L'atomo di Friedrich Nietzsche

Aperto da Ipazia, 30 Aprile 2020, 13:03:37 PM

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Ipazia

Mi scuso per la lunghezza del post di apertura, ma per capire l'atomo di Friedrich Nietzsche (FN) la cosa migliore è, filologicamente, lasciare a lui la parola percorrendo il suo pensiero lungo l'intera vita filosofica, cui inframezzerò, tra una citazione e l'altra, qualche opinabilissima riflessione personale. Tutte le citazioni sono tratte dalla edizione filologica Colli-Montinari pubblicata da Adelphi.

Inizialmente FN non si discosta dalla concezione di atomo della scienza del tempo, che assume così com'è, iniziando a macinarci sopra:

Citazione di: Frammenti postumi 1869-1874
19 [159] L'urto, l'effetto di un atomo su di un altro, presuppone anch'esso la sensazione. Cose in sé estranee non possono agire le une sulle altre. Il difficile, nel mondo, non è il risvegliarsi della sensazione, bensì quello della coscienza. Ciò tuttavia si può ancora spiegare, ammesso che ogni cosa possieda la sensazione. Se ogni cosa possiede sensazione, noi abbiamo allora un intrecciarsi di centri piccolissimi, più grandi e grandissimi di sensazione. Questi complessi sensoriali, più grandi o più piccoli, dovrebbero chiamarsi «volontà››. E, difficile per noi liberarci dalle qualità.

FN si documenta sui testi di fisica e chimica e ad un certo punto compare Eraclito:

Citazione di: Frammenti postumi 1875-1876
9 [2] La conservazione dell'energia di B. Stewart:
(...)Queste molecole sono in movimento continuo e nella loro lotta si urtano tra loro : finché un urto è cosi forte da separarei due o tre atomi da cui una molecola è composta. Allora subentra un nuovo assetto. L'atomo fondamentale è immortale, ma "sempre in movimento. Questo è un altro limite della nostra conoscenza ; nulla si trova in stato di quiete.

Finchè, nella fase di trapasso dalla fase artistica, "wagneriana", egli arriva al centro della questione filosofica: Parmenide (essere) vs. Eraclito (divenire). L'arte è solo una illusione umana troppo umana, la fissazione artificiosa di un attimo fuggente, che la natura, impietosamente diveniente, disvela in tutta la sua illusorietà.

Citazione di: Umano, troppo umano, l e Frammenti postumi 1876-1878
24 [68] L'arte non appartiene alla natura ma soltanto all'uomo. In natura non vi sono note, essa è muta; né colori. Non vi è neppure figura, perché questa è il risultato di un rispecchiamento della superficie nell'occhio, ma in sé non vi è né sopra né sotto, né dentro né fuori. Se si potesse vedere diversamente che mediante il rispecchiamento, non si parlerebbe di figure, bensì si vedrebbe dentro, in modo che lo sguardo un poco alla volta sezionerebbe una cosa. La natura dalla quale si detrae il nostro soggetto è qualcosa di assai indifferente, non interessante ; non è l'abisso originario e misterioso, non è l'enigma rivelato del mondo; noi possiamo mediante la scienza superare molteplicemente la percezione sensibile, per esempio intendere la nota come un movimento vibratorio; quanto più disumanizziamo la natura, tanto più essa diventa vuota, priva di significato per noi. L'arte si fonda integralmente sulla natura umanizzata, sulla natura irretita e intessuta di errori e illusioni, dalla quale non vi è arte che possa prescindere; essa non coglie l'essenza delle cose perché è completamente legata all'occhio e all'orecchio. Solo l'intelletto deduttivo ci conduce all'essenza; per esempio, ci insegna che perfino la materia è un antichissimo pregiudizio innato, derivante dal fatto che l'occhio vede superficie piane e il tatto umano è un organo molto ottuso: dove cioè si percepiscono punti di resistenza, ci si costruiscono spontaneamente dei piani continui resistenti (che però esistono solo nella nostra rappresentazione), sotto l'illusione, ormai diventata abitudine, dell'occhio che rispecchia e che in fondo non è altro, appunto, che un grossolano organo di tatto. Un conglomerato di correnti elettriche, che girino attorno a punti determinati, si farebbe sentire come qualcosa
di materiale, come un oggetto solido, e l'atomo chimico è anzi una tal figura, circoscritta dai punti terminali di vari movimenti. Oggi siamo abituati a distinguere l'oggetto mosso e il movimento; ma in mosso è inventato, è messo dentro la realtà con la fantasia, perché i nostri organi non sono abbastanza sottili da percepire dovunque il movimento e ci mettono innanzi qualcosa di persistente, mentre in fondo non vi sono « cose », né vi è alcunché di persistente.

Si entra nella fase della (gaia) scienza e la (meta)fisica atomistica nicciana diventa più complessa, seguendo con grande libertà i sentieri del suo pensiero, più o meno interrotti (Holzwege) nel prosieguo:

Citazione di: Aurora e Frammenti postumi 1879-1881
6 [252] La massa spontanea di energia distingue gli uomini, non un atomo individuale. Poi i movimenti appresi con l'esercizio o comunicati ereditariamente in questa massa. È la stessa forza che viene consumata ora dai muscoli ora dai nervi.

Citazione di: Idilli di Messina-La gaia scienza e Frammenti postumi 1881-1882
I I [58] In qualche modo noi ci troviamo al centro - da una parte, per l'immensità del mondo, dall'altra, per la piccolezza del mondo infinito. Oppure l'atomo ci è più vicino dell'estremo limite del mondo? Il mondo per noi è qualcosa di più di un compendio di relazioni misurate in un certo modo ? Appena questa misura arbitraria viene a mancare, il nostro mondo si dissolve !

I I [250] Qualità "simili" dovremmo dire, invece di "uguali" - anche nella chimica. E  "simili" per noi. Niente avviene due volte, un atomo di ossigeno in realtà non ha il suo uguale ; per noi è sufficiente l'ipotesi che ve ne siano innumerevoli uguali.

Esaurito l'aspetto fisico, non rimane che la considerazione metafisica della dissoluzione di ogni certezza quantificante e calcolante, inclusa la chiave di volta di tutto il sistema di misura: A=A, il principio di identità. L'atomo non sfugge a tale metafisicizzazione e si troverà ben presto in compagnia di altri venerabili soggetti della metafisica.

Citazione di: Al di là del bene e del male 1885-1886
12.  Per quanto riguarda l'atomistica materialistica, essa appartiene alle teorie meglio confutate che siano mai esistite, e forse non c'è oggi in Europa, tra i dotti, nessuno così indotto, da attribuirle ancora una seria importanza, salvo per comodità d'uso giornaliero e domestico (vale a dire come un'abbreviazione dei mezzi espressivi) - grazie soprattutto a quel polacco, Boscovich, che insieme al polacco Copernico è stato fino ad oggi il più grande e il più vittorioso avversario dell'evidenza immediata. Infatti, mentre Copernico ci ha persuaso a credere, in opposizione a tutti i sensi, che la terra non è immobile, Boscovich ci insegnò a rinnegare la fede nell'ultima cosa della terra che «stava immobile », la fede nella «sostanza», nella «materia», nell'atomo come residuo terrestre, come piccola massa ; è stato il più grande trionfo sui sensi che sia mai stato ottenuto sino a oggi sulla terra. - Ma si deve ancora andar oltre e dichiarar guerra, una spietata guerra all'arma bianca, anche al «bisogno atomistico », che continua sempre ad avere una pericolosa sopravvivenza, in regioni insospettabili a chiunque, analogamente a quel più famoso « bisogno metafisico » : si deve prima di tutto dare il colpo di grazia anche a quell'altro e più funesto atomismo che il cristianesimo ci ha ottimamente e tanto a lungo insegnato, l'atomismo delle anime. Ci sia consentito di caratterizzare con questa parola quella credenza che considera l'anima come qualche cosa di indistruttibile, di eterno, d'indivisibile, come una monade, come un atomon; questa credenza deve essere estirpata dalla scienza! Non è assolutamente necessario, sia detto tra noi, sbarazzarci con ciò anche dell'« anima » e rinunziare a una delle più antiche e venerande ipotesi : come suole accadere all'imperizia dei naturalisti, ai quali basta sfiorare appena l'« anima » per perderla. Ma la strada per nuove forme e raffinamenti dell'ipotesi anima resta aperta : e concetti come «anima mortale» e «anima come pluralità del soggetto» e « anima come struttura sociale degli istinti e delle passioni» vogliono avere, sin d'ora, diritto di cittadinanza nella scienza. Col preparare una fine alla superstizione, che fino ad oggi ha lussureggiato con un rigoglio quasi tropicale intorno alla rappresentazione dell'anima, lo psicologo nuovo si è certamente spinto, per così dire, in un nuovo deserto e in una nuova diffidenza - può anche darsi che la condizione degli psicologi più antichi fosse più comoda e allegra ; - ma infine egli si rende conto che appunto con ciò è condannato anche a inventare - e, chissà, forse anche a trovare. -

L' a-tomon, l'indivisibile "sostanza" della fisica, si trova ben presto accoppiato all'indivisibile sostanza della metafisica (...teologica): l'anima monadica. FN punta sull'abilità creativa ed investigativa dello scienziato dell'anima, lo psico-logo FN medesimo, per traghettare l'anima verso altri lidi.

La tomistica nicciana (atomistica senza a, il rasoio; non c'entra Tomaso d'Aquino) non risparmia un altro mostro sacro della metafisica parmenidea e della contigua superstizione del logos ("i logici"): l'io, dissolvendo pure esso nel panta rei eracliteo:

Citazione17. Per quanto riguarda la superstizione dei logici, non mi stancherò mai di tornare sempre a sottolineare un piccolo, esiguo dato di fatto, che malvolentieri questi superstiziosi sono disposti ad ammettere, -vale a dire, che un pensiero viene quando è «lui » a volerlo, e non quando «io» lo voglio ;* cosicché è una falsificazione dello stato dei fatti dire: il soggetto «io» è la condizione del predicato «penso». Esso pensa: ma che questo «esso » sia proprio quel famoso vecchio «io» è, per dirlo in maniera blanda, soltanto una supposizione, un'affermazione, soprattutto non è affatto una «certezza immediata ».* E infine, già con questo «esso pensa » si è fatto anche troppo : già questo «esso» contiene un'interpretazione del processo e non rientra nel processo stesso. Si conclude a questo punto, secondo la consuetudine grammaticale : «Pensare è un'attività, a ogni attività compete qualcuno che sia attivo, di conseguenza . . .» . Pressappoco secondo uno schema analogo il più antico atomismo cercava, oltre alla «forza » che agisce, anche quel piccolo conglomerato di materia in cui essa risiede, da cui promana la sua azione, l'atomo ; cervelli più rigorosi impararono infine a trarsi d'impaccio senza questo «residuo terrestre» e forse un bel giorno ci si abituerà ancora, anche da parte dei logici, a cavarsela senza quel piccolo «esso» (nel quale si è volatilizzato l'onesto, vecchio io).

Fino alla apoteosi finale eraclitea che travolge l'ultimo bastione della metafisica (dell'essere): il principio di causa-effetto:...

Citazione di: Frammenti postumi 1885-1887
1 [32] - Il postulare atomi è solo una conseguenza del concetto di soggetto e di sostanza: in qualche posto ci dev'essere «una cosa» da cui l'attività comincia. L'atomo è l'ultimo rampollo del concetto di anima.

2 [61] Lo sviluppo del modo di pensare meccanicistico e atomistico non è a tutt'oggi consapevole del suo necessario punto d'arrivo; - è questa la mia impressione, dopo aver abbastanza a lungo riveduto le bucce ai suoi esponenti. Esso finirà con la creazione di un sistema di segni: rinuncerà a spiegare, abbandonerà il concetto di «causa ed effetto».

7 [56] Contro l'atomo fisico. Per comprendere il mondo, dobbiamo poterlo calcolare; per poterlo calcolare, dobbiamo avere cause costanti; ma poiché non troviamo tali cause costanti nella realtà, ce ne inventiamo alcune - gli atomi. È questa l'origine della teoria atomistica. La calcolabilità del mondo, l'esprimibilità di tutti i fatti della vita in formule - è questo davvero un «comprendere» ? Che cosa si sarebbe mai compreso di una musica, quando si fosse calcolato tutto ciò che in essa è calcolabile e si può abbreviare in formule? Poi le «cause costanti», cose, sostanze, quindi qualcosa di «incondizionato»: inventato - che cosa si è raggiunto?

... caduto il quale FN penetra risoluto nel sancta sanctorum del castello metafisico: la "cosa in sè", ...

Citazione di: Genealogia della morale 1887
13 ....non esiste alcun «essere» al di sotto del fare, dell'agire, del divenire; «colui che fa» non è che fittiziamente aggiunto al fare- il fare è tutto. Il volgo, in fondo, duplica il fare; allorché vede il fulmine mandare un barbaglio, questo è un farfare: pone lo stesso evento prima come causa, e poi ancora una volta come effetto di essa. I naturalisti non agiscono in modo migliore quando dicono: «La forza muove, la forza cagiona» e simili - la nostra intera scienza, a onta di tutta la sua freddezza, della sua estraneità a moti affettivi, sta ancora sotto la seduzione della lingua e non si è sbarazzata di questi falsi infanti supposti, i «soggetti» (l'atomo è, per esempio, un siffatto infante supposto, così come la kantiana «cosa in sé»)

... e si può rinchiudere (o liberare, scindendolo, secondo i punti di vista) l'atomo nella sua dimensione metafisica fallace e illusoria, per arrivare alla sintesi di tutto il percorso analitico nicciano: ...

Citazione di: Genealogia della morale 1887
IL PROBLEMA SOCRATE-5.
L'essere viene ovunque pensato, interpolato come intima causa delle cose ; dal concepimento dell'«io » consegue, come derivato da esso, il concetto di «essere» . . . Al principio sta l'errore, grandemente funesto, che la volontà sia qualcosa di agente, che la volontà sia unafacoltà . . . Oggi sappiamo che essa è soltanto una parola . . . Assai più tardi, in un mondo reso chiaro in mille forme, la sicurezza, la soggettiva certezza nel maneggiare le categorie della ragione giunse sorprendentemente alla coscienza dei filosofi : essi conclusero che queste non potevano avere un'origine empirica - ma che anzi l'intera esperienza era in contraddizione con esse. Dove sta dunque la loro origine? - E in India come in Grecia si è commesso lo stesso errore: « Dobbiamo già avere dimorato una volta in un mondo superiore (- invece di dire : in un mondo molto inferiore: ciò che sarebbe stata la verità), dobbiamo essere stati divini, giacché abbiamo la ragione ! » ...In realtà, nulla fino a oggi ha posseduto una più ingenua forza di persuasione che l'errore dell'essere, come fu formulato, ad esempio, dagli Eleati : esso ha anzi a suo favore ogni parola, ogni frase che noi pronunciamo ! - Anche gli avversari degli Eleati soggiacquero alla seduzione del loro concetto dell'essere : tra gli altri Democrito, quando escogitò il suo atomo . . . La «ragione» nel linguaggio : ah, quale vecchia donnaccola truffatrice ! Temo che non ci sbarazzeremo di Dio perché crediamo ancora alla grammatica...(*38)

*38 W II s, 68 aveva : (prima stesura)
« ... trasferisce la parvenza del soggetto su tutto il resto, dovunque santificando un essere e ponendo l'essere come causa. Se questi saggi antichi, come gli Eleati tra i Greci, ebbero una forza di persuasione cosi grande per tutti, persino per fisici materialisti (- Democrito si sottomise alla fissazione concettuale eleatica dell'ente, quando inventò l'atomo -), non dobbiamo dimenticare chi avevano dalla loro parte: l'istinto nel linguaggio, la cosiddetta ragione. Questa crede a un mondo "che è", le sue categorie non potrebbero essere applicate in un mondo di assoluto divenire . . . - noi ci troviamo oggi in realtà nella difficoltà di non avere a disposizione una formula per i nostri concepta e di dover trascinare con noi le vecchie categorie: cosi, ancora oggi, ci serviamo della parola "causa", ma l'abbiamo vuotata del suo contenuto - ed io temo che tutte le nostre formule si servano della vecchia parola in un senso che è perfettamente arbitrario».

I QUATTRO GRANDI ERRORI-3.
. . . L'uomo ha proiettato fuori di sé i suoi tre «fatti interiori », ciò in cui egli più saldamente credeva, la volontà, lo spirito, l'io - ha cavato per prima cosa dal concetto dell'io il concetto di essere, ha dato l'essere alle «cose» secondo la sua immagine, secondo il suo concetto dell'io come causa. C'è forse da stupirsi se in seguito ha continuato a ritrovare nelle cose soltanto quel che ci aveva messo? - E persino il vostro atomo, signori meccanicisti e fisici, quanti errori, quanta rozza psicologia restano ancora nel vostro atomo ! Per non parlare della « cosa in sé», dell' horrendum pudendum dei metafisici ! L'errore dello spirito come causa scambiato con la realtà ! E fatto misura della realtà ! E chiamato Dio !

(continua)
...
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Ipazia

(segue - parte 2)

... preparandosi al grande balzo, che resterà sospeso, della sintesi finale: Der Wille zur Macht, la volontà di potenza...

Citazione di: Frammenti postumi 1887-1888 - progetto "Volontà di potenza"
(65) 9 [91]
Per combattere il determinismo. Dal fatto che un qualcosa segua regolarmente e in maniera calcolabile, non risulta che esso segua necessariamente. Che un quantum di forza si determini e comporti in ogni determinato caso in maniera e guisa unica, non ne fa una « volontà non libera ». La « necessità meccanica » non è un fatto : siamo noi soltanto che, nell'interpretare quel che accade, ve l'abbiamo introdotta. Abbiamo interpretato la formulabilità dell'accadere come conseguenza di una necessità che impera al di sopra dell'accadere. Ma dal fatto che io faccia qualcosa di determinato non segue affatto che io sia costretto a farlo. Non si può dimostrare la costrizione nelle cose : la regola dimostra solo che un unico e medesimo accadimento non è anche un altro accadimento. Solo dall'aver noi soggetti pensato ad « autori» nelle cose, sorge la parvenza che ogni accadere sia conseguenza di una costrizione esercitata su soggetti - esercitata da chi? di nuovo da un « autore ». Causa ed effetto - un concetto pericoloso, finché si pensi a qualcosa che causa e a qualcosa su cui si produce un effetto.

A) La necessità non è un fatto, ma un'interpretazione.

B) Una volta che si sia capito che il «soggetto » non è niente che produca effetto, ma solo una finzione, molte cose ne seguono. Solo in base al modello del soggetto abbiamo inventato le cose e le abbiamo introdotte nel guazzabuglio delle sensazioni. Se non crediamo più al soggetto agente, cade anche la credenza nelle cose agenti, nell'azione reciproca, nella causa ed effetto fra quei fenomeni che chiamiamo cose. Cade con ciò naturalmente anche il mondo degli ATOMI AGENTI, che si postulano sempre presupponendo che si abbia bisogno di soggetti. Cade infine anche la «COSA IN SÉ» : perché questa è in fondo la concezione di un «soggetto in sé». Ma noi abbiamo capito che il soggetto è finzione. La contrapposizione fra «cosa in sé » e « apparenza» è insostenibile ; ma con essa cade anche il concetto di «apparenza»

C) Se rinunciamo al soggetto agente, rinunciamo anche all'oggetto su cui si opera (...) (quiete-movimento, denso-rado: tutte antitesi che non esistono in sé e con cui effettivamente si esprimono solo diversità di grado, che si presentano come antitesi per una certa misura prospettica) (...)

D) Se abbandoniamo il concetto di «soggetto» e « oggetto», rinunciamo anche a quello di «sostanza » - e quindi anche alle varie modificazioni di quest'ultimo, per esempio «materia », «spirito» e altri esseri ipotetici, «eternità e immutabilità della materia», ecc. Ci siamo sbarazzati della materialità.
Espresso in termini morali, il mondo è falso. Ma, in quanto la morale stessa è una parte di questo mondo, la morale è falsa. La volontà di verità è un rendere saldo, un rendere vero-durevole, un eliminare dalla nostra presenza quel carattere falso,una reinterpretazione dello stesso nel senso dell'essere. La verità non è pertanto qualcosa che esista e che sia da trovare, da scoprire, - ma qualcosa che è da creare e che dà il nome a un processo, anzi a una volontà di soggiogamento, che di per sé non ha mai fine : introdurre la verità, come un processus in infinitum, un attivo determinare, non un prendere coscienza di qualcosa <che> sia « in sé » fisso e determinato. È una parola per la «volontà di potenza». La vita è fondata sul presupposto del credere in qualcosa che perdura e che ritorna regolarmente; quanto più potente è la vita, tanto più largo dev'essere il mondo da indovinare, a cui è stato per così dire conferito l'essere.(...)

(68) 9 [98]

(...) Niente «atomi»-soggetto. La sfera di un soggetto cresce o diminuisce continuamente - il centro del sistema si sposta continuamente ; se non può organizzare la massa di cui si è appropriato, si divide in due. D'altra parte esso può trasformare un soggetto più debole, senza distruggerlo, in un suo tributario, formando fino a un certo grado, insieme con esso, una nuova unità. Nessuna «sostanza», piuttosto qualcosa che in sé aspira a rafforzarsi; e che solo indirettamente vuole «conservarsi» (vuole superarsi) (...)

(185) 10 [57]

(...) L'errore psicologico, da cui è sorto il concetto di contrapposizione «morale » e «immorale » ; «disinteressato », «altruistico », «abnegante » - tutto irreale, fittizio. Errato dogmatismo riguardo all'«ego » : lo stesso assunto atomisticamente, in falsa contrapposizione con il «non-io» ; parimenti staccato dal divenire, come un essere.(...)
Dunque :
1 ) la falsa autonomia concessa all'« individuo» come atomo ;
2 ) la valutazione del gregge, che aborre e sente come ostile il voler rimanere atomo; (...)

... alla cui lettura si rimanda per avere il compendio finale, incompleto nella stesura ma non nelle intenzioni, della filosofia di FN: metafisica, epistemologia ed etica.

Mi riservo la critica a dopo aver accolto la vostra. Ho già detto e scritto molto  :D

P.S. i corsivi sono miei. Ce ne sono di originali nel testo citato ma era troppo laborioso riprodurli.
(...) omissis mio, non del testo originale che usa la simbologia - e . . .
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

iano

#2
FN ,questo sconosciuto per me.
Non so' cosa intendesse FN , con "Umano , troppo umano". O forse sì?
Mi limiterei a dire umano , ma credo che i più sottendano "Umano , purtroppo umano".
Per noi esistono  note , che la scienza ci dimostra essere cosa umana ,troppo umana, dietro cui stanno le indifferenti onde , che però a me sembrano ancora un arte umana , ne troppo ne' tanto meno purtroppo umana .
DIFFICILE È LA COSCIENZA.
Questa frase mi ha colpito.
In effetti mi pare l'onda sia una "nota cosciente" , da non intendersi come la coscienza di una sensazione.
Ma l'onda diventa una nota dolente , se pensiamo di doverci fare musica.
La musica l'abbiamo già fatta , ci faremo dell'altro.
Sarebbe come dire che vogliamo far musica col gusto.
Col gusto ci si fa' altro e con la chimica altro ancora.
Dobbiamo far qualcosa che sta per la musica. Un altra arte.
I sintetizzatori digitali di note hanno iniziato imitando le note analogiche facendolo malamente.
Poi si sono messi a fare la loro musica , ed è tutta un altra musica.
Per i vecchi cultori della musica non è musica.
Se fosse , l'obiettivo è stato centrato.
Ma alla fine sempre e solo arte è.
La divina musica?
No , umana e basta , di cui andare fieri.
Roba nostra.
Anche gli atomi sono un arte umana che suonano il determinismo.
Il determinismo se corrispondesse alla realtà sarebbe assurdo , non meno degli atomi.
Ma perché, una fuga di Bach invece un senso ce l'ha?
No però è quello a cui tendiamo , per qualche motivo , chissà .

Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

viator

Salve Iano. Facciamola tra pari ignoranze, a costo di venir "sputtanati" da Ipazia od altri.



Neppure io ho mai letto di Nietzsche (FN per gli amici) nè (credo proprio), mai ne leggerò (anche perchè non ho bisogno di leggere di lui o di altri per trovare SEMPRE "umano, troppo umano" ciò che essi (ed ovviamente pure io stesso) scrivono).



Mi limito ad interpretare simile titolazione "Umano, troppo umano" che, anche qui dentro, diverse volte ho già trovato usata come motto appropriatamente applicabile ad un sacco di concetti.



"Umano, troppo umano" è tutto ciò che vorrebbe trascendere i significati e la condizione umana, instaurando la contraddizione tra ciò che si vorrebbe dire e fare di "extraumano" e la inesorabile origine naturalmente umana di ciò che si concepisce, si pensa, si dice e si fa.


Secondo me la più tipica applicazione di tale motto è quella che può venir fatta a proposito del concetto di Dio, il quale anch'esso è esprimibile solo in forme e significati umani. Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

bobmax

La casa di Nietzsche è la mistica.
Anche se da lui stesso magari neppure riconosciuta come tale.

Ma la demolizione di ogni "verità" è il percorso obbligato del mistico.
Un percorso che difficilmente si conclude con la pace.
Così è stato pure per N.

L'onestà intellettuale, la fede nella Verità, non permettono alcun riposo.
Si ha sempre il timore di auto ingannarsi.

Grande anima, Nietzsche.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

Ipazia

L'umano troppo umano significa per FN il superamento della fase "artistica", romantica, wagneriana, fondata sull'apparire, sulla "forma" platonica e aristotelica che riveste di sè tutta storia della filosofia/metafisica. FN cerca qualcosa di più profondo, un fondamento più veridico, che può anche mostrarsi in superficie, mascherato, ma consapevolmente tale. Aldilà di ogni illusione. Appunto: al di là del bene e del male.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Phil

Al di là della questione dell'atomo, inteso scientificamente, mi suscitano una certa risonanza le sue affermazioni (purtroppo giunte come "diario filosofico" più che saggio argomentativo) critiche riguardo l'atomo come metaforico elemento stabile di identificazione permanente, "parmenidea", come puntello a cui appendere credenze illusorie (nel senso che ho accennato in altro topic di altra sezione):
Citazione di: Ipazia il 30 Aprile 2020, 13:03:37 PM
perfino la materia è un antichissimo pregiudizio innato, derivante dal fatto che l'occhio vede superficie piane e il tatto umano è un organo molto ottuso: dove cioè si percepiscono punti di resistenza, ci si costruiscono spontaneamente dei piani continui resistenti (che però esistono solo nella nostra rappresentazione), sotto l'illusione, ormai diventata abitudine, dell'occhio che rispecchia e che in fondo non è altro, appunto, che un grossolano organo di tatto. [...] Oggi siamo abituati a distinguere l'oggetto mosso e il movimento; ma in mosso è inventato, è messo dentro la realtà con la fantasia, perché i nostri organi non sono abbastanza sottili da percepire dovunque il movimento e ci mettono innanzi qualcosa di persistente, mentre in fondo non vi sono « cose », né vi è alcunché di persistente.
[...]
Il mondo per noi è qualcosa di più di un compendio di relazioni misurate in un certo modo ? Appena questa misura arbitraria viene a mancare, il nostro mondo si dissolve !
[...]
Una volta che si sia capito che il «soggetto » non è niente che produca effetto, ma solo una finzione, molte cose ne seguono. Solo in base al modello del soggetto abbiamo inventato le cose e le abbiamo introdotte nel guazzabuglio delle sensazioni. Se non crediamo più al soggetto agente, cade anche la credenza nelle cose agenti, nell'azione reciproca, nella causa ed effetto fra quei fenomeni che chiamiamo cose. Cade con ciò naturalmente anche il mondo degli ATOMI AGENTI, che si postulano sempre presupponendo che si abbia bisogno di soggetti. Cade infine anche la «COSA IN SÉ» : perché questa è in fondo la concezione di un «soggetto in sé». Ma noi abbiamo capito che il soggetto è finzione. La contrapposizione fra «cosa in sé » e « apparenza» è insostenibile ; ma con essa cade anche il concetto di «apparenza»
Sono invece un po' perplesso riguardo questa interpretazione (anche se sicuramente si basa su una conoscenza di Nietzsche ben superiore alla mia):
Citazione di: Ipazia il 30 Aprile 2020, 13:06:00 PMil compendio finale, incompleto nella stesura ma non nelle intenzioni, della filosofia di FN: metafisica, epistemologia ed etica.
Se, dopo aver scritto i frammenti pazientemente riportati nei primi due post, si volesse edificare etica, epistemologia e persino metafisica, dubito si potrebbe sviluppare un discorso organico e coerente; si finirebbe con il tentare di mettere assieme i pezzi di due puzzle ben differenti: da un lato, il soggetto è finzione, dall'altro, l'etica (che non sia convezione giuridica o contingenza socioculturale) si fonda esattamente sul contrario; da un lato, l'atomo (portabandiera dell'ontologia) è feticcio apollineo, dall'altro, l'epistemologia esige che non lo sia, perché per lei deve essere un dato di coscienza manipolabile e utilizzabile (oltre che esplicativo); da un lato, la metafisica è smembrata in storia del pensiero, «horrendum pudendum», psicologia, estetica, etc. dall'altro, è un po' troppo tardi (a fine '800) per proporre una "nuova" metafisica basata sulla fusione di letteratura (poesia, miti greci, etc.) e psicologismo ingenuo (Freud è già dietro l'angolo). Se quest'ultima "metafisica" fosse la sua proposta, sarebbe incompatibile con il prospettivismo che l'autore stesso propone: una metafisica che ha come pietra angolare la volontà di potenza di un soggetto che è finzione, al contempo interpretata ed interpretante, è troppo debole per poter scalzare le altre metafisiche giocando al loro stesso gioco (dunque si "umilierebbe" per confermare il prospettivismo da cui deriva, tuttavia non sarebbe nemmeno necessario).
Soprattutto, Nietzsche pare minare il discorso veritativo-metafisico alla sua base «La volontà di verità è un rendere saldo, un rendere vero-durevole, un eliminare dalla nostra presenza quel carattere falso,una reinterpretazione dello stesso nel senso dell'essere. La verità non è pertanto qualcosa che esista e che sia da trovare, da scoprire, - ma qualcosa che è da creare e che dà il nome a un processo, anzi a una volontà di soggiogamento, che di per sé non ha mai fine : introdurre la verità, come un processus in infinitum, un attivo determinare, non un prendere coscienza di qualcosa <che> sia « in sé » fisso e determinato. È una parola per la «volontà di potenza».»(cit.). Vengono sterilizzati così, in un colpo solo, sia qualunque progetto epistemologicamente forte, essendo la verità non scoperta ma «da creare» (cit.), sia qualunque metafisica autorevole intesa come «prendere coscienza di qualcosa che sia in sé fisso e determinato»(cit.). Una volta inibite alla radice l'epistmologia e la metafisica forti, con conseguente confinamento dell'etica in mero accidente storico-prospettico, non resta che una visione potentemente estetica:
«quanto più disumanizziamo la natura, tanto più essa diventa vuota, priva di significato per noi. L'arte si fonda integralmente sulla natura umanizzata, sulla natura irretita e intessuta di errori e illusioni, dalla quale non vi è arte che possa prescindere»; già, compresa l'arte della filosofia (cavalcando il richiamo al vuoto di significato e all'illusione, osserverei che la visione "disumana" della natura è una visione fuori dall'illusione-maya-samsara del prospettivismo condizionante e convenzionale della ragione calcolante-apollinea).
Gli sviluppi di questa impostazione, più che a costruire una metafisica, un'etica e un'epistemologia, mi pare abbiano portato (se non sono troppo di parte) al pensiero postfenomenologico francese e più in generale al pensiero debole postmoderno, che, non a caso, hanno in Nietzsche una delle loro muse più rilevanti.

iano

#7
Seguendo questa discussione mi rendo conto di essere attiguo  alle idee di FN .
Mi viene da pensare che , se  uno digiuno di filosofia come me , ha assorbito queste idee, allora vuol dire che queste idee sono nell'aria da un bel po' . Sono più che attuali.
Quali conseguenze hanno avuto e continuano ad avere nella nostra vita in generale?
A me pare che la rinuncia alla ricerca della verità ,  perché in questi termini mi pare di poter riassumere la questione , possa avere contropartite positive , magari difficili da vedere e descrivere , perché in atto.
La rinuncia alla ricerca della verità è veramente un salto nel vuoto?
A me pare che non si tratti in effetti di una vera scelta , ma di un dato di fatto che non origina dalla filosofia di FN , ma che in essa può trovare conforto .
È vero. Se smettiamo di misurare la nostra realtà essa si dissolve.
La novità è che abbiamo coscienza della misura.
Possiamo decidere di calcolare , ma lo facevamo anche quando non lo sapevamo , senza averlo deciso.
Non sembra più attuale contrapporre illusione ed errore a verità e perfezione.
La scienza ha preso la misura alle illusioni e sugli errori ci ha costruito una teoria.
Il principio di indeterminazione è certamente corretto ma espresso in termini non attuali , ponendo l'accento sui limiti della misura , mentre in effetti ci dice che l'oggetto della misura , l'atomo , non è quella cosa così ben definita.
Da un punto di vista operativo ciò ci lasca ampi gradi di libertà nel definire sempre nuovi atomi i quali sembrano essere comunque funzionali alla misura.
Ma è inutile negare che ciò ci induce anche un senso di vuoto che potrebbe bloccarci.
Però la realtà è che ,adesso possiamo iniziare a dirlo , sebben non chiare siano tutte le conseguenze , non c'è stato nessun blocco.
Per fare un romanzo occorrono atomi protagonisti, non necessariamente corrispondenti a personaggi reali , ed è un arte umana.

Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

iano

Però non tutti i romanzi sono uguali.
I migliori sono quelli che ti coinvolgono e ti fanno entrare nella storia.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Ipazia

Citazione di: Phil il 01 Maggio 2020, 18:28:58 PM
Al di là della questione dell'atomo, inteso scientificamente, mi suscitano una certa risonanza le sue affermazioni (purtroppo giunte come "diario filosofico" più che saggio argomentativo) critiche riguardo l'atomo come metaforico elemento stabile di identificazione permanente, "parmenidea", come puntello a cui appendere credenze illusorie (nel senso che ho accennato in altro topic di altra sezione)

La critica di FN all'idea di atomo ha un carattere epistemologico avanzato, ma astorico. Avanzato perchè l'a-tomon è stato "tomizzato" nel XX secolo, astorico perchè, rispetto a numi e mitologie varie, l'idea atomistica di Democrito e Leucippo era di una modernità sconvolgente: si divide la materia fino ad arrivare ad una elemento atomico primigenio. Per la chimica, ancora in buona salute e per nulla dissolta, funziona ancora così con 92 specie atomiche naturali e una dozzina di artificiali.

Citazione di: Phil il 01 Maggio 2020, 18:28:58 PM
Sono invece un po' perplesso riguardo questa interpretazione (anche se sicuramente si basa su una conoscenza di Nietzsche ben superiore alla mia):
Citazione di: Ipazia il 30 Aprile 2020, 13:06:00 PMil compendio finale, incompleto nella stesura ma non nelle intenzioni, della filosofia di FN: metafisica, epistemologia ed etica.
Se, dopo aver scritto i frammenti pazientemente riportati nei primi due post, si volesse edificare etica, epistemologia e persino metafisica, dubito si potrebbe sviluppare un discorso organico e coerente; si finirebbe con il tentare di mettere assieme i pezzi di due puzzle ben differenti: da un lato, il soggetto è finzione, dall'altro, l'etica (che non sia convezione giuridica o contingenza socioculturale) si fonda esattamente sul contrario; da un lato, l'atomo (portabandiera dell'ontologia) è feticcio apollineo, dall'altro, l'epistemologia esige che non lo sia, perché per lei deve essere un dato di coscienza manipolabile e utilizzabile (oltre che esplicativo); da un lato, la metafisica è smembrata in storia del pensiero, «horrendum pudendum», psicologia, estetica, etc. dall'altro, è un po' troppo tardi (a fine '800) per proporre una "nuova" metafisica basata sulla fusione di letteratura (poesia, miti greci, etc.) e psicologismo ingenuo (Freud è già dietro l'angolo). Se quest'ultima "metafisica" fosse la sua proposta, sarebbe incompatibile con il prospettivismo che l'autore stesso propone: una metafisica che ha come pietra angolare la volontà di potenza di un soggetto che è finzione, al contempo interpretata ed interpretante, è troppo debole per poter scalzare le altre metafisiche giocando al loro stesso gioco (dunque si "umilierebbe" per confermare il prospettivismo da cui deriva, tuttavia non sarebbe nemmeno necessario).
Soprattutto, Nietzsche pare minare il discorso veritativo-metafisico alla sua base «La volontà di verità è un rendere saldo, un rendere vero-durevole, un eliminare dalla nostra presenza quel carattere falso,una reinterpretazione dello stesso nel senso dell'essere. La verità non è pertanto qualcosa che esista e che sia da trovare, da scoprire, - ma qualcosa che è da creare e che dà il nome a un processo, anzi a una volontà di soggiogamento, che di per sé non ha mai fine : introdurre la verità, come un processus in infinitum, un attivo determinare, non un prendere coscienza di qualcosa <che> sia « in sé » fisso e determinato. È una parola per la «volontà di potenza».»(cit.). Vengono sterilizzati così, in un colpo solo, sia qualunque progetto epistemologicamente forte, essendo la verità non scoperta ma «da creare» (cit.), sia qualunque metafisica autorevole intesa come «prendere coscienza di qualcosa che sia in sé fisso e determinato»(cit.). Una volta inibite alla radice l'epistmologia e la metafisica forti, con conseguente confinamento dell'etica in mero accidente storico-prospettico, non resta che una visione potentemente estetica:
«quanto più disumanizziamo la natura, tanto più essa diventa vuota, priva di significato per noi. L'arte si fonda integralmente sulla natura umanizzata, sulla natura irretita e intessuta di errori e illusioni, dalla quale non vi è arte che possa prescindere»; già, compresa l'arte della filosofia (cavalcando il richiamo al vuoto di significato e all'illusione, osserverei che la visione "disumana" della natura è una visione fuori dall'illusione-maya-samsara del prospettivismo condizionante e convenzionale della ragione calcolante-apollinea).
Gli sviluppi di questa impostazione, più che a costruire una metafisica, un'etica e un'epistemologia, mi pare abbiano portato (se non sono troppo di parte) al pensiero postfenomenologico francese e più in generale al pensiero debole postmoderno, che, non a caso, hanno in Nietzsche una delle loro muse più rilevanti.

L'epistemologia di FN annusa le difficoltà del pensiero scientifico positivista ottocentesco con le sue certezze traballanti sia in campo fisico, materialistico, che psicologico. Fosse vissuto altri vent'anni in buona salute avrebbe assistito ad una evoluzione della scienza ben integrabile nella sua metafisica: la relatività einsteniana, la scissione atomica, e la scissione freudiana della "cosa in sè" psichica, dell'Ich, io. Dire che egli abbia patrocinato questi eventi epocali è eccessivo, ma che il suo dubbio metodologico radicale sui fondamenti dell'episteme abbia creato quel sostrato psichico-intuitivo che poi li ha generati non mi pare eccessivo. Sminuirne la portata mi pare ingeneroso. Freud è già dietro l'angolo, ma FN viene prima. E dopo verranno un esistenzialismo desiderante e un'epistemologia relativistica che lui, certamente con minori mezzi analitici e per nulla sistematici, già interpreta e presagisce.

Di ciò beneficia anche la sua metafisica, decostruttrice di tutte le forme dell'Essere ereditate dal passato (Dio, logos, atomo, cosa in sè, io), recepita anche dai sentieri mai interrotti del pensiero moderno (un caso ?). Al cui posto pose un suo principio dell'essere, una sua metafisica, in cui il debito a Darwin è innegabile, su cui innesterà la sua analisi originale del ressentiment: Holzweg fatale nel suo polisemico errare che lo porterà all'oltre/super uomo, declinato (post)storicamente nelle forme al di qua del bene e del male del XX secolo e di oggi.

(Vicenda decostruttiva che vivrà con furore psichico/metafisico all'interno esistenziale di una triade edipica squilibrata in cui la sorella prende il posto del padre, mentre il padre (pastore luterano), deceduto anzitempo, sublima in un improbabile aristocratico polacco che spiegherebbe anche la stranezza del gens familiare poco teutonico: Nietzsche. Questione da trattare a parte)

L'avere introdotto elementi così fortemente et(olog)ici nel suo (Super)Essere vira repentinamente la metafisica in etica "aristocratica" in rotta di collisione totale con le etiche dominanti del tempo: teista e ateosocialista, spostandolo semmai verso la capitalista che accetterà nel suo carattere sociodarwinista, ma sarà per lui repellente nella piccolezza del suo mercanteggiare e brucare, troppo umano per il nostro martellatore, scultore di semidei a venire. Fosse vissuto un secolo oltre forse avrebbe trovato nei nostri grandi pescecani globali, sospesi tra finanza e infosfera, qualcosa dell'etica Granpolitica (ben più realizzata che nei piccoli e meschini imperi e regni del suo tempo), a cui tutto il suo impetus eracliteo l'aveva irresistibilmente spinto. E' questa confluenza tra il suo -omismo sempre più super e sempre meno oltre , che piacerà ai padroni attuali dei nostri destini, garantendo al pensiero di FN ancora lunga vita teorica e pratica.

Resta l'arte, ma come insegna L.Wittgenstein, etica ed estetica pari sono. E in FN sono ancora più (con)fuse in una unio mystica inscindibile, che contrassegna pure la sua metafisica dionisiaco-apollinea e si libra nelle figure a lui più care: amor fati, eterno ritorno, trasvalutazione über-omistica (o forse: -omystica) .
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Lou

#10
Citazione di: Phil il 01 Maggio 2020, 18:28:58 PM[/size]Sono invece un po' perplesso riguardo questa interpretazione (anche se sicuramente si basa su una conoscenza di Nietzsche ben superiore alla mia):
Citazione di: Ipazia il 30 Aprile 2020, 13:06:00 PM[/size]il compendio finale, incompleto nella stesura ma non nelle intenzioni, della filosofia di FN: metafisica, epistemologia ed etica.
[/size]Se, dopo aver scritto i frammenti pazientemente riportati nei primi due post, si volesse edificare etica, epistemologia e persino metafisica, dubito si potrebbe sviluppare un discorso organico e coerente; si finirebbe con il tentare di mettere assieme i pezzi di due puzzle ben differenti: da un lato, il soggetto è finzione, dall'altro, l'etica (che non sia convezione giuridica o contingenza socioculturale) si fonda esattamente sul contrario; da un lato, l'atomo (portabandiera dell'ontologia) è feticcio apollineo, dall'altro, l'epistemologia esige che non lo sia, perché per lei deve essere un dato di coscienza manipolabile e utilizzabile (oltre che esplicativo); da un lato, la metafisica è smembrata in storia del pensiero, «horrendum pudendum», psicologia, estetica, etc. dall'altro, è un po' troppo tardi (a fine '800) per proporre una "nuova" metafisica basata sulla fusione di letteratura (poesia, miti greci, etc.) e psicologismo ingenuo (Freud è già dietro l'angolo). Se quest'ultima "metafisica" fosse la sua proposta, sarebbe incompatibile con il prospettivismo che l'autore stesso propone: una metafisica che ha come pietra angolare la volontà di potenza di un soggetto che è finzione, al contempo interpretata ed interpretante, è troppo debole per poter scalzare le altre metafisiche giocando al loro stesso gioco (dunque si "umilierebbe" per confermare il prospettivismo da cui deriva, tuttavia non sarebbe nemmeno necessario).Soprattutto, Nietzsche pare minare il discorso veritativo-metafisico alla sua base «La volontà di verità è un rendere saldo, un rendere vero-durevole, un eliminare dalla nostra presenza quel carattere falso,una reinterpretazione dello stesso nel senso dell'essere. La verità non è pertanto qualcosa che esista e che sia da trovare, da scoprire, - ma qualcosa che è da creare e che dà il nome a un processo, anzi a una volontà di soggiogamento, che di per sé non ha mai fine : introdurre la verità, come un processus in infinitum, un attivo determinare, non un prendere coscienza di qualcosa <che> sia « in sé » fisso e determinato. È una parola per la «volontà di potenza».»(cit.). Vengono sterilizzati così, in un colpo solo, sia qualunque progetto epistemologicamente forte, essendo la verità non scoperta ma «da creare» (cit.), sia qualunque metafisica autorevole intesa come «prendere coscienza di qualcosa che sia in sé fisso e determinato»(cit.). Una volta inibite alla radice l'epistmologia e la metafisica forti, con conseguente confinamento dell'etica in mero accidente storico-prospettico, non resta che una visione potentemente estetica:«quanto più disumanizziamo la natura, tanto più essa diventa vuota, priva di significato per noi. L'arte si fonda integralmente sulla natura umanizzata, sulla natura irretita e intessuta di errori e illusioni, dalla quale non vi è arte che possa prescindere»; già, compresa l'arte della filosofia (cavalcando il richiamo al vuoto di significato e all'illusione, osserverei che la visione "disumana" della natura è una visione fuori dall'illusione-maya-samsara del prospettivismo condizionante e convenzionale della ragione calcolante-apollinea).Gli sviluppi di questa impostazione, più che a costruire una metafisica, un'etica e un'epistemologia, mi pare abbiano portato (se non sono troppo di parte) al pensiero postfenomenologico francese e più in generale al pensiero debole postmoderno, che, non a caso, hanno in Nietzsche una delle loro muse più rilevanti.

Dunque, a mio parere, non si può sviluppare un discorso risolutivo in campo etico, epistemologico e metafisico. Ho evidenziato il termine "risolutivo" poichè non è possibile risolvere l'aspetto negativo (in senso logigico), contradditorio, proplematico che per sua natura non è sussumibile in concetto, è si sottrae al, direbbe Heidegger Be-griff, alla presa, all'utilizzabilità. In questo senso, l'alterità, la differenza, l'antitesi la contraddizione rimangono matasse indisbrogliabili di una vdp che pone e interpreta se stessa, senza mai risolversi nei suoi enigmi, in eterno. Enigmi tali restano, anche negli scritti di Nietzsche. Gli enigmi sono concetti negativi, nel senso che fungono da limiti alla rapprensentazione tetica e teoretica, ma in un certo senso anche all'interpretazione, che agisce in forza della problematicità del reale lasciando sempre un margine oltre il quale la stessa potenza del linguaggio (e la vdp è fondamentalmente potenza del linguaggio) si autoalimenta per creare, senza risolvere. Certamente un mucchio ha una sua estetica, una sua etica eppure qualcosa nella sua descrizione sfugge, nella rappresentazione in concetto di "mucchio" non ci si può non accorgere che siamo di fronte a una realtà problematica, difforme dalle sequenze con cui tentiamo di ordinare ciò che per sua natura, evidentemente caotica, si sottrae a positivo, all'armonia, alla misura. E il famoso caos della stella danzante è propio questo, quella cifra di differenza che agisce creativamente che non possiamo riuscire a elaborare in una sintesi che risolva il suo carattere contradditorio e "Altro", a differenza di Hegel. Però ecco, in Nietzsche, c'è coerenza, infatti se parliamo di "edificazione" di un'etica certo non siamo di fronte a un sistemone entro cui ogni elemento ( atomo :P ) trova perfettamente una graziosa posizione  e una descrizione coerente nell'economia del tutto, ma più eroicamente occorre un moto di accettazione, che non ha le sembianze del dovere, più dell'amore. L'amor fati di Nietzsche. Questa è la pedagogia etica in una realtà in cui non c'è un dolore da cui dover guarire, ma da accettare poichè connaturato all'esistenza, nel suo non-senso. Ma connaturata alla vdp c'è pure un afflato estetico che gioca un ruolo decisivo, abbiamo l'arte per non perire.

Ovviamente sono questioni molto più complesse e non esauribili, in ogni caso la si vede bene la rottura che si crea rispetto alle etiche e metafisiche precedenti, col "vero" da un lato e rispetto alla rappresentatività della scienza dall'altro, rottura che certamente segna il tramonto della metafisica tradizionale, l'alba del postmoderno.
"La verità è brutta. Noi abbiamo l'arte per non perire a causa della verità." F. Nietzsche

Phil

Citazione di: Ipazia il 02 Maggio 2020, 19:59:35 PM
Resta l'arte, ma come insegna L.Wittgenstein, etica ed estetica pari sono. E in FN sono ancora più (con)fuse in una unio mystica inscindibile, che contrassegna pure la sua metafisica dionisiaco-apollinea e si libra nelle figure a lui più care: amor fati, eterno ritorno, trasvalutazione über-omistica (o forse: -omystica) .
Wittgenstein era un logico, per questo nella (sua) logica, etica ed estetica rientrano nello stesso insieme (quindi simili ma non identiche, se andiamo al di là del motto letterale): quello dei giudizi di valore (non di fatto), quello della trascendenza (non del «mondo») quello dell'indicibilità (e indecidibilità chioserebbe qualcun'altro, ma è un'altra storia...) il cui "gioco linguistico", come dirà dopo il Tractatus, è eventualmente oggetto di studio della logica e della filosofia del linguaggio. Il valore "mistico" che Wittgenstein assegna ad alcuni tipi di discorso, è comunque una tassonomia, non un'assegnazione positiva di "valore trasvalutativo". Lo strappo con cui Wittgenstein e Nietzsche si slacciano dalla metafisica classica è infatti piuttosto differente, la stessa differenza con cui la tragedia e l'autopsia parlano comunque entrambe della morte.
Nietztsche non era esattamente un logico, quindi se accomuna etica ed estetica, credo lo faccia su un piano esistenziale e, scommetto, è l'etica ad estetizzarsi (in quanto suo contenuto prospettico) più di quanto non sia l'estetica ad eticizzarsi (come, se non erro, propone Wittgenstein nella sua «Conferenza sull'etica», posteriore al Tractatus).


Citazione di: Lou il 03 Maggio 2020, 08:35:46 AM
E il famoso caos della stella danzante è propio questo, quella cifra di differenza che agisce creativamente che non possiamo riuscire a elaborare in una sintesi che risolva il suo carattere contradditorio e "Altro", a differenza di Hegel. Però ecco, in Nietzsche, c'è coerenza, infatti se parliamo di "edificazione" di un'etica certo non siamo di fronte a un sistemone entro cui ogni elemento ( atomo :P ) trova perfettamente una graziosa posizione  e una descrizione coerente nell'economia del tutto, ma più eroicamente occorre un moto di accettazione, che non ha le sembianze del dovere, più dell'amore. L'amor fati di Nietzsche. Questa è la pedagogia etica in una realtà in cui non c'è un dolore da cui dover guarire, ma da accettare poichè connaturato all'esistenza, nel suo non-senso. Ma connaturata alla vdp c'è pure un afflato estetico che gioca un ruolo decisivo, abbiamo l'arte per non perire.
Eppure, se non ci sono stelle fisse a fare da riferimento, ma solo stelle danzanti, le rotte dei paradigmi (etici, "pedagogici", etc.) che vi si orientano, risulteranno parimenti danzanti e instabili. Per un singolo può andar anche bene, ma non risulta una proposta plausibile o applicabile per una comunità, una società. Quindi: un'etica, un'epistemologia e, soprattutto, una metafisica, non solo «non risolutive» (come giustamente osservi) ma tendenzialmente individualiste, soggettive (e di un soggetto che «è finzione», come dice l'autore stesso), sono ancora tali? Concordiamo che gli sviluppi del pensiero successivo (poststrutturalismo, etc.) ne daranno una eloquente risposta.
Per questo, mi pare, Nietzsche non riesca a (semmai lo abbia mai voluto) fare proposte sociali o politiche, ma perlopiù "estetiche" (anche in senso kierkegaardiano o, mutatis mutandis, levinassiano); l'"amor fati di massa" sarebbe un non-senso o una pia utopia. Una differenza essenziale fra estetica ed etica è in fondo anche questa: sebbene entrambe ambiscano ad essere universali, a rivolgersi a tutti, l'etica è un'esperienza sociale (l'Altro è un uomo, vige un reciproco "per noi"), l'estetica è un'esperienza individuale (l'altro è l'arte, la natura, etc. vige il "per me").

Ipazia

Il martello è risolutivo a modo suo, non nel modo costitutivo (Bildung) caratteristico del pensiero occidentale. Il sistemone forse FN l'avrebbe tentato con la vdp se fosse riuscito a scriverla e organizzarla in un progetto definitivo. Che non ci sia riuscito forse è stato meglio perchè la montagna rischiava di uscire dall'incanto partorendo un topolino. Però la pars destruens è di proporzioni epocali e su quelle macerie vien da cantare:

"Se son d'umore nero allora scrivo
Frugando dentro alle nostre miserie
Di solito ho da far cose più serie
Costruire su macerie o mantenermi vivo."

Che FN probabilmente avrebbe sottoscritto. Il mantenersi vivi, anche mentalmente, tra le macerie metafisiche è atto etico-estetico in stile nietzschiano, individuale accogliendo l'osservazione di phil.

Per costruire un'etica-estetica sociale ci vogliono altri filosofi, più avezzi alla cazzuola che al martello, ma che abbiano fatto tesoro del crepuscolo degli idoli raccontato da FN. Ripartendo quindi dalla terra, unica fonte di verità, e dalla vita che da essa germoglia. Imparando ad amarla nella durata imposta dal fato. Rinunciando semmai all'eterno ritorno in un universo che si espande ed eraclitamente, non ripercorre mai la stessa strada, cosa che doveva essere nota anche a FN, ma forse egli aveva bisogno di un supporto esterno all'amor fati. Un supporto circolare centrato sull'uomo, certamente umano. Forse non troppo, ma comunque superabile nel dilatarsi del futuro che è più benigno con le stelle danzanti che coi sistemi solari chiusi in se stessi.

Da FN nella sua forma metafisica eraclitea meno contraddittoria e "risolutiva" può derivare solo un'etica in progress, che si adatta alle problematiche umane man mano che si presentano. E viene da pensare ad un altro pensatore proiettato nel futuro che affermava: "l'umanità non si propone se non quei problemi che può risolvere, perchè, a considerare le cose dappresso, si trova sempre che il problema sorge solo quando le condizioni materiali della sua soluzione esistono già o almeno sono in formazione".
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Lou

#13
@phil
"Una differenza essenziale fra estetica ed etica è in fondo anche questa: sebbene entrambe ambiscano ad essere universali, a rivolgersi a tutti, l'etica è un'esperienza sociale (l'Altro è un uomo, vige un reciproco "per noi"), l'estetica è un'esperienza individuale (l'altro è l'arte, la natura, etc. vige il "per me")."
Osservazione che sottoscrivo, in parte, tuttavia da un pdv genealogico, pare che l'etica riposi sull'estetica o, quantomeno ne sia contaminata alla base. Non parlerei di differenza "essenziale", narrerei di gradi di stratificazione, contaminazioni, sì direi così in ottica genealogica. Stemperando, non esisterebbero, l'una senza l'altra.
"La verità è brutta. Noi abbiamo l'arte per non perire a causa della verità." F. Nietzsche

Phil

@Lou

Sul rapporto estetica ed etica (restando al di qua della loro comune copertura del velo di Maya, del prospettivismo interpretante, etc.) riprenderei il fugace accenno con cui ho accostato Nietzsche ad un'estetica à la Kierkegaard, il che aiuta a spiegare in che senso vedo soprattutto risaltare la divergenza fra etica ed estetica, piuttosto che una comune genealogia (ci tornerò a fine post). Per Kierkegaard, lo stadio estetico dell'esistenza (l'ho rapidamente ripassato qui) è incentrato sulla ricerca di edonistica pulsionalità (ebrezza dionisica?), su una volontà (di potenza?) di vita sempre attiva e insaziabile, con in sottofondo la musica di Mozart (a cui si ispirerà Wagner?), del Don Giovanni (epigono borghese di Dioniso?), seguendo il motto «carpe diem» (frammento atomico dell'«amor fati»?) alla continua ricerca di vette eccezionali e individuali su cui ergersi sopra la folla noiosa e flaccida (dei filistei?). Tuttavia, l'esito, per Kierkegaard è la disperazione, mentre per Nietzsche è la tensione verso l'uomo che "diventa ciò che è", forse due condizioni attraversate da un medesimo nichilismo disagio esistenziale trasversale.
Lo stadio etico è invece quello che Nietzsche forse definirebbe apollineo, basato sul rigore, sul (auto)controllo, sulla libera scelta sempre sottomessa all'universalità della morale, quindi al divino (o al metafisico), in una sintesi che produce, per il danese, l'esito del pentimento; è lo stadio del kierkegaardiano «trasformare se stesso nell'individuo universale», in contrasto al suddetto nietzschiano «diventare ciò che si è».

Sul "riposare" dell'etica sull'estetica, almeno se mi affido al senso comune, sono propenso a leggerlo al contrario: l'etica è uno dei fondamenti della vita comune, sin dai tempi dei primitivi, l'estetica viene dopo (così come la poesia viene dopo la scrittura "utile") e si installa fra paletti (sacri o meno) già posti e da non superare (il che "dà il la" ad ogni ribellione per via estetica). Questo, secondo me, perché la dimensione estetica presuppone un precedente orizzonte di senso (da cui scaturisce), che presuppone una cultura di partenza (seppur sovvertibile e rinnegabile), che presuppone una società, che presuppone un collante etico (in quanto comune accettazione o sottomissione a norme di condotta, che presuppone la volontà/necessità di vivere assieme).

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