In difesa del povero Eutifrone

Aperto da davintro, 30 Settembre 2018, 17:59:56 PM

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davintro

Qualche giorno fa, leggendo un saggio del teologo tedesco Romano Guardini su Socrate e Platone, ho colto uno spunto di riflessione riguardo un'eventuale fallo logico non secondario all'interno delle maglie solitamente così rigorose e consequienziali della maieutica socratica, e credo possa essere uno stimolo interessante da discutere qua. Il punto è il tema centrale del primo dei quattro dialoghi platonici dedicati alla morte di Socrate, l' "Eutifrone". Per chi non lo sapesse, Eutifrone è un uomo che Socrate incontra causalmente mentre sta per recarsi in tribunale per difendersi dall'accusa di corruzione. Eutifrone racconta di trovarsi nello stesso luogo per accusare suo padre dell'assassinio di un servo, e presenta la sua decisione come improntata ad un criterio di santità. Ben presto, la discussione vira sulla ricerca di una corretta definizione del concetto di "santità", in perfetta con l'impostazione socratica (e platonica), mirante a cogliere l'essenza universale dei concetti come presupposto fondamentale della ricerca razionale della verità delle questioni, in contrapposizione con la trascuratezza e il dogmatismo nell'utilizzo di questi concetti tipica degli esponenti della sofistica ateniese, filone in cui certamente va inquadrato Eutifrone.





Dopo esser stato redarguito da Socrate circa l'impossibilità di definire il "santo" come "ciò che è amato dagli Dei", in virtù dei continui litigi e conflitti tra le diverse divinità della religione olimpica che impedirebbero a tale definizione di indicare l'idea di santità in modo univoco e condiviso, Eutifrone corregge il tiro, precisando che il santo dovrebbe definirsi come "ciò che è amato da TUTTI gli dei". Ma Socrate non è soddisfatto nemmeno da quest'ipotesi di soluzione, respingendo la possibilità che la definizione essenziale di un concetto, la santità, possa coincidere con un qualcosa, l'amore degli Dei, che considera un fatto accidentale, un effetto secondario, che presupporrebbe l'essenza del concetto, senza dunque poterla rappresentare adeguatamente. Nell'approccio idealistico (nel senso di un idealismo classico, si intende, ben distinto da quello moderno tedesco) platonico, che si esprime per mezzo della figura di Socrate, il fatto empirico non può fondare il senso ideale di un concetto, ma viceversa, occorre prima definire quest'ultimo, in modo che possa illuminare tutti i fatti possibili immaginabili, in cui il concetto potrebbe realizzarsi. Dunque Socrate ribatte al suo interlocutore che l'amore degli Dei non può davvero definire la santità, dato che dovrebbe essere "l'essere amato dagli Dei" una conseguenza della santità di ciò che si ama, e non viceversa, e non si può utilizzare una conseguenza come definizione dell'essenza di qualcosa che della conseguenza ne è la ragion d'essere. Qua inizia la mia perplessità: a me pare che la critica socratica si accanisca sulla soluzione del "povero" Eutifrone in modo gratuito e pregiudiziale, cioè che si confonda una relazione logica di reciproca implicazione, la soluzione di Eutifrone, con la pretesa individuare il senso di qualcosa sulla base di una presunta produzione causale di questo senso a partire da ciò con cui si vorrebbe definirlo. Cioè, se l'amore degli Dei producesse in modo performativo la santità degli oggetti amati, se la santità fosse un mero effetto secondario dell'amore divino che la creerebbe dal nulla, attribuendola a degli oggetti in cui entrerebbe come attributo accidentale a posteriori, Socrate avrebbe ragione nel rigettare l' "essere amato" come definizione del santo, perché la "Santità in sè," intesa come Idea generale, non coinciderebbe con la santità fattuale che si realizza in una certa circostanza particolare, il fatto che sia amato da qualcuno. Il significato della Santità resterebbe tale indipendentemente dal fatto che nella realtà empirica gli oggetti diventino santi a causa della forza produttiva dell'amore. Ma se invece si considera non un rapporto causativo, ma di pura e reciproca implicazione logica fra amore degli dei e santità, cioè si pone l'amore come criterio riconoscitivo della santità delle cose, allora non vedo come la proposta di Eutifrone non possa presentarsi come possibile definizione della santità nella sua valenza essenziale. L'amore degli dei definirebbe l'idea di Santità, come attributo universale, senza produrla arbitrariamente in uno specifico contesto particolare. La definizione di Eutifrone è ovviamente contestabile (un ateo non la accetterebbe, come un credente in una fede monoteista respingerebbe l'accezione di pluralità degli Dei), ma logicamente legittima, non contraddittoria, rispettosa dei canoni di universalità richiesti dall'approccio socratico-platonico. Socrate può contestarla solo sulla base di premesse diverse da quelle di Eutifrone, ma a questo punto è chiaro che la sua critica, pur a sua volta legittima, è una critica estrinseca, pregiudiziale, non frutto stavolta dell'Ironia o della Maiuetica, Socrate non può considerare non valida la soluzione di Eutifrone, simulando ironicamente di accettare le sue premesse, per poi individuare una contraddizione interna al discorso, può contestarla perché sin dal principio fonda la sua critica su un rigetto della visione religiosa-mitologica del suo interlocutore.



La questione che ho provato a esporre potrebbe sembrare solo un rompicapo intellettualistico fine a se stesso e autoreferenziale, ma occorre considerare che il tema del Dialogo coinvolge un tema, quello del rapporto tra critica razionale-filosofica, impersonata da Socrate e tradizione mitologica incarnata da Eutifrone, e quanto la prima comporti più o meno il rigetto della seconda è una questione di larghissimo respiro che coinvolge tutto l'impianto metafisico che poi sarà di Platone, in particolar modo il suo livello di compatibilità con una visione religiosa nella quale gli Dei sono presentati come princìpi del reale caratterizzandoli in modo ben più concreto che non le Idee (e questo è un problema che riguarderà anche il tentativo cristiano, una volta operato il passaggio dal politeismo al monoteismo, di inserire l'idea specificamente personale di un Dio all'interno del sistema metafisico platonico modellato su base razionale). L'impressione è che Socrate potesse appagarsi solo se Eutifrone fosse pervenuto a una definizione di "santo" quasi tautologica, del tipo "santo è ciò che ricade sotto il concetto di santità", un'idea di Santità che si costituisce in totale autonomia con qualunque altro concetto. Ma questa la ritendo una deriva eccessivamente astrattista dell'idealismo platonico, che rischia di considerare il mondo delle Idee, come un sistema atomistico dove ogni singola Idea è solo un'unità logica semplice, semanticamente chiusa in se stessa, slegata da ogni relazione con le altre, perché ogni relazione viene relegata a livello dell'accidentalità, e dunque ad esempio il Santo esprime il suo senso nella sa pura formulazione astrattiva, riducendo a fattore accidentale la sua relazione con qualcosa di concreto come l'amore degli Dei verso esso, e finendo col porsi in contrapposizione con un modello metafisico nel quale invece si ricercano le connessioni concettuali tra Idee e realtà personali, come le divinità, l' unire l'ontologia formale astratta con quella concreta e "materiale". Molto più appropriatamente invece, noi intendiamo le definizioni come valide proprio nella misura in cui utilizzano concetti e parole distinti da quello del soggetto a cui la definizione è chiamata a riferirsi. Per definire un albero cerchiamo di trovare un'espressione in cui il termine "albero" non sia presente, pena cadere in un circolo vizioso infinito, in cui anche la definizione stessa dovrebbe chiarirsi sulla base di cui a sa volta si sente il bisogno di definire.

bobmax

Molto importante a mio avviso il tema che hai proposto.

La questione riguarda infatti la centralità della logica rispetto all'etica o viceversa.

La necessità di una "definizione" è un requisito logico.
E se riteniamo che la logica sia il Fondamento della realtà, allora l'etica vi deve sottostare.

Se viceversa è l'etica il Fondamento, ed è questo il mio convincimento, allora non vi è definizione possibile. Occorre accontentarsi della tautologia.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

green demetr

Povero semmai sarà Socrate e la cricca onto(teo)logica che purtroppo arriva ai nostri tempi.

Che differenza c'è tra la sofistica ateniese  e la cricca psico-pompa del liceo?

Non ve ne è nessuna, solo che la seconda si arroga un diritto, che l'altra mai si sognerebbe di avere.

Per l'una il diritto è la sapienza della convinzione, per l'altra il diritto è una teocrazia.

Non saprei nemmeno da dove iniziare per dirne male, sia dell'una che dell'altra. Che rigettano completamente ogni concetto di relazionalità. Di Etica, come avevano fatto i giganti prima di loro.

Il momento della sofistica con la sua punta di Diamante, la filosofia occidentale, è l'esatto inizio della fine della vera filosofia, ossia della metafisica! Anche se la forza tombale della filosofia fa irruzione nella filosofia occidentale grazie alle menti eccelse di Hegel, Schopenauer-Kant, Nietzche, Heidegger, Leopardi. E che vive un momento di splendore nell'Italia rinascimentale. Quando la gnosi sfonda il muro platonico, seguendo le orme di Plotino.

Quindi sì Platone è il male, il male assoluto! Eutifrone una semplice vittima sacrificale, dell'impianto teocratico, autoproclamantesi Verità assoluta.

Gli universali sono il semplice apparato segnico che accompagna le loro malsane idee. Fino ai deliri del nominalismo. E con qualche eccezione come il buon Duns Scoto.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

paul11

#3
Davintro, non sono molto d'accordo sulla tua sintesi argomentativa.
Socrate crede ancora negli dei, ,Platone non tanto(diciamo così).
Platone conosce benissimo il linguaggio del mito .direi addirittura che è l'ultimo filosofo a conoscerlo bene,

Innanzitutto la dialogiia con Eutifrone è circolatoria ,perchè almeno cinque argomentazioni vengono svolte svelando ognuna una contraddizione.Dove gli attributi sono opinioni e l'essenza non può che precederle,ma questi attributi vengono argomentati nel dialogo.Non è una questione "idealistica",termine a mio parere abusato anche con Hegel, perchè si pensa che il mondo dlele idee sia una pura astrazione completamente disancorata da quello che Hegel chiamerà concreto ,"la cosa in sè o cosa in sè e per sè" in Fenomenologia dello Spirito.Ma se in Hegel è la coscienza il luogo dialogico dell'argomentazione fra astratto e concreto , nei dialoghi Socratici utilizza sì la dialettica ma con le persone umane, seguendo quella maieutica tipica ma proprio per argomentare, per circumnavigare le domande e risposte che a loro volta riportano a nuove domande.La santità non può essere un'attribuzione umana, ma una deduzione il più possibile razionale e quindi coerente con il rapporto dei e umani. Se così non fosse, e lo dice proprio Socrate nell'Eutifrone diremmo che ad ognuno il bello è ciò che piace, riducendolo ad opinione personale, cos come l'uomo giusto, ecc..

Sfaterei quindi l'idealismo di Hegel e Platone, che ha fatto gioco per una filosofia"reazionaria" filo-modernista positivista, in quanto sia per Platone che Hegel una idea è falsa se appartiene solo al dominio dell'astratto, così come è falsa una verità costruita solo nel mondo del sensibile del concreto, del fisico, per cui la "vera" verità appartiene all'uomo che razionalizza dal mondo sensibile e lo pone nel mondo astratto delle idee coerentemente,seguendo il filo logico argomentativo razionale,
Il culmine delle Idee platoniche e dello Spirito hegheliano è la sintesi razionale

sgiombo

Citazione di: green demetr il 01 Ottobre 2018, 21:36:31 PM


Gli universali sono il semplice apparato segnico che accompagna le loro malsane idee. Fino ai deliri del nominalismo. E con qualche eccezione come il buon Duns Scoto.


Al di là di una divergenza di fondo (palesemente non nuova fra noi!), dato che sono nominalista sugli universali (e ora capisco alcuni dei deliri di CarloPierini: lui é realista!), non comprendo il tuo considerare Platone è il male, anzi "il male assoluto" e allo stesso tempo il tuo scagliarti contro il nominalismo (ho sempre ritenuto Platone un po' il "fondatore" del realismo circa gli universali).

davintro

per Bobmax

 
a mio avviso non si tratta di far prevalere etica o teoretica, in quanto non sono atteggiamenti contrapposti, dato che i loro domini esistenziali sono distinti e non sovrapponibili. Nel caso che ho portato si tematizza il concetto di "santità" che ha una valenza etica, ma questo non implica che l'approccio con cui lo si tematizza debba a sua volta essere etico, e non mirante all'acquisizione di una conoscenza oggettiva e razionale. Non è infatti necessario che l'oggetto che si tematizza debba essere della stessa natura della forma dell'approccio, del punto di vista soggettivo tematizzante. La santità è un valore etico, ma l'insoddisfazione socratica ai tentativi definitori di Eutifrone rivela un approccio teoretico ben definito che si può discutere. Non penso che un modello alternativo a quello nel quale l'individuazione delle essenze finisce quasi nel cadere nel tautologico implichi l'abbandono del piano teoretico per passare a quello etico, bensì la proposta di una teoretica alternativa. La contestazione del modello in cui l'essenza di ogni singolo concetto è qualcosa del tutto slegato dall'essenza di tutti gli altri (cioè l'essenza della santità non avrebbe nulla a che fare con l'essenza dell'amore degli Dei) dovrebbe basarsi sull'idea che il mondo delle Idee, se non vuole proporsi come affermazione dogmatica immotivata, deve mostrare di saper rendere ragione del mondo di cui abbiamo esperienza, rispecchiarlo, e se nel mondo in cui viviamo ogni cosa appare essere in relazione con tutte le altre, anche nell'Universo Ideale costituito da essenze le relazioni reciproche dovrebbero essere indicativi del loro senso, senza essere relegate ad accidentalità empiriche, anche esso dovrebbe presentarsi come dimensione internamente interconnessa fra i singoli elementi. E questa preoccupazione, di presentare un paradigma metafisico adeguato a rispecchiare la realtà fedelmente, per poterne rendere ragione nel modo più oggettivo ed esauriente, è a tutti gli effetti una preoccupazione teoretica, riguarda il piano della conoscenza razionale. Si può fare buona o cattiva teoretica, ma la teoretica non è mai sostituibile dall'etica, non essendo questa una posizione contrapposta a quella, ma solo è un diverso e parallelo contesto in cui rapportarci alla realtà

 

  

Per Paul

 
La mia critica a un'impostazione socratica-platonica troppo astrattista poggia su basi lontane anni luce dal positivismo che relega qualunque discorso sulle "essenze" a forme primitivo di pensiero che una razionalità schiacciata sul metodo induttivo-empirico delle scienze naturali dovrebbe nel tempo superare. Personalmente condivido appieno la metodologia di fondare la razionalità dei discorsi sulla base dell'individuazione del loro senso universale astraendo dalle circostanze empiriche, che relegano le cose ai limiti spaziotemporali. Ciò che mi viene di contestare è il rifiuto di comprendere in tale senso universale il riferimento relazionale ad altre essenze, trattando ogni singola idea come del tutto isolata dalle altre, precludendosi la possibilità di vedere il mondo delle Idee come davvero rappresentativo del mondo dei fatti, rispecchiandone la relazionalità. Pensare che definire il "bello" come "ciò che piace alle persone", o il "santo" come "ciò che è amato dagli dei" implichi la perdita del senso universale di questi concetti è un errore dovuto alla confusione tra accezione formale della definizione e il contenuto semantico "riempiente", Anche definendo in questo modo concetti come "bellezza" o "santità", la loro definizione resterebbe comunque universale, cioè ne coglierebbe l'essenza, perché tale definizione li indicherebbe in ogni possibile contesto in cui si realizzano negli oggetti, in quanto ogni definire in quanto tale è universalizzare, indipendentemente dallo specifico significato che viene indicato nella definizione. Cioè, la relazione tra santità e amore degli dei o tra bellezza e piacere di una coscienza estetica, verrebbe indicata come proprietà universale della santità o della bellezza come idea in sé, e tale associazione può essere contestata non in nome dell'esigenze di universalità della definizione, ma solo sulla base di un alternativo modello di categorizzazione. Il mio obiettivo dunque non era dimostrare la validità della definizione di Eutifrone, ma la sua potenziale legittimità, a cui Socrate sembra opporsi non in nome di una coerenza logica deduttiva, ma di una pregiudiziale (non per questo errata) metafisica, nella quale gli Dei vengono posti su di un piano non dico ateistico, ma quantomeno di subordinazione rispetto all'idea astratta di Santità, ritenuta in grado di definire tautologicamente tutto ciò che è santo, isolandolo dal rapporto con le divinità.

paul11

#6
ciao Davintro,
bisogna capire il contesto.
L'incontro fra Eutifrone che vuole accusare il padre e Socrate, accusato per: empietà in quanto insegnava cose naturali "fuori dall'ordinario"; di corrompere i giovani(che sarebbero i discepoli); per avere introdotto nuove divinità.

Si sa che il vero motivo fu politico, in quanto Crizia ed Alcibiade furono discepoli di Socrate ed erano oppositori del potere che stava ora accusando Socrate.

L'accusa di Eutifrone verso il padre è simile a quella di Zeus con Crono.

Eutifrone crede negli dei e che siano in lotta fra loro,Socrate è accusato di non seguire gli dei.
Prima definizione:Eutifrone crede di essere santo nell'accusare il proprio padre, nonostante i parenti siano contrari a lui.
Socrate chiede ad Eutifrone non una o due azioni sante, ma la forma per cui tute le azioni sante sono sante
Seconda definizione: Eutifrone risponde che sante sono le azioni care agli dei, empio è ciò che non è caro agli dei.
Socrate risponde che i disaccordi fra lui ed Eutifrone sarebbero sul giusto e ingiusto, bello e brutto,buono e cattivo. Ora se gli dei fossero in disaccordo, come crede Eutifrone, lo sarebbero anche su questi concetti, per cui le medesime cose sarebbero amate o odiate dagli stessi dei, per cui l'azione che Eutifrone ritiene santa potrebbe esserla ritenuta tale da Zeus, ma non da Crono e Urano.
Socrate continua dicendo che coloro che litigano ,litigano sulle singole azioni ,siano essi dei o uomini, gli uni sostenendo conformemente alla giustizia e altri il contrario
Terza definizione:santo è tutto ciò che è caro a tutti gli dei senza eccezione
Critica alla definizione:una cosa non è santa perché è amata dagli dei,ma è amata dagli dei perché è santa.
Eutifrone non ha fornito l'essenza del santo, ma solo un attributo
Quarta definizione:indicazione fornita da Socrate:il santo è una parte del giusto.
Quinta definizione: il santo è capacità di chiedere e donare agli dei.
Perchè il fare sacrifici è donare agli dei e il pregare è chiedere agli dei.
Se il santo fosse ciò si ridurrebbe ad un'arte di commercio fra uomini e dei.
Ma noi possediamo ciò che gli dei ci hanno concesso, quale mai vantaggio avremmo di donare a loro ciò che già non hanno
Ritorno alla seconda definizione: quindi il santo è colui che è caro agli dei
Daccapo Socrate chiede ad Eutifrone cosa è santo? Ma Eutifrone fugge con la scusa di essere affaccendato.

green demetr

Citazione di: sgiombo il 02 Ottobre 2018, 09:47:34 AM
Citazione di: green demetr il 01 Ottobre 2018, 21:36:31 PM


Gli universali sono il semplice apparato segnico che accompagna le loro malsane idee. Fino ai deliri del nominalismo. E con qualche eccezione come il buon Duns Scoto.


Al di là di una divergenza di fondo (palesemente non nuova fra noi!), dato che sono nominalista sugli universali (e ora capisco alcuni dei deliri di CarloPierini: lui é realista!), non comprendo il tuo considerare Platone è il male, anzi "il male assoluto" e allo stesso tempo il tuo scagliarti contro il nominalismo (ho sempre ritenuto Platone un po' il "fondatore" del realismo circa gli universali).

Forse intendiamo diversamente i termini.

Il nominalista crede che la creazione del segno, valga come atto in sè.
Il realista crede che la creazione del segno è subordinata alla cosa in sè, che la sottende, e che la informa.

Gli universali sono sempre nominalisti, in quanto non esiste qualcosa come "l'insieme totale degli oggetti".

Platone credeva che le idee fossero il principio, il sostrato che andava recuperato con la nominazione del Vero.
Ovviamente questo è puro delirio. Le idee sono sempre figlie del proprio tempo.
Non esiste il BONUM ASSOLUTUS.
Platone è anzitutto un politico, la arroganza del suo Socrate è palese, la sua retorica il grimaldello per tutte le sofistiche a venire (ma non la sua???).


In questo senso io credo che tu sia realista.
E' invece Pierini che è un chiaro nominalista.(molto neo-platonico)

Le nostre posizioni non divergono, è che tu credi che l'idealismo sia una mero errore perchè fa i conti con DIO.
Ma per fare i conti con DIO, prima si deve chiedere che cosa sia l'io.

In questo senso l'idealismo è la fine delle dimostrazione dell'esistenza di DIO.
Dio non è dimostrabile, dunque vi è una scienza della res extensa, chiamata fenomenologia, e c'è una scienza, che non è una scienza, che è chiamata il problema della metafisica speciale, ossia le idee di DIO IO MONDO.
Se ci pensi bene è esattamente quello che anche tu vai dicendo, ossia che esiste una scienza della res extensa, ma non una del res cogitans.

E all'interno della res cogitans, non essendoci che illusione di essere qualcosa, illusione del soggetto, tu ritieni che quella illusione abbia senso. Ossia in quanto illusione tipica della res extensa.

Nell'idealismo questa visione viene negata, perchè si sostiene che esiste una cosa in sè, che informa la res extensa, dunque il soggetto è criticamente indagabile, questa critica si chiama dialettica. Ossia ragiona delle forze contrarie al soggetto, alle caratteristiche del soggetto.

In questo senso tu sei un realista della res extensa, e un nominalista della res cogitans.
Mentre l'idealismo è un realismo di entrambe le res.

Quello che ti manca è dunque tutto il discorso sulla dialettica, sul negativo, sulla psicanalisi. Per via del fatto che per te non esiste questa cosa in sè.

Il che è strano perchè tu dici che le due cose in sè, quella cogitans e quella extensa, possono benissimo, indimostrabilmente comunque, coincidere.

Dunque ammetti che esiste una cosa in sè del cogitans. E' che poi non ti interessa indagarla.

Ma criticamente a mio parere potresti eccome.




Vai avanti tu che mi vien da ridere

paul11

Citazione di: green demetr il 10 Ottobre 2018, 16:36:23 PM
Citazione di: sgiombo il 02 Ottobre 2018, 09:47:34 AM
Citazione di: green demetr il 01 Ottobre 2018, 21:36:31 PMAl di là di una divergenza di fondo (palesemente non nuova fra noi!), dato che sono nominalista sugli universali (e ora capisco alcuni dei deliri di CarloPierini: lui é realista!), non comprendo il tuo considerare Platone è il male, anzi "il male assoluto" e allo stesso tempo il tuo scagliarti contro il nominalismo (ho sempre ritenuto Platone un po' il "fondatore" del realismo circa gli universali).

Forse intendiamo diversamente i termini.

Il nominalista crede che la creazione del segno, valga come atto in sè.
Il realista crede che la creazione del segno è subordinata alla cosa in sè, che la sottende, e che la informa.

Gli universali sono sempre nominalisti, in quanto non esiste qualcosa come "l'insieme totale degli oggetti".

Platone credeva che le idee fossero il principio, il sostrato che andava recuperato con la nominazione del Vero.
Ovviamente questo è puro delirio. Le idee sono sempre figlie del proprio tempo.
Non esiste il BONUM ASSOLUTUS.
Platone è anzitutto un politico, la arroganza del suo Socrate è palese, la sua retorica il grimaldello per tutte le sofistiche a venire (ma non la sua???).

ciao Green,
Platone deduce l'assoluto, non lo inserisce come principio privo di relazione e quindi di senso.
La dimostrazione è che i dialoghi socratici sono serie di argomentazioni,
Socrate non crede agli dei, perchè come gli uomini sono litigiosi .La pluralità degli dei viene superata come unicità divina, come totalità che diventa unico soggetto e non come pluralità dei soggetti divini.

Le idee inevitabilmente sono figlie del tempo dell'agente conoscitivo(in questo caso Socrate).E possono accadere semplificando due processi, o si relativizzano o diventano principi universali.Nella relativizzazione cadono nell'opinione della pluralità litigiosa degli umani, oppure come assoluti  si astraggono in principi, come parametri, come misura.(il metro nel sistema di misura estensivo non può mutare opinione per luoghi  tempi, così come i principi filosofici o sono parametri per misurare la distanza fra loro e gli umani o negandoli l'uomo stesso diventa parametro di se stesso).
La difficoltà semmai è che l'assoluto, come "sistema di misura" anche morale, visto che nell'Eutifrone si discute di santità,deve essere dedotto razionalmente attraverso confronti con il dominio della realtà empirica naturale umana, nell'esistenza.
Nell'esempio del parametro del metro lineare, è una misura asrtatta che però si relaziona all realtà di una parte del meridiano terrestre.
Così deve essere l'assoluto, il parametro di riferimento relazionato all'esistenza

green demetr

Citazione di: paul11 il 10 Ottobre 2018, 21:39:22 PM
Citazione di: green demetr il 10 Ottobre 2018, 16:36:23 PM
Citazione di: sgiombo il 02 Ottobre 2018, 09:47:34 AM
Citazione di: green demetr il 01 Ottobre 2018, 21:36:31 PMAl di là di una divergenza di fondo (palesemente non nuova fra noi!), dato che sono nominalista sugli universali (e ora capisco alcuni dei deliri di CarloPierini: lui é realista!), non comprendo il tuo considerare Platone è il male, anzi "il male assoluto" e allo stesso tempo il tuo scagliarti contro il nominalismo (ho sempre ritenuto Platone un po' il "fondatore" del realismo circa gli universali).

Forse intendiamo diversamente i termini.

Il nominalista crede che la creazione del segno, valga come atto in sè.
Il realista crede che la creazione del segno è subordinata alla cosa in sè, che la sottende, e che la informa.

Gli universali sono sempre nominalisti, in quanto non esiste qualcosa come "l'insieme totale degli oggetti".

Platone credeva che le idee fossero il principio, il sostrato che andava recuperato con la nominazione del Vero.
Ovviamente questo è puro delirio. Le idee sono sempre figlie del proprio tempo.
Non esiste il BONUM ASSOLUTUS.
Platone è anzitutto un politico, la arroganza del suo Socrate è palese, la sua retorica il grimaldello per tutte le sofistiche a venire (ma non la sua???).

ciao Green,
Platone deduce l'assoluto, non lo inserisce come principio privo di relazione e quindi di senso.
La dimostrazione è che i dialoghi socratici sono serie di argomentazioni,
Socrate non crede agli dei, perchè come gli uomini sono litigiosi .La pluralità degli dei viene superata come unicità divina, come totalità che diventa unico soggetto e non come pluralità dei soggetti divini.

Le idee inevitabilmente sono figlie del tempo dell'agente conoscitivo(in questo caso Socrate).E possono accadere semplificando due processi, o si relativizzano o diventano principi universali.Nella relativizzazione cadono nell'opinione della pluralità litigiosa degli umani, oppure come assoluti  si astraggono in principi, come parametri, come misura.(il metro nel sistema di misura estensivo non può mutare opinione per luoghi  tempi, così come i principi filosofici o sono parametri per misurare la distanza fra loro e gli umani o negandoli l'uomo stesso diventa parametro di se stesso).
La difficoltà semmai è che l'assoluto, come "sistema di misura" anche morale, visto che nell'Eutifrone si discute di santità,deve essere dedotto razionalmente attraverso confronti con il dominio della realtà empirica naturale umana, nell'esistenza.
Nell'esempio del parametro del metro lineare, è una misura asrtatta che però si relaziona all realtà di una parte del meridiano terrestre.
Così deve essere l'assoluto, il parametro di riferimento relazionato all'esistenza

Non ho alcun dubbio che la tua lezione da Platone sia per così dire, illuminata, ma è proprio sul piano dell'esistenza che quella che potrebbe essere una buona lezione di circospezione, diventa solo un modello, applicato poi al non esiste giustizia ma solo giudici, a cui S.Agostino arrivò prima della conversione.

Se la probezza di Platone è quella di confutare, poi come pretende di instaurare la Repubblica?

Non c'è dunque altra confutazione che la sua?  E infatti la giustizia è nelle mani dei giudici, degli avvocati, come dirà S.Agostino prima della conversione.

E' per questo che ritengo Socrate l'ennesimo Sofista, ma non è una posizione originale la mia, in realtà ho letto che questa lettura ha un suo posto in letteratura accademica.

Poi è ovvio che se a uno piace Platone come a te, può trovare buone illuminazioni nei dialoghi.

Ma i veri problemi dell'etica non sono certo risolti lì. Come invece un Badiou o un Preve credono e credevano.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

sgiombo

Citazione di: green demetr il 10 Ottobre 2018, 16:36:23 PM
Citazione di: sgiombo il 02 Ottobre 2018, 09:47:34 AM
Citazione di: green demetr il 01 Ottobre 2018, 21:36:31 PM
Forse intendiamo diversamente i termini.


Citazione di: green demetr il 10 Ottobre 2018, 16:36:23 PMIl nominalista crede che la creazione del segno, valga come atto in sè.
Il realista crede che la creazione del segno è subordinata alla cosa in sè, che la sottende, e che la informa.

CitazioneIo invece ho sempre inteso la questione nel senso che per i realisti gli universali esistono concretamente da qualche parte ("iperuranio" di Platone, "terzo livello delle realtà" di Popper, ecc.) come "esemplari" prototipici o archetipici o stereotipici.
Invece per i nominalisti sono caratteristiche della realtà non sussistenti di per sé ma invece unicamente in quanto "presentate da" o "proprie di" oggetti (enti e/o eventi) reali concreti, che il pensiero può astrarre dai casi concreti e considerare teoricamente "di per sé).
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Gli universali sono sempre nominalisti, in quanto non esiste qualcosa come "l'insieme totale degli oggetti".
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CitazioneAllora anche tu sei nominalista (per i realisti -oltre a poter essere pensato, come per i nominalisti- c' é da qualche parte un qualcosa di concretamente esistente che costituisce "l' insieme totale degli oggetti")
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Platone credeva che le idee fossero il principio, il sostrato che andava recuperato con la nominazione del Vero.
Ovviamente questo è puro delirio.
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CitazioneConcordo, da nominalista.
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Le idee sono sempre figlie del proprio tempo.
Non esiste il BONUM ASSOLUTUS.
Platone è anzitutto un politico, la arroganza del suo Socrate è palese, la sua retorica il grimaldello per tutte le sofistiche a venire (ma non la sua???).
[/size]
CitazioneConcordo (a parte la discordanza di aggettivo sostantivato neutro e aggettivo "puro; o aggettivo e basta" maschile: scusa la pedanteria).

Platone era un fottuto reazionario illiberale che, in evidente carenza di argomentazioni per confutarli, cercò (secondo il solitamente attendibile Diogene Laerzio) di arraffare tutte le copie degli scritti dell' atomista Democrito per distruggerle (almeno in questo, un Goebbels ante litteram).
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In questo senso io credo che tu sia realista.
E' invece Pierini che è un chiaro nominalista.(molto neo-platonico)
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CitazioneInfatti, qui ci intendiamo!
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Le nostre posizioni non divergono, è che tu credi che l'idealismo sia una mero errore perchè fa i conti con DIO.
Ma per fare i conti con DIO, prima si deve chiedere che cosa sia l'io.

In questo senso l'idealismo è la fine delle dimostrazione dell'esistenza di DIO.
Dio non è dimostrabile, dunque vi è una scienza della res extensa, chiamata fenomenologia, e c'è una scienza, che non è una scienza, che è chiamata il problema della metafisica speciale, ossia le idee di DIO IO MONDO.
Se ci pensi bene è esattamente quello che anche tu vai dicendo, ossia che esiste una scienza della res extensa, ma non una del res cogitans.
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CitazioneIo credo che l' idealismo sia sbagliato perché l' esistenza reale della materia é altrettanto immediatamente evidente all' empiria (e dunque meramente fenomenica!) che quella del pensiero.

Sulla scienza, credo che si occupi della realtà (fenomenica!) materiale (che non é la realtà in toto!) e giustamente parta da alcuni inevitabili presupposti indimostrabili (conditiones sine qua non della sua possibilità-verità) fra i quali la chiusura causale del mondo fisico, e dunque per lo meno l' assoluta trascendenza (se non l' inesistenza) di Dio.
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E all'interno della res cogitans, non essendoci che illusione di essere qualcosa, illusione del soggetto, tu ritieni che quella illusione abbia senso. Ossia in quanto illusione tipica della res extensa.

Nell'idealismo questa visione viene negata, perchè si sostiene che esiste una cosa in sè, che informa la res extensa, dunque il soggetto è criticamente indagabile, questa critica si chiama dialettica. Ossia ragiona delle forze contrarie al soggetto, alle caratteristiche del soggetto.
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CitazionePer me tanto la res cogitans quanto la res extensa sono meri fenomeni (reali ma solo in quanto insiemi-successioni di mere sensazioni coscienti; eviterei il termine ambiguo -circa la realtà di ciò che connota- di "illusione").

Per me (con Hume) anche il soggetto in sé, oltre agli oggetti in sé, delle sensazioni fenomeniche é logicamente negabile e dunque non dimostrabile essere reale (e tantomeno, per definizione, constatabile empiricamente); ovvero é razionalmente dubbio, credibile solo irrazionalisticamente, "per fede" in senso letterale.
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In questo senso tu sei un realista della res extensa, e un nominalista della res cogitans.
Mentre l'idealismo è un realismo di entrambe le res.
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CitazioneSono realista di entrambe esattamente allo stesso modo, ma solo in quanto meri fenomeni.
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Quello che ti manca è dunque tutto il discorso sulla dialettica, sul negativo, sulla psicanalisi. Per via del fatto che per te non esiste questa cosa in sè.
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CitazioneSì (e devo dire che non ne sento proprio la mancanza).
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Il che è strano perchè tu dici che le due cose in sè, quella cogitans e quella extensa, possono benissimo, indimostrabilmente comunque, coincidere.

Dunque ammetti che esiste una cosa in sè del cogitans. E' che poi non ti interessa indagarla.

Ma criticamente a mio parere potresti eccome.
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CitazioneIn realtà dico che res cogitans ed extensa non sono (reali) in sé ma (sono reali in quanto) fenomeni.
Ciò che coincide (se c' é, come credo per fede) é quanto é reale in sé e si """rivela""" (notare il numero di virgolette!) ai soggetti di esperienza fenomenica cosciente sia come materia fenomenica (oggetti in sé diversi dai soggetti in sé) sia come materia mentale (oggetti in sé riflessivamente coincidenti coi soggetti in sé).

Per così dire credo per fede che esista una cosa in sé tanto "del cogitans" quanto dell' "extensum", che per definizione non sia percepibile coscientemente, sensibilmente e dunque ben poco, "il minimo indispensabile per non infastidire Guglielmo di Ockam", se ne possa pensare. 

green demetr

cit Sgiombo

@Sgiombo


"Io invece ho sempre inteso la questione nel senso che per i realisti gli universali esistono concretamente da qualche parte ("iperuranio" di Platone, "terzo livello delle realtà" di Popper, ecc.) come "esemplari" prototipici o archetipici o stereotipici.
Invece per i nominalisti sono caratteristiche della realtà non sussistenti di per sé ma invece unicamente in quanto "presentate da" o "proprie di" oggetti (enti e/o eventi) reali concreti, che il pensiero può astrarre dai casi concreti e considerare teoricamente "di per sé)."


Non saprei magari hai ragione tu, e sono io che inverto i termini-


"Allora anche tu sei nominalista (per i realisti -oltre a poter essere pensato, come per i nominalisti- c' é da qualche parte un qualcosa di concretamente esistente che costituisce "l' insieme totale degli oggetti")"

Si come tutti uso gli universali, e ovviamente sono nel mio caso nominalisti.
E proprio perchè sono realista (o il contrario secondo le tue definizioni, continuo per ora con le mie...poi faccio breve ricerca per capire se ho toppato) ritengo questo nominalismo qualcosa di utile solo a livello grammaticale.



"Concordo, da nominalista."

Nel tuo senso o nel mio, non ho capito.  ;)


"Concordo (a parte la discordanza di aggettivo sostantivato neutro e aggettivo "puro; o aggettivo e basta" maschile: scusa la pedanteria).

Platone era un fottuto reazionario illiberale che, in evidente carenza di argomentazioni per confutarli, cercò (secondo il solitamente attendibile Diogene Laerzio) di arraffare tutte le copie degli scritti dell' atomista Democrito per distruggerle (almeno in questo, un Goebbels ante litteram)."


Assolutamente si.



"Infatti, qui ci intendiamo!"

Vedi che è possibile, una volta capiti i reciproci vocabolari!  :D


"Io credo che l' idealismo sia sbagliato perché l' esistenza reale della materia é altrettanto immediatamente evidente all' empiria (e dunque meramente fenomenica!) che quella del pensiero."

L'idealismo non ritiene l'empiria inesistente, la ritiene esistente, ma conoscibile solo dal soggetto.
E' un problema filologico, di chi non ha letto i libri di Kant ed Hegel presupporre il contrario. (dico i sedicenti professionisti, non tu sgiombo, che hai seguito una strada tua). Cacciari o Sini non perdono mai l'occasione di ricordarlo.


"Sono realista di entrambe esattamente allo stesso modo, ma solo in quanto meri fenomeni."

Sei un idealista allora  :o . D'altronde Kant emerge proprio dalle ceneri di Hume.

Mi chiedo allora semplicemente, perchè non hai mai approfondito l'aspetto fenomenico mentale, cone quello fenomenico materiale? (che è poi il vero lavoro che fanno gli idealisti, a partire da Kant ma sopratutto dopo, e che a te non interessa).

Veramente è solo per la questione del rasoio di Occam? (mi rendo conto che già te l'avevo chiesto).
Vai avanti tu che mi vien da ridere

paul11

Citazione di: green demetr il 11 Ottobre 2018, 16:57:28 PM
Citazione di: paul11 il 10 Ottobre 2018, 21:39:22 PM
Citazione di: green demetr il 10 Ottobre 2018, 16:36:23 PM
Citazione di: sgiombo il 02 Ottobre 2018, 09:47:34 AM
Citazione di: green demetr il 01 Ottobre 2018, 21:36:31 PMAl di là di una divergenza di fondo (palesemente non nuova fra noi!), dato che sono nominalista sugli universali (e ora capisco alcuni dei deliri di CarloPierini: lui é realista!), non comprendo il tuo considerare Platone è il male, anzi "il male assoluto" e allo stesso tempo il tuo scagliarti contro il nominalismo (ho sempre ritenuto Platone un po' il "fondatore" del realismo circa gli universali).

Forse intendiamo diversamente i termini.

Il nominalista crede che la creazione del segno, valga come atto in sè.
Il realista crede che la creazione del segno è subordinata alla cosa in sè, che la sottende, e che la informa.

Gli universali sono sempre nominalisti, in quanto non esiste qualcosa come "l'insieme totale degli oggetti".

Platone credeva che le idee fossero il principio, il sostrato che andava recuperato con la nominazione del Vero.
Ovviamente questo è puro delirio. Le idee sono sempre figlie del proprio tempo.
Non esiste il BONUM ASSOLUTUS.
Platone è anzitutto un politico, la arroganza del suo Socrate è palese, la sua retorica il grimaldello per tutte le sofistiche a venire (ma non la sua???).

ciao Green,
Platone deduce l'assoluto, non lo inserisce come principio privo di relazione e quindi di senso.
La dimostrazione è che i dialoghi socratici sono serie di argomentazioni,
Socrate non crede agli dei, perchè come gli uomini sono litigiosi .La pluralità degli dei viene superata come unicità divina, come totalità che diventa unico soggetto e non come pluralità dei soggetti divini.

Le idee inevitabilmente sono figlie del tempo dell'agente conoscitivo(in questo caso Socrate).E possono accadere semplificando due processi, o si relativizzano o diventano principi universali.Nella relativizzazione cadono nell'opinione della pluralità litigiosa degli umani, oppure come assoluti  si astraggono in principi, come parametri, come misura.(il metro nel sistema di misura estensivo non può mutare opinione per luoghi  tempi, così come i principi filosofici o sono parametri per misurare la distanza fra loro e gli umani o negandoli l'uomo stesso diventa parametro di se stesso).
La difficoltà semmai è che l'assoluto, come "sistema di misura" anche morale, visto che nell'Eutifrone si discute di santità,deve essere dedotto razionalmente attraverso confronti con il dominio della realtà empirica naturale umana, nell'esistenza.
Nell'esempio del parametro del metro lineare, è una misura asrtatta che però si relaziona all realtà di una parte del meridiano terrestre.
Così deve essere l'assoluto, il parametro di riferimento relazionato all'esistenza

Non ho alcun dubbio che la tua lezione da Platone sia per così dire, illuminata, ma è proprio sul piano dell'esistenza che quella che potrebbe essere una buona lezione di circospezione, diventa solo un modello, applicato poi al non esiste giustizia ma solo giudici, a cui S.Agostino arrivò prima della conversione.

Se la probezza di Platone è quella di confutare, poi come pretende di instaurare la Repubblica?

Non c'è dunque altra confutazione che la sua?  E infatti la giustizia è nelle mani dei giudici, degli avvocati, come dirà S.Agostino prima della conversione.

E' per questo che ritengo Socrate l'ennesimo Sofista, ma non è una posizione originale la mia, in realtà ho letto che questa lettura ha un suo posto in letteratura accademica.

Poi è ovvio che se a uno piace Platone come a te, può trovare buone illuminazioni nei dialoghi.

Ma i veri problemi dell'etica non sono certo risolti lì. Come invece un Badiou o un Preve credono e credevano.
I problemi dell'etica sono legati alla forma metafisica che costruisce il modello culturale e mentale, in quanto predispone
anche alle prassi.
E checchè se ne dica persino la scienza moderna ha il suo modello rappresentativo metafisico con le sue forme e il suo linguaggio.
Come spesso accade nella nostra cultura si pensa su un modello antitetico,di separazioni quante sono le discipline scientifiche,che tendono all'analisi, ma la sintesi la fa la forma metafisica con le essenze.

sgiombo

Citazione di: green demetr il 11 Ottobre 2018, 18:57:09 PM
cit Sgiombo


"Sono realista di entrambe esattamente allo stesso modo, ma solo in quanto meri fenomeni."

Sei un idealista allora  :o .
CitazioneIdealista nel senso in cui viene comunemente considerato tale Berkeley: "esse est percipi".

Però per parte mia considero ugualmente reali (entrambe solo fenomenicamente, come mere "apparenze coscienti") tanto la materia quanto il pensiero.
E reale in sé soltanto il noumeno, che non é né materiale né mentale.

Non sono né un monista materialista, né un monista idealista, ma casomai un monista "neutro" del noumeno (e relativamente ai fenomeni un dualista).

Mi chiedo allora semplicemente, perchè non hai mai approfondito l'aspetto fenomenico mentale, come quello fenomenico materiale? (che è poi il vero lavoro che fanno gli idealisti, a partire da Kant ma sopratutto dopo, e che a te non interessa).

Veramente è solo per la questione del rasoio di Occam? (mi rendo conto che già te l'avevo chiesto).
CitazioneI fenomeni mentali secondo me difettano di quelle caratteristiche che sono invece proprie dei fenomeni materiali e che li rendono conoscibili scientificamente in senso stretto o "forte" (quello delle scienze naturali): intersoggettività e quantificabilità misurabile attraverso rapporti esprimibili da numeri.

D' altra parte, se escludiamo il marxismo (più precisamente il materialismo storico), ho una scarsa opinione di quanto effettivamente ottenuto dalle scienze in senso debole, ovvero le "scienze umane"; in particolare mi sembra che nel campo della psicologia individuale ben poco si sia scoperto di teoreticamente interessante e di praticamente utile, e che quel poco fosse già in gran parte ben noto per lo meno ai "saggi" dell' antichità (soprattutto ai filosofi stoici ed epicurei, per limitarsi al solo Occidente, di cui ho qualche conoscenza) se non addirittura allo stesso senso comune (mentre mi sembra di "vedere n giro" molte teorie poco o punto scientifiche, anche in senso "molto, ma molto lato", frutto di un acritico "scorazzare a briglia sciolta", ovvero non frenata dalla critica razionale, della fantasia dei loro autori.

sgiombo

Citazione di: paul11 il 12 Ottobre 2018, 00:30:06 AM

E checchè se ne dica persino la scienza moderna ha il suo modello rappresentativo metafisico con le sue forme e il suo linguaggio.
Come spesso accade nella nostra cultura si pensa su un modello antitetico,di separazioni quante sono le discipline scientifiche,che tendono all'analisi, ma la sintesi la fa la forma metafisica con le essenze.

Ci terrei a rivendicare il fatto che per ottenere una giusta e "sacrosanta" sintesi delle conoscenze scientifiche (e non solo scientifiche in senso stretto o naturali), molto necessaria, tanto più per superare i gravi limiti di un atteggiamento iperspecialistico oggi largamente dominante, non é necessario abbracciare una metafisica delle essenze platonica o più o meno fortemente "platonizzante": può servire (e a mio personale parere serve molto meglio) una sobria filosofia critica "austeramente razionalistica".

Secondo me la scienza moderna ha delle basi epistemologiche spesso sottintese, non di rado fraintese o malintese, che é necessario studiare criticamente.
Oltre al fatto che i cultori della scienza e ricercatori hanno tutto inevitabilmente una per lo meno sottintesa ontologia (magari monistica materialistica, e dunque limitante il reale allo scientificamente conoscibile).
Ma se andiamo a vedere quanto hanno scritto e vanno scrivendo molti cultori della meccanica quantistica e molti cosmologi, non di rado con forti connotazioni idealistiche e irrazionalistiche, o magari fortemente inflazionate delle più disparate entità metafisiche di fatto; anche nel caso di molti che rifiuterebbero sdegnosamente questo aggettivo):

«Gli scienziati credono di liberarsi dalla filosofia ignorandola o insultandola. Ma poiché senza pensiero non vanno avanti e per pensare hanno bisogno di determinazioni di pensiero e accolgono però queste categorie, senza accorgersene, dal senso comune delle cosiddette persone colte dominato dai residui di una filosofia da gran tempo tramontata, o da quel po' di filosofia che hanno ascoltato obbligatoriamente all'università, o dalla lettura acritica e asistematica di scritti filosofici di ogni specie, non sono affatto meno schiavi della filosofia, ma lo sono il più delle volte purtroppo della peggiore; e quelli che insultano di più la filosofia sono schiavi proprio dei peggiori residui volgarizzati della peggiore filosofia».
Friedrich Engels, Dialettica della natura, 1883.

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