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L'immagine della realta'

Aperto da viator, 11 Maggio 2019, 15:05:09 PM

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0xdeadbeef

A Viator (e a chi legge)
Io credo che in questo forum il radicalismo teista da una parte, ed anti-teista dall'altra
(certo questo secondo molto più numeroso del primo) non permetta di usare certi aggettivi (mi
riferisco ad "assoluto"), che invece sono fondamentali in una discussione filosofica.
Nota bene che dico "aggettivo" nel riferirmi ad "assoluto"; perchè esso è appunto da
intendersi, nel discorso filosofico, come aggettivo (non come sostantivo, come invece è
usato nel discorso teologico).
Come aggettivo, "assoluto" significa "sciolto", "prosciolto da vincoli"; vincoli che nel nostro
caso (stiamo parlando di fatti e di interpretazioni) potremmo individuare appunto nelle
(necessarie) interpretazioni soggettive.
Da questo punto di vista "assoluto" è dunque il fatto al netto dell'interpretazione (l'"oggetto-
primo", dice la Semiotica). E non è ovviamente conoscibile; non certo "per definizione"; ma
perchè il fatto ci è conoscibile solo attraverso l'interpretazione ("già il pensarlo è
inserire il pensato all'interno di una catena segnica", dice acutamente Peirce).
Ora, dobbiamo dunque rassegnarci a "vivere senza verità" (o con una verità intesa
intersoggettivamente), cioè a vivere potendo conoscere non il fatto ma solo l'interpretazione
("interpretazione" è, naturalmente, anche quella di una intera cultura, o civiltà, o "etnia"
laddove questa pensi che l'"altro-da se" vada escluso, cara Ipazia...)?
Non lo credo, ma non tanto perchè penso che il fatto, o "oggetto" che dir si voglia, abbia
almeno un minimo di conoscibilità; ma perchè penso che conoscibile sia la DIREZIONE della
verità circa quel fatto...
Ma come posso conoscerla, questa "direzione"?
Alla maniera che già l'antico empirismo ci indicava, e la filosofia stoica con il concetto di
"evidenza" (riprendendo il "realismo negativo" di Eco: con un "cacciavite" posso fare svariate
cose - non solo svitare o avvitare - ma certo non posso pulirmici le orecchie, è EVIDENTE).
Questo, in estrema sintesi, il fondamento su cui a parer mio è possibile costruire una teoria
oggettiva della conoscenza.
saluti

Carlo Pierini

Citazione di: Ipazia il 13 Maggio 2019, 10:30:49 AM
* a tal proposito si potrebbe dire, mettendo insieme maestro e allievo, che non esistono fatti, ma solo rappresentazioni.
CARLO
Io invece direi che esistono rappresentazioni VERE e rappresentazioni FALSE dei fatti (con tutti i gradi intermedi possibili di miscele di vero e falso) e che la conoscenza non è altro che un processo evolutivo che avanza grazie alle rappresentazioni vere, e che si arresta e ristagna se le rappresentazioni sono false.
Mi sembra oltremodo sciocco rimuovere il concetto di verità solo perché non siamo onniscienti, perché cioè non conosciamo TUTTA la verità. La tanto abusata intersoggettività non può sostituire il concetto di verità: anche una bufala colossale può essere intersoggettiva, cioè può essere condivisa da una comunità di "eletti". La conoscenza non è democratica, ma aristocratica; in essa comanda la verità, non l'intersoggettività. Vox populi non è sempre vox Dèi.

Carlo Pierini

#17
OXDEADBEEF
Come aggettivo, "assoluto" significa "sciolto", "prosciolto da vincoli"; vincoli che nel nostro caso (stiamo parlando di fatti e di interpretazioni) potremmo individuare appunto nelle (necessarie) interpretazioni soggettive.

CARLO
Una verità è "assoluta" quando è svincolata dalla possibilità di essere smentita, contraddetta, quando esistono prove sufficienti della sua certezza. Ma la verità è definita come concordanza tra ciò che diciamo e ciò che è, tra l'<<ordo et connexio idearum>> e l'<<ordo et connexio rerum>>, in definitiva, è la concordanza stabile tra i fatti e la loro interpretazione, da qualunque punto di vista reale li si osservi.
In altre parole, la verità (o la conoscenza) è costituita da DUE fattori: il soggetto osservatore e l'oggetto osservato, quindi non ha senso identificarla né col solo soggettocol solo oggetto, ma con la concordanza-complementarità dei due fattori. Quando questa concordanza è presente immutata rispetto a tutti gli osservatori, allora parleremo di verità assoluta (per esempio: "la Terra è rotonda").

OXDEADBEEF
Da questo punto di vista "assoluto" è dunque il fatto al netto dell'interpretazione (l'"oggetto-primo", dice la Semiotica).

CARLO
Non ha senso parlare di "fatto assoluto" come di un "fatto al netto della sua interpretazione" perché un fatto, da solo, non è conoscenza, ma una perfetta X incognita; esso entra a far parte della conoscenza SOLTANTO nel momento in cui è osservato e interpretato come tale. Senza un soggetto, non esistono fatti. Tutt'alpiù possiamo dire che un fatto è assoluto quando fa parte di una interpretazione corretta, cioè, di una verità assoluta, di una verità svincolata da ogni possibilità di essere contraddetta.

OXDEADBEEF
Ora, dobbiamo dunque rassegnarci a "vivere senza verità" (o con una verità intesa intersoggettivamente),

CARLO
Certo, se parti dalla premessa - illegittima - secondo cui la conoscenza (o la verità) è costituita dai fatti "in sé", invece che dalla corretta interpretazioni dei fatti, giungi alla conclusione erronea che, dunque, la verità non esiste. E si tratta davvero di una conclusione erronea proprio perché auto-contraddittoria: infatti, se la verità non esiste, nessuna affermazione può esser vera, nemmeno l'affermazione: <<la verità non esiste>>.
Torniamo al criterio fondamentale della logica: <<la verità non può essere negata>>, di cui il principio di non contraddizione è una diretta conseguenza.

0xdeadbeef

Ciao Carlo
Un concetto della conoscenza come costituita da due fattori, e cioè il soggetto osservatore e
l'oggetto osservato, presuppone la conoscenza di entrambi questi fattori, e questo è impossibile.
O, per meglio dire, è impossibile dal punto di vista, oltre che di Kant, di C.S.Peirce ("già il
pensarlo inserisce il pensato all'interno di una catena segnica") o di G.Gentile ("l'oggetto, in
quanto pensato, non può essere una realtà indipendente dal soggetto che lo pensa").
Quindi, se si intende sostenere quel punto di vista, sono questi "fondamenti" che si devono
confutare (e per me è tutt'altro che facile)...
Come posso sapere se ciò che dico corrisponde a ciò che è senza conoscere ciò che è nella sua
più "pura" oggettività (cioè senza il "filtro" costituito dall'interpretazione soggettiva)?
L'amica Ipazia propone un criterio, l'intersoggettività, che può essere criticabile quanto si
vuole (e io infatti lo critico) ma che è pur sempre un criterio: qual'è il tuo?
saluti

Jacopus

L'unico criterio che più si avvicina alla verità è la misurabilita'. Il criterio scientifico per eccellenza. Quello che ci permette di scrivere su uno smartphone dopo innumerevoli passaggi precedenti. Se vogliamo restare in ambito sociale l'intersoggettivita' è un criterio parzialmente accettabile, considerato che sono esistite società totalmente e intersoggettivamente negative. Inoltre in ambito sociale esistono dinamiche assenti nel mondo fisico: una roccia di quarzo non vorrà mai convincere le rocce di calcare a proposito dell'inferiorita' del marmo a scopo di dominio.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

viator

Salve. Per Carlo Pierini : citandoti : "infatti, se la verità non esiste, nessuna affermazione può esser vera, nemmeno l'affermazione: <<la verità non esiste>>".
Osservazione corretta ma riguardante solamente le verità relative, certamente non una eventuale verità assoluta, che dovrebbe essere quella di cui stiamo discutendo, aspetto già dimenticato dalla metà degli intervenenti. Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

davintro

uno specchio non sarebbe capace di riconoscersi in quanto tale, cioè come capovolgente o deformante l'autentica rappresentazione della realtà. Invece noi abbiamo la possibilità, costantemente attualizzata, di riconoscere questa deformazione, renderci conto della componente di arbitrarietà presente in ogni rappresentazione, e riconoscendo la deformazione già solo per questo mostriamo di sapercene trarre fuori. Questo riconoscimento rientra a tutti gli effetti negli atti della coscienza, che così mostra  di comprendere in se stessa l'aspetto autocritico e autocorrettivo nei confronti delle sue imperfezioni nel rispecchiamento del reale. In questo senso trovo che la metafora dello specchio non sia adeguata alla coscienza, Lo specchio rimane tale, con la sua struttura che lo rende incapace di rispecchiare l'oggetto nella sua perfetta verità, la coscienza è dinamismo che sa mettersi in discussione, e può rendersi conto dei suoi errori in quanto li raffronta a un modello regolativo di verità, sulla base del quale valutare i suoi errori, cosicché, concordando con Carlo Pierini, anche il riconoscimento stesso delle imperfezioni e dei limiti della conoscenza umana implica, per non cadere in un'insensatezza autocontraddittoria, l'affermazione del giudizio di verità del riconoscimento stesso, e dunque pur sempre un certo canale di comunicazione tra coscienza e mondo oggettivo. Più che di "specchio", parlerei della coscienza come "lenti", come una lenti di un occhiale che sono tanto più imperfette nella funzione di farci vedere le cose come sono, tanto più si sporcano di polvere di pregiudizi, condizionamenti sentimentali, dogmatismi dati per scontati. Impurità che sarà sempre presente, anche nell'istante  immediatamente successivo a quando dopo la pulizia le si inforcano, perché fin da subito a contatto con agenti atmosferici inquinanti, che però possiamo minimizzare pulendole, utilizzando la razionalità e il senso critico, che togliendo lo sporco dei pregiudizi, renda possibile alle cose stesse manifestarsi nella loro oggettività a una sguardo il più possibile aperto e con meno filtri deformanti possibili

Carlo Pierini

#22
OXDEADBEEF
Un concetto della conoscenza come costituita da due fattori, e cioè il soggetto osservatore e
l'oggetto osservato, presuppone la conoscenza di entrambi questi fattori, e questo è impossibile.

CARLO
Dove sta scritto? ...Chi ce lo ordina? Per decretare che <<la Terra è rotonda>> è una verità ab-soluta (cioè libera da ogni condizione che possa falsificarla) non è necessario né sapere TUTTO sul pianeta Terra, né sapere TUTTO sul soggetto Uomo.

OXDEADBEEF
O, per meglio dire, è impossibile dal punto di vista, oltre che di Kant, di C.S.Peirce ("già il pensarlo inserisce il pensato all'interno di una catena segnica") o di G. Gentile ("l'oggetto, in quanto pensato, non può essere una realtà indipendente dal soggetto che lo pensa").

CARLO
Intanto si deve precisare che la conoscenza umana non ha come oggetto l'oggetto in sé (che nessuno sa cos'è) ma le proprietà dell'oggetto (il quale è in sé sconosciuto). Ad esse si giunge attraverso l'osservazione dei fenomeni e la loro corretta interpretazione.
Quale sarebbe questa corretta interpretazione? Quella che non cambia col cambiare del legittimo punto di vista dell'osservatore, e che pertanto possiamo chiamare verità assoluta. Se tale interpretazione cambia da osservatore a osservatore, allora avremo tante verità relative e nessuna verità assoluta.
E' evidente dunque che "verità assoluta" non vuol dire "onniscienza", ma molto più semplicemente una verità accertata e inconfutabile riguardante le proprietà degli oggetti.

OXDEADBEEF
Come posso sapere se ciò che dico corrisponde a ciò che è senza conoscere ciò che è nella sua più "pura" oggettività?

CARLO
Come puoi sapere che l'affermazione <<la Terra è rotonda>> corrisponde ad una rotondità reale della Terra? Ci sono diversi modi sia osservando la Terra dalla sua superficie (interpretando certi fenomeni particolari che ometto per brevità, ma che possiamo vedere in seguito) sia osservandola da diversi punti dello spazio. Quando TUTTI questi punti di vista convergono verso la medesima interpretazione: <<la Terra è rotonda>>, vuol dire che essa è una verità assoluta. Se invece l'interpretazione fosse: <<la Terra è perfettamente rotonda>>, allora NON avremmo una verità assoluta, ma una verità approssimativa, perché la terra in realtà è uno sferoide ecc., ecc.
Con questo, naturalmente non voglio dire che TUTTE le affermazioni della scienza, o che TUTTE le teorie scientifiche suffragate da verifiche sperimentali siano delle verità assolute, certe e inconfutabili; ma voglio sicuramente dire che esistono migliaia di verità scientifiche che sono ormai accertate, assolute, e che proprio su quelle si fonda l'evoluzione REALE della conoscenza (potrei fartene un lungo elenco).

Pertanto, la necessità dell'interpretazione è un limite SOLO quando l'interpretazione stessa è inadeguata o erronea, altrimenti è un vantaggio preziosissimo, poiché, per esempio, le leggi della fisica non le osserviamo nei fenomeni, ma sono il frutto di una interpretazione soggettiva dei fenomeni (deduzione). Altro esempio: il paradigma geocentrico ha imperato per mille anni proprio perché gli astronomi osservavano i fenomeni celesti (l'oggetto) così come si presentano, senza interpretarli; nel momento in cui Copernico-Kleplero-Newton li hanno interpretati hanno dato inizio alla rivoluzione scientifica.

Pertanto, io ...aborrrrrrro le elucubrazioni centrate sulla filosofia di Kant, la quale oscilla tra il piagnisteo dell'inconoscibilità della "cosa in sé" - che fa apparire la conoscenza come una insostanziale pseudo-conoscenza -, e la sedicente "rivoluzione copernicana" che la degrada ulteriormente ad arbitraria rappresentazione soggettiva delle "apparenze" fenomeniche.
Kant ha fatto più danni alla filosofia e all'epistemologia di un elefante in un negozio di cristalli. Senza contare, poi, il muro di separazione (arbitrario e dissennato) che ha posto tra trascendent-ale e trascendent-e, che ha spaccato la cultura in due fazioni separate e incomunicanti: la cultura scientifica e quella religiosa. Un vero criminale della filosofia! Poi è arrivato Nietzsche che le ha dato il colpo di grazia. Dopodiché il caos filosofico: il "pensiero debole", il decostruttivismo, il nichilismo, ...e altri veleni letali!



G. FERRI - Sinno' me moro
https://youtu.be/0vXfYql7POc?t=84

Ipazia

Citazione di: davintro il 14 Maggio 2019, 22:20:22 PM
Più che di "specchio", parlerei della coscienza come "lenti", come una lenti di un occhiale che sono tanto più imperfette nella funzione di farci vedere le cose come sono, tanto più si sporcano di polvere di pregiudizi, condizionamenti sentimentali, dogmatismi dati per scontati. Impurità che sarà sempre presente, anche nell'istante  immediatamente successivo a quando dopo la pulizia le si inforcano, perché fin da subito a contatto con agenti atmosferici inquinanti, che però possiamo minimizzare pulendole, utilizzando la razionalità e il senso critico, che togliendo lo sporco dei pregiudizi, renda possibile alle cose stesse manifestarsi nella loro oggettività a una sguardo il più possibile aperto e con meno filtri deformanti possibili

Esattamente. Ma dubito che le cose possano manifestarsi in una loro metafisica oggettività, ma piuttosto vengano investite di una "oggettività" intersoggettiva, la cui pluralità prospettica ci dà la media dialettica della miglior "ragion pura e pratica" possibile, visto che altri criteri di giudizio non ve ne sono: Protagora docet (se qualcuno ritiene vi siano lo dica chiaramente).

Teniamo conto inoltre che le "cose" sono sempre in movimento e con esse le prospettive che le intercettano, per cui non solo non abbiamo un'oggettività statica - con verità incorporata - ma dobbiamo affidarci ad un'intersoggettività dinamica, la cui unica salvezza da un relativismo appiattente e deresponsabilizzante è l'individuazione - sempre intersoggettiva - delle cose più stabili, durevoli, su cui è possibile fondare "verità" etologiche (che riguardano anche l'episteme scientifica) contrapposte a cose di carattere più soggettivo, intimo, non socialmente cogenti, su cui si può dispiegare la libertà del gusto individuale, più o meno condiviso. Ma mai urbi et orbi vincolante.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Sariputra

#24
@Davintro
Innanzi tutto grazie per aver riflettuto sul mio breve post.
Non avendo una conoscenza filosofica 'adeguata' provo a spiegarmi, sempre precisando che le parole sono inadeguate a spiegare con completezza ciò che è anche frutto della pratica...
Quindi prendile con gli evidenti limiti.

Parlo di puro specchio perché la coscienza non può essere un atto di pensiero in quanto il pensare (anche il "pensare se stesso") è fondamentalmente un 'processo' diretto di manipolazione simbolica. Per questo motivo spesso ostacola e fuorvia  le nostre intuizioni penetranti. A motivo di questa manipolazione, quella che definiamo convenzionalmente come " coscienza" è fortemente legata, "prende dimora" nell'elemento della forma.
Trovo del tutto giusto quello che dici a proposito della coscienza se la intendiamo "come atto consapevole del pensare", ma io lo vedo già come il momento dopo, quando inizia la manipolazione simbolica. Lo specchio è "prima" di quel momento...
Uno specchio è inattivo e pertanto non può pensare se stesso, ma può contenere questo pensiero come immagine cangiante riflessa. Pensiero che è essenzialmente nome e forma. Infatti tutti noi pensiamo per immagini e per nomi. Lo specchio, essendo non-producente forme e nomi, è lo spazio dove questi però possono 'manifestarsi' (apparire). In mancanza di questo specchio non vi è manifestazione di nome e forma e quindi nemmeno di coscienza-di-sé. Se proiettiamo un film abbiamo bisogno di una parete o sfondo ove proiettare le immagini.
In mancanza di uno sfondo dove si proiettano le immagini? Lo specchio è la possibilità perché permette l'apparire dei fenomeni e anche di quel processo che noi convenzionalmente chiamiamo 'coscienza personale'. "Specchio" come metafora della pura consapevolezza non discriminante , ovviamente. Naturalmente lo 'spazio dello specchio' è anche il contenitore delle immagini (fenomeni). Per questo mi sembra corretto dire  , come dico spesso, che la coscienza (che io intendo, alla "buddhista", come pura consapevolezza percettiva non discriminante o anche "retta attenzione"...in mancanza della quale si resta inebriati dai propri pensieri) contiene i fenomeni 'materiali' e non viceversa.
Chiamiamolo, se proprio vogliamo chiamarlo in qualche maniera, il "puro percepire" prima dell'"apparire" dell'atto del pensare. Di questo specchio nulla si può dire, è 'indefinibile', perchè l'atto di definirlo è sempre una manipolazione simbolica discriminante, a posteriori della percezione. Eppure su questa indefinibilità si basano tutte le definizioni. Perché la BASE è il puro percepire non discriminante.
"Appare" , per così dire, quando il pensiero giunge al suo termine e con esso l'attaccamento a nome-forma.
Ma anche dire "appare" è una manipolazione simbolica.
Per questo lo "specchio" è a monte di ogni cosa, compresa la coscienza di sé.
La coscienza 'diviene' nel pensare. Lo specchio no.
Non è un problema che riguarda la "retta conoscenza", ma ne è la possibilità.
Mi si confà il silenzio, direi.  ;D

Riporto una frase di Schopenhauer:
«La vera filosofia deve in ogni caso essere idealista: anzi deve esserlo, se vuole semplicemente essere onesta. Perché niente è più certo, che nessuno può mai uscire da se stesso, per identificarsi immediatamente con le cose distinte da lui: bensì tutto ciò che egli conosce con sicurezza, cioè immediatamente, si trova dentro la sua coscienza. [...] Solo la coscienza è data immediatamente, perciò il fondamento della filosofia è limitato ai fatti della coscienza.»
Naturalmente l'idealismo di S. non è l'idealismo di Hegel ("il gran ciarlatano" lo definiva...).

Namaste
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Phil

Citazione di: Sariputra il 15 Maggio 2019, 09:36:30 AM
Trovo del tutto giusto quello che dici a proposito della coscienza se la intendiamo "come atto consapevole del pensare", ma io lo vedo già come il momento dopo, quando inizia la manipolazione simbolica. Lo specchio è "prima" di quel momento... [...] Per questo mi sembra corretto dire  , come dico spesso, che la coscienza (che io intendo, alla "buddhista", come pura consapevolezza percettiva non discriminante o anche "retta attenzione"...in mancanza della quale si resta inebriati dai propri pensieri) contiene i fenomeni 'materiali' e non viceversa.
Secondo me la coscienza come flusso di percezioni non discriminanti, non è in sé un problema, proprio perché se è non discriminante non può essere problematica.
Problematici sono piuttosto i cocenti riflessi (e le riflessioni) del pensiero che evapora dallo "Specchio", appannandolo.
Il meta-problema è che tali problemi sono "necessari" se si accetta la comune interazione sociale, altrimenti vivremmo come (non è dispregiativo) animali senzienti allo stato brado (ovvero un armonioso paradiso in terra), senza quasi tutta la tecnologia (che servirebbe solo a produrre simulacri, attaccamento e brame), senza illusioni e senza nemmeno avere il bisogno di "lucidare lo specchio" (conoscerai i relativi koan meglio di me).
Per questo, rispondendo tardivamente alla tua domanda, non mi interessa il Nirvana: preferisco una pacifica partita al "gioco di società" che mi circonda (forse per una questione di masochismo, se il buddismo è antidoto al dolore).


P.s.
@Ipazia
Qualche post fa hai citato «extra ecclesiam nulla salus»; questo motto latino è connesso a (la condanna religiosa del)l'indifferentismo, la cui definizione ci può aiutare a capire meglio cosa non è il relativismo (per amor di sfumature), così magari non lo percepiremo come una minaccia da cui "salvarci" (per quanto è lecito che ognuno abbia le sue fobie).

sgiombo

#26
Citazione di: Carlo Pierini il 15 Maggio 2019, 00:46:44 AM
OXDEADBEEF
Un concetto della conoscenza come costituita da due fattori, e cioè il soggetto osservatore e
l'oggetto osservato, presuppone la conoscenza di entrambi questi fattori, e questo è impossibile.

CARLO
Dove sta scritto? ...Chi ce lo ordina? Per decretare che <<la Terra è rotonda>> è una verità ab-soluta (cioè libera da ogni condizione che possa falsificarla) non è necessario né sapere TUTTO sul pianeta Terra, né sapere TUTTO sul soggetto Uomo.

OXDEADBEEF
O, per meglio dire, è impossibile dal punto di vista, oltre che di Kant, di C.S.Peirce ("già il pensarlo inserisce il pensato all'interno di una catena segnica") o di G. Gentile ("l'oggetto, in quanto pensato, non può essere una realtà indipendente dal soggetto che lo pensa").

Citazione
Fin qui (alquanto inusualmente) mi trovo a concordare con CarloPierini e (alquanto usualmente) a discordare da Oxdeadbeef:

Il fatto che un oggetto (ente o evento), oltre ad essere reale sia eventualmente anche pensato, ovvero che oltre all' accadere reale dell' oggetto accada anche, inoltre realmente il pensiero dell' oggetto reale (per definizione -ciò che si intende per- la conoscenza dell' oggetto reale, se il pensiero ne predica veracemente l' accadere reale) o meno nulla muta nell' oggetto reale stesso: muta la realtà complessiva, ma non la particolare (parte della) realtà costituita dall' oggetto (per l' appunto) reale.





CARLO
Intanto si deve precisare che la conoscenza umana non ha come oggetto l'oggetto in sé (che nessuno sa cos'è) ma le proprietà dell'oggetto (il quale è in sé sconosciuto). Ad esse si giunge attraverso l'osservazione dei fenomeni e la loro corretta interpretazione.
Quale sarebbe questa corretta interpretazione? Quella che non cambia col cambiare del legittimo punto di vista dell'osservatore, e che pertanto possiamo chiamare verità assoluta. Se tale interpretazione cambia da osservatore a osservatore, allora avremo tante verità relative e nessuna verità assoluta.
E' evidente dunque che "verità assoluta" non vuol dire "onniscienza", ma molto più semplicemente una verità accertata e inconfutabile riguardante le proprietà degli oggetti.

OXDEADBEEF
Come posso sapere se ciò che dico corrisponde a ciò che è senza conoscere ciò che è nella sua più "pura" oggettività?

CARLO
Come puoi sapere che l'affermazione <<la Terra è rotonda>> corrisponde ad una rotondità reale della Terra? Ci sono diversi modi sia osservando la Terra dalla sua superficie (interpretando certi fenomeni particolari che ometto per brevità, ma che possiamo vedere in seguito) sia osservandola da diversi punti dello spazio. Quando TUTTI questi punti di vista convergono verso la medesima interpretazione: <<la Terra è rotonda>>, vuol dire che essa è una verità assoluta. Se invece l'interpretazione fosse: <<la Terra è perfettamente rotonda>>, allora NON avremmo una verità assoluta, ma una verità approssimativa, perché la terra in realtà è uno sferoide ecc., ecc.
Con questo, naturalmente non voglio dire che TUTTE le affermazioni della scienza, o che TUTTE le teorie scientifiche suffragate da verifiche sperimentali siano delle verità assolute, certe e inconfutabili; ma voglio sicuramente dire che esistono migliaia di verità scientifiche che sono ormai accertate, assolute, e che proprio su quelle si fonda l'evoluzione REALE della conoscenza (potrei fartene un lungo elenco).

Pertanto, la necessità dell'interpretazione è un limite SOLO quando l'interpretazione stessa è inadeguata o erronea, altrimenti è un vantaggio preziosissimo, poiché, per esempio, le leggi della fisica non le osserviamo nei fenomeni, ma sono il frutto di una interpretazione soggettiva dei fenomeni (deduzione). Altro esempio: il paradigma geocentrico ha imperato per mille anni proprio perché gli astronomi osservavano i fenomeni celesti (l'oggetto) così come si presentano, senza interpretarli; nel momento in cui Copernico-Kleplero-Newton li hanno interpretati hanno dato inizio alla rivoluzione scientifica.

Pertanto, io ...aborrrrrrro le elucubrazioni centrate sulla filosofia di Kant, la quale oscilla tra il piagnisteo dell'inconoscibilità della "cosa in sé" - che fa apparire la conoscenza come una insostanziale pseudo-conoscenza -, e la sedicente "rivoluzione copernicana" che la degrada ulteriormente ad arbitraria rappresentazione soggettiva delle "apparenze" fenomeniche.
Kant ha fatto più danni alla filosofia e all'epistemologia di un elefante in un negozio di cristalli. Senza contare, poi, il muro di separazione (arbitrario e dissennato) che ha posto tra trascendent-ale e trascendent-e, che ha spaccato la cultura in due fazioni separate e incomunicanti: la cultura scientifica e quella religiosa. Un vero criminale della filosofia! Poi è arrivato Nietzsche che le ha dato il colpo di grazia. Dopodiché il caos filosofico: il "pensiero debole", il decostruttivismo, il nichilismo, ...e altri veleni letali!
Citazione
Qui (del tutto usualmente) dissento da entrambi:

Ha ragione Kant a rendersi conto che la scienza conosce solo insiemi-successioni di sensazioni ovvero fenomeni mentre la cosa in sé (noumeno; se reale, se non costituita da nulla, mi permetto di precisare personalmente) non é scientificamente conoscibile  (ma casomai filosoficamente).

Dissento inoltre (anche) da Kant sul darsi di giudizi sintetici a priori, e poiché ritengo che i giudizi analitici a priori siano certamente veri ma nulla dicano sulla realtà (ma non sono propriamente conoscenza della realtà), che i giudizi sintetici a posteriori, che se veri costituiscono conoscenza (vera) della realtà, sono incerti, ineludibilmente dubbi, e che inoltre non si danno altri giudizi che non siano gli analitici a priori e i sintetici a posteriori, ritengo che non si dà certezza nella conoscenza (eventuale) della realtà, non si dà conoscenza certa della realtà.

Ma lo scetticismo (==ineludibile incertezza dell' eventuale conoscenza della realtà) é tutt' altro che il relativismo, ma invece "quasi l' esatto contrario" del relativismo stesso, dal momento che per relativismo si intende la concezione secondo la quale qualsiasi affermazione (credenza) circa la realtà é certamente vera (tutte lo sono "a loro modo", perfino quelle reciprocamente contraddittorie) mentre per scetticismo si intende la concezione secondo a quale nessuna la é.

Concordo inoltre con Davintro che <<conoscenza parziale (incompleta, "imperfetta", "mista ad -o coesistente con- errori e falsità") della realtà>> =/= <<ignoranza (assoluta, totale) della realtà>>.





Sariputra

@Phil
La mia non è  ovviamente una riflessione vincolante.
Nessuno è obbligato a "crederci"...
Tra l'altro i problemi non sono solo quelli che sorgono per effetto del pensiero, ma anche quelli dati dall'avere un corpo...
Avere consapevolezza dei limiti della ragione, della logica e quindi di tutta la manipolazione simbolica  aiuta non a vivere come "animali senzienti" ma più "umanamente", se così si può dire...

cit.:"rispondendo tardivamente alla tua domanda, non mi interessa il Nirvana: preferisco una pacifica partita al "gioco di società" che mi circonda (forse per una questione di masochismo, se il buddismo è antidoto al dolore)."

De gustibus non est disputandum.. ;D
Ciao
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

sgiombo

Citazione di: Ipazia il 15 Maggio 2019, 08:48:58 AM
Citazione di: davintro il 14 Maggio 2019, 22:20:22 PM
Più che di "specchio", parlerei della coscienza come "lenti", come una lenti di un occhiale che sono tanto più imperfette nella funzione di farci vedere le cose come sono, tanto più si sporcano di polvere di pregiudizi, condizionamenti sentimentali, dogmatismi dati per scontati. Impurità che sarà sempre presente, anche nell'istante  immediatamente successivo a quando dopo la pulizia le si inforcano, perché fin da subito a contatto con agenti atmosferici inquinanti, che però possiamo minimizzare pulendole, utilizzando la razionalità e il senso critico, che togliendo lo sporco dei pregiudizi, renda possibile alle cose stesse manifestarsi nella loro oggettività a una sguardo il più possibile aperto e con meno filtri deformanti possibili

Esattamente. Ma dubito che le cose possano manifestarsi in una loro metafisica oggettività, ma piuttosto vengano investite di una "oggettività" intersoggettiva, la cui pluralità prospettica ci dà la media dialettica della miglior "ragion pura e pratica" possibile, visto che altri criteri di giudizio non ve ne sono: Protagora docet (se qualcuno ritiene vi siano lo dica chiaramente).
Citazione
Dico chiaramente che (anche) per me non ve ne sono.




Teniamo conto inoltre che le "cose" sono sempre in movimento e con esse le prospettive che le intercettano, per cui non solo non abbiamo un'oggettività statica - con verità incorporata - ma dobbiamo affidarci ad un'intersoggettività dinamica, la cui unica salvezza da un relativismo appiattente e deresponsabilizzante è l'individuazione - sempre intersoggettiva - delle cose più stabili, durevoli, su cui è possibile fondare "verità" etologiche (che riguardano anche l'episteme scientifica) contrapposte a cose di carattere più soggettivo, intimo, non socialmente cogenti, su cui si può dispiegare la libertà del gusto individuale, più o meno condiviso. Ma mai urbi et orbi vincolante.
Citazione
Due osservazioni per parte mia.

La conoscenza intersoggettiva propria delle scienze si fonda su due conditiones sine qua non indimostrabili (si sia consapevoli o meno di esse e della loro indimostrabilità): l' intersoggettività stessa dei fenomeni materiali (res extensa) e il loro divenire -integrale! Senza eccezione alcuna!- ordinato ovvero deterministico. per lo meno in senso debole ovvero probabilistico - statistico. Oltre che su una terza empiricamente constatabile: la loro misurabilità quantitativa.
Non così i fenomeni mentali (res cogitans), che infatti non sono scientificamente conoscibili (per lo meno in senso stretto o forte, quello delle scienze naturali).

sgiombo

X Sariputra

Un solo importante motivo di dissenso (se ben ti comprendo) mi divide da te.

Il fatto che secondo me ciò che si sente (i fenomeni) siano tutto ciò di cui si può parlare "a ragion veduta" (per empirica constatazione immediata; su cui poi si può anche variamente ragionare, considerare) va esteso sia ai fenomeni materiali, ma sia anche a quelli mentali: come nulla altro che insiemi - successioni di sensazioni o "dati di coscienza" (oltre i quali nulla potrebbe essere reale; oltre a poter -ma non necessariamente dover- essere reale qualcosa che vi corrisponda, che attraverso di essi "si manifesti") sono le cose materiali ma anche le cose mentali: pure oltre queste ultime nulla potrebbe essere reale; oltre a poter -ma non necessariamente dover- essere reale qualcosa che vi corrisponda, che attraverso di essi (come sensazioni interiori o mentali: pensieri, immaginazioni, ricordi, sentimenti, ecc.) riflessivamente "si manifesti" a se stessa, oltre ad avere manifestazione di altre cose reali nella forma di fenomeni ("cose") materiali.

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