L'archetipo nel pensiero arcaico.

Aperto da Carlo Pierini, 13 Ottobre 2018, 01:06:34 AM

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Carlo Pierini

"Ognuno degli esempi citati in questo capitolo ci rivelerà la medesima concezione ontologica «primitiva»: un oggetto o un atto diventa reale soltanto nella misura in cui imita o ripete un archetipo. Così, la realtà si acquista esclusivamente in virtù di ripetizione o di partecipazione; tutto quello che non ha un modello esemplare è «privo di senso», cioè manca di realtà. Gli uomini avrebbero quindi tendenza a divenire archetipici e paradigmatici".    [M. ELIADE: Il mito dell'eterno ritorno - pg.54]
 
"Per il pensiero arcaico il mondo che ci circonda, civilizzato dalla mano dell'uomo, ha, come unica validità, quella dovuta al prototipo extraterrestre che gli è servito di modello. L'uomo costruisce secondo un archetipo; non soltanto la sua città o il suo tempio hanno modelli celesti, ma anche tutta la regione che abita, con i fiumi che la bagnano, i campi che gli dànno il nutrimento, ecc.".   [M. ELIADE: Il mito dell'eterno ritorno - pg.23]

"Secondo le credenze mesopotamiche, il Tigri ha il suo modello archetipo nella stella Anunit, e l'Eufrate nella stella della Rondine. Un testo sumerico parla della «dimora delle forme degli dèi », in cui si trovano «[gli dèi] dei greggi e quelle dei cereali». Anche per i popoli altaici le montagne hanno un prototipo ideale nel cielo. I nomi dei luoghi e dei nomi egiziani erano dati secondo i «campi celesti»: si cominciava con il conoscere i «campi celesti », poi li si identifìcava nella geografia terrestre.
Nella cosmologia iranica di tradizione zervanita «ogni fenomeno terrestre, astratto o concreto, corrisponde a un termine celeste, trascendente, invisibile, a un"' idea" nel senso platonico. Ogni cosa, ogni nozione si presenta sotto un duplice aspetto: quello di mênôk e quello di gêtîk. Vi è un cielo visibile: vi è quindi anche un cielo mênôk che è invisibile (Bundahishn, c. 1). La nostra terra corrisponde a una terra celeste. Ogni virtù praticata quaggiù, nel gêtâh, possiede una controparte celeste che rappresenta la vera realtà".  [M. ELIADE: Il mito dell'eterno ritorno - pg.19]
 
"La santità del Tempio si trova al riparo da ogni corruzione terrestre, e ciò per il fatto che il progetto architettonico del Tempio è opera divina, quindi si trova vicino agli dèi, in Cielo. I modelli archetipici trascendenti dei Templi beneficiano di un'esistenza spirituale, incorruttibile, celeste. Per grazia divina, l'uomo è ammesso alla visione folgorante di questi modelli, sforzandosi poi di riprodurli sulla Terra".  [M. ELIADE: Il sacro e il profano - pg.43]
 
"Sul monte Sinai, Jahvè mostra a Mosè la «forma» del santuario che dovrà costruirgli: «Costruirete il tabernacolo con tutti gli arredi, esattamente secondo il modello che ti mostrerò» (Es. 25,8-9). «Guarda e costruisci tutti questi oggetti secondo il modello che ti ho mostrato sulla montagna» (25,40]. E quando Davide dà a suo fìglio Salomone la pianta delle fondamenta dei tempio, del tabernacolo e di tutti gli arredi lo assicura che «tutto ciò... si trova esposto in uno scritto opera della mano dell'Eterno, che me ne ha dato la comprensione» (Cron. 1,28,19). Di conseguenza ha visto il modello celeste".   [M. ELIADE: Il mito dell'eterno ritorno - pg.20]
 
"Il più antico documento concernente l'archetipo di un santuario è l'iscrizione di Gudéa che si riferisce al tempio innalzato da lui a Lagash. Il re vede in sogno la dea Nidaba, che gli mostra un pannello su cui sono elencate le stelle benefiche, e un dio, che gli rivela la pianta del tempio.
Anche le città hanno il loro prototipo divino. Tutte le città babilonesi avevano i loro archetipi in costellazioni: Sippar nel Cancro, Ninive nell'Orsa Maggiore, Assur in Arturo, ecc.. Sennacherib fa costruire Ninive secondo «il progetto stabilito da tempi remotissimi nella configurazione del cielo». Non soltanto un modello precede l'architettura terrestre, ma si trova anche in una « regione» ideale (celeste) dell'eternità. Lo proclama Salomone: «Tu mi hai ordinato di costruire il tempio nel tuo santissimo Nome, e anche un altare nella città in cui tu abiti, secondo il modello della tenda santissima, che tu avevi preparato fin dall'inizio! »
(Sapienza, 9:8)". [M. ELIADE: Il mito dell'eterno ritorno - pg. 20-21]
 
"Una Gerusalemme celeste è stata creata da Dio prima che la città di Gerusalemme fosse costruita dalla mano dell'uomo: a quella si riferisce il profeta nell'Apocalisse Siriaca di Baruch, 2,42, 2-7: « Credi che sia là la città di cui ho detto: "Nella palma delle mie mani ti ho fondata"? La costruzione che si trova attualmente in mezzo a voi non è quella che è stata rivelata in me, quella che era preparata dal tempo in cui mi sono deciso a creare il paradiso, e che ho mostrato ad Adamo prima della sua colpa...». (...)
Ma la più bella descrizione della Gerusalemme celeste si trova nell'Apocalisse (21,2 ss.): «E io, Giovanni, ho visto la città santa, la nuova Gerusalemme, che discendeva dal cielo, da presso Dio, pronta come una sposa che si è adornata per il suo sposo ».
Ritroviamo la stessa teoria in India: tutte le città regali indiane, anche moderne, sono costruite sul modello mitico della città celeste in cui abitava nell'età dell'oro (in illo tempore) il sovrano universale. E, proprio come quello, il re si sforza di far rivivere l'età dell'oro, di rendere attuale un regno perfetto, idea che ritroveremo nel corso del presente studio. Così, per esempio, il palazzo-fortezza di Sîhagiri, a Ceylon, è costruito sul modello della città celeste Alakamanda, ed è «di difficile accesso per gli esseri umani» (Mahâvastu, 39,2). Anche la città ideale di Platone ha un archetipo celeste (Rep. 592b, cfr. ibid., 500e). Le «forme» platoniche non sono astrali, ma la loro regione mitica si situa tuttavla su piani sopra-terreni (Fedro, 247, 250)".     [M. ELIADE: Il mito dell'eterno ritorno - pp. 21-22]
 
"Così, il mondo che ci circonda, in cui si sente la presenza e l'opera dell'uomo — le montagne sulle quali vive, le regioni popolate e coltivate, i fiumi navigabili, le città, i santuari — hanno un archetipo extraterreno, concepito sia come una «pianta», come una «forma», sia semplicemente come un «doppio» esistente precisamente a un livello cosmico superiore. Ma non tutto, nel «mondo che ci circonda», ha un prototipo di questa specie. Per esempio, le regioni desertiche abitate da mostri, i territori incolti, i mari sconosciuti su cui nessun navigatore ha osato avventurarsi ecc. non dividono con la città di Babilonia o con il nomo egiziano il privilegio di un prototipo differenziato. Essi corrispondono a un modello mitico ma di un'altra natura: tutte queste regioni selvagge, incolte, ecc. sono assimilate al caos; esse partecipano ancora della modalità indifferenziata, informe, precedente la creazione. Per questo, quando si prende possesso di un determinato territorio, cioè quando si comincia ad esplorarlo, si compiono riti che ripetono simbolicamente l'atto della creazione; la zona incolta
è prima di tutto « cosmizzata », poi abitata". [M. ELIADE: Il mito dell'eterno ritorno - pp. 22-23]
 
"La carta di Babilonia mostra la città al centro di un vasto territorio circolare circondato dal fiume Amer, esattamente come i sumeri si raffiguravano il paradiso: questa partecipazione delle culture urbane a un modello archetipico conferisce loro la realtà e la validità".  [M. ELIADE: Il mito dell'eterno ritorno - pp. 23/25]
 
"Il ricordo di un avvenimento storico o di un personaggio autentico non sussiste più di due o tre secoli nella memoria popolare. Questo è dovuto al fatto che la memoria popolare trattiene difficilmente avvenimenti «individuali» e figure «autentiche». Essa funziona per mezzo di strutture diverse: categorie al posto di avvenimenti, archetipi al posto di personaggi storici. Il personaggio storico viene assimilato al suo modello mitico (eroe, ecc.), mentre l'avvenimento viene integrato nella categoria delle azioni mitiche. (...)
Questa riduzione degli avvenimenti a categorie e degli individui ad archetipi, realizzata dalla coscienza degli strati popolari europei quasi fino ai nostri giorni, avviene in conformità all'ontologia arcaica. Si potrebbe dire che la memoria popolare restituisce al personaggio storico dei tempi moderni il suo significato di imitatore dell'archetipo e di riproduttore dei gesti archetipici - significato di cui i membri delle società arcaiche sono stati e continuano ad essere coscienti".   [M. ELIADE: Il mito dell'eterno ritorno - pg.65-66]
 
"La trasformazione del defunto in «antenato» corrisponde alla fusione dell'individuo in una categoria d'archetipo. In numerose tradizioni (in Grecia, per esempio), le anime dei morti comuni non hanno più «memoria», cioè perdono quella che si può chiamare la loro individualità storica. La trasformazione dei morti in larve, ecc., significa in un certo senso la loro reintegrazione nell'archetipo impersonale dell'«antenato». Il fatto che, nella tradizione greca, soltanto gli eroi conservino la loro personalità (cioè la loro memoria) dopo la morte, è di facile comprensione: avendo realizzato nella sua vita terrena soltanto azioni esemplari, l'eroe ne conserva iI ricordo, poiché da un certo punto di vista, queste azioni sono state impersonali".      [M. ELIADE: Il mito dell'eterno ritorno - pg.69]   
 
"L'uomo ha sentito il bisogno di riprodurre la cosmogonia nelle sue costruzioni, di qualsiasi specie esse siano; questa riproduzione infatti lo rendeva contemporaneo del momento mitico-archetipico dell'inizio del mondo e provava il suo bisogno di ritornare più spesso che poteva a quel momento mitico per rigenerarsi".  [M. ELIADE: Il mito dell'eterno ritorno - pg.105]
pg.115]
 
Continua...

Carlo Pierini

#1
"Presso l'uomo delle società arcaiche; per lui le cose si ripetono all'infinito e, in realtà, non avviene nulla di nuovo sotto il sole. Ma questa ripetizione ha un signilicato: essa sola conferisce una realtà agli avvenimenti. Gli avvenimenti si ripetono poiché imitano un archetipo: l'avvenimento esemplare". [M. ELIADE: Il mito dell'eterno ritorno - pg.119/20]

"È probabile che il desiderio, che prova l'uomo delle società tradizionali, di rifiutare la «storia» e di limitarsi a una imitazione indefinita degli archetipi, tradisca la sua sete del reale e il suo terrore di «perdersi», lasciandosi invadere dal carattere insignificante dell'esistenza profana. Poco importa se la formula e le immagini con le quali il «primitivo» esprime la realtà ci appaiono infantili e anche ridicole; il senso profondo del comportamento primitivo è però rivelatore: questo comportamento è retto dalla credenza in una realtà assoluta che si oppone al mondo profano delle «irrealtà»; in ultima analisi, quest'ultimo non costituisce a rigore un «mondo», è l'«irreale» per eccellenza, il non creato, il non esistente: il nulla.
Si ha quindi il diritto di parlare di un'ontologia arcaica, e soltanto tenendo conto di questa ontologia si giunge a comprendere - e dunque a non disprezzare - il comportamento, anche il più stravagante, del «mondo primitivo»; infatti questo comportamento corrisponde a uno sforzo disperato per non perdere il contatto con l'essere".  [M. ELIADE: Il mito dell'eterno ritorno - pg.121]

"Che cosa significa «vivere» per un uomo appartenente alle culture tradizionali? Prima di tutto, vivere secondo modelli extraumani, in conformità agli archetipi. Di conseguenza, vivere al centro del reale, poiché [...] di veramente reale vi sono soltanto gli archetipi. Vivere conformemente agli archetipi significava rispettare la «legge», poiché la legge era soltanto una ierofania primordiale, la rivelazione in illo tempore delle norme dell'esistenza, fatta da una divinità o da un essere mitico. E se per mezzo della ripetizione dei gesti paradigmatici e delle cerimonie periodiche, l'uomo arcaico riusciva, come abbiamo visto, ad annullare il tempo, viveva però in concordanza con i ritmi cosmici; potremmo anche dire che si integrava a questi ritmi (ricordiamo soltanto come sono «reali» per lui il giorno e la notte, le stagioni, i cicli lunari, i solstizi, ecc.)".  [M. ELIADE: Il mito dell'eterno ritorno - pg.126]

"I gesti archetipici, ulteriormente riprodotti senza interruzione dagli uomini, erano anche delle ierofanie e delle teofanie. La prima danza, il primo duello, la prima spedizione di pesca, proprio come la prima cerimonia nuziale o il primo rituale, diventavano esempi per l'umanità, poiché rivelavano un modo di esistenza della divinità, dell'uomo primordiale, dell'eroe civilizzatore, ecc.. Ma queste rivelazioni erano avvenute nel Tempo mitico, nell'istante extra-temporale dell'inizio; così tutto coincideva in un certo senso con l'inizio del mondo, con la cosmogonia. Tutto è avvenuto ed è stato rivelato in quel momento, in illo tempore. [...]
Invece tutto è diverso nel caso della rivelazione monoteistica. Questa è avvenuta nel tempo, nella durata storica: Mosè riceve la « legge » in un certo luogo, una determinata «data». Ovviamente intervengono anche qui degli archetipi, nel senso che questi avvenimenti, elevati a esemplari, saranno ripetuti, ma lo saranno solamente quando i tempi saranno compiuti, cioè in un nuovo illud tempus. Per esempio, come profetizza Isaia (11,15-16), i miracoli del passaggio del Mar Rosso e del Giordano si ripeteranno «quel giorno». Ma il momento della rivelazione fatta a Mosè da Dio resta nondimeno un momento limitato e ben determinato nel tempo. E come rappresenta nello stesso tempo una teofania, acquista anche una nuova dimensione: diventa prezioso nella misura in cui non è più reversibile, è un avvenimento storico.
Tuttavia a fatica il messianismo giunge a perfezionare la valorizzazione escatologica del tempo: il futuro rigenererà il tempo, cioè gli restituirà la sua purezza e sua integrità originaria. In illo tempore si situa in questo modo non soltanto agli inizi, ma anche alla fìne del tempo".                [M. ELIADE: Il mito dell'eterno ritorno - pp.138]

"È lecito considerare Orfeo uno «sciamano» e paragonare la discesa di Cristo agli Inferni alle analoghe discese degli sciamani in estasi? Tutto vi si oppone: nelle diverse culture e religioni - siberiana o nord americana, greca, giudeo-cristiana - queste discese sono valorizzate in modo molto diverso. Un elemento, comunque, rimane immutabile e non deve essere perso di vista: il persistere del motivo archetipico della discesa agli Inferi compiuto per la salvezza di an'anima, l'anima di un malato qualsiasi (sciamanismo stricto sensu), della sposa (miti greci, nord americani, polinesiani, centro asiatici) o dell'umanità tutta intera, poco importa per il momento. La discesa, questa volta, non è più soltanto iniziatica e intrapresa per un vantaggio personale, ma ha uno scopo «salvifico»: si «muore» e si «resuscita» non più per completare un'iniziazione già acquisita, bensì per salvare un'anima. Una nuova nota caratterizza l'archetipo dell'iniziazione: la morte simbolica non serve unicamente alla propria perfezione spirituale (in definitiva, la conquista dell'immortalità), ma si realizza per la salvezza degli altri. Non abbiamo affatto la pretesa di indicare nello sciamano primitivo o nell'Orfeo nord americano o polinesiano la prefigurazione di Cristo. Ci limitiamo a constatare che l'archetipo dell'iniziazione contiene anche questa valenza della «morte» (= discesa agli Inferi) a vantaggio di un altro. (Osserviamo al passaggio che la seduta sciamanica, nel corso della quale si verifica la «discesa agli Inferi» equivale ad un'esperienza mistica; lo sciamano è «fuori di sé», la sua anima ha abbandonato il suo corpo).          
Un'altra esperienza sciamanica fondamentale è l'ascensione celeste: tramite l'albero cosmico, piantato nel «Centro del mondo», lo sciamano penetra nel cielo e vi incontra il dio supremo. È noto che tutti i mistici utilizzano il simbolismo dell'ascensione per raffigurare l'elevazione dell'anima umana e l'unione con Dio. Nulla permette di dichiarare identiche l'ascensione celeste dello sciamano, quella di Buddha, di Maometto o di Cristo. Questo non toglie, tuttavia, che la nozione di trascendenza si esprime universalmente attraverso una immagine di elevazione e che l'esperienza mistica, qualunque sia la religione che la vede nascere, implica sempre un'ascensione al cielo". [M.ELIADE: Immagini e simboli - pp.147-48]

"Il valore magico-farmaceutico di certe erbe è dovuto a un prototipo celeste della pianta [...]. Nessuna pianta è preziosa di per sé, ma soltanto grazie alla sua partecipazione a un archetipo".     [M. ELIADE: Trattato di storia delle religioni - pg.307]

"La psicologia del profondo, attirando l'attenzione sulla sopravvivenza dei simboli e dei temi mitici nella psiche dell'uomo moderno, mostrando che la riscoperta spontanea degli archetipi del simbolismo arcaico è cosa comune a umani, senza differenze di razza e di ambiente storico, ha fatto crollare le ultime esitazioni dello storico delle religioni. (...)
Nel prospettare lo studio dell'uomo non solo quale essere storico, ma altresí quale simbolo vivente, la storia delle religioni potrebbe diventare, ci si passi il termine, una metapsicoanalisi. Essa condurrebbe, infatti, ad un risveglio e ad una nuova presa di coscienza dei simboli e degli archetipi arcaici, viventi o fossilizzati nelle tradizioni religiose dell'intera umanità. Ci siamo arrischiati ad usare il termine di metapsicoanalisi poiché si tratta di una tecnica più spirituale, tesa piuttosto a chiarire il contenuto teorico dei simboli e degli archetipi, a rendere trasparente e coerente ciò che è «allusivo», criptico o frammentario. Si potrebbe anche parlare di una nuova maieutica".   [M.ELIADE: Immagini e simboli - pg.35-36]

"La storia di un simbolismo è un argomento di studio appassionante e del resto assolutamente giustificato, in quanto costituisce la migliore introduzione a ciò che è stata chiamata la filosofia della cultura. Le immagini, gli archetipi, i simboli sono vissuti e valorizzati in modi diversi: il prodotto di queste attualizzazioni è ciò che in gran parte costituisce lo «stile culturale» di una determinata regione. A Ceram, nelle isole molucche, e ad Eleusi ritroviamo le avventure mitiche di una fanciulla primordiale: Hainuwele e Kore Persefone. Dal punto di vista strutturale i loro miti si assomigliano, eppure, che differenza tra la cultura greca e quella di Ceram! [...]
Se queste culture, in quanto formazioni storiche, non sono più intercambiabili essendo già costituite nei loro proprii stili rispettivi, sono però reciprocamente paragonabili al livello delle immagini e dei simboli archetipici. Proprio questa perennità e questa universalità degli archetipi è ciò che «salva» in ultima istanza le culture, rendendo al tempo stesso possibile una filosofia della cultura che sia più di una morfologia o di una storia degli stili".   [M.ELIADE: Immagini e simboli - pg.153]

Sullo stesso tema si vedano anche i seguenti threads:
https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/alcune-varianti-dell'archetipo-del-'diluvio-universale'/

https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/l'archetipo-della-complementarita-l'archetipo-piu-diffuso-nella-storia-della-cu/

https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/le-varianti-simboliche-della-'trinita'/

https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/le-varianti-mitiche-del-'salvatore'-volti-diversi-di-uno-stesso-archetipo/



A. BRANDUARDI - I santi
https://youtu.be/g_JNj-7EHe0?t=22

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