazione fra il Tutto e le sue parti ("il tutto non è affatto
in relazione con le proprie parti"): onestamente o non l'ho letto o non l'ho capito...
Dal mio punto di vista il "Tutto" non può essere che un concetto; e quindi non può avere altra
"esistenza" che quella di un concetto (cioè un tipo particolare di esistenza).
Per quanto riguarda la legge di Lavoisier anche qui bisogna a parer mio vedere quale relazione
la lega all'"essente" (inteso come ciò che "è": ente materiale o ideale che sia). Nel senso
che non vedo come possa essere riferita ad un concetto privo di "materialità".
Quindi, se dedisideri che ti risponda ancora, è necessario che tu mi chiarisca questi punti
(soprattutto i concetti di "tutto" e di "parte", e la loro relazione).
saluti

viator

Salve Ox. Il problema è sempre l'aporia. Il Tutto è sia un concetto immateriale che una realtà materiale.

E' concetto immateriale quando insiste dentro di noi (concettuale perchè sequenza di deduzioni mentali che possiamo tranquillamente formulare prescindendo da ogni loro incarnazione fisica, materiale) ma realtà materiale quando esiste fuori di noi (consiste in ciò che può fare a meno sia del nostro pensarlo che del nostro esserci, traendo tuttavia la propria materialità dalle parti che lo compongono).
E' questa doppiezza (che riguarda – con sfumature diverse ma sempre riscontrabili - tutti gli aspetti dell'essenziale) l'effetto della duplicità che ci imprigiona nelle relazioni tra noi soggetti e l'oggettività. Non se ne uscirà mai.

Come concetto immateriale il Tutto può tranquillamente astrarre – dico sopra – dal numero e dalla qualità delle sue parti, restando immutabilmente se stesso.
Come entità materiale invece esso non può che sorgere dall'esistenza di un certo numero di sue parti.

Spostandosi invece sul concetto di monade, tale dicotomia si risolve automaticamente nell'Uno, singolare e totalizzante assieme, il quale però richiede la nullificazione della coesistenza tra soggetti ed oggetti.

D'altra parte la dicotomia materiale-immateriale è osservabile – da qualche tempo – persino all'interno delle stesse scienza fisiche.

L'energia è dimensione materiale od immateriale ? Essa è sia in relazione alla materia (reciproca convertibilità einsteniana e possibilità di percepire sensorialmente i suoi effetti) che eventualmente estranea e possibilmente indipendente da essa (natura mista corpuscolare ed ondulatoria).

L'energia ha caratteristiche sostanziali (non dico materiali per non fare indebita confusione) solo quando è correlata alla materia. Solo quando "anima" od interferisce con la materia essa produce i suoi effetti da noi percepibili. Riscaldando i corpi, muovendoli (per la precisione, accelerandoli), facendoli "vivere" (anche senza la virgolettatura).

Quindi ciò che noi troviamo di materiale dell'energia non è essa in sè, ma solamente i suoi effetti, il suo interagire e diffondersi nella materia. E' questa la sua veste corpuscolare.

Quando invece l'energia fluttua, viaggia, si irradia nello spazio "vuoto" essa non produce alcun effetto, non si disperde, non viene assorbita o riflessa, risulta impercepibile. Essa infatti può muoversi alla velocità della luce solo perchè non possiede alcuna inerzia, non è composta da particelle dotate di massa. E' incorporea. Immateriale, appunto.

Poichè la nostra attività cerebrale (incluse – a mio parere – la spiritualità e l'ideatività) si svolge su base energetica.............non mi sembra affatto strano che spirito, anima, intelligenza etc. non riescano a trovare una ubicazione fissa e blindata dentro al nostro cranio, che non si riesa a soppesarle e che inoltre che abbiano caratteristiche così ostinatamente "vaporose e sfuggenti".

D'altra parte si potrebbe sostenere che concetti, pensieri, scelte interiori abbiamo pure essi una doppia connotazione immateriale e materiale. Immateriale in quanto esprimono una forma codificata di attività (forme e codici sono l'emblema stesso dell'immateriale), materiale in quanto sono in grado di generare degli effetti materiali (il tutto esattamente come per l'energia).

Infatti pensieri, sentimenti, emozioni ed intenzioni possono agire sulla macchina corporale (ed interagire con altrui pensieri, sentimenti, emozioni, intenzioni) producendo o facendo produrre ad altri comportamenti dall'effetto solidamente fisico e materiale.

In Lavoisier si parla indirettamente della relazione tra le parti (che non vengono create ma continuamente si trasformano) ed IL tutto il quale, contrariamente all'enunciato in cui compare, non si trasforma affatto. "tutto si trasforma" va infatti letto come "ciascuna e qualsiasi cosa è destinata a trasformarsi in altra" e non "IL TUTTO si trasforma..

Ora, che IL TUTTO resti complessivamente invariato (immutabile in quantità) rappresenta il concetto di PERMANENZA (tipico della "statica" materialità e della CAUSALITA'). Ad esso però si giustappone la (concettualmente impropria ma fisicamente accettabile) interpretazione di TUTTO inteso come massimo insieme di cose le quali interagiscano continuamente. Tale seconda interpretazione incarna il principio opposto e complementare rispetto alla permanenza : quello della VARIANZA (DIVENIRE) (tipico della "energetica" immaterialità e dell'EFFETTUALITA').

Essendo il TUTTO un sinonimo dell'ESSERE (concetti entrambi aventi a che fare, anzi significanti ed ospitanti l'assolutezza), anche quest'ultimo concetto include sia la permanenza (immanenza in chiave spiritualistica) che la varianza (trascendenza in chiave spiritualistica).

Questa macchinosa elucubrazione giustificherebbe tra l'altro ai miei orecchi una certa quale definizione che dedicai in passato all'ESSERE : "La condizione per la quale le cause generano i propri effetti".

Ora comunque ti- e vi- lascio per alcuni giorni di mio isolamento telematico. A risentirci e salutoni.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

davintro

Citazione di: odradek il 03 Maggio 2019, 14:01:59 PMa Davintro : citazione : In questo senso, non creiamo i significati delle cose, bensì li riconosciamo. si apre il problema metafisico di rendere ragione dello scarto tra la finitezza ontologica del nostro pensiero e il significato che si riferisce a una realtà, nella sua idealità, trascendente l'uomo, perfetta, eterna, infinita, un significato del tutto irriducibile alle proprietà degli enti mondani da cui il nostro pensiero ricava i concetti di questi enti. Qua sta quello che ci divide, forse siamo giunti alla fine ed abbiamo trovato il punto oltre il quale ogni discorso sarebbe inutile, che tra l'altro è lo scopo del "parlarsi"; esaurito l'argomento si gioca a bocce o si va a prendere un caffè assieme. Non inutile perchè io\tu non riusciamo a capire le ragioni dell'altro ma inutile perchè sarebbe un tentare (ridicolo, penoso e strumentale) di trarre l'altro a sè. Lo snodo sta che per me il problema metafisico che poni non lo riesco nemmeno a scorgere. Io non riconosco e non concepisco in nessun modo una realtà perfetta, eterna ed infinita, trascendente l'uomo e nemmeno riesco ad immaginarla: io dico che non esiste -o esiste sullo stesso piano del paradiso e dell'ippogrifo- , e tu dici che esiste e che apre un problema metafisico. Per me esistono solo e soltanto enti mondani; null'altro. Raggiunto il punto dove continuare sarebbe inutile posso solo ringraziarti per la pazienza, la disponibilità a discorrere in modo "piano", non allusivo o insinuante. Datosi che è anche un "piacere" discorrere con te, continuerò a seguirti anche solo per avere l' opportunità di "infastidirti" nuovamente, e lo farò sicurissimo. :)


mi premeva solo ribadire che la posizione del problema metafisico non ha, almeno nelle mie intenzioni, nulla di fideistico o pregiudiziale, ma la conseguenza di valutazioni, che alla luce delle argomentazioni che ho provato a esporre, vogliono presentarsi come razionali. Quindi, fintanto che si ragiona e non si vincolano le proprie posizioni a dogmi, un margine di apertura alla discussione è sempre possibile, almeno, così vedo io la situazione, poi ovviamente non ho problemi a rimettermi alla disponibilità dell'interlocutore (che dovrei essere io a ringraziare per la pazienza...) a proseguire in tal senso, come è corretto che sia. Al di là di questa precisazione, aggiungo che il piacere è reciproco

odradek

a Davintro

 citazione : un margine di apertura alla discussione è sempre possibile.

si è vero però quando ho letto :

citazione : il significato che si riferisce a una realtà, nella sua idealità, trascendente l'uomo, perfetta, eterna, infinita, un significato del tutto irriducibile alle proprietà degli enti mondani da cui il nostro pensiero ricava i concetti di questi enti.

ho inteso questa realtà perfetta eterna e infinita come attribuzioni del "divino"  e quindi non volevo questionare sul "divino", che è cosa personale.
E continuando a questionare sul "divino" (se ho inteso giusto) avrei questionato sulla tua (presunta da me) fede nella realtà perfetta ed infinitaed immutabile; 
essendo anche non riducibile agli enti mondani, il mio margine di discussione  si riduce a zero, o si ridurrebbe a cercare di attaccare una idealità trascendente (non trascendentale, trascendente) perfetta ed infinita, che penso non esista.
In pratica non ho più nulla da obiettare se non che per  me questa realtà non esiste, ma una negazione non è una argomentazione.

0xdeadbeef

Ciao Viator
Ma come fa il "Tutto" ad essere una realtà materiale? Trovo sia indifferente che sia fuori o
dentro di noi (certo l'idea della tastiera su cui sto scrivendo è dentro di me, però è
anche un oggetto fuori di me): dirimente è se questo "Tutto" possieda o meno "materialità".
E non la possiede perchè non la può possedere: perchè è un'idea che non corrisponde ad
un "oggetto".
A parer mio è infatti necessario distinguere fra il concetto e il concetto di qualcosa...
Voglio dire, se io, adesso, penso ad un cavallo e ad un ippogrifo, ci sarà pure una
differenza fra queste due idee, o no?
Ma a questo proposito trovo molto interessante il tuo riferimento all'energia.
Non ho problemi a dichiarare la mia incompetenza su temi come questo, per cui spero mi
scuserai se dirò cose inesatte.
Ma com'è possibile che l'energia sia immateriale? Vuoi dire che l'energia è o può avere
la medesima "materialità" dell'idea dell'ippogrifo (o dell'idea di Dio)?
Dici molto bene quando affermi che i pensieri possono agire sulla "macchina corporale".
(pensiamo del resto proprio all'idea di Dio; a quanto essa sia stata importante di una
importanza "concreta" nella storia umana). Però l'idea, pur "agente", rimane immateriale
(materiale è semmai l'effetto).
In ogni caso esprimi concetti di notevole interesse (addirittura una rilettura dell'Essere
parmenideo alla luce del concetto aristotelico di causa effetto), complimenti.
saluti

davintro

Citazione di: odradek il 05 Maggio 2019, 20:03:56 PMa Davintro citazione : un margine di apertura alla discussione è sempre possibile. si è vero però quando ho letto : citazione : il significato che si riferisce a una realtà, nella sua idealità, trascendente l'uomo, perfetta, eterna, infinita, un significato del tutto irriducibile alle proprietà degli enti mondani da cui il nostro pensiero ricava i concetti di questi enti. ho inteso questa realtà perfetta eterna e infinita come attribuzioni del "divino" e quindi non volevo questionare sul "divino", che è cosa personale. E continuando a questionare sul "divino" (se ho inteso giusto) avrei questionato sulla tua (presunta da me) fede nella realtà perfetta ed infinitaed immutabile; essendo anche non riducibile agli enti mondani, il mio margine di discussione si riduce a zero, o si ridurrebbe a cercare di attaccare una idealità trascendente (non trascendentale, trascendente) perfetta ed infinita, che penso non esista. In pratica non ho più nulla da obiettare se non che per me questa realtà non esiste, ma una negazione non è una argomentazione.

è vero che gli attributi di eternità, perfezione ecc. caratterizzano un'idea di Dio che è quella tipica del teismo cristiano, che è prima di tutto una fede, ma sarebbe un errore il passaggio dalla constatazione storica di come un certo modello teorico (il concetto di Dio) si sia sviluppato come interno a una religione, con la negazione della possibilità, in sede teoretica, non filologica/storiografica, di astrarre tale modello dal contesto storico religioso, per riconoscerne una legittimazione razionale, poi si può discutere sull'effettivo rigore delle argomentazioni razionali, ma senza arrivare al punto per cui ogni affermazione in tal proposito sia solo e unicamente frutto di una fede personale impossibile da discutere. Come chiarito nei messaggi precedenti, l'idea di Dio a cui faccio riferimento, quella la cui esistenza sarebbe ragionevolmente richiesta dalla presenza della sua idea all'interno delle possibilità del pensiero umano, non riguarda il Dio delle fedi rivelate, il Dio delle Sacre scritture, ma il "Dio dei filosofi", della metafisica, riprendendo la celebre distinzione pascaliana, Dio entro i limiti in cui la ragione può argomentarne l'esistenza, distinto dalle varie rappresentazioni delle confessioni (da qui le mie citazioni sul deismo, come filone a cui ispirarsi nella sua concezione di Dio razionale, sottratto alle varie confessioni). Quindi il Dio di cui parlavo rientra appieno nelle tematiche della filosofia razionale, nulla di "personale", sentimentale, fideistico. Detto questo, non pretendo di insistere nel momento in cui la discussione è ritenuta impossibile da ogni mio eventuale interlocutore, la mia è solo una puntualizzazione

Phil

Citazione di: davintro il 05 Maggio 2019, 23:53:02 PM
la negazione della possibilità, in sede teoretica, non filologica/storiografica, di astrarre tale modello dal contesto storico religioso, per riconoscerne una legittimazione razionale, poi si può discutere sull'effettivo rigore delle argomentazioni razionali
In merito ho citato la dimostrazione di Godel che, con inappuntabile rigore logico, dimostra la necessità dell'esistenza di Dio partendo... dall'esistenza come attributo necessario di Dio. Da un punto di vista logico, a quanto (mi) pare, non si può fare di meglio.
«Astrarre un modello da un contesto storico» comporta l'andare in direzione opposta rispetto al piano dell'esistenza: se astraggo da ogni democrazia storica, il modello della democrazia, è più probabile che mi stia dirigendo verso l'u-topia che verso l'esistenza.

Citazione di: davintro il 05 Maggio 2019, 23:53:02 PM
l'idea di Dio a cui faccio riferimento, quella la cui esistenza sarebbe ragionevolmente richiesta dalla presenza della sua idea all'interno delle possibilità del pensiero umano
Il fatto che sia possibile pensare ad un dio ne rende possibile e/o necessaria l'esistenza? Sono le idee a necessitare l'esistenza reale dei loro contenuti o viceversa ("necessità" dal punto di vista umano, ovviamente)?
Ogni idea che abbiamo in testa è necessariamente "a misura d'uomo", poiché da lui è elaborata e da lui è decifrata. Ciò mi sembra valere anche per le idee a cui non sappiamo dare un contenuto empirico: ad esempio, l'idea di post-mortem non ha corrispondenza reale e non nasce (metempsicosi a parte) dall'esperienza (trascendente o meno) del suo contenuto; eppure c'è.
La presenza dell'idea di Dio, rappresenta l'astrazione del grado massimo di alcuni attributi pensabili sull'esistenza, fatti convergere in un unico ente: la temporalità diventa eternità, la mortalità diventa immortalità, la causalità diventa causa prima incausata, etc. è un'idea quasi "necessaria" come idea-limite del pensiero. Tuttavia, passare dall'ideale al sostanziale/esistente, è il passaggio inverso rispetto all'astrazione ed è il passaggio, mi pare, in cui non si incontrano indizi razionalizzabili sull'esistenza di un dio (se non una sua deduzione di matrice idealistica, sempre infalsificabile).

Ci sarebbero alcuni spunti sotto forma di teologie delle varie religioni, ma se, come proponi, togliamo all'idea di dio qualunque connotazione storico-culturale di rivelazione, incarnazione, etc. (seguendo in ciò il deismo, ancora molto attuale, in cui si rinnega la propria "cittadinanza" in una religione, ma non si riesce ancora a vedersi come a-polidi, quindi ci si inquadra in una meta-cittadinanza) allora credo diventi davvero difficile dire qualcosa che lo riguardi e, ancor più, indagarne le caratteristiche, poiché non si hanno elementi a disposizione su cui discutere.

Citazione di: davintro il 05 Maggio 2019, 23:53:02 PM
la discussione è ritenuta impossibile da ogni mio eventuale interlocutore
Più che impossibile è forse ritenuta impraticabile perché troppo possibilista, nel senso che si potrebbe teorizzare (quasi) di tutto, come (e non lo dico per scherno/scherzo) se si volesse parlare della famigerata "teiera di Russell".

sgiombo

#236
Mi sembra di capire che ciò che afferma Davintro e la presunta dimostrazione goedeliana cui accenna Phil non siano altro che la vecchia anselmiana "prova ontologica" dell' esistenza di Dio.

Palesemente errata e falsa perché pretende indebitamente di passare dal campo del pensiero (il pensabile, i concetti puramente mentali; pensabile nell' ambito del quale il concetto di Dio implica l' esistenza esattamente come il concetto di ippogrifo implica le due ali ornitologiche e le quattro zampe equine) al campo della realtà (realtà nella quale, a quanto pare, fino a prova contraria, non esistono quadrupedi alati né dei; potrebbero esistervi, come anche la teiera interplanetaria di Russell e un' infinità di altre cose, ma non é dimostrato esistano effettivamente, per davvero).

odradek

a Phil e Davintro

citazione Phil : La presenza dell'idea di Dio, rappresenta l'astrazione del grado massimo di alcuni attributi pensabili sull'esistenza, fatti convergere in un unico ente:

Non solo.  La presenza dell'idea di  Dio ha una sua data di  nascita. Prima c'è mana poi la magia  poi gli dei, poi è arrivato il concetto di Dio.
Il Dio monoteista non ha più di 3800 anni (nasce con l'atonismo, poi scompare -evidentemente non piaceva abbastanza o non eravamo abbastanza evoluti- e riappare con lo zoroastrismo 700 anni dopo o giù di lì). 
Dio non è una questione eterna, è vecchiotto (3800 anni) ma non eterno.  Prima ci sarà anche stato ma evidentemente o non eravamo abbastanza intelligenti per capirlo  o non si era ancora deciso a manifestarsi nella mente umana. 
La filosofia si è sempre fatta in due maniere; o con il concetto di Dio o senza.

sgiombo

Citazione di: odradek il 06 Maggio 2019, 15:25:44 PM

La filosofia si è sempre fatta in due maniere; o con il concetto di Dio o senza.

Concordo con questo discrimine filosofico fondamentale, secondo me molto più sostanziale di quelli fra materialismo e idealismo o fra metafisica e dialettica (si vede che da giovane ho "doverosamente", ma anche con soddisfazione, studiato il Materialismo Dialettico, che tuttora apprezzo non poco pur dissentendone, in quanto militante comunista; quale tuttora orgogliosamente sono).

Infatti si può essere naturalisti (che per me é il discrimine ontologico fondamentale) senza essere materialisti, ma non senza essere ateisti o per lo meno deisti "trascendentisti" (non certo essendo teisti "immanentisti").

Ipazia

Citazione di: odradek il 06 Maggio 2019, 15:25:44 PM
La filosofia si è sempre fatta in due maniere; o con il concetto di Dio o senza.

E pare non sia possibile alcuna sintesi dialettica. Sono due teoresi, che rimandano a due visioni della realtà, distinte e intraducibili. Anche se poi ci pensa la realtà ad appianare il tutto.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

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