L' autocoscienza come causa di estinzione?

Aperto da sgiombo, 13 Maggio 2016, 12:00:41 PM

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sgiombo

Citazione di: paul11 il 19 Maggio 2016, 09:48:34 AM
Mi par di capire ,Sgiombo, che tu abbia una visione più ottimistica su quella che ho definito legge di natura, riguardo all'uomo, strano perchè  ti contraddici, mi pare nel post iniziale.
Ritornerei "a bomba" sulle tue considerazioni iniziali del topic. Tieni presente che io mi spoglio d visioni spirituali, se così possiamo dire.

la tua ipotesi è pessimistica come la mia sulla possibilità che l'uomo possa avere un remoto futuro .
Sostieni che l'autocoscienza ,che intendi come correlato del cervello, sia addirittura controindicata  nella possibilità che l'umanità abbia un futuro . Mi par di capire che alla fine ,questa coscienza e/o autocoscienza è un bagaglio evolutivo che potrebbe portarci all'estinzione ,in quanto l' uomo autocosciente che ha costruito cultura ha espanso la sua dotazione tecnologica, ma non ha costruito le organizzazioni atte a gestire le problematiche che si evidenziano con quelle tecnologie,la possibilità di autodistruggersi per propria mano, per propria cultura.

C'è un ulteriore ipotesi,sempre pessimistica. Per quanto l'uomo autocosciente possa avere maturità di gestire le problematiche "esterne", è incapace di gestire felicità e infelicità. Io la intendo come immaturità morale, di sublimare i propri egoismi .

Se così fosse guarda che stai assolutamente dicendo le stesse cose che ho asserito finora. Anzi sei più pessimista di me.
Io lascio invece una via d'uscita all'umanità (sempre dal punto di vista NON ,diciamo così ,trascendentale), che saranno i problemi a "chiamare all'ordine" alla responsabilità umana. Ricordo la crisi cubana fra USA e URSS nei primi anni Sessanta del secolo scorso, con missili a testata nucleare,vicendevolmente puntati, sarebbe stata un'immane catastrofe dell'intero pianeta.
CitazionePenserei di chiudere la discussione (che speravo interessasse più frequentatori del forum; e ringrazio comunque te per avervi partecipato) con due precisazioni.

Per me l' uomo può arrivare all' estinzione "prematura e di sua propria mano" perché non supera per tempo l' organizzazione sociale capiatlitica che impone inevitabilmente la produzione e il consumo illimitato di merci in presenza di risorse naturali realisticamente (e non fantascientificamente) disponibili limitate: ci impone inevitabilmete di "segare il ramo su cui siamo seduti".

Oppure perché, superata per tempo (prima di autodistruggersi) questa "strettoia storica", una prevedibile superiore (all' attuale) coscienza morale generalmente diffusa gli impone di non riprodursi per evitare di costringere ingiustamente, forzatamente altri a correre il rischio di incorrere in una vita infelice, nell' impossibilità di chieder loro preventivamente se siano o meno disposto ad accettarlo.
Peraltro (se vogliamo continuare in quesa ipotesi alquanto vaga e non certamente attuale) probabilmente si disporrebbe della possibilità di consentire a chiunque di usufruire facilmente e rapidamente dell' eutanasia se la ritenesse necessaria, riducendo comunque moltissimo per lo meno la durata della propria eventuale infelicità).

maral

#16
Citazione di: sgiombo il 20 Maggio 2016, 12:30:56 PM
Per me l' uomo può arrivare all' estinzione "prematura e di sua propria mano" perché non supera per tempo l' organizzazione sociale capiatlitica che impone inevitabilmente la produzione e il consumo illimitato di merci in presenza di risorse naturali realisticamente (e non fantascientificamente) disponibili limitate: ci impone inevitabilmete di "segare il ramo su cui siamo seduti".

Oppure perché, superata per tempo (prima di autodistruggersi) questa "strettoia storica", una prevedibile superiore (all' attuale) coscienza morale generalmente diffusa gli impone di non riprodursi per evitare di costringere ingiustamente, forzatamente altri a correre il rischio di incorrere in una vita infelice, nell' impossibilità di chieder loro preventivamente se siano o meno disposto ad accettarlo.
Peraltro (se vogliamo continuare in quesa ipotesi alquanto vaga e non certamente attuale) probabilmente si disporrebbe della possibilità di consentire a chiunque di usufruire facilmente e rapidamente dell' eutanasia se la ritenesse necessaria, riducendo comunque moltissimo per lo meno la durata della propria eventuale infelicità).
Nel primo caso il discorso mi è chiaro: la coscienza, intesa nel suo aspetto implicante l'affermazione appropriativa dell'io che la incarna, determina l'estinzione di ogni io (e alla fine pure di me stesso).
Il secondo mi pare più problematico da inquadrare (sarà effetto dei tempi). Se il genere umano, in virtù di uno scrupolo di coscienza, cesserà di riprodursi in quanto la vita espone a un rischio di infelicità chi, senza poter scegliere, la riceve presuppone pensare che il soggetto che si trova gettato nella sua vita sia pre esistente a quella vita stessa, per cui si commette verso di lui un atto di scelta indebito facendolo esistere. In realtà, con un simile ragionamento non si tiene conto che quella vita che lui vive è lui stesso e che si può parlare di un soggetto solo in quanto vivente e non collocandolo in uno stato di pre-esistenza. In questo senso mettere al mondo qualcuno non significa compiere un arbitrio su una sorta di ente pre esistente alla sua stessa vita, al suo esserci, ma fare sì che un ente esista come l'ente che è nella possibilità, che è data solo dall'esistenza in atto, di aderire o meno a se stesso (e quindi di essere felici o meno). Generare  non significa prevaricare con la propria scelta la possibilità di scelta del generato se esistere o meno proprio perché ogni scelta del generato è possibile solo se è stato generato. Nessuno sceglie se esistere o meno, ma solo dal momento che esiste, nella misura e nel modo in cui concretamente esiste, vivendo il significato della sua vita può scegliere.

sgiombo

#17
Citazione di: maral il 21 Maggio 2016, 08:48:52 AMNel primo caso il discorso mi è chiaro: la coscienza, intesa nel suo aspetto implicante l'affermazione appropriativa dell'io che la incarna, determina l'estinzione di ogni io (e alla fine pure di me stesso).
Il secondo mi pare più problematico da inquadrare (sarà effetto dei tempi). Se il genere umano, in virtù di uno scrupolo di coscienza, cesserà di riprodursi in quanto la vita espone a un rischio di infelicità chi, senza poter scegliere, la riceve presuppone pensare che il soggetto che si trova gettato nella sua vita sia pre esistente a quella vita stessa, per cui si commette verso di lui un atto di scelta indebito facendolo esistere. In realtà, con un simile ragionamento non si tiene conto che quella vita che lui vive è lui stesso e che si può parlare di un soggetto solo in quanto vivente e non collocandolo in uno stato di pre-esistenza. In questo senso mettere al mondo qualcuno non significa compiere un arbitrio su una sorta di ente pre esistente alla sua stessa vita, al suo esserci, ma fare sì che un ente esista come l'ente che è nella possibilità, che è data solo dall'esistenza in atto, di aderire o meno a se stesso (e quindi di essere felici o meno). Generare  non significa prevaricare con la propria scelta la possibilità di scelta del generato se esistere o meno proprio perché ogni scelta del generato è possibile solo se è stato generato. Nessuno sceglie se esistere o meno, ma solo dal momento che esiste, nella misura e nel modo in cui concretamente esiste, vivendo il significato della sua vita può scegliere.

Citazione di: sgiombo il 20 Maggio 2016, 12:30:56 PM(Mi rendo conto che l' ipotesi é un po' cervellotica, oltre che avveniristica e per me, nel mio pessimismo, che ritengo ovviamente realistico, in proposito, improbabile).

Sono perfettamente d' accordo che chi (ancora) non esiste non può decidere alcunché, ovviamete anche in merito alla propria eventuale meramente potenziale allora estenza o meno).
Ma é proprio per questo che a rigore si dovrebbe considerare ingiusto il generare dei figli.
Perché li si costringe a correre il rischio, per remoto, improbabile che sia, di essere infelici nell' impossibilità di averne il consenso: ciascuno ha il diritto di correre "in proprio" i rischi che più gli aggradano (in relazione alle possibilità positive che consentono), ma non quello di imporre alcun rischio (anche minimo; anche in alternativa a probabilissime prospettive fortunatissime) forzatamete ad altri, senza previo consenso da parte loro.
Ma per acconsentire o meno si deve necessariamente esistere.
Ciascuno di noi si ritrova dunque inevitabilmente a subre il fatto di venire ad esistere e vivere per decisione altrui, non propria.
Chi é felice non può che esserne grato (ai genitori ed eventualmente a Dio, al destino, il determinismo, il caso o chi per essi); ma chi  é infelice non può che maledirli come prevaricatori che gli hanno imposto la sua vita rivelatasi infelice senza (nemmeno potergli) chiedere il suo consenso a correre il rischio dell' infelicità stessa.

A, dimenticavo: fra l' altro questo mi sembra anche un potente argomento contro il teismo; per lo meno contro il teismo delle tre religioni "del libro" o "Abramitiche": un Dio onnipotente, (onnisciente") e infinitamente giusto (oltre che infinitamente buono) non potrebbe creare alcun essere cosciente (e men che meno autocosciente), a meno che non lo creasse sicuramente, necessariamente felice, essendo indubbiamente ingiusto (sarebbe una gravissima ingiustizia perpetrata da Dio!) farlo nell' impossibilità logica di averne il consenso a correre il ben che minimo rischio di infelicità. 

maral

Citazione di: sgiomboChi é felice non può che esserne grato (ai genitori ed eventualmente a Dio, al destino, il determinismo, il caso o chi per essi); ma chi  é infelice non può che maledirli come prevaricatori che gli hanno imposto la sua vita rivelatasi infelice senza (nemmeno potergli) chiedere il suo consenso a correre il rischio dell' infelicità stessa.
Secondo me non ha senso logico né l'essere grati per la nostra felicità a chi ci ha semplicemente procreato , né maledirli per la nostra infelicità. Non ha senso cioè biasimarli per averci esposti facendoci esistere a un rischio di infelicità, poiché quel rischio coincide con la nostra esistenza stessa e prima di essa, in quanto non esistevamo, non c'era alcun soggetto verso cui essere responsabili.
La responsabilità semmai viene dopo, ossia quando già nati ed esistenti, chi ci ha procreato, facendoci nascere, è chiamato a prendersi cura di chi è stato generato.
La faccenda di un Dio onnisciente e onnipotente è diversa, qui è proprio l'onniscienza che determina la responsabilità del Creatore per il quale ciò che egli concepisce in potenza, teologicamente parlando, è già in atto. Ma qui, nel rapporto tra Creatore e creatura, si innescano delle contraddizioni ardue da dipanare che lascerei ai teologi.

sgiombo

Citazione di: maral il 21 Maggio 2016, 23:34:47 PM
CitazioneChi é felice non può che esserne grato (ai genitori ed eventualmente a Dio, al destino, il determinismo, il caso o chi per essi); ma chi  é infelice non può che maledirli come prevaricatori che gli hanno imposto la sua vita rivelatasi infelice senza (nemmeno potergli) chiedere il suo consenso a correre il rischio dell' infelicità stessa.
Secondo me non ha senso logico né l'essere grati per la nostra felicità a chi ci ha semplicemente procreato , né maledirli per la nostra infelicità. Non ha senso cioè biasimarli per averci esposti facendoci esistere a un rischio di infelicità, poiché quel rischio coincide con la nostra esistenza stessa e prima di essa, in quanto non esistevamo, non c'era alcun soggetto verso cui essere responsabili.
La responsabilità semmai viene dopo, ossia quando già nati ed esistenti, chi ci ha procreato, facendoci nascere, è chiamato a prendersi cura di chi è stato generato.
La faccenda di un Dio onnisciente e onnipotente è diversa, qui è proprio l'onniscienza che determina la responsabilità del Creatore per il quale ciò che egli concepisce in potenza, teologicamente parlando, è già in atto. Ma qui, nel rapporto tra Creatore e creatura, si innescano delle contraddizioni ardue da dipanare che lascerei ai teologi.
CitazionePrima che noi nascessimo c' erano i nostri genitori, ed appunto essi -persone ben reali- sono i responsabili della scelta di farci venire al mondo senza (avere nemmeno la possibilità di) chiederci se saremmo stati disposti o meno a correre il rischio di essere infelici.
A me pare evidentissimamente ingiusto verso di noi (anche se personalmente ho la fortuna di essere molto contento della mia vita e conseguentemente ne sono altrettanto grato ai miei genitori).

Il fatto che non potessero nemmeno consultarci perché eravamo inesistenti non è una giustificazione valida: forse che se sono nell' impossibilità di chiedere a un altro se è disposto o meno a correre un rischio ho per questo motivo il diritto di imporglielo?
Per questo motivo ho casomai il dovere di astenermi dall' imporglielo!

Che al momento della sopraffazione il coartato non esista non assolve gli autori della prepotenza in quanto fatta a "nessuno (di esistente al momento dell' azione)": l' esistenza è per l' appunto conseguenza della prevaricazione, e che sia una conseguenza successiva nel tempo non la rende meno "prevaricazione" (sarebbe come pretendere che un "Erode" che fosse stato avvertito prima della futura nascita del "potenziale usurpatore del suo regno" e avesse deciso prima la "strage degli innocenti" predisponendo tutto affinché venisse attuata ma fosse morto nel frattempo sarebbe stato meno colpevole perché al momento della sua decisione delittuosa non esistevano ancora le vittime di essa, mentre al momento della sua attuazione non ne esisteva più l' autore stesso).
Se quando esisteva la schiavitù (esplicitamente dichiarata) un uomo libero e facoltoso si impossessava di due schiavi coniugi non è che fosse moralmente responsabile solo della loro schiavitù e non anche di quella dei loro figli (anche se generati dopo che ne avesse ridotti in schiavitù i genitori); tant' è vero che sul mercato degli schiavi quelli in età fertile e non menomati "valevano" più di quelli che per qualche patologia fossero sterili, anche a parità di età e di prestanza fisica.
 

Trovo interessante e direi quasi "doveroso" mettere in luce le contraddizioni e le assurdità dei teologi (e di chiunque altro).

davintro

#20
Io credo che, al di là delle molteplici varianti che entrano in gioco, la riproduzione se da un lato "costringe" all'esistenza un essere che non ha scelto di esserlo e che potrebbe vivere nell'infelicità, dall'altro è la condizione necessaria per cui sorge la stessa libertà umana: come è ovvio che sia, per essere liberi bisogna vivere. Il coefficiente di rischio di condannare un essere alla infelicità si accompagna al coefficiente di possibilità di "condannarlo" alla felicità. Ciò che fà la differenza è, credo, una razionale valutazione delle condizioni economiche all'interno delle quali una vita avrebbe la possibilità di vivere una vita serena, quantomeno da quel punto di vista non totalizzante ma comunque imprescindibile, accanto ad un'autoconsapevolezza dal parte del genitore delle proprie capacità di cura ed accudimento, superando lo stereotipo sociale e culturale per cui la genitorialità sarebbe un destino naturale e necessario di ogni uomo e riconoscendo che non tutti le persone.sono ugualmente adeguate ad essere genitori capaci di crescere figli in modo equilibrato, dunque felice. Aggungo che, anche nel caso della condanna all'infelicità, esiste, come possibilità estrema, da parte del soggetto in questione, la libertà di stabilire se la propria vita sia più o meno degna di essere vissuta ed in caso negativo, esiste la possibilità del suicidio, mentre in caso della non-nascita la possibilità di essere felice sarebbe nulla, cosicchè la riproduzione, al netto delle diverse opzioni, non si pone come atto irrazionale (questo modo di pensare, se si vuole ricalca, rivolto a un argomento diverso, la scommessa pascaliana...) In questo senso l'incremento di autocoscienza non conduce necessariamente ad un'estinzione, ma condizionerebbe la riproduzione a criteri di giudizio in base a cui riconosciamo come differenti scelte portino a differenti conseguenze

maral

#21
Sgiombo, la responsabilità non sussiste in sé, ma sussiste a carico di qualcuno verso qualcuno. Ma verso chi va quella responsabilità se quel qualcuno non esiste?  chi viene caricato del rischio di esistere, se non c'è proprio nessuno, poiché i figli non ci sono? Certo che il padrone degli schiavi è responsabile verso i figli generati dai suo schiavi, ma dopo che questi sono nati, è responsabile verso di loro in quanto essi esistono, altrimenti è responsabile solo verso gli schiavi che esistono, ossia i loro potenziali genitori.
Certo, e in questo senso posso capire la tua posizione, si può valutare il rischio dell'esistenza, alla luce della coscienza che si è maturato su di essa, come troppo elevato per essere corso da chiunque esista, ma questo non ha a che vedere con un "senso di responsabilità", semplicemente si valuta l'esistenza come tale per tutti svantaggiosa, poiché si sente che ci si perde sempre, ma senza mascherare la propria intima stanchezza o il senso di umana sconfitta con il nome di responsabilità per farne quasi una sorta di etica. Non c'è proprio alcuna responsabilità, la responsabilità si attua verso chi, nascendo, esiste, con il prendersene cura (e certo, anche valutando le proprie possibilità e capacità di offrire a chi verrà ad esistere una sufficiente cura), in assenza dell'esistente c'è solo il proprio sentimento verso la vita, positivo o negativo che sia.
Sarà per questo che mi è sempre suonato estremamente falso quando sento qualcuno, in nome di un preteso "senso di responsabilità" proclamare di non volere figli: responsabilità verso chi? In questa proclamata responsabilità etica c'è invece al contrario solo il rifiuto a priori di ogni reale responsabilità in quanto non ci si sente in grado di assumerla. E, se lo si ammettesse, andrebbe benissimo così, ma ci si vuole sentire persone coscientemente responsabili!

Se, come disse Sileno, sarebbe meglio per i mortali non essere mai nati o, quanto meno, sperare di morire prima possibile, non è per senso di responsabilità che lo si può dire o pensare, ma per come si sente in coscienza  il significato dell'esistenza propria, ossia del proprio essere tutti comunque destinati a morire.

sgiombo

#22
Citazione di: maral il 24 Maggio 2016, 00:19:58 AM
Sgiombo, la responsabilità non sussiste in sé, ma sussiste a carico di qualcuno verso qualcuno. Ma verso chi va quella responsabilità se quel qualcuno non esiste?  chi viene caricato del rischio di esistere, se non c'è proprio nessuno, poiché i figli non ci sono? Certo che il padrone degli schiavi è responsabile verso i figli generati dai suo schiavi, ma dopo che questi sono nati, è responsabile verso di loro in quanto essi esistono, altrimenti è responsabile solo verso gli schiavi che esistono, ossia i loro potenziali genitori.
Certo, e in questo senso posso capire la tua posizione, si può valutare il rischio dell'esistenza, alla luce della coscienza che si è maturato su di essa, come troppo elevato per essere corso da chiunque esista, ma questo non ha a che vedere con un "senso di responsabilità", semplicemente si valuta l'esistenza come tale per tutti svantaggiosa, poiché si sente che ci si perde sempre, ma senza mascherare la propria intima stanchezza o il senso di umana sconfitta con il nome di responsabilità per farne quasi una sorta di etica. Non c'è proprio alcuna responsabilità, la responsabilità si attua verso chi, nascendo, esiste, con il prendersene cura (e certo, anche valutando le proprie possibilità e capacità di offrire a chi verrà ad esistere una sufficiente cura), in assenza dell'esistente c'è solo il proprio sentimento verso la vita, positivo o negativo che sia.
Sarà per questo che mi è sempre suonato estremamente falso quando sento qualcuno, in nome di un preteso "senso di responsabilità" proclamare di non volere figli: responsabilità verso chi? In questa proclamata responsabilità etica c'è invece al contrario solo il rifiuto a priori di ogni reale responsabilità in quanto non ci si sente in grado di assumerla. E, se lo si ammettesse, andrebbe benissimo così, ma ci si vuole sentire persone coscientemente responsabili!

Se, come disse Sileno, sarebbe meglio per i mortali non essere mai nati o, quanto meno, sperare di morire prima possibile, non è per senso di responsabilità che lo si può dire o pensare, ma per come si sente in coscienza  il significato dell'esistenza propria, ossia del proprio essere tutti comunque destinati a morire.

Innanzitutto, a scanso di equivoci, ribadisco che parlo in generale (per fortuna personalmente sono contento della vita e dunque ne sono grato ai miei genitori).

Ma ciò non toglie che in gnerale imporre forzatamente ad altri di correre qualsiasi rischio (di qualsiasi entità e con qualsiasi probabilità; e in cambio di qualsiasi vantaggio alternativamente possibile in caso di buon esito degli eventi e con qualsiasi probabilità di tale buon esito) senza il loro consenso non può che essere considerato una prepotenza e un' ingiustizia.
E in particolare lo é l' imporre il rischio dell' infelicità ai figli da parte dei genitori.

Che c' entra il fatto che al momento di compiere questa scelta ingiusta le vittime di essa ancora non esistono (se ne determina l' esistenza per l' appunto con tale scelta ingiusta)?
Anche se rapino una donna incinta condannadola alla povertà compio un ingiustizia contro di lei ma anche contro il suo figlio, sebbene quest' ultimo ancora non sia nato.
Anche se riduco in schiavitù una donna ancora non incinta il torto e l' ingiustizia della schiavitù lo impongo (e ne sono responsabilissimo) non meno ai suoi figli che a lei, anche se al momento di perpetrarlo non ci sono ancora!

I figli vengono ad esistere e a correre forzatamente, senza il loro preventivo consenso, il rischio dell' infelicità a causa di una scelta dei loro genitori, della quale i loro genitori sono pienamente responsabili verso di loro anche se al momento di tale scelta non esistono ancora, proprio per il fatto che esistono in conseguenza, per effetto di tale scelta.
Forse che delle conseguenze "dilazionate nel tempo" delle nostre scelte (ma perfettamente prevedibili ed eventualmente evitabili al momento delle nostre scelte) non siamo responsabili?
Forse che non ne siamo responsabili verso coloro che le subiscono e la cui esistenza magari non era ancora reale al momento delle nostre scelte ma -come le nostre scelte da loro subite- perfettamente prevedibile ed evitabile in conseguenza delle nostre scelte?
Forse che per il fatto che sono nato nel 1952 chi ha inventato le bombe atomiche nel 1945 e nel 1949 non é pienamente responsabile (anche) verso di me del rischio dell' olocausto nucleare cui sono sottoposto in seguito alla sua scelta?

Se so che da me nascerà un figlio affetto da una grave malattia genetica che lo farà gravemente soffrire e ciò malgrado lo faccio nascere non sono forse reponsabile a pieno titolo delle sue sofferenze, anche se al momento in cui ho deciso di imporgliele lui (colui che sarà danneggiato dalla mia scelta) non c' era ancora? (E questo indipendentemente dal fatto che un tale figlio potrebbe anche essere felice malgrado la malattia: in questo caso non dell' inesistente infelicità ma comunque a pieno titolo del' esistentissima malattia e delle conseguenti esistentissime sofferenze sarei responsabile).

Ma esattamente come chi, affetto da una grave malattia genetica, é responsabile delle sofferenze che essa arrecherà al suo figlio ancora inesistente, malgrado questa inestenza del figlio allorché decide di generarlo, nello stesso modo tutti i genitori sono responsabili verso i loro figli della sopraffazione ed ingiustizia consistente nell' imporre loro forzatamente, senza il loro consenso, il rischio dell' infelicità, anche se al momento della scelta ingiusta dei genitori i figli non esistono ancora.

maral

#23
Mi sono spiegato male.
Non vi è dubbio che vi sia una responsabilità attuale verso le generazioni future, ossia per le condizioni di esistenza delle generazioni future, rientra nel principio di cura verso ciò che è o sarà. Se oggi si decidesse ad esempio di riprendere la corsa agli armamenti atomici si determinerebbe senza dubbio una responsabilità anche verso chi nascerà domani e verrà esposto al rischio di utilizzo di tali armi e, valutando inevitabile questo rischio specifico, qualcuno potrà oggi anche decidere di non fare figli. Ma il rischio in questione non è dato dall'esistenza stessa in quanto tale, ma da una condizione specifica di essa ben determinata.
E' chiaro che l'esistenza significa di per se stessa inevitabilmente il poter essere infelici per un motivo o l'altro, ma non trovo alcuna responsabilità verso il non ancora esistente per un'infelicità espressa in questi termini, non specifici come nel caso di una guerra atomica, ma generalissimi, ontologici in quanto l'esistenza è matrice di ogni rischio e di ogni decisione, fosse pure anche quella di procreare o meno, poiché nel momento in cui decido di non procreare, resto pur sempre solo io a decidere e dunque paradossalmente a prevaricare comunque su chi, non esistendo, di nulla decide.
L'esistenza di per se stessa non è né buona né cattiva, né bella né brutta, perché è la condizione preliminare di ogni buono e cattivo, di ogni bello e brutto, di ogni giusto e ingiusto ecc. o si esiste o non si esiste, senza scelta perché è solo a partire da essa che si può quanto meno avere un'impressione, a volte, di scegliere. Per questo si sarà responsabili per la qualità che i propri atti determinano sui futuri esseri viventi, non per la loro esistenza in quanto esistenza. Se oggi mi sento responsabile per il futuro dei miei pronipoti è comunque a partire dalla qualità di come mi si prospetta la loro futura vita, il senso che potrà avere, è per questo che sento la responsabilità delle mie scelte attuali per come potrebbero condizionarla, non per un'esistenza in sé.
Non so se sono riuscito a spiegarmi.

paul11

C'è uno strano e stridente paradosso.
Mentre l'uomo occidentale ,culturale e tecnologico, si fa problemi di autocoscienza sulle responsabilità, sul mondo che consegnerà alle prossime generazioni , altri popoli sulla faccia della Terra prolificano anche nella scarsità economica non ponendosi problematiche di autocoscienza.

Finirà, come già indicano da tempo  gli andamenti  demografici , che gli indigeni europei saranno sostituiti da popolazioni immigrate.

C'è un problema fra natura e cultura

cvc

Citazione di: paul11 il 24 Maggio 2016, 12:55:32 PM
C'è uno strano e stridente paradosso.
Mentre l'uomo occidentale ,culturale e tecnologico, si fa problemi di autocoscienza sulle responsabilità, sul mondo che consegnerà alle prossime generazioni , altri popoli sulla faccia della Terra prolificano anche nella scarsità economica non ponendosi problematiche di autocoscienza.

Finirà, come già indicano da tempo  gli andamenti  demografici , che gli indigeni europei saranno sostituiti da popolazioni immigrate.

C'è un problema fra natura e cultura
Non è un problema essenzialmente di cultura ma di benessere, che poi si riflette sulla cultura come conseguenza del benessere. Fino ad una certa soglia marginale, ad un livello di pura sussistenza, è pressoché indifferente avere un figlio o dieci. Ma conquistato un certo livello di benessere, ogni figlio in più  rende esponenzialmente più difficile mantenete quel benessere raggiunto. Ma paradossalmente è poi sempre il benessere che ha bisogno di nuove leve, per mantenere lo stato sociale. Si cerca forza lavoro fresca per tamponare i problemi di oggi, e aumentare esponenzialmente quelli di domani. Dato che le macchine non pagano i contributi, credo che in futuro per mantenere lo stato sociale sarebbe necessario de-automatizzare molti processi produttivi. Ciò che può fare l'uomo è giusto che lo faccia l'uomo per sostenere l'uomo: reddito e contributi per lo stato sociale. L'efficienza tecnologica è inoltre un cane che si morde la coda, si tagliano i costi ma si riduce il potere d'acquisto. Non serve produrre a meno se poi i beni restano invenduti. Sarebbe bello che i lavori che può fare l'uomo li facesse l'uomo, e che i robot servissero per fare la guerra: combattono e muoiono solo i robot. Sarebbe un bell'atto di autocoscienza non autodistruttivo.
Fare, dire, pensare ogni cosa come chi sa che da un istante all'altro può uscire dalla vita.

sgiombo

@Maral
 
Dal fatto che l'esistenza significa di per se stessa inevitabilmente il poter essere infelici per un motivo o l'altro in quanto l'esistenza è matrice di ogni rischio mi sembra discendere evidentemente che nessuno ha il diritto di imporre questo rischio a nessun altro senza il consenso del diretto interessato (paradossalmente si potrebbe imporlo solo a se stessi, se ciò non fosse logicamente impossibile; mentre ci si può solo, limitare a scegliere se restare in vita o togliersela, non se darsela o meno).
 
Mentre nel momento in cui decido di non procreare non prevarico su nessuno, invece nel momento in cui decido di procreare prevarico su colui cui impongo l' esistenza, con il conseguente rischio dell' infelicità, senza potere avere il suo consenso.
 
E' vero che l' esistenza di per se stessa non è necessariamente né buona né cattiva, né bella né brutta, perché è la condizione preliminare di ogni buono e cattivo, di ogni bello e brutto, di ogni giusto e ingiusto ecc., e dunque può essere tanto buona quanto cattiva, tanto bella quanto brutta, ecc.
Proprio per questo imporre ad altri di correre il rischio che sia cattiva, brutta, ingiusta, ecc. anziché buona, bella, giusta, ecc. è una prepotenza (non lo sarebbe solo se -per assurdo!- la vita potesse essere data ad altri dopo averne avuto il consenso a correre il rischio dell' infelicità)
 
 
(Rilevo che è di fatto in corso d parte americana una forsennata e pericolosissima corsa agli armamenti soprattutto attraverso il tentativo di realizzare sistemi antimissile in grado di consentire un devastante "primo colpo nucleare"; che più o meno a breve termine metterebbe seriamente a repentaglio anche il benessere fisico e la sopravvivenza stessa dei "vincitori", novelli re Mida).
 
 
@ Paul11
Beh, non mi sembra proprio che l' "uomo occidentale", culturale (?) e tecnologico, si faccia problemi di autocoscienza sulle responsabilità, sul mondo che consegnerà alle prossime generazioni. Mi sembra anzi che lo stia forsennatamente devastando!
 
Mentre mi pare proprio che se altri popoli sulla faccia della Terra prolificano anche nella scarsità economica, essi si trovino appunto nella scarsità economica proprio a causa delle forsennate, violentissime, "terroristissime" rapine e aggressioni quotidianamente subìte da parte dell' "uomo occidentale", culturale (?) e tecnologico.
 

E se finirà che gli indigeni europei saranno sostituiti da popolazioni immigrate (cioè da coloro che saranno riusciti a salvarsi dai genocidi quotidianamente perpetrati dall' imperialismo occidentale) sarà solo per colpa delle elité indigene europee dominanti il mondo.

maral

Probabilmente più che un problema tra natura e cultura (per l'uomo, per lo meno da quando ha sviluppato l'agricoltura diventando stanziale, la natura ha sempre avuto un senso culturale e ciò che noi oggi pensiamo natura è il risultato del progetto che l'essere umano ha fatto su di essa), mi sembra di un problema tra quanto l'attuale tecnologia richiede (e richiederà sempre più in futuro) e il modo ancora umano di sentirci. In altre parole l'attuale tecnologia presenta l'uomo a se stesso come inadeguato e antiquato.
Proporre di lasciare che l'uomo faccia quei lavori di cui è stato capace, alla luce dell'attuale concezione tecnologica senza reali alternative del mondo non ha senso, poiché le macchine, prive di autocoscienza, funzionano meglio, ossia più efficacemente ed efficientemente, ormai persino il progettare e decidere in situazioni complicate, attività che ingenuamente si riteneva dovessero restare di appannaggio umano.  Oggi si chiede semmai che l'uomo si conformi alla macchina, si renda trattabile come macchina, produttiva e soprattutto di consumo, non certo il contrario. 
Non so se avete presente i vecchi cavalli da tiro, quando ero giovane se ne vedeva ancora qualcuno in giro, oggi nemmeno uno. Sono scomparsi e oggi i cavalli servono solo per il divertimento nei maneggi, per tirare qualche carrozzella di ameni turisti o per fare bistecche. Proporre di riutilizzare i cavalli da tiro al posto dei tir non avrebbe nessun senso. L'uomo sta  avvicinandosi alla medesima condizione, senza più trovare senso e significato in ciò che ancora, nel sistema tecnologico, gli resta per un po' permesso di fare in attesa che le macchine lo facciano meglio di lui, Per ora si tratta della posizione di terminale della catena tecnologica, utile allo smaltimento del prodotto tramite l'eccitazione programmata del suo desiderio. Ma i cavalli in fondo sono stati più fortunati, perché non hanno una coscienza di sé  come hanno gli esseri umani, coscienza del proprio significare e quindi della propria inadeguatezza esistenziale. Per l'essere umano l'estinzione sarà più dolorosa, per questo, per evitare intoppi, lo si anestetizza.

maral

#28
Sgiombo, ma tu, dicendo che scegliendo la procreazione si impone un rischio a chi verrà ad esistere stai dicendo che la condizione di assenza di rischio data dall'inesistenza è in ogni caso meglio e questa è una valutazione che tu dai arbitrariamente e solo in quanto esisti. Io penso invece che il confronto sul significato di per sé (preso in modo del tutto autoreferente e astratto) di esistenza e inesistenza non si pone proprio, è logicamente assurdo, mentre ha senso decidere di non procreare in base a certi parametri con cui ci si configura, da un punto di vista sempre più o meno soggettivo, l'esistenza futura .
Ha senso cioè dire che in un mondo in cui le esistenze si troveranno sempre più compromesse, evito di procreare, poiché questo mondo non offrirà alcuna cura a chi vi vivrà. Ma questo non è un confronto tra esistenza e inesistenza, ma tra la mia esistenza attuale e l'esistenza di chi esisterà in futuro.

cvc

#29
Citazione di: maral il 24 Maggio 2016, 19:54:49 PM
Probabilmente più che un problema tra natura e cultura (per l'uomo, per lo meno da quando ha sviluppato l'agricoltura diventando stanziale, la natura ha sempre avuto un senso culturale e ciò che noi oggi pensiamo natura è il risultato del progetto che l'essere umano ha fatto su di essa), mi sembra di un problema tra quanto l'attuale tecnologia richiede (e richiederà sempre più in futuro) e il modo ancora umano di sentirci. In altre parole l'attuale tecnologia presenta l'uomo a se stesso come inadeguato e antiquato.
Proporre di lasciare che l'uomo faccia quei lavori di cui è stato capace, alla luce dell'attuale concezione tecnologica senza reali alternative del mondo non ha senso, poiché le macchine, prive di autocoscienza, funzionano meglio, ossia più efficacemente ed efficientemente, ormai persino il progettare e decidere in situazioni complicate, attività che ingenuamente si riteneva dovessero restare di appannaggio umano.  Oggi si chiede semmai che l'uomo si conformi alla macchina, si renda trattabile come macchina, produttiva e soprattutto di consumo, non certo il contrario.
Non so se avete presente i vecchi cavalli da tiro, quando ero giovane se ne vedeva ancora qualcuno in giro, oggi nemmeno uno. Sono scomparsi e oggi i cavalli servono solo per il divertimento nei maneggi, per tirare qualche carrozzella di ameni turisti o per fare bistecche. Proporre di riutilizzare i cavalli da tiro al posto dei tir non avrebbe nessun senso. L'uomo sta  avvicinandosi alla medesima condizione, senza più trovare senso e significato in ciò che ancora, nel sistema tecnologico, gli resta per un po' permesso di fare in attesa che le macchine lo facciano meglio di lui, Per ora si tratta della posizione di terminale della catena tecnologica, utile allo smaltimento del prodotto tramite l'eccitazione programmata del suo desiderio. Ma i cavalli in fondo sono stati più fortunati, perché non hanno una coscienza di sé  come hanno gli esseri umani, coscienza del proprio significare e quindi della propria inadeguatezza esistenziale. Per l'essere umano l'estinzione sarà più dolorosa, per questo, per evitare intoppi, lo si anestetizza.
A differenza dei cavalli da tiro, i lavoratori umani pagano tasse che servono per erogare le pensioni e sostenere lo stato sociale. Come ho detto l'efficienza è un cane che si morde la coda quando per tagliare i costi di produzione si annienta il potere d'acquisto della popolazione disoccupata. Le macchine funzioneranno meglio degli uomini, ma la rivoluzione tecnologica riduce esponenzialmente l'occupazione e in qualche modo bisognerà porre rimedio. Se non è il lavoro a redistribuire la ricchezza, in che altro modo si può farlo? Il reddito di cittadinanza è a malapena al livello di sussistenza, ma il sistema capitalistico non si regge con la sola vendita dei beni primari. La tecnologia in sè non è secondo me nè buona nè cattiva, dipende dall'uso. E l'uso che se ne sta facendo è quasi esclusivamente quello di supporto capitalistico con il disastroso effetto di ridurre l'occupazione e di creare un turn over sempre più veloce dei beni e servizi prodotti e distribuiti, per cui i cicli economici diventano sempre più effimeri e impossibili da cavalcare per chi non ha abbondanza di risorse da investire.
L'autocoscienza è secondo me uno strumento di adattamento e quindi di sopravvivenza, ma mi pare che ora sia intrappolata nel retaggio del benessere, per cui domina il terrore di dover rinunciare agli agi e standard conquistati, senza più la capacità di riflettere sui falsi bisogni indotti che alimentano il sistema di produzione e consumo superflui. In questa cornice la tecnologia è la guardia pretoriana del capitalismo, salita agli onori grazie alla suddivisione del lavoro a scopo industriale prima, e dall'organizzazione scientifica del lavoro poi. La tecnologia indirizzata ad uso e consumo degli interessi capitalistici rende l'uomo sempre più pigro, verificando ciò che Smith profetizzò riguardo alla suddivisione del lavoro che avrebbe reso l'uomo tanto stupido quanto può diventarlo.
Fare, dire, pensare ogni cosa come chi sa che da un istante all'altro può uscire dalla vita.

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