L'illusione del libero arbitrio

Aperto da bobmax, 18 Novembre 2018, 20:50:53 PM

Discussione precedente - Discussione successiva

Phil

Citazione di: Ipazia il 07 Dicembre 2018, 09:14:52 AM
Il significato metafisico di quella "parolaccia vetero-umanista tanto cara ai demagoghi e agli adolescenti" penso lo conosca più di chiunque altro un un animale rinchiuso in  gabbia.
Come dicevamo, si può essere liberi da qualcosa e la gabbia è infatti un qualcosa; di fisico, non metafisico. Forse la lezione che l'animale ci dà (coniugando Ockham e Nietzsche) è proprio che si apprezza la libertà fisica senza bisogno di un «significato metafisico».
Certo, le metaforiche gabbie metafisiche esistono, tuttavia il passepartout della prassi può talvolta aprirne la serratura (senza nemmeno bisogno di distruggere la gabbia); se ne può anche uscire, o magari solo cambiare gabbia, volendo... e a «lasciar perdere l'arbitrio» (parafrasandoti) che potrebbe almeno motivare la volontà di uscire, potrebbe essere (qui non mi riferisco più a te) l'accomodarsi di una ragione sedentaria che ha trovato la sua pace in quella gabbia, al punto da chiamarla "casa" e da tener chiusa la porta dall'interno (e le gabbie, solitamente, non hanno nemmeno il campanello...).
D'altronde, come biasimare chi preferisce dormire in gabbia piuttosto che sotto un ponte?
In fondo, forse ogni situazione ha le sue libertà determinate (in gabbia si è almeno liberi dall'incombenza di trovar rifugio), per quanto ogni libertà non escluda altri vincoli; per quella assoluta, invece, bisogna chiedere ai poeti (oltre che ai demagoghi e agli adolescenti).


Citazione di: sgiombo il 07 Dicembre 2018, 11:25:02 AM
Ottimo assist per incoraggiare Ipazia, che già tende a farlo da sola, a parlar male della filosofia!
Se lo fa, dipende dalla sua libertà, dal suo libero arbitrio o non può non farlo? Dopo l'«Encomio di Elena» di Gorgia, scriveremo l'"encomio di Ipazia"?  ;D

Ipazia

Il mondo dei significati é sempre metafisico anche quando applica il concetto di libertà a situazioni fisiche. Tant'è che se non si può evadere dalla gabbia col corpo lo si fa assai di più col pensiero. Così la libertà ritorna ad incombere mostrando e arricchendo l'arco dei suoi significati. Una metafisica che si ponga come sapere contro e alternativo alla fisica é totalmente insensata. Non fosse per il fatto che anche la fisica é un metadiscorso sulla natura. Non ci si libera dalla libertà con sofismi veterometafisici piú di quanto la si possa negare sul piano fisico.

pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Lou

Scusate, chiedo in estrema sintesi, ma non vi risulta che concettualmente il libero arbitrio si configuri quale "libertà di", non "libertà da", o meglio non è sufficiente una "libertà da" (ad es. fame, sete, costrizioni, gabbie, desideri, da vizi, da cause e leggi etc.) affinchè si sia in presenza automaticamente di una "libertà di" (ad es. di volere o di scelta o di autodeterminazione etc.)?
"La verità è brutta. Noi abbiamo l'arte per non perire a causa della verità." F. Nietzsche

davintro

Per Sgiombo

Se per convalidare l'idea dell'universalità degli imperativi etici si ammette che anche i criminali che agiscono in contraddizione con essi in realtà, in qualche profondo recesso del loro animo, sono consapevoli dell'immoralità delle loro azioni, allora troverei ciò, non solo qualcosa su cui essere pienamente d'accordo, ma un ottimo argomento in favore dell'idea di non far coincidere la pena con la punizione vendicativa. Infatti se si ammette che anche il criminale mantiene pur sempre, seppur a livello latente un certo grado di moralità, allora occorre ammettere uno scarto tra il giudizio sulle azioni esteriori, cioè sui reati, da condannare e quello  sulla complessità interiore della persona, che mantiene un valore positivo dovuto alla preservazione di un senso di moralità, che nel momento in cui si commette il reato viene sovrastato da tendenze contrastanti, ma che in un futuro potrebbe tornare ad essere dominante all'interno del suo sistema di valori. Proprio questa possibilità legittima la rieducazione come fine primario della pena, nonché l'avversione verso trattamenti disumani, che vanno al di là di strategie utili al reinserimento sociale e al pentimento, in quanto rappresenterebbe una violenza gratuita contro un individuo, che al di là delle azioni commesse da condannare, mantiene comunque un valore etico positivo, in nome del, seppur provvisoriamente latente, senso morale insito in lui.


Per Ipazia

leggendo le argomentazioni riguardo l'oggettività della fonte da cui proviene il senso morale degli individui, devo dire che ho provato un certo senso di disagio, dovuto al fatto che per me  valori come "individualità" e "spiritualità" non solo concetti interni a una visione teorica, ma anche dei valori correlati a certi sentimenti tramite cui ne riconosco un'importanza per la mia vita, e che ho trovato in qualche modo squalificati in un'ottica nella quale "società" e "materiale" appaiono come fondamenti prioritari della realtà delle cose, relegando il resto a conseguenze secondarie, prive di una reale automonia. Questo disagio non è univocamente determinato dal dissenso teorico: di fronte a una tesi, ad esempio riguardo un argomento di pura logica, dove il mio dissenso sia anche più forte rispetto a quello riguardo ciò di cui qua si parla, non proverei lo stesso senso di disagio, se però fossero in misura minore tirati in ballo dei principi importanti a livello di sentimenti personali. Se il sentimento morale  fosse determinato dalla conoscenza di oggettivi stati di cose dovrebbe sussistere una proporzionalità tra l'intensità tramite cui sentiamo la certezza di un assunto teoretico oggettivo e l'intensità del sentimento di piacere o dispiacere riguardo il modo in cui un determinato ideale appare effettivamente realizzato nello stato di cose oggettivo. Così non è evidentemente: la sensibilità rispetto i valori non coincide con il percepire tali valori come rispecchiati nella realtà così come è, e per questo la sensibilità etica ispira la prassi, la prassi è necessaria sulla base della scarto tra conoscenza della realtà così come è  modello ideale di realtà in base a cui cerchiamo nella prassi di far adeguare la realtà fattuale. Se la corrispondenza tra il sentimento di approvazione o riprovazione etica e il senso di certezza meramente teoretica riguardo una verità oggettiva non si realizza in modo direttamente proporzionale, allora ciò prova l'autonomia del primo rispetto al secondo. La valutazione assiologica è un salto di qualità rispetto alla pura constatazione fattuale all'interno del complesso dei modi con cui ci relazioniamo con il mondo. Ciò non vuol dire pensare ad una totale arbitrarietà della prima, nel senso in cui un'ottica indeterminista intenderebbe l'arbitrarietà del libero arbitrio. Rilevare una contraddizione fra la negazione del libero arbitrio e l'arbitrarietà della morale avrebbe senso solo intendendo il libero arbitrio come inteso nell'accezione incompatibilista: libero arbitrio come totale assenza di causalità determinante lo scegliere in un modo anziché in un altro. Una volta inteso l'arbitrarietà come totale assenza di causalità, allora la negazione del libero arbitrio dovrebbe trascinare con sé anche l'arbitrarietà di ogni cosa, compresa l'etica. Ma se invece lo si intende in un'accezione compatibilista, cioè libero arbitrio come condizione in cui la causa determinante è interiore al soggetto agente, allora la contraddizione cade: il determinismo non sarebbe assenta, c'è, ma agirebbe a livello interiore, nelle tendenze delle persone a seguire un'inclinazione naturale ed originaria, quindi sviluppo di un autonomo e soggettivo sistema di valori, non campato per aria o nascente sotto un cavolo, ma espressione coerente dell'individualità personale, allo stesso modo di come l' "essere quercia" della quercia non è frutto del caso, ma coerente risultato dell'inclinazione già presente come nucleo originario dello sviluppo già insito nel seme

sgiombo

Citazione di: Lou il 07 Dicembre 2018, 17:35:18 PM
Scusate, chiedo in estrema sintesi, ma non vi risulta che concettualmente il libero arbitrio si configuri quale "libertà di", non "libertà da", o meglio non è sufficiente una "libertà da" (ad es. fame, sete, costrizioni, gabbie, desideri, da vizi, da cause e leggi etc.) affinchè si sia in presenza automaticamente di una "libertà di" (ad es. di volere o di scelta o di autodeterminazione etc.)?

Infatti secondo me può esistere la libertà da (costrizioni estrinseche alla propria volontà) ma (se é vera la conoscenza scientifica e dunque -secondo me- se é vero il determinismo, per lo meno debole) non la libertà di scegliere in maniera che non sia deterministicamente condizionata (per lo meno debolmente) dal proprio modo di essere.

sgiombo

#185
Citazione di: davintro il 07 Dicembre 2018, 17:38:47 PM
Per Sgiombo

Se per convalidare l'idea dell'universalità degli imperativi etici si ammette che anche i criminali che agiscono in contraddizione con essi in realtà, in qualche profondo recesso del loro animo, sono consapevoli dell'immoralità delle loro azioni, allora troverei ciò, non solo qualcosa su cui essere pienamente d'accordo, ma un ottimo argomento in favore dell'idea di non far coincidere la pena con la punizione vendicativa. Infatti se si ammette che anche il criminale mantiene pur sempre, seppur a livello latente un certo grado di moralità, allora occorre ammettere uno scarto tra il giudizio sulle azioni esteriori, cioè sui reati, da condannare e quello  sulla complessità interiore della persona, che mantiene un valore positivo dovuto alla preservazione di un senso di moralità, che nel momento in cui si commette il reato viene sovrastato da tendenze contrastanti, ma che in un futuro potrebbe tornare ad essere dominante all'interno del suo sistema di valori. Proprio questa possibilità legittima la rieducazione come fine primario della pena, nonché l'avversione verso trattamenti disumani, che vanno al di là di strategie utili al reinserimento sociale e al pentimento, in quanto rappresenterebbe una violenza gratuita contro un individuo, che al di là delle azioni commesse da condannare, mantiene comunque un valore etico positivo, in nome del, seppur provvisoriamente latente, senso morale insito in lui.
Citazione
Invece io credo che proprio perché il criminale non é amorale (privo di imperativi etici; nel qual caso non avrebbe senso il punirlo, come non avrebbe senso punire il leone che uccide la gazzella e se la mangia) ma invece immorale, cioé conosce gli imperativi etici e li contravviene, ne consegue che é giusto punirlo (anche) per farlo debitamente soffrire come si merita; e se fosse sinceramente pentito (se post festum facesse veramente prevalere i propri valori etici sui disvalori) lo esigerebbe lui stesso (ma non é un periodo ipotetico dell' irrealtà; talora esistono  davvero delinquenti autenticamente pentiti, che lo dimostrano chiedendo non furbescamente sconti ma invece per l' appunto inasprimenti di pena), oltre che a scopo dissuasivo ed eventualmente (se non pentito) rieducativo.

La disumanità delle pene é un' altra cosa, a sua volta immorale (ergo: da punire, se appena possibile).
Di non ricordo più in quale film che vidi in TV (ma é abbastanza famoso e qualcuno lo ricorderà) mi é rimasto impresso l' episodio di un ergastolano che aveva fatto amicizia con un topino che viveva nella sua cella, che una crudelissima guardia carceraria (quasi sicuramente peggiore dell' ergastolano, per quanti crimini costui avesse commesso) per puro dispetto gli schiacciò col piede sotto gli occhi, eliminando l' unico sollievo che era rimasto al detenuto che scontava la sua dura pena (presumibilmente meritata).
Beh, non mi vergogno a dire che ho pianto e che ho provato per il personaggio della guardia carceraria un enorme disprezzo e disgusto.

Per Ipazia

leggendo le argomentazioni riguardo l'oggettività della fonte da cui proviene il senso morale degli individui, devo dire che ho provato un certo senso di disagio, dovuto al fatto che per me  valori come "individualità" e "spiritualità" non solo concetti interni a una visione teorica, ma anche dei valori correlati a certi sentimenti tramite cui ne riconosco un'importanza per la mia vita, e che ho trovato in qualche modo squalificati in un'ottica nella quale "società" e "materiale" appaiono come fondamenti prioritari della realtà delle cose, relegando il resto a conseguenze secondarie, prive di una reale automonia.
Questo disagio non è univocamente determinato dal dissenso teorico: di fronte a una tesi, ad esempio riguardo un argomento di pura logica, dove il mio dissenso sia anche più forte rispetto a quello riguardo ciò di cui qua si parla, non proverei lo stesso senso di disagio, se però fossero in misura minore tirati in ballo dei principi importanti a livello di sentimenti personali.
Se il sentimento morale  fosse determinato dalla conoscenza di oggettivi stati di cose dovrebbe sussistere una proporzionalità tra l'intensità tramite cui sentiamo la certezza di un assunto teoretico oggettivo e l'intensità del sentimento di piacere o dispiacere riguardo il modo in cui un determinato ideale appare effettivamente realizzato nello stato di cose oggettivo. Così non è evidentemente: la sensibilità rispetto i valori non coincide con il percepire tali valori come rispecchiati nella realtà così come è, e per questo la sensibilità etica ispira la prassi, la prassi è necessaria sulla base della scarto tra conoscenza della realtà così come è  modello ideale di realtà in base a cui cerchiamo nella prassi di far adeguare la realtà fattuale. Se la corrispondenza tra il sentimento di approvazione o riprovazione etica e il senso di certezza meramente teoretica riguardo una verità oggettiva non si realizza in modo direttamente proporzionale, allora ciò prova l'autonomia del primo rispetto al secondo. La valutazione assiologica è un salto di qualità rispetto alla pura constatazione fattuale all'interno del complesso dei modi con cui ci relazioniamo con il mondo. Ciò non vuol dire pensare ad una totale arbitrarietà della prima, nel senso in cui un'ottica indeterminista intenderebbe l'arbitrarietà del libero arbitrio. Rilevare una contraddizione fra la negazione del libero arbitrio e l'arbitrarietà della morale avrebbe senso solo intendendo il libero arbitrio come inteso nell'accezione incompatibilista: libero arbitrio come totale assenza di causalità determinante lo scegliere in un modo anziché in un altro. Una volta inteso l'arbitrarietà come totale assenza di causalità, allora la negazione del libero arbitrio dovrebbe trascinare con sé anche l'arbitrarietà di ogni cosa, compresa l'etica. Ma se invece lo si intende in un'accezione compatibilista, cioè libero arbitrio come condizione in cui la causa determinante è interiore al soggetto agente, allora la contraddizione cade: il determinismo non sarebbe assenta, c'è, ma agirebbe a livello interiore, nelle tendenze delle persone a seguire un'inclinazione naturale ed originaria, quindi sviluppo di un autonomo e soggettivo sistema di valori, non campato per aria o nascente sotto un cavolo, ma espressione coerente dell'individualità personale, allo stesso modo di come l' "essere quercia" della quercia non è frutto del caso, ma coerente risultato dell'inclinazione già presente come nucleo originario dello sviluppo già insito nel seme
Citazione
Ipazia non ha certo bisogno di avvocati (e questo non vuole essere un intervento a gamba tesa), ma non posso esimermi dall' affermare che invece non vedo come e perché i più elevati valori morali (fra i quali personalmente tendo a non includere l' individualismo; ma qui ci sarebbe tanto da discutere e credo che finiremmo fuori tema) possano essere squalificati (e sminuiti nella loro "interiore profondità") per il fatto di essere (in parte) naturalisticamente ricondotti a (e compresi come conseguenze di) fatti biologici, così come per il fatto di essere (in altra parte) ricondotti a (e compresi come conseguenze di) fatti sociali; peraltro attraverso molteplici e importanti mediazioni culturali e psicologiche.
Un po' come non vedo in che senso potrebbero essere sminuiti dalla consepevolezza del determinismo e dell' assenza del libero arbitrio (su cui concordi, credo senza alcun analogo disagio).





sgiombo

Citazione di: Phil il 07 Dicembre 2018, 12:18:26 PM


Citazione di: sgiombo il 07 Dicembre 2018, 11:25:02 AM
Ottimo assist per incoraggiare Ipazia, che già tende a farlo da sola, a parlar male della filosofia!
Se lo fa, dipende dalla sua libertà, dal suo libero arbitrio o non può non farlo? Dopo l'«Encomio di Elena» di Gorgia, scriveremo l'"encomio di Ipazia"?  ;D

Simpaticissimo!
(Sei stato alla battuta senza fraintendere seriosamente).

...Ma continuando nella facezia, poiché Elena é stata difesa, da una colpa generalmente attribuitele, mediante sofismi -letteralmente; e in maniera comunemente considerata assai poco convincente: difficilmente in un processo reale l' arringa di Gorgia le sarebbe valsa l' assoluzione- allora anche tu tendi a pensare che "parlar male della filosofia "non sta bene"?

Ipazia

Citazione di: davintro il 07 Dicembre 2018, 17:38:47 PM

Per Ipazia

leggendo le argomentazioni riguardo l'oggettività della fonte da cui proviene il senso morale degli individui, devo dire che ho provato un certo senso di disagio, dovuto al fatto che per me  valori come "individualità" e "spiritualità" non solo concetti interni a una visione teorica, ma anche dei valori correlati a certi sentimenti tramite cui ne riconosco un'importanza per la mia vita, e che ho trovato in qualche modo squalificati in un'ottica nella quale "società" e "materiale" appaiono come fondamenti prioritari della realtà delle cose, relegando il resto a conseguenze secondarie, prive di una reale automonia. Questo disagio non è univocamente determinato dal dissenso teorico: di fronte a una tesi, ad esempio riguardo un argomento di pura logica, dove il mio dissenso sia anche più forte rispetto a quello riguardo ciò di cui qua si parla, non proverei lo stesso senso di disagio, se però fossero in misura minore tirati in ballo dei principi importanti a livello di sentimenti personali. Se il sentimento morale  fosse determinato dalla conoscenza di oggettivi stati di cose dovrebbe sussistere una proporzionalità tra l'intensità tramite cui sentiamo la certezza di un assunto teoretico oggettivo e l'intensità del sentimento di piacere o dispiacere riguardo il modo in cui un determinato ideale appare effettivamente realizzato nello stato di cose oggettivo. Così non è evidentemente: la sensibilità rispetto i valori non coincide con il percepire tali valori come rispecchiati nella realtà così come è, e per questo la sensibilità etica ispira la prassi, la prassi è necessaria sulla base della scarto tra conoscenza della realtà così come è  modello ideale di realtà in base a cui cerchiamo nella prassi di far adeguare la realtà fattuale. Se la corrispondenza tra il sentimento di approvazione o riprovazione etica e il senso di certezza meramente teoretica riguardo una verità oggettiva non si realizza in modo direttamente proporzionale, allora ciò prova l'autonomia del primo rispetto al secondo. La valutazione assiologica è un salto di qualità rispetto alla pura constatazione fattuale all'interno del complesso dei modi con cui ci relazioniamo con il mondo. Ciò non vuol dire pensare ad una totale arbitrarietà della prima, nel senso in cui un'ottica indeterminista intenderebbe l'arbitrarietà del libero arbitrio.

Neppure i sentimenti nascono sotto un cavolo. Ma tra l'origine "materiale" dei sentimenti e la loro manifestazione fenomenologica ci stanno Freud e la libera creatività umana. In questo passaggio io pongo il valore di concetti come libertà, responsabilità e scelta. Quindi come vedi tutt'altro che uno svalutare la "spiritualità". Anzi, all'opposto: radicarla nella carne piuttosto che in fantasie metafisiche dà alla metafisica del comportamento umano una maggiore affidabilità che le permette di realizzare etiche "forti" persistenti nel tempo, sgombrando il campo dalle riduzioni relativistiche. Parimenti libera tutto ciò che non è strategico per la sopravvivenza umana dalle pastoie moralistiche e lo consegna alla libertà del gusto e del sentimento così come si è formato nel corso della sua evoluzione individuale.

Citazione di: davintro il 07 Dicembre 2018, 17:38:47 PM

Rilevare una contraddizione fra la negazione del libero arbitrio e l'arbitrarietà della morale avrebbe senso solo intendendo il libero arbitrio come inteso nell'accezione incompatibilista: libero arbitrio come totale assenza di causalità determinante lo scegliere in un modo anziché in un altro. Una volta inteso l'arbitrarietà come totale assenza di causalità, allora la negazione del libero arbitrio dovrebbe trascinare con sé anche l'arbitrarietà di ogni cosa, compresa l'etica. Ma se invece lo si intende in un'accezione compatibilista, cioè libero arbitrio come condizione in cui la causa determinante è interiore al soggetto agente, allora la contraddizione cade: il determinismo non sarebbe assenta, c'è, ma agirebbe a livello interiore, nelle tendenze delle persone a seguire un'inclinazione naturale ed originaria, quindi sviluppo di un autonomo e soggettivo sistema di valori, non campato per aria o nascente sotto un cavolo, ma espressione coerente dell'individualità personale, allo stesso modo di come l' "essere quercia" della quercia non è frutto del caso, ma coerente risultato dell'inclinazione già presente come nucleo originario dello sviluppo già insito nel seme

La quercia si limita a fare la quercia, noi siamo un tantino più complicati. Soprattutto trovo assai azzardato ipotizzare un determinismo "a livello interiore, nelle tendenze delle persone a seguire un'inclinazione naturale ed originaria". Siamo materia bruta che si plasma in un processo di formazione (Bildung) lungo decenni di età evolutiva in cui succede di tutto e di più e i cui risultati scardinano e riscrivono qualsiasi interiore imperativo categorico. Processo che continua, modificandoci in base alle esperienze vissute, fino alla morte.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Ipazia

Citazione di: Lou il 07 Dicembre 2018, 17:35:18 PM
Scusate, chiedo in estrema sintesi, ma non vi risulta che concettualmente il libero arbitrio si configuri quale "libertà di", non "libertà da", o meglio non è sufficiente una "libertà da" (ad es. fame, sete, costrizioni, gabbie, desideri, da vizi, da cause e leggi etc.) affinchè si sia in presenza automaticamente di una "libertà di" (ad es. di volere o di scelta o di autodeterminazione etc.)?

Sì, ma le due cose sono collegate. In una gabbia non sono libero da (sbarre), ma questo mi impedisce anche di essere libero di (andare al mare). La libertà "da" libera la libertà "di".
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

viator

Salve. Per Lou. Il titolo di questa discussione dice tutto sull'argomento. Il libero arbitrio a livello soggettivo rappresenta una funzione mentale, e quindi come tale è (soggettivamente) reale.
Filosoficamente invece rappresenterebbe una condizione oggettiva, ma purtroppo come tale non esiste.

Quindi esso è reale ed illusorio contemporaneamente. Questione di punti di vista. Quante dimensioni ha un parallelepipedo visto di fronte ? Due. Quante ne ha se visto di lato ? Due. Quante ne ha visto di sbieco e da una posizione un poco elevata ? Tre.
Questione di punti di vista. Ma continuiamo a discutere di libero arbitrio semplicemente perchè ci piace farlo.

Inoltre, volendo essere precisi nel considerare la sua "realtà" in ambito mentale, dovremmo notare che esso non consiste in una libertà, bensì appunto - nella propria veste di FUNZIONE - nella possibilità di esprimere una scelta.

E le scelte si possono compiere sia in presenza che in assenza di "libertà" ad esse esterne.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

Lou

#190
Citazione di: Ipazia il 07 Dicembre 2018, 19:29:42 PM
Citazione di: Lou il 07 Dicembre 2018, 17:35:18 PM
Scusate, chiedo in estrema sintesi, ma non vi risulta che concettualmente il libero arbitrio si configuri quale "libertà di", non "libertà da", o meglio non è sufficiente una "libertà da" (ad es. fame, sete, costrizioni, gabbie, desideri, da vizi, da cause e leggi etc.) affinchè si sia in presenza automaticamente di una "libertà di" (ad es. di volere o di scelta o di autodeterminazione etc.)?

Sì, ma le due cose sono collegate. In una gabbia non sono libero da (sbarre), ma questo mi impedisce anche di essere libero di (andare al mare). La libertà "da" libera la libertà "di".
Collegate siano ok, le "due" libertá (che in ogni caso non sono "cose") comunque collegate, non significa -lo stesso. Ne converrai. Ora se si vuole ibridare e annacquare il concetto di libero arbitrio in libertà da per far tornare i conti, va pur bene, per carità.
"La verità è brutta. Noi abbiamo l'arte per non perire a causa della verità." F. Nietzsche

Lou

#191
Citazione di: viator il 07 Dicembre 2018, 21:32:42 PM
Salve. Per Lou. Il titolo di questa discussione dice tutto sull'argomento. Il libero arbitrio a livello soggettivo rappresenta una funzione mentale, e quindi come tale è (soggettivamente) reale.
Filosoficamente invece rappresenterebbe una condizione oggettiva, ma purtroppo come tale non esiste.

Quindi esso è reale ed illusorio contemporaneamente. Questione di punti di vista. Quante dimensioni ha un parallelepipedo visto di fronte ? Due. Quante ne ha se visto di lato ? Due. Quante ne ha visto di sbieco e da una posizione un poco elevata ? Tre.
Questione di punti di vista. Ma continuiamo a discutere di libero arbitrio semplicemente perchè ci piace farlo.

Inoltre, volendo essere precisi nel considerare la sua "realtà" in ambito mentale, dovremmo notare che esso non consiste in una libertà, bensì appunto - nella propria veste di FUNZIONE - nella possibilità di esprimere una scelta.

E le scelte si possono compiere sia in presenza che in assenza di "libertà" ad esse esterne.
No, non capisco l'incipit, pensi davvero che filosoficamente non venga valutata la dimensione soggettiva e le sue realtà?  Come se la fenomenologia  non fosse mai esistita, o non sia filosofia.
E,in fin dei conti, che intendi con "filosoficamente "invece""?
"La verità è brutta. Noi abbiamo l'arte per non perire a causa della verità." F. Nietzsche

Phil

Citazione di: sgiombo il 07 Dicembre 2018, 18:35:04 PM
anche tu tendi a pensare che "parlar male della filosofia "non sta bene"?
Il «non sta bene» mi fa pensare ad una consuetudine sociale, tendenzialmente affine al politicamente corretto e alla buona educazione; tuttavia, nel mio piccolo, parlar male (della filosofia o altro) non mi pare in sé un male: se lo si fa con cognizione di causa, può essere brusco spunto per un'utile critica; se lo si fa senza cognizione di causa, è un parlare innocuo, il cui significato è disinnescato dalla propria infondatezza.

Citazione di: Lou il 07 Dicembre 2018, 17:35:18 PM
Scusate, chiedo in estrema sintesi, ma non vi risulta che concettualmente il libero arbitrio si configuri quale "libertà di", non "libertà da"
Secondo me, schematizzando: libertà di "verbo-x" = libertà da tutto ciò che impedisce "verbo-x".
Il volere come "terzo incomodo" fra libertà e arbitrio, merita indagini anche con altre "grammatiche" (su cui mi pongo le domande del post n. 174).

viator

Salve Lou. Prendere una decisione, fare una scelta, e' comportamento che si può adottare in due precise condizioni :

1- il pensare che nulla di esterno ci stia condizionando e che quindi la scelta sorga spontaneamente da nostri contenuti mentali gestibili unicamente dal "sè" (attraverso la coscienza) e costituenti la funzione mentale del nostro "libero arbitrio".

2 - l'essere consapevoli che il nostro "sè", le nostre menti e funzioni mentali, le nostre scelte e decisioni, la nostra coscienza.....sono tutti stati generati da ciò che ci preesisteva, sono connessi con tutto ciò che ci circonda, sono in balia di cause che continuamente ci influenzano.

Ora, è chiaro che la maggior parte della gente è convinta che il libero arbitrio esista e funzioni. E' tutta gente che non ha mai avuto occasione, voglia o capacità di riflettere sul funzionamento complessivo del mondo, limitandosi od essendo costretta a confrontarsi solamente con gli aspetti più immediati, contingenti, utili e limitati dell'esistenza.
Costoro fanno bene a credere così, visto che la riflessione sul funzionamento complessivo del mondo non ha mai arricchito nessuno, guarito nessuna malattia, risolto alcun problema pratico. Così il (loro) mondo funziona, Perchè cercarne uno più complicato e del tutto infruttuoso ? Per costoro quindi vale la condizione nr, 1.

C'è poi la minoranza che riflette giungendo a conclusioni opposte. Costoro sono - esistenzialmente e socialmente - quasi tutti dei privilegiati, essendo liberi  da preoccupazioni stringenti, bisogni impellenti, angosce devastanti.
Ciò permette loro di dedicarsi alla riflessione improduttiva, cioè di utilizzare il loro "presunto libero arbitrio" proprio per stabilire che il libero arbitrio individuale e sovrano è solamente una illusione.

Perciò gli "1" vivono il l.a. come questione puramente soggettiva (esistenziale, pragmatica), mentre i "2" arrivano ad afferrare l'oggettività della sua inesistenza.

Nota : La fenomenologia (intesa, credo, come studio dell'insieme dei fenomeni da noi riconoscibili) riguarda la filosofia ma, mi sembra, molto di più la prassi. Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

Jacopus

@Viator. La tua interpretazione è riduttiva. Non esistono due ipotesi che si escludono a vicenda come se si fosse in un processo digitale sì/no.
Sartre dice da qualche parte: "fai quel che puoi di ciò che la vita ti ha fatto". Determinismo e libera volontà necessariamente devono convivere perché l'ambiente condiziona allo stesso modo di come le singole parti dell'ambiente lo condizionano. Agenti dotati di una parziale libera volontà, precondizioni determinate dall'ambiente (in  senso esteso) e caso influenzano e realizzano l'agire umano secondo proporzioni modificate e modificabili dalla stessa evoluzione culturale umana.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

Discussioni simili (5)