L'"antistrephon" di Protagora, secondo Aulo Gellio.

Aperto da Eutidemo, 11 Febbraio 2021, 06:58:38 AM

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Eutidemo

Ne "Le notti attiche" di Aulo Gellio, nel libro quinto, al capitolo 10 troviamo riportato il seguente divertente paradosso:
" Sugli argomenti che in greco si chiamano "antistréphonta" e che da noi possono essere detti "reciproca". Fra gli argomenti errati, il più errato sembra quello che i Greci chiamano "antistréphon" (convertibile). Questo dai nostri, non certo senza ragione, è chiamato "reciprocum", cioè facile da ritorcere. Ora questo errore avviene nel seguente modo: quando un argomento esposto si può ritorcere in senso opposto e usare contro chi se ne è servito e ha uguale valore in entrambi i casi; tale è quello, molto conosciuto, di cui dicono si sia servito Protagora, il più sottile di tutti i sofisti, contro il proprio discepolo Evatlo.
La discussione e la lite (nate) tra loro a proposito della mercede pattuita era questa: Evatlo, giovane ricco, desiderava essere istruito nell'eloquenza e nell'arte di discutere le cause. Egli era venuto da Protagora per essere istruito e si era impegnato a corrispondere quale mercede l'ingente somma che Protagora aveva richiesto e ne aveva versata la metà subito, prima di incominciar le lezioni, impegnandosi a versare l'altra metà il giorno in cui avesse discussa e vinta la prima causa davanti ai giudici. Ma, pur essendo stato a lungo ascoltatore e discepolo di Protagora e avendo fatto notevoli progressi nell'arte oratoria, non gli era toccata alcuna causa e poiché era ormai passato molto tempo, sembrava facesse ciò a bella posta, per non pagare il saldo a Protagora; questi allora ebbe una trovata che gli parve astuta: chiese il pagamento del saldo e intentò un processo a Evatlo.
Quando venne il momento di esporre e contestare il caso davanti ai giudici, Protagora così si espresse: "Sappi, giovane assai insensato, che in qualsiasi modo il tribunale si pronunci su ciò che chiedo, sia contro di me sia contro di te, tu dovrai pagarmi. Infatti, se il giudice ti darà torto, tu mi dovrai la somma in base alla sentenza, perciò io sarò vittorioso; ma anche se ti verrà data ragione mi dovrai ugualmente pagare, perché avrai vinto una causa". Evatlo gli rispose:"Se, invece di discutere io stesso, mi avvalessi di un avvocato, mi sarebbe facile di trarmi dall'inganno pericoloso. Ma io proverò maggior piacere avendo ragione di te non soltanto nella causa, ma anche nell'argomento da te addotto. Apprendi a tua volta, dottissimo maestro, che in qualsiasi modo si pronuncino i giudici, sia contro di te sia in tuo favore, io non sarò affatto obbligato a versarti ciò che chiedi. Infatti, se i giudici si pronunceranno in mio favore nulla ti sarà dovuto perché avrò vinto; se contro di me, nulla ti dovrò in base alla pattuizione, perché non avrò vinto. I giudici, allora, considerando che il giudizio in entrambi i casi era incerto e di difficile soluzione, giacché la loro decisione, in qualunque senso fosse stata presa, poteva annullarsi da se stessa, lasciarono indecisa la causa e la rinviarono a data assai lontana. Così un famoso maestro di eloquenza fu sconfitto da un giovane discepolo che, servendosi dello stesso argomento, scaltramente prese nella trappola chi l'aveva tesa."
***
A me, invece, sembra che Evatlo avesse torto marcio, sia sotto il profilo logico sia sotto il profilo giuridico (a prescindere dalle diversità del processo antico rispetto a quello moderno).
Ed infatti
a)
IL GIUDICE DA' TORTO AD EVATLO
A dire il vero, se, effettivamente, Evatlo non ancora vinto nessuna causa ("condicio sine qua non" per il pagamento del compenso a Protagora), non vedo perchè mai il Giudice dovrebbe dargli torto; comunque, per stare ai termini dell'"antistréphon" così come viene riportato da Gellio, contempliamo anche questa ipotesi.
In base ad essa, se il giudice darà torto ad Evatlo, lui dovrà "comunque" versare a Protagora la somma dovutagli in base alla sentenza; ed infatti le sentenze vanno comunque eseguite, a prescindere che le si ritengano "giuste" o "ingiuste".
Poi, semmai, potrà appellarsi contro tale sentenza; però, se perderà anche i successivi gravami, una volta che la sentenza passerà in giudicato, il suo pagamento diverrà a titolo definitivo, senza che lui possa più recuperarlo.
Se invece vincerà l'appello, accadrà quanto illustrato sotto.
b)
IL GIUDICE DA' RAGIONE AD EVATLO
Se, invece, il giudice darà ragione ad Evatlo (come sarebbe logico e giuridicamente corretto che avvenisse, perchè, finora, non ha ancora vinto nessuna causa), lui, almeno sul momento, non dovrà versare a Protagora nessuna somma; ed infatti chi vince una causa, ovviamente, non deve pagare nulla al soccombente.
Però, se Protagora è furbo, non si appellerà contro tale sentenza; attenderà, invece, che passi in giudicato per decorrenza dei termini dell'impugnazione.
Una volta avvenuto questo, Protagora citerà in giudizio Evatlo in un'"altra causa"; e, sventolando in giudizio la precedente sentenza favorevole ad Evatlo, secondo me, non avrà nessuna difficoltà a vincerla, e, quindi, a far condannare Evatlo al pagamento della sua "mercede".
Ed infatti non c'è dubbio che Evatlo abbia vinto la sua prima causa,
***
CONCLUSIONE
La "fallacia" del ragionamento di Gellio, almeno secondo me, "risulta" e "risalta" dal seguente passo:
"I giudici, allora, considerando che il giudizio in entrambi i casi era incerto e di difficile soluzione, giacché la loro decisione, in qualunque senso fosse stata presa, poteva annullarsi da se stessa, lasciarono indecisa la causa e la rinviarono a data assai lontana."
In realtà, non è affatto così, perchè Gellio, scrivendo questo, cade in una  sorta di "discronia" logica e giuridica; ciò in quanto, ovviamente, sia ai giorni nostri che in quelli di Protagora, i giudici emettono le loro sentenze "rebus sic stantibus", senza assolutamente tenere conto delle conseguenze di tali sentenze, e delle eventuali controversie che da tali conseguenze possono ulteriormente scaturire!
Nessuna sentenza si annulla da se stessa!
Per cui, fino a che Evatlo non ha vinto nessuna causa, il giudice non potrà che dargli ragione; ma, appena avrà vinto la sua prima causa, il successivo giudice non potrà che dargli torto!
Almeno per come la vedo io!
;)
***

Ipazia

La b) mi pare logicamente e giuridicamente inecceppibile. La a) assomiglia molto alla giustizia italiana in cui le sentenze si inventano a prescindere dai fatti e dalla legge.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

baylham

Se vale la regola "ne bis in idem", in caso di condanna Protagora non potrà iniziare un'altra azione.

Eutidemo

Ciao Baylham. :)
L'articolo 649 del Codice di Procedura Penale è molto chiaro nel circoscrivere al "campo penale" il divieto del cosiddetto "ne bis in idem", imponendo al Pubblico ministero e al Giudice penale di non procedere nei confronti di un soggetto che, con riferimento all'"idem factum", sia già stato giudicato in sede penale e sia stato prosciolto o condannato con provvedimento definitivo.
In"campo civile", invece, non è così; soprattutto quando, come nel caso di specie, il "presupposto" in base al quale Protagora attiva la seconda "azione", è costituito da un "fatto diverso" dal precedente, e, cioè, dall'esito sfavorevole della prima "azione" ("alium factum").
***
Cioè:
- la prima azione giudiziale di Protagora era indirizzata ad ottenere il suo compenso anche se Evatlo non aveva ancora soddisfatto la condizione del pagamento, costituita da una sua vittoria in giudizio.
- la seconda azione giudiziale di Protagora, invece, è indirizzata ad ottenere il suo compenso,  visto che, adesso (e non prima) Evatlo ha finalmente soddisfatto la condizione del pagamento, costituita da una sua vittoria in giudizio.
***
Un saluto! :)

Eutidemo

Citazione di: Ipazia il 11 Febbraio 2021, 21:11:06 PM
La b) mi pare logicamente e giuridicamente inecceppibile. La a) assomiglia molto alla giustizia italiana in cui le sentenze si inventano a prescindere dai fatti e dalla legge.

Hai ragione!
Infatti non capisco neanche io come sia possibile dar torto ad Evatlo, fino a che lui non ha ancora soddisfatto la condizione del pagamento, costituita da una sua vittoria in giudizio; tuttavia ho considerato tale ipotesi, perchè era formulata con uno dei due termini del paradosso.


Eutidemo

In ogni caso, ai tempi di Protagora, in Grecia non mi pare che vigesse il principio del "ne bis in idem", neanche in campo penale.
Comincia, invece, ad apparire timidamente in alcuni frammenti latini:
Gaius 18 ad ed. provinc., D. 50.17.57: Bona fides non patitur, ut bis idem exigatur.
Gaius, Institutiones, 3.181: Unde fit, ut si legitimo iudicio debitum petiero, postea de eo ipso iure agere non possim.
Gaius, Institutiones, 4.108: Alia causa fuit olim legis actionum. nam qua de re actum semel erat, de ea postea ipso iure agi non poterat.
Ulpianus 7 de off. procons., D. 48.2.7.2: Isdem criminibus, quibus quis liberatus est, non debet praeses pati eundem accusari, et ita divus Pius Salvio Valenti rescripsit.
C.J. 9.2.9 pr.: Imperatores Diocletianus, Maximianus. Qui de crimine publico in accusationem deductus est, ab alio super eodem crimine deferri non potest.
Ormai, invece, è un principio quasi universalmente riconosciuto; e, in alcuni Paesi (non in Italia) anche a livello costituzionale):  Stati Uniti, Canada, Messico, Argentina, Venezuela, Perù, Ecuador, Colombia, Repubblica Dominicana, Spagna, Australia e India .

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