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Kant e il Principio.

Aperto da Carlo Pierini, 09 Luglio 2018, 03:40:19 AM

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sgiombo

Vorrei sommessamente far notare a Carlo Pierini (che indegnamente e in maniera penosamente ridicola lo tratta come un ciarlatano) che Kant, oltre a scrivere tantissimo e di importantissimo di filosofia, ha formulato una teoria scientifica sull' origine del sistema solare (molto simile a quella quasi contemporamenamente proposta da Laplace, e infatti nota come "teoria di Kant - Laplace") sicuramente all' altezza dello "stato dell' arte" delle scienze naturali ai suoi tempi e a mio parere ad oggi sostanzialmente non falsificata.

sgiombo

Obiezione a Davintro
 
Ma allora la conoscenza delle "essenze" é conoscenza analitica a priori" che arbitrariamente stabilisce concetti e li mette in relazione secondo regole logiche arbitrarie, ma non ci dice nulla, non ci informa minimamente informa circa la realtà (ciò che realmente é/accade o meno).
 
Non capisco questa affermazione (credo fondamentale):
 
"Dunque intendendo come "princìpi" ciò che delle cose resta tale indipendentemente da ogni accidentalità o contingenza empirica, la loro dimensione di apriorità, proprio la considerazione delle cose come fenomeni a una coscienza (non la mia singola coscienza empirica, ma una coscienza nella sua struttura trascendentale) permette di disvelarli, di individuare leggi di rapporto essenziali e universalmente valide, perché slegate dalla considerazione della loro esistenza di fatto (che può esserci come non esserci)".
 
Mi sembra che qui si proponga un salto indebito fra "analiticità a priori" di ciò che delle cose resta tale indipendentemente da ogni accidentalità o contingenza empirica e sinteticità a posteriori delle cose come fenomeni a una coscienza ([anche se] non la mia singola coscienza empirica, ma una coscienza nella sua struttura trascendentale[ma che significa?]).
 
Le leggi di rapporto essenziali e universalmente valide nell' empiria fenomenica (sinteticamente a posteriori) le possiamo semplicemente rilevare per induzione (per arbitraria credenza indimostrabile: Hume!): sono "slegate dalla considerazione della loro [contingente] esistenza di fatto in quanto generali – astratte, ma non per questo non sono sintetiche a posteriori e dunque (Hume!) soggette a insuperabile dubbio scettico.
 
La considerazione (soggettiva, mentale da parte del soggetto di conoscenza) delle cause FORMALI, cioè quel tipo di causalità che individua l'essenza della cosa in questione, l'idea che lo specifica come tale e lo differenzia dall'altra mi sembra semplicemente uno stabilire arbitrariamente (le connotazioni o intensioni di) concetti per definizione (in altro modo non riesco a comprendere queste parole), anche se si tratta di concetti dotati, per constatazione empirica (e dunque sintetica a posteriori, con tutti i limiti di certezza del caso, in particolare circa l' induzione di rapporti universali e costanti di causalità fra di esse), di denotazioni o estensioni reali (anche se stratta di "ritagliare mentalmente -comunque secondo criteri arbitrari, soggettivi- la realtà" e non di crearla secondo una sorta di "idealismo magico".

Carlo Pierini

Citazione di: davintro il 14 Luglio 2018, 16:05:09 PM
un modello gnoseologico come quello kantiano, che pone il materiale fenomenico sensibile come limite della scienza mi pare debba coerentemente escludere il problema della determinazione di un "Principio", inteso nell'accezione di un ente come Causa prima esplicativa del reale,
CARLO
Un Principio non è una astratta "Causa prima", ma un'entità metafisica che stabilisce un ordine di relazione delle cose create, così come i principi costituzionali stabiliscono un ordine di relazione tra gli uomini e così come il principio di gravità stabilisce un ordine di relazione tra le grandezze "forza", "massa" e "distanza". Pertanto, dall'osservazione di quest'ordine è possibile risalire al principio che lo governa.

In teologia, questo stesso concetto si esprime nell'idea di un mondo <<fatto a immagine e somiglianza del Principio>> o, come diceva Tommaso, di un mondo che è <<analogia Entis>>, cioè, analogia di Dio.

0xdeadbeef

A Davintro (come a tutti)
In Aristotele, la causa "efficiente" è la causa "motrice"; la causa da cui proviene la "spinta iniziale".
Kant, come noto, sposta questo concetto dal, chiamiamolo, mondo degli oggetti a quello dei soggetti, ma
ne mantiene inalterate tutte le caratteristiche (e, in primis, quella di "necessità", cioè quello di un
rigoroso determinismo che sussiste(rebbe) fra la causa e l'effetto).
Tutto ciò è evidente frutto di una tesi che non mette in discussione le basi della meccanica newtoniana e
della scienza (di allora), ma le considera come "a-priori", indiscutibili, certissime.
Ciò può essere senz'altro visto come "individuazione di principi", ma principi come dicevo fondati sul dato
empirico, scientifico (come allora inteso), non su un'idea come quella della "cosa in sè" che Carlo Pierini dà
ad intendere si ponga in Kant come "Principio" ("su cosa basa Kant la sua convinzione che sia impossibile
conoscere il Principio?", questa era la sua domanda).
Sappiamo bene che per Kant la "cosa in sè" non ha e non può avere nessuna rilevanza scientifica. Quindi è
da escludersi categoricamente che egli pensi quel termine, Principio, SE NON come elemento di riferimento per
l'eleborazione innanzitutto della sua teoria sulla morale e sul diritto.
Sarà Carnap (mi par di ricordare, vado a naso...) ad affermare che la relatività, nel momento in cui confuta
le teorie kantiane basate sull'a-priorismo (e allora sembrava che TUTTO Kant ne fosse confutato), in realtà
ne rafforza e consolida la tesi forse più importante, quella della "cosa in sè".
E' semmai da questo punto che la "cosa in sè" assume un interesse che può essere in qualche modo anche scientifico;
ma non prima, non per Kant stesso (troppo condizionato dal clima empiristico della sua epoca, come ben dici).
Ora, dire: "l'idea dell'albero che nel mio vissuto coscienziale riconosco consiste dunque nell'essenza della cosa"
è un'affermazione che Kant non avrebbe credo mai ammesso.
Cosa vuol dire "essenza"? Si intende tal termine nel senso aristotelico di "sostanza" o in altro modo?
Se confrontiamo un attimo questa affermazione con ciò che dice Einstein, e che spesso mi piace citare ("è la
teoria a decidere cosa possimo osservare"), vediamo che il termine "essenza" può assumere due significati
fondamentali. Il primo è nel senso di una "essenzialità" riferita ad una presunta "efficacia" all'interno di
una specifica teoria (che mi pare il senso più autenticamente scientifico di essa). Il secondo invece non può
essere riferito che ad una visione più "larga" e metafisica, per cui "essenza" è il Vero che una presunta (e
privilegiata) teoria può arrivare a scoprire.
Ma l'autentico dilemma a questo punto consiste a mio parere nel dire se la teoria di un pazzo "vale" la teoria
di un uomo assennato. Cioè nel dire quanto ed in che misura il fenomeno può avvicinarsi alla "cosa in sè".
Si tratta allora di vedere se è possibile stabilire almeno una, chiamiamola, "direzione di verità". Di vedere
cioè se la celebre "montagna coperta dalle nubi" di Popper sia "in quella direzione o nell'altra".
Quali elementi possediamo per stabilire se la cima della montagna si trovi "più o meno" da quella parte ma non
certo dalla parte opposta (dò per scontato tu conosca quella metafora...)?
Da questo punto di vista sia le tesi della meccanica quantistica sia quanto letto di U.Eco a proposito del "realismo negativo"
(il post era "La verità è ciò che si dice") mi sembrerebbe piuttosto plausibile e convincente.
Cosi' come non del tutto peregrino mi sembra il tuo riferimento alle cause "formali". Cioè quel tipo di causalità
NON che, a parer mio, individua l'essenza della cosa in questione, ma che individua appunto la "direzione".
In definitiva rimane a mio avviso in piedi la contrapposizione kantiana fra fenomeno e noumeno. Una contrapposizione
certo non "forte" così come lo era in Kant (ma poi lo era veramente?); ma una contrapposizione che rimane comunque
"salda".
saluti

Carlo Pierini

Citazione di: 0xdeadbeef il 15 Luglio 2018, 11:30:05 AM
A Davintro (come a tutti)
In Aristotele, la causa "efficiente" è la causa "motrice"; la causa da cui proviene la "spinta iniziale".
Kant, come noto, sposta questo concetto dal, chiamiamolo, mondo degli oggetti a quello dei soggetti, ma
ne mantiene inalterate tutte le caratteristiche (e, in primis, quella di "necessità", cioè quello di un
rigoroso determinismo che sussiste(rebbe) fra la causa e l'effetto).
Tutto ciò è evidente frutto di una tesi che non mette in discussione le basi della meccanica newtoniana e
della scienza (di allora), ma le considera come "a-priori", indiscutibili, certissime.
Ciò può essere senz'altro visto come "individuazione di principi", ma principi come dicevo fondati sul dato
empirico, scientifico (come allora inteso), non su un'idea come quella della "cosa in sè" che Carlo Pierini dà
ad intendere si ponga in Kant come "Principio" ("su cosa basa Kant la sua convinzione che sia impossibile
conoscere il Principio?", questa era la sua domanda).
Sappiamo bene che per Kant la "cosa in sè" non ha e non può avere nessuna rilevanza scientifica. Quindi è
da escludersi categoricamente che egli pensi quel termine, Principio, SE NON come elemento di riferimento per
l'eleborazione innanzitutto della sua teoria sulla morale e sul diritto.
Sarà Carnap (mi par di ricordare, vado a naso...) ad affermare che la relatività, nel momento in cui confuta
le teorie kantiane basate sull'a-priorismo (e allora sembrava che TUTTO Kant ne fosse confutato), in realtà
ne rafforza e consolida la tesi forse più importante, quella della "cosa in sè".
E' semmai da questo punto che la "cosa in sè" assume un interesse che può essere in qualche modo anche scientifico;
ma non prima, non per Kant stesso (troppo condizionato dal clima empiristico della sua epoca, come ben dici).
Ora, dire: "l'idea dell'albero che nel mio vissuto coscienziale riconosco consiste dunque nell'essenza della cosa"
è un'affermazione che Kant non avrebbe credo mai ammesso.
Cosa vuol dire "essenza"? Si intende tal termine nel senso aristotelico di "sostanza" o in altro modo?
Se confrontiamo un attimo questa affermazione con ciò che dice Einstein, e che spesso mi piace citare ("è la
teoria a decidere cosa possimo osservare"), vediamo che il termine "essenza" può assumere due significati
fondamentali. Il primo è nel senso di una "essenzialità" riferita ad una presunta "efficacia" all'interno di
una specifica teoria (che mi pare il senso più autenticamente scientifico di essa). Il secondo invece non può
essere riferito che ad una visione più "larga" e metafisica, per cui "essenza" è il Vero che una presunta (e
privilegiata) teoria può arrivare a scoprire.
Ma l'autentico dilemma a questo punto consiste a mio parere nel dire se la teoria di un pazzo "vale" la teoria
di un uomo assennato. Cioè nel dire quanto ed in che misura il fenomeno può avvicinarsi alla "cosa in sè".
Si tratta allora di vedere se è possibile stabilire almeno una, chiamiamola, "direzione di verità". Di vedere
cioè se la celebre "montagna coperta dalle nubi" di Popper sia "in quella direzione o nell'altra".
Quali elementi possediamo per stabilire se la cima della montagna si trovi "più o meno" da quella parte ma non
certo dalla parte opposta (dò per scontato tu conosca quella metafora...)?
Da questo punto di vista sia le tesi della meccanica quantistica sia quanto letto di U.Eco a proposito del "realismo negativo"
(il post era "La verità è ciò che si dice") mi sembrerebbe piuttosto plausibile e convincente.
Cosi' come non del tutto peregrino mi sembra il tuo riferimento alle cause "formali". Cioè quel tipo di causalità
NON che, a parer mio, individua l'essenza della cosa in questione, ma che individua appunto la "direzione".
In definitiva rimane a mio avviso in piedi la contrapposizione kantiana fra fenomeno e noumeno. Una contrapposizione
certo non "forte" così come lo era in Kant (ma poi lo era veramente?); ma una contrapposizione che rimane comunque
"salda".
saluti

CARLO
...Che - tradotto in linguaggio umano - ...significa...??

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