L'illusione del libero arbitrio

Aperto da bobmax, 18 Novembre 2018, 20:50:53 PM

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sgiombo

Citazione di: Ipazia il 05 Dicembre 2018, 08:01:59 AM
L'energia si manifesta solo quando c'è una differenza di potenziale. La materia invece si manifesta sempre ed è messa in movimento da questa differenza di potenziale. Finora la fisica è riuscita a metterle insieme solo matematicamente, non fisicamente (ontologicamente). Può darsi che la quantistica riesca a farlo a partire dal pattern dei campi, ma Heisenberg gode ancora di ottima salute.
Citazione
Continui a confondere "materia" e "massa".

La massa (materia energetica) é in movimento da sempre (inerzia) e subisce variazioni nel suo continuo movimento (accelerazioni) ad opera di forze.
Inoltre la massa (materia massiva) si trasforma continuamente in altra massa (materia massiva) e/o in energia (materia non massiva o energetica) e viceversa l' energia (materia non massiva o energetica) si trasforma continuamente in altra energia e/o in massa non caoticamente ma soltanto in ben determinate circostanze secondo ben determinate modalità (universali e costanti; astraibili da parte del pensiero -conoscibili scientificamente- dai particolari concreti della natura in continuo divenire) implicanti l' assoluta, immutabile costanza della somma totale di tutta la massa e di tutta l' energia dell' universo fisico - materiale (quali che siano le diverse forme che continuamente assumono mutevolmente); ovvero  l' assoluta, immutabile costanza della somma totale di tutta la materia dell' universo (quali che siano le diverse forme -massive e/o non massive ovvero energetiche- che continuamente assume mutevolmente).

Non capisco la frase "Finora la fisica è riuscita a metterle insieme solo matematicamente, non fisicamente (ontologicamente).
Ovviamente ciò che la scienza conosce della realtà lo conosce come insieme di predicati, come teoria (conoscenza della realtà =/= realtà); e la matematica é di fatto una componente fondamentale delle teorie scientifiche (conoscenze della realtà materiale - naturale).

Nemmeno comprendo, di conseguenza, il riferimento ad Heisenberg; ma comunque Plank, Einstein, Scroedinger, de Broglie e Bohm godono di non meno buona salute che Heisenberg e Bohr.




"Materia" e pensiero: la causa prima non vale, lasciamola ai teisti e agli esecutori testamentari. Il secondo è sicuramente generato dalla prima ma gode di relativa autonomia e creatività (il pensiero è creazionista  :D ) tant'è che la materia di suo non avrebbe prodotto nemmeno uno spillo.  C'è un fantasma che si aggira per il mondo, si chiama "causa finale", non previsto da mamma natura che i dadi li getta a caso.

Sia chiaro, non pretendo si tratti di episteme finale, ma per ora mi pare la più convincente.
Citazione
Concordo che la causa prima non vale (non l' ho mai tirata in ballo); anche se purtroppo temo sia presto per sperare che i teisti lascino posto ad esecutori testamentari (mi sembrano vivi e vegeti anche loro).

Il pensiero é creativo ("creazionista", secondo l' uso corrente, significa che crede nella creazione -solitamente divina- dell' universo, e in particolare delle specie viventi già belle pronte così come sono contro la biologia scientifica; scusa la pignoleria).

Se la conoscenza scientifica é vera, allora necessariamente la materia non può che "generare" (trasformarsi in) altra materia secondo modalità e proporzioni quantitative universali e costanti, immutabili (non può "fare nient' altro" che questo).
Dunque delle due l' una:
O il pensiero (o la mente) é una forma di materia (ma nella scienza, nelle teorie fisiche non si trova mai alcun riferimento a siffatto concetto; lo si trova in alcune interpretazioni filosofiche materialiste della neurologia, dalle quali é inteso come l' insieme degli aspetti algoritmici-cognitivi della neurofisiologia cerebrale; i quali non contraddicono mai le leggi chimiche e fisiche: sono in ultima analisi meri aspetti del mondo materiale naturale; dunque non può godere di alcuna "relativa autonomia e creatività" dalle leggi della fisica, non può in alcun modo violarle; ovvero: é assolutamente incompatibile con il libero arbitrio).
Oppure il pensiero (la mente) non é materia ("generata", ovvero "nata" dalla trasformazione di altra materia secondo modalità e proporzioni quantitative generali e costanti e immutabili), ma invece é qualcosa d' altro, di non materiale (contrariamente all' energia, la quale é altrettanto materiale della massa): dualismo ontologico!

(A parte l fatto che il gioco dei dadi da risultati considerabili epistemicamente relativamente indeterministici -probabilistici-statistici- in conseguenza di meccanismi balistici perfettamete deterministici ontologicamente) Dissento dalla tesi che mamma natura giocherebbe a dadi).

Ma gli uomini che producono gli spilli e altri marchingegni molto più complessi, con le loro "cause finali" (scopi intenzionali coscienti), con la loro cultura, non sono (sia pure "in ultima analisi", "fatte le debite considerazioni e precisazioni) che natura, non implicando alcunché di "soprannaturale" o "preternaturale" (che rendessi un così utile servigio ai preti che tanto aborri proprio non me l' aspettavo): natura con importanti (per noi, del, tutto soggettivamente!) peculiarità, le quali puramente e semplicemente costituiscono gli effetti delle "normalissime", "banali", "ordinarie" leggi generali astratte di natura in determinati contesti particolari concreti.

sgiombo

Citazione di: SamuelSilver il 03 Dicembre 2018, 00:05:29 AM
Per Sgiombo:
Scrivi: "MI sembra evidente (e genialmente rilevato da Hume); ma chi afferma (e non: chi nega!) l' indeterminismo (per lo meno un indeterminismo relativo, limitato, "debole", ovvero probabilistico-statistico) non può -per definizione; di "conoscenza scientifica"- coerentemente, non contraddittoriamente credere nella verità della conoscenza scientifica stessa (se lo fa, inevtabilmente cade in contraddizione"
Hai perfettamente riassunto tutto il mio discorso, grazie di questo intervento.

Mi comporto deprecabilmente da bieco profittatore prepotente se ti chiedo (anche se hai dimostrato che non ce ne sarebbe bisogno; in realtà non ho motivo di dubitarne) di dimostrare "concretamente" la tua gratitudine (di cui ho gran soddisfazione comunque) dedicandoti con particolare impegno a considerare ulteriormente la mia modesta (...ma che ipocrita che sono a volte!) proposta ontologica dualista dei fenomeni, monista del noumeno?

Ipazia

Di cosa sia fatto il pensiero non lo sappiamo. Così come non sappiamo cosa c'era prima del big bang, così come Watt non sapeva nulla di termodinamica, ma ha creato ugualmente la prima macchina termodinamica. Ma sappiamo come funziona il pensiero e sappiamo che riesce a manipolare la realtà in maniera creativa. Tanto basta per dargli l'importanza che merita nella soluzione dei problemi umani. In ogni caso è uno spazio che si prende da solo, indipendentemente da tutte le speculazioni che si sono fatte da sempre sul suo conto. Sappiamo anche che è dotato di una volontà decisionale tra  varie opzioni possibili. Dove c'è scelta c'è libertà. E si torna all'evidenza reclamata da me ed altri.  :D Evidenza tutt'altro che banale, come dimostra la difficoltà della ricerca di antropomorfizzazione comportamentale della I.A.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Lou

#168
@sgiombo
"Dunque delle due l' una:
O il pensiero (o la mente) é una forma di materia (ma nella scienza, nelle teorie fisiche non si trova mai alcun riferimento a siffatto concetto; lo si trova in alcune interpretazioni filosofiche materialiste della neurologia, dalle quali é inteso come l' insieme degli aspetti algoritmici-cognitivi della neurofisiologia cerebrale; i quali non contraddicono mai le leggi chimiche e fisiche: sono in ultima analisi meri aspetti del mondo materiale naturale; dunque non può godere di alcuna "relativa autonomia e creatività" dalle leggi della fisica, non può in alcun modo violarle; ovvero: é assolutamente incompatibile con il libero arbitrio).
Oppure il pensiero (la mente) non é materia ("generata", ovvero "nata" dalla trasformazione di altra materia secondo modalità e proporzioni quantitative generali e costanti e immutabili), ma invece é qualcosa d' altro, di non materiale (contrariamente all' energia, la quale é altrettanto materiale della massa): dualismo ontologico!"
Mi scuso se inserisco un dubbio che mi si è affacciato leggendoti, tu come la/e vedi la/e teoria/e emergentista/e ( in generale senza distinguere tra emergentismo debole o forte). Non potrebbero queste opzioni, a tuo parere, rappresentare una terza via rispetto a "delle due l'una":"pensare" come proprietà emergente di un sistema complesso, con gradi di dipendenza e di autonomia rispetto al sistemone da cui emergono?
"La verità è brutta. Noi abbiamo l'arte per non perire a causa della verità." F. Nietzsche

sgiombo

Citazione di: Ipazia il 05 Dicembre 2018, 11:41:16 AM
Di cosa sia fatto il pensiero non lo sappiamo. Così come non sappiamo cosa c'era prima del big bang, così come Watt non sapeva nulla di termodinamica, ma ha creato ugualmente la prima macchina termodinamica. Ma sappiamo come funziona il pensiero e sappiamo che riesce a manipolare la realtà in maniera creativa.
Tanto basta per dargli l'importanza che merita nella soluzione dei problemi umani.

Citazione
Che il pensiero riesca a manipolare la realtà fisica - materiale (in maniera più o meno creativa) non é detto sia realtà piuttosto che mera apparenza ingannevole.

E secondo me se é vera la conoscenza scientifica, allora per la chiusura causale del mondo fisico é falso (le due cose non possono coesistere in maniera logicamente corretta essendo reciprocamente contraddittorie, e dunque o é vera l' una e falsa l' altra oppure viceversa.
E a manipolare la materia é in realtà il cervello (ben diversa cosa dal pensiero cosciente).

(Personalmente ritengo che il Big bang non ci sia mai stato ma invece l' universo -fenomenico- materiale sia infinito nel tempo e nello spazio.; ma questo é fuori tema).

In ogni caso è uno spazio che si prende da solo, indipendentemente da tutte le speculazioni che si sono fatte da sempre sul suo conto.
Citazione
Che "qualcosa" esista realmente nell' apparente interazione fra pensiero e materia mi sembra ovvio.
Ma interessante mi sembra il "come", piuttosto che l' ovvio "se", dei rapporti fra pensiero e materia: se si tratti di un' interazione reale e non solo apparente (personalmente propendo per questa seconda tesi) o in cos' altro consistano (personalmente credo in una corrispondenza biunivoca fra insiemi-successioni di eventi (entrambi fenomenici) non reciprocamente interferenti; sempre per la chiusura causale del mondo fisico, conditio sine qua non della sua conoscibilità scientifica).

Sappiamo anche che è dotato di una volontà decisionale tra  varie opzioni possibili. Dove c'è scelta c'è libertà. E si torna all'evidenza reclamata da me ed altri.  :D Evidenza tutt'altro che banale, come dimostra la difficoltà della ricerca di antropomorfizzazione comportamentale della I.A.
CitazioneQui siamo sempre al "ci sembra che" (ma potrebbe essere un' apparenza -o se preferisci di un' evidenza- errata, falsa; e che lo sia ho cercato più volte di dimostrare nel forum).

Secondo me le difficoltà della ricerca di antropomorfizzazione comportamentale della I.A. non dimostrano altro che l' enorme complessità della "macchina" (anzi: della macchina senza virgolette) cerebrale e del conseguente (al funzionamento del cervello, non al pensiero cosciente) comportamento animale, e soprattutto umano.

Infatti nemmeno alcun albero artificiale (evidentemente privo di pensiero cosciente e di intelligenza) é stato finora riprodotto in laboratorio.

sgiombo

Citazione di: Lou il 05 Dicembre 2018, 18:30:53 PM
@sgiombo
"Dunque delle due l' una:
O il pensiero (o la mente) é una forma di materia (ma nella scienza, nelle teorie fisiche non si trova mai alcun riferimento a siffatto concetto; lo si trova in alcune interpretazioni filosofiche materialiste della neurologia, dalle quali é inteso come l' insieme degli aspetti algoritmici-cognitivi della neurofisiologia cerebrale; i quali non contraddicono mai le leggi chimiche e fisiche: sono in ultima analisi meri aspetti del mondo materiale naturale; dunque non può godere di alcuna "relativa autonomia e creatività" dalle leggi della fisica, non può in alcun modo violarle; ovvero: é assolutamente incompatibile con il libero arbitrio).
Oppure il pensiero (la mente) non é materia ("generata", ovvero "nata" dalla trasformazione di altra materia secondo modalità e proporzioni quantitative generali e costanti e immutabili), ma invece é qualcosa d' altro, di non materiale (contrariamente all' energia, la quale é altrettanto materiale della massa): dualismo ontologico!"
Mi scuso se inserisco un dubbio che mi si è affacciato leggendoti, tu come la/e vedi la/e teoria/e emergentista/e ( in generale senza distinguere tra emergentismo debole o forte). Non potrebbero queste opzioni, a tuo parere, rappresentare una terza via rispetto a "delle due l'una":"pensare" come proprietà emergente di un sistema complesso, con gradi di dipendenza e di autonomia rispetto al sistemone da cui emergono?

Vedo le teorie emergentiste (e quelle "sopravventiste") inadeguate a spiegare i rapporti fra mente e coscienza (ivi compresa la mente cosciente: pensiero, sentimenti, desideri, immaginazioni, ricordi, speranze, ecc.).

E questo per due motivi.

Il primo é che che il "comportamento cosciente" (cioé quei fatti materiali che possiamo ragionevolmente ritenere accompagnati da coscienza) animale e umano é da ritenersi perfettamente spiegabile (in linea teorica  potrebbe essere spiegato completamente se, per assurdo, fosse molto meno complicato di quanto effettivamente non sia; ragion per cui unicamente non lo é di fatto) dalla neurofisiologia cerebrale; la quale é perfettamente riducibile alla fisica - chimica (come tutta la biologia di cui fa parte; in linea teorica, di principio; di fatto é un altro paio di maniche a causa dell' enorme complessità di ciò che é comunque riducibile teoricamente, in linea di principio senza remora alcuna).

Il secondo é che i fatti di coscienza (compreso il pensiero) e i fatti materiali cerebrali che necessariamente vi coesistono-codivengono-corrispondono, come ampiamente dimostrato dalle neuroscienze, sono fatti reali diversi (contrariamente a: fulmini e scariche elettriche nell' atmosfera, o: temperatura di un corpo ed energia cinetica media delle sue molecole): il mio cervello nell' ambito della tua coscienza (se mi aprissi il cranio e osservassi; o meglio -per la mia incolumità- se lo osservassi indirettamente per il tramite della RM funzionale) mentre sto facendo un certo ragionamento o provando un certo sentimento é una cosa; il ragionamento che -nell' ambito della mia esperienza cosciente- sto facendo nello stesso lasso di tempo della tua osservazione del mio cervello o il sentimento che sto provando un' altra ben diversa cosa!

davintro

Citazione di: sgiombo il 04 Dicembre 2018, 20:01:54 PM
Citazione di: davintro il 04 Dicembre 2018, 15:43:30 PMNon sono d'accordo invece nel considerare come mero "politically correct", qualcosa di ipocrita e buonista, l'idea che il fine delle pene debba limitarsi alla rieducazione del criminale e alla prevenzione di nuovi reati.
CitazioneA me pare sia una posizione "politicamente corretta" de facto (il che non é l' aspetto importante della questione, ovviamente: non é un argomento per provare l' infondatezza o la falsità delle tue convinzioni; però un po' narcisisticamente ci tengo a sottolineare la mia scorrettezza politica in ogni occasione che mi capita di dimostrarla).
A mio avviso invece questa impostazione è coerente con la natura autentica dello stato: lo stato non è una realtà originaria, naturale, ma artificiale, prodotto della volontà associativa di singoli individui, che considerano la limitazione della libertà a causa delle leggi statali un male minore rispetto al male che subirebbero in una società del tutto caotica, dove vige solo la legge del più forte. Stando così le cose, lo stato non può essere considerato un fine, un valore etico a se stante, ma solo un mezzo, uno strumento pratico necessario a tutelare delle esigenze, queste sì etiche, perché avvertite, dal concreto vissuto dei singoli individui in carne e ossa, il cui insieme forma la comunità di popolo fondatrice dello stato, ragion d'essere di quest'ultimo. Ora, sanzionare con una pena un individuo sulla base di un giudizio morale di colpa, implica che il soggetto che stabilisce la sanzione si ponga come un'autorità morale superiore rispetto all'individuo oggetto del suo giudizio, ma se lo stato è un mezzo, e non fine in sé, mezzo al servizio di valori superiori come il benessere degli individui che legittimano la sua autorità, allora appare chiaro che tale porsi come autorità morale giudicante è a tutti gli effetti un abuso di poteri da parte dello stato, un contravvenire ai limiti del ruolo per il quale lo stato esiste.
Citazione Se, come me (contro nichilismo e relativismo) si ritiene che esistono imperativi etici di fatto universali (fatto ben spiegabile dalla teoria scientifica dell' evoluzione biologica) anche se non tali "di diritto", non dimostrabili logicamente ma semplicemente constatabili, allora i cittadini hanno il diritto che lo stato tuteli e imponga a tutti il rispetto di tali imperativi etici di fatto, compresa l' esigenza di punire adeguatamente chi li viola come finalità in sé e non solo come mezzo per il buon vivere sociale.
Se il mezzo è sempre moralmente inferiore rispetto al fine verso cui è ordinato, l'idea di uno stato, il mezzo, che presume di giudicare moralmente degli individui, il fine, pretendendo di avere un valore superiore ad essi, è del tutto assurda, una contraddizione, un'inversione logica.Se lo stato intende restare coerente col fine per cui è sorto, cioè il benessere complessivo della comunità di popolo che lo ha fondato, allora l'attribuzione della pena non può essere attuata in nome di una, inesistente, autorità morale con cui porsi al di sopra di essa, ma solo sulla base di un calcolo pratico di costi/benefici: danneggiare un individuo, togliendoli la libertà, se e solo se risulta strettamente necessario a tutelare un bene maggiore, la tutela di tanti altri individui, i cui diritti sarebbero messi in pericolo dal lasciare a piede libero il criminale. Un giudizio morale di colpa può essere formulato solo da un singolo individuo, unico reale depositario di un sentimento valoriale.
CitazioneFra i fini dello stato può benissimo (anzi, secondo me deve) esserci la comminazione delle giuste punizioni ai colpevoli (anche come fine a se stesso, oltre che per prevenire ulteriori crimini). Ribadisco che credo contro il relativismo morale che esistano valori etici di fatto universali anche se non perché dimostrabili logicamente ma solo perché constatabili empiricamente (e molto bene spiegabili dalla scienza biologica).


Come andrebbe intesa l'universalità degli imperativi etici? Se la si intende come unanimità nel consenso intersoggettivo, allora direi che semplicemente l'esistenza di criminali che violano tali imperativi basterebbe a smentirla, dato che se la violano è perché evidentemente non li condividono. Se invece la si intende non come proprietà dei contenuti morali, ma solo dell'atteggiamento formale con cui un singolo, soggettivamente però, li pone, cioè universalità come considerare determinati valori morali (indipendentemente dal loro quid, dalla loro specificità contenutistica) come riferimenti dell'azione in ogni contesto spazio temporale in cui siamo, allora sono d'accordo in quest'accezione: quanto più un'imperativo è importante per me tanto più assumerà per me una valenza universale, cioè tanto più diverrà un imperativo da seguire con la massima coerenza, indipendentemente dalle circostanze particolari. Ed in questo senso si può far rientrare il corretto rapporto tra stato ed etica, cioè lo stato da un lato non è del tutto indifferente all'etica, ma esiste come strumento coerente di applicazione di un sentire morale, ma dall'altro non può pretendere di imporre "in quanto stato" tale ethos, ma deve limitarsi a fornire le condizioni materiali perché questo possa realizzarsi. Questo perché i valori morali sono sempre posti da un sentimento, che nasce sempre dalla coscienza individuale, mentre lo stato non essendo una realtà personale dotato di sentimento non ha alcuna possibilità di porsi come soggetto autonomo di un'etica, ma solo come suo strumento di realizzazione. E che i valori morali siano correlati a sentimenti soggettivi e non fatti oggettivi è un punto contro cui nulla possono valere le constatazioni di alcuna scienza, compresa la biologia. La scienza può constatare come fatto oggettivo che la specie umana è caratterizzata da certe tendenze etiche, ma in ogni caso restano constatazioni moralmente neutre, che non escludono che la volontà possa giudicare soggettivamente come positivo o negativo il fatto che la specie umana sia fatta in questo modo anziché in un altro. Ogni scienza non può che limitarsi a mirare a una conoscenza dei fatti "così come sono", mettendo tra parentesi ogni soggettivo giudizio di valore, di "giusto", "sbagliato" giudizi che utilizzano la categoria del "dover essere" che proprio in quanto ispira la volontà di agire, non può essere un fatto, altrimenti la volontà di agire sarebbe insensata, essendo il suo fine già reale. In contrasto con un certo intellettualismo socratico, non esiste alcun passaggio logico necessario tra la conoscenza oggettiva dei fatti e l'assunzione di un'ideale di "realtà come vorremmo che fosse", persone di diverso orientamento etico possono condividere lo stesso livello conoscenza delle cose, e ricavarne un giudizio morale, in quanto ciò che fa la differenza non sono i fatti, ma la diversa sensibilità soggettiva che guida la volontà

sgiombo

Citazione di: davintro il 05 Dicembre 2018, 23:28:57 PM



Come andrebbe intesa l'universalità degli imperativi etici? Se la si intende come unanimità nel consenso intersoggettivo, allora direi che semplicemente l'esistenza di criminali che violano tali imperativi basterebbe a smentirla, dato che se la violano è perché evidentemente non li condividono. Se invece la si intende non come proprietà dei contenuti morali, ma solo dell'atteggiamento formale con cui un singolo, soggettivamente però, li pone, cioè universalità come considerare determinati valori morali (indipendentemente dal loro quid, dalla loro specificità contenutistica) come riferimenti dell'azione in ogni contesto spazio temporale in cui siamo, allora sono d'accordo in quest'accezione: quanto più un'imperativo è importante per me tanto più assumerà per me una valenza universale, cioè tanto più diverrà un imperativo da seguire con la massima coerenza, indipendentemente dalle circostanze particolari. Ed in questo senso si può far rientrare il corretto rapporto tra stato ed etica, cioè lo stato da un lato non è del tutto indifferente all'etica, ma esiste come strumento coerente di applicazione di un sentire morale, ma dall'altro non può pretendere di imporre "in quanto stato" tale ethos, ma deve limitarsi a fornire le condizioni materiali perché questo possa realizzarsi. Questo perché i valori morali sono sempre posti da un sentimento, che nasce sempre dalla coscienza individuale, mentre lo stato non essendo una realtà personale dotato di sentimento non ha alcuna possibilità di porsi come soggetto autonomo di un'etica, ma solo come suo strumento di realizzazione. E che i valori morali siano correlati a sentimenti soggettivi e non fatti oggettivi è un punto contro cui nulla possono valere le constatazioni di alcuna scienza, compresa la biologia. La scienza può constatare come fatto oggettivo che la specie umana è caratterizzata da certe tendenze etiche, ma in ogni caso restano constatazioni moralmente neutre, che non escludono che la volontà possa giudicare soggettivamente come positivo o negativo il fatto che la specie umana sia fatta in questo modo anziché in un altro. Ogni scienza non può che limitarsi a mirare a una conoscenza dei fatti "così come sono", mettendo tra parentesi ogni soggettivo giudizio di valore, di "giusto", "sbagliato" giudizi che utilizzano la categoria del "dover essere" che proprio in quanto ispira la volontà di agire, non può essere un fatto, altrimenti la volontà di agire sarebbe insensata, essendo il suo fine già reale. In contrasto con un certo intellettualismo socratico, non esiste alcun passaggio logico necessario tra la conoscenza oggettiva dei fatti e l'assunzione di un'ideale di "realtà come vorremmo che fosse", persone di diverso orientamento etico possono condividere lo stesso livello conoscenza delle cose, e ricavarne un giudizio morale, in quanto ciò che fa la differenza non sono i fatti, ma la diversa sensibilità soggettiva che guida la volontà

Secondo me va intesa nel senso che, pur non essendo dimostrabili ("veri di diritto"; come rilevato da Hume: si può dimostrare razionalmente e/o empiricamente come é la realtà, non come deve essere), di fatto tutti, compresi i criminali che li violano (perché la volontà, le tendenze comportamentali umane sono contraddittorie) avvertono interiormente imperativi etici e valutazioni circa la "bontà dell' agire e del non agire proprio e altrui; peraltro in parte importante declinati  culturalmente (variabilmente da luogo a luogo e da tempo a tempo, da condizione e ruolo sociale a condizione e ruolo sociale), per l' "innestarsi" nella nostra specie animale di una storia propriamente umana sulla storia naturale (della cultura sulla natura, attraverso un "salto di qualità dialettico nello sviluppo della natura che non ne nega le -infatti oggettivamente non negabili- caratteristiche e dinamiche ma per così dire le "perfeziona" affiancandovi non contraddittoriamente "novità creative".

L' animo umano é complesso e in certa misura contraddittorio.
Per questo tutti, ma in maniera più o meno largamente prevalente nel loro comportamento complessivo i delinquenti e i malvagi, violano gli imperativi etici e si comportano anche in maniere che suscitano di fatto universalmente riprovazione, anche nei malvagi stessi (malgrado in loro siano evidentemente più forti sono le tenenze a violarle).

Concordo dunque per lo meno a grandi linee che La scienza può constatare come fatto oggettivo che la specie umana è caratterizzata da certe tendenze etiche [e anche da contrastanti tendenze immorali], ma in ogni caso restano constatazioni [...?...] che non escludono che la volontà possa giudicare soggettivamente come positivo o negativo il fatto che la specie umana sia fatta in questo modo anziché in un altro [infatti non siamo creature di un dio buono e amorevole e provvidente, non viviamo nel migliore dei mondi possibili]. Ogni scienza [e non: ogni scienziato] non può che limitarsi a mirare a una conoscenza dei fatti "così come sono", mettendo tra parentesi ogni soggettivo giudizio di valore, di "giusto", "sbagliato" [come anche di "bello"  di "brutto", di "piacevole" e "spiacevole", ecc.] giudizi che utilizzano la categoria del "dover essere" che proprio in quanto ispira la volontà di agire, non può essere un fatto, altrimenti la volontà di agire sarebbe insensata, essendo il suo fine già reale. In contrasto con un certo intellettualismo socratico, non esiste alcun passaggio logico necessario tra la conoscenza oggettiva dei fatti e l'assunzione di un'ideale di "realtà come vorremmo che fosse", persone di diverso orientamento etico possono [per le diversità culturali nel comportamento umano che si "innestano" sulle sue unicità o conformità naturali] condividere lo stesso livello conoscenza delle cose, e ricavarne un [relativamente, parzialmente] diverso giudizio morale, in quanto ciò che fa la differenza non sono i fatti, ma la diversa sensibilità soggettiva che guida la volontà [le diversità nella conoscenza dei fatti possono però determinare applicazioni più o meno efficaci degli scopi irrazionalmente avvertiti e non dimostrati a seconda dei casi, attraverso l' impiego di mezzi più o meno oggettivamente atti a realizzarli nelle circostanze di volta in volta date].

Sulla valutazione dello stato concordo con quanto già ben rilevato da Ipazia: é per me ideologia (falsa coscienza) che lo Stato sarebbe la condizione per la realizzazione dei valori etici universali (in qualche misura é anche questo, ma decisamente in subordine alla sua funzione essenziale che é quella di salvaguardare e di consentire, con tutti i mezzi consensuali e coercitivi necessari nelle diverse circostanze -extrema razio la forza delle armi- di esercitare il potere economico, culturale a anche politico reale (quali che siano le caratteristiche formali più o meno astrattamente e apparentemente democratiche delle sue istituzioni) delle classi dominanti e la tutela e se possibile l' ampliamento indefinito dei loro privilegi.

Ipazia

Citazione di: davintro il 05 Dicembre 2018, 23:28:57 PM
Ogni scienza non può che limitarsi a mirare a una conoscenza dei fatti "così come sono", mettendo tra parentesi ogni soggettivo giudizio di valore, di "giusto", "sbagliato" giudizi che utilizzano la categoria del "dover essere" che proprio in quanto ispira la volontà di agire, non può essere un fatto, altrimenti la volontà di agire sarebbe insensata, essendo il suo fine già reale. In contrasto con un certo intellettualismo socratico, non esiste alcun passaggio logico necessario tra la conoscenza oggettiva dei fatti e l'assunzione di un'ideale di "realtà come vorremmo che fosse", persone di diverso orientamento etico possono condividere lo stesso livello conoscenza delle cose, e ricavarne un giudizio morale, in quanto ciò che fa la differenza non sono i fatti, ma la diversa sensibilità soggettiva che guida la volontà

Concordo con la risposta di sgiombo sull'universalità dei principi etici. Siamo esseri sociali e succhiamo l'ethos insieme al latte materno. Imprinting etico che è strettamente legato alla sopravvivenza che il cucciolo deve apprendere per convivere nel branco. In contrasto con l'intellettualismo idealistico ritengo del tutto assodato che vi sia un passaggio logico necessario tra la conoscenza oggettiva dei fatti e l'assunzione di un'ideale di "realtà come vorremmo che fosse" e tale passaggio logico consiste nelle condizioni materiali (culturali, di classe) in cui una determinata etica si forma e aggrega consenso. Ad esempio: sapere scientificamente come si sviluppa la vita umana è un fondamento fattuale ad una unificazione etica razionale, e non sentimentale o confessionale, intorno alla questione dell'ivg e ai tempi della sua attuazione. Conoscere la tossicità di certe sostanze è logicamente connesso all'etica del lavoro. E così via.

Insomma, a differenza di come pensa l'intellettualismo idealistico borghese, l'etica non nasce sotto un cavolo e non è per nulla arbitraria, ma sempre socialmente e naturalmente determinata. La sua violazione, pur possibile in un regime di l.a. soggettivo, è o non-etica o etica alternativa. Ma sempre a quella koinè etica dominante fa riferimento e alle condizioni materiali (inclusi i conflitti nel caso di etiche alternative) che l'hanno prodotta. Per non-etica intendo il caso del ladro che non gradisce essere derubato, dell'assassino che non gradirebbe essere assassinato, del violento che non desidera essere violentato. La non-etica non può essere spacciata per etica alternativa.

Tornando al tema della discussione mi ha sempre sorpreso la contraddizione che i negatori totali del l.a. siano contemporaneamente anche i maggiori sostenitori dell'etica arbitraria !  ;D
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Phil

Credo che il concetto di libertà, per non collassare su se stesso, non debba essere assolutizzato: si è liberi sempre da qualcosa, mai in assoluto (altrimenti scatterebbe l'aporia autoreferenziale). Parimenti l'arbitrio è sempre arbitrio di qualcuno, quindi presuppone una struttura interpretativa del reale non assoluta, ma soggettiva.
Se l'arbitrio rimanda all'individuo nella sua singolarità, la libertà non può rimandare alla volontà (non posso non volere ciò che voglio, nemmeno quando voglio cambiare idea) né ai meccanismi decisionali (non posso scegliere secondo logiche e prospettive che non siano state prima integrate dai/nei miei stessi meccanismi decisionali). 
Se quindi, fino a prova contraria, non si può essere liberi dalla propria volontà né da come si ragiona, qual'è la "libertà" del libero arbitrio, da cosa si è liberi? 
Non si rischia di confondere la "libertà" dell'arbitrio con quella della sua attuazione pratica?
Cerco indizi pensandola via negationis: come limitare la "libertà" del libero arbitrio? Cosa rende un arbitrio "non libero" (e da cosa)? Tutta questione di circonvenzione e plagio, o si tratta di fare una tassonomia di ciò che rende tale il "nostro" arbitrio?
Cosa si perderebbe a parlare semplicemente di «arbitrio», senza usare quella "parolaccia vetero-umanista" tanto cara ai demagoghi e agli adolescenti?


P.s.
Chiaramente, si può deviare da tale questione percorrendo differenti strade: quella dell'istanza teologica (con le sue antinomie e "misteri" che legano libero arbitrio e peccato), quella storico-culturale (con riflessioni politiche o antropologiche sulle declinazioni delle libertà), quella epistemologica (con il causalismo che assedia sempre più l'apparentemente casuale), quella esistenziale (con l'interrogarsi estetizzante sul "peso" della eventuale libertà), quella etica (figlia di quella teologica e madre di quella giuridica, in cui la libertà è "incatenata" alla responsabilità, e vengono entrambe pesate sui piatti della bilancia para-utilitaristica «bene/male»), etc.

Ipazia

Citazione di: Phil il 06 Dicembre 2018, 18:51:41 PM

Se quindi, fino a prova contraria, non si può essere liberi dalla propria volontà né da come si ragiona, qual'è la "libertà" del libero arbitrio, da cosa si è liberi?

Si è liberi di volere ciò su cui si è ragionato.

Citazione

Non si rischia di confondere la "libertà" dell'arbitrio con quella della sua attuazione pratica?

Può essere ma almeno in pratica si mostra, anche metafisicamente, un certo grado di libertà

Citazione

Cosa si perderebbe a parlare semplicemente di «arbitrio», senza usare quella "parolaccia vetero-umanista" tanto cara ai demagoghi e agli adolescenti?


Quello che si guadagnerebbe separando dalla libertà la parolaccia cara a teologi e relativisti etici. Io preferisco parlare di gradi di libertà di  soggetti all'interno di un contesto storico-naturalistico dato. E lascio perdere l'"arbitrio". Escluso quello in senso strettamente matematico, che ci sta bene in compagnia del suo compare "a caso".

Citazione
P.s.
Chiaramente, si può deviare da tale questione percorrendo differenti strade: quella dell'istanza teologica (con le sue antinomie e "misteri" che legano libero arbitrio e peccato), quella storico-culturale (con riflessioni politiche o antropologiche sulle declinazioni delle libertà), quella epistemologica (con il causalismo che assedia sempre più l'apparentemente casuale), quella esistenziale (con l'interrogarsi estetizzante sul "peso" della eventuale libertà), quella etica (figlia di quella teologica e madre di quella giuridica, in cui la libertà è "incatenata" alla responsabilità, e vengono entrambe pesate sui piatti della bilancia para-utilitaristica «bene/male»), etc.

Per ora mi tengo stretta quella etica (politica, giuridica, antropologica), in attesa che la bestia bionda risolva il problema in maniera definitiva. Ma anche quella estetica, nell'arte, sport e sollazzi vari.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Phil

Citazione di: Ipazia il 06 Dicembre 2018, 20:07:52 PM
Citazione di: Phil il 06 Dicembre 2018, 18:51:41 PM
Non si rischia di confondere la "libertà" dell'arbitrio con quella della sua attuazione pratica?
Può essere ma almeno in pratica si mostra, anche metafisicamente, un certo grado di libertà
Quell'«almeno» (in cui intravvedo "50 sfumature" di rombante e sconsolata compensazione), allude a un'insuperabile esigenza teoretica o ad un accontentarsi con i cocci di un filosofema infranto?

Citazione di: Ipazia il 06 Dicembre 2018, 20:07:52 PM
Citazione di: Phil il 06 Dicembre 2018, 18:51:41 PM
Se quindi, fino a prova contraria, non si può essere liberi dalla propria volontà né da come si ragiona, qual'è la "libertà" del libero arbitrio, da cosa si è liberi?
Si è liberi di volere ciò su cui si è ragionato.
Non so se ho ben capito: si potrebbe forse non essere liberi di volere ciò su cui si è ragionato?

Citazione di: Ipazia il 06 Dicembre 2018, 20:07:52 PM
Io preferisco parlare di gradi di libertà di  soggetti all'interno di un contesto storico-naturalistico dato. E lascio perdere l'"arbitrio".
Condivido l'esigenza interpretativa di contestualizzare accuratamente e "graduare" la libertà, guardando quindi (se non ho frainteso) più alla prassi che a questioni di principi almeno un po' metafisici.

Ipazia

Una metafisica che ignora la prassi è una metafisica morta. Seppellita da Marx con le tesi su Feuerbach e da Nietzsche con la sua indagine sul mondo dietro il mondo. Il significato metafisico di quella "parolaccia vetero-umanista tanto cara ai demagoghi e agli adolescenti" penso lo conosca più di chiunque altro un un animale rinchiuso in  gabbia. Come in molte altre situazioni, non c'è nulla di meglio del negativo per illuminare un concetto.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

sgiombo

Citazione di: Ipazia il 06 Dicembre 2018, 11:39:40 AM


Tornando al tema della discussione mi ha sempre sorpreso la contraddizione che i negatori totali del l.a. siano contemporaneamente anche i maggiori sostenitori dell'etica arbitraria !  ;D

Se ho ben capito, essendo un sostenitore di un' etica non arbitraria anche se non dimostrabile (ma di fatto universalmente presente nell' uomo nei suoi aspetti più generali - astratti) e relativamente (in parte) variabile e socialmente condizionata nei suoi aspetti particolari - concreti, non cado in questa contraddizione.

Anche se sono un convintissimo sostenitore della mera apparenza ingannevole del libero arbitrio.

Ma c'é un' altra diffusa convinzione (a mio parere decisamente errata) circa i sostenitori del libero arbitrio: quella per cui sarebbe contraddittorio da parte loro assumere un atteggiamento attivo e non una fatalistica accettazione della sorte.
Errata perché non vedo per quale motivo per il fatto di essere consapevole che agisco inevitabilmente come agisco perché determinato dal mio modo di essere (condizionato soprattutto dalle mie esperienze e solo in infima parte per quanto riguarda l' originalità personale che mi caratterizza e mi diversifica dalle altre persone dal  mio genoma) dovrei sentire meno  intensamente e cogentemente le deterministiche esigenze e pulsioni all' azione che mi animano. 

E infatti (fin dai giacobini della Rivoluzione Francese) molti rivoluzionari "dalla volontà inflessibile" e intransigente avevano convinzioni deterministiche; e interessanti in proposito sono anche le considerazioni di Gramsci sulla necessità di superare quanto prima e più conseguentemente possibile le "deformazioni" e le errate interpretazioni "oggettivistiche" del marxismo, le quali però nelle fasi immature ed embrionali delle sviluppo del movimento operaio avevano svolto una funzione tutto sommato positiva in virtù proprio del loro carattere deterministico, della forza che derivava a in un movimento operaio ancora immaturo dalla fiducia nell' inevitabilità oggettiva, a prescindere da qualsiasi grado di comprensione soggettiva della realtà, nella "vittoria finale del socialismo-comunismo.

sgiombo

Citazione di: Phil il 06 Dicembre 2018, 22:02:31 PM
Citazione di: Ipazia il 06 Dicembre 2018, 20:07:52 PM
Può essere ma almeno in pratica si mostra, anche metafisicamente, un certo grado di libertà
Quell'«almeno» (in cui intravvedo "50 sfumature" di rombante e sconsolata compensazione), allude a un'insuperabile esigenza teoretica o ad un accontentarsi con i cocci di un filosofema infranto?

Ottimo assist per incoraggiare Ipazia, che già tende a farlo da sola, a parlar male della filosofia!

(Chiedo scusa a moderatori e diretti interessati per l' irrilevanza e la tendenziosità dell' osservazione).

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