In che senso Nietzsche oggi?

Aperto da PhyroSphera, 09 Gennaio 2024, 01:11:06 AM

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niko

#30
Citazione di: green demetr il 22 Gennaio 2024, 21:17:55 PMLa necessità del futuro nei cicli naturali io la chiamo semplicemente possibilità.
Comunque si, questo potrebbe benissimo essere stata la visione di Nietzche.
Ma Nietzche non lo leggerei mai come un semplice positivista.
Infatti benchè sono d'accordo con te con questa visione, io ritengo, e testo alla mano di Umano Troppo Umano, e ora che sto scolpendo lentamente dentro di me il dovere della lettura, presto anche del resto dell'opera nicciana, mi aspetto piuttosto una lettura degli aspetti critici che si frappongono a questa visione utopica e vitalistica.
Compito dell'uomo è superarli perchè giunga l'uomo che è già dopo tutti i suoi pregiudizi morali.
Siamo in una fase storica che d'altronde grida l'urgenza del ritorno ad un etica critica.
Riuscirà l'umanità a togliersi la scimmia?
Se devo basarmi sul livello di atroce demenza contemporaneo, la mia risposta è no.






Il futuro e' necessario perche':

>Noi esistiamo e diveniamo

>dunque il passato obbiettivamente non ci ha impedito, in assoluto, dall'origine del tempo ad oggi, di esistere e di divenire, determinando esso stesso in quanto passato, in un ipotetico punto della storia dopo, l'origine, e prima, di noi, del punto in cui siamo noi, uno stato definitivo immutabile del tempo e del cosmo e mantenendo tale stato in eterno; unica condizione, questa, che impedirebbe, in assoluto a qualcosa, di esistere e divenire, a prescindere dalla probabilita', e dalla fortunosita', della nostra, personale esistenza.
In maniera molto simile all'illuminazione che ebbe Cartesio con il cogito, ma implicando in essa anche il corpo: noi siamo qualcosa, e qualcosa esiste e diviene. E' ben difficile, dubitarne.

>ma non c'e' un'origine del tempo (in quanto non c'e' Dio, e non c'e' un paradigma creazionista).

> dunque, meglio dovremmo dire, che il passato non ci ha impedito, di esistere e divenire, da infinito tempo, su un perenne "sfondo", naturale, dove avvengono gli eventi. La potenza infinita del passato, non ci ha impedito di essere e di divenire. Cio' di immanente e di terreno che ci permette di divenire ora, come proprieta' impersonale della natura, ci permette in realta' a ben vedere di divenire da sempre.

>dunque non c'e', non esiste, uno stato definitivo e cristallizzato (fisicamente ed eticamente escatologico) del mondo e del tempo nel passato (se ci fosse, ci avrebbe impedito di essere entita' viventi e divenienti qui ed ora, in quanto durerebbe tutt'ora, nella sua immobilita' negatrice del divenire, e quindi anche del nostro, divenire), e il passato e' infinito, dunque ha gia' manifestato almeno una volta (in realta': infinite, volte) la totalita' delle sue combinazioni e possibilita', e tra queste combinazioni e possibilita' non vi e', lo stato escatologico, che, nonostate la potenzialita' di espressione totale posta dall'incombere di un tempo perenne, non si e' manifestato.

>e non vi sara' uno stato escatologico neppure nel futuro, poiche' la totalita' del tempo futura, e' speculare e simmetrica a quella passata: non solo, all'infinito tutte le possibilita' si realizzano, ma se ci sono un passato, un presente e un futuro, e uno sfondo increato "ateo" e "naturalistico" su cui avvengono gli eventi, tale per cui la presenza di qualunque cosa nel tempo e presso il tempo su questo sfondo e' sempre spartiacque tra due meta' sostanzialmente uguali, basta la mezza/infinita' del (solo) passato, per dedurre l'esaurimento di tutte le possibilita' presso questa, "parziale", per modo di dire, infinita' e, quindi, per dedurre qualcosa di sensato sul futuro. Se non c'e' lo stato escatologico nella totalita' temporale passata, non c'e' neanche in quella futura. Perche' il tempo, illimitato, translato da una meta' all'altra con il presente come spartiacque, in un certo senso non sarebbe piu' lo stesso, ma le possibilita', limitate, resterebbero sempre le stesse, e gli elementi limitati discreti e combinabili (diciamo cosi' gli "atomi"), sempre gli stessi.

> il futuro e' necessario. Non solo, possibile.
Se non c'e' uno stato definitivo del mondo nel passato, non ce n'e' uno neanche nel futuro. Il tempo del riposo non c'e' per il mondo, e dunque, all'infinito, non c'e' nemmeno per noi.
Si va verso la vita, non verso la fine. Compresa la nostra, di vita, che ritornera' identica proprio perche' non e' che una possibilita' tra le le altre. Con la volonta' ad amarla e a sospingerla, e a struggersi, ogni volta come se fosse unica. Anche questo e' cogito, anche questo e' destino: siamo sopravvissuti, fino ad ora, alla violenza puramente negatrice, e cieca, e cancellatrice, che crediamo di vedere nell'infinito; gli sopravvivremo.
Non evitiamo ora gli inganni e le seduzioni, i tormenti e le necessarie imposizioni, le sottigliezze e i rivoli, di questa immensa struttura riproducente la vita e dalla vita riprodotta: non li eviteremo neanche in futuro.

Nell'eterno ritorno si pone il problema della salvezza del divenire e quindi il problema del lutto, della morte dell'altro agli occhi e alla prospettiva interna del se' (sopravvivra', avra' mai salvezza, il divenire? Questa, e' la domanda) e non quello della salvezza dell'essere, e quindi della morte propria, e del se' (sopravvivra', avra' mai salvezza l'essere? Questa, non e', una domanda sensata).
Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

Pio

#31
Lo stato escatologico è inteso in senso umano, riguarda l'uomo e non il tempo naturale del divenire. L'uomo nuovo nell'escatologia cristiana vive nel rinnovamento, non nella cristallizzazione. Infatti vengono profetizzati " cieli nuovi e terra nuova". È  quindi un tempo rinnovato non un tempo cristallizzato, immobile. Credo sia anche la visione ebraica del tempo.
Non ci abitueremo mai ai metodi ruvidi di Dio, Joseph (cit. da Hostiles film)

niko

Citazione di: Pio il 23 Gennaio 2024, 10:05:26 AMLo stato escatologico è inteso in senso umano, riguarda l'uomo e non il tempo naturale del divenire. L'uomo nuovo nell'escatologia cristiana vive nel rinnovamento, non nella cristallizzazione. Infatti vengono profetizzati " cieli nuovi e terra nuova". È  quindi un tempo rinnovato non un tempo cristallizzato, immobile. Credo sia anche la visione ebraica del tempo.

Gia' ma questo stato paradisiaco meraviglioso, se e' eterno non c'e' mai stato, perche' non perdura tutt'ora, e nell'attimo presente (invece) si soffre, e c'e' la sofferenza, che dello stato paradisiaco e' il contrario.

Se non e' eterno forse c'e' stato in passato, ok, questo al limite si puo' anche concedere, ma tale stato "nuovo", felicemente rinnovato, era caduco ed effimero, prova ne e'... il fatto che non c'e' piu'.

E quindi io posso immagginare un paradiso con tutte le caratteristiche di un eventuale paradiso perduto e in piu' anche eterno, e il paradiso nella mia immagginazione sarebbe piu' bello, e piu' completo, e piu' rassicurante, del paradiso reale, che non ha l'attributo dell'eternita', a differenza di quello che immaggino io, che invece ce l'ha.

Vedi, quale e' il punto? Che per dire che un paradiso eterno che non c'e' mai stato in passato ci possa (invece) essere nel presente e nel futuro, bisogna immagginare una strutfura asimmetrica del tempo, in cui il futuro, costituisca una differenza assoluta rispetto al passato. 
E pure che un eventuale "presente mistico", in cui il regno di Dio e' presagito, e vissuto selettivamente dagli eletti, la costituisca, una differenza temporale assoluta del genere.

Oppure ci potrebbero essere stati dei paradisi effimeri che non danno nessuna sicurezza: eta' dell'oro, piuttosto che paradisi. Ma non mi pare, che il cristianesimo e l'ebraismo si limitino a teorizzare quelli effimeri, rinunciando del tutto a parlare di quelli eterni, e soprattutto a prometterli agli uomini.

Non e' possibile, una nuova caduta dopo il paradiso. Quindi il tempo non e' ciclico. Si promette di entrare in un futuro assolutamente diverso dal passato. O, che e' lo stesso, di presagirlo in un presente mistico che vale solo per alcuni.

Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

Pio

Infatti nelle religioni abramitiche il tempo non è ciclico. I cieli e terra nuovi parlano di un futuro diverso nella qualità da tutto ciò che c'è stato, che non è nemmeno un ritorno all'Eden. È una visione di fede s'intende. Il tempo è una retta che va dal caos primigenio, attraversa la caduta,  fino a questa visione di un cosmo rinnovato, dove "leone e agnello pascolano insieme" che intendo simbolicamente come un tempo dove cessa ogni conflitto.
Non ci abitueremo mai ai metodi ruvidi di Dio, Joseph (cit. da Hostiles film)

Pensarbene

Dal punto di vista logico, del buon senso e dell'esperienza umana noi non dovremmo esistere come non potrebbe esistere ciò che esiste.
Ogni volta io leggo qui e altrove l'inpossibilitã di capire l'esistente se non dandogli una patente di infinità di per sè stesso o di creazione divina.
Come diceva Hawking , il problema del Nulla è il fatto che non esiste ma serve come escamotage per evitare il problema dell'esistere ...dell'esistente.

Io la vedo così: se non si può dimostrare che l'esistente è infinito in ogni direzione oppure, se non si può dimostrare che è retto da una eternità divina, allora bisogna ammettere che L'ESISTENTE NON ESISTE AFFATTO,NON PUÒ ESISTERE E, IN PRATICA, È UNA ILLUSIONE DEL NULLA.
Questa è logica non è religione o ateismo.
Se uno sceglie l'esistente come infinito sa che non può dimostrarlo, se uno sceglie l'esistente come creazione e/o emanazione della divinitå  sa che non può dimostrarlo 
Se uno nega Dio o lo afferma sa che non può pretendere di  dimostrare  e  condividere unanimemente queste scelte.
Allora,resta il Nulla come risposta, una risposta che io non amo e non condivido ma che posso capire logicamente.
Il Nulla risponde a tutte le domande perchè le anNulla tutte,
il Nulla anNulla tutto e tutti  e io non lo sottovaluterei affatto perchè ,secondo me , sta facendo quello che sta scritto nella Storia Infinita  facendo, purtroppo,fin troppo bene, il suo lavoro!





niko

Citazione di: Pensarbene il 23 Gennaio 2024, 12:49:41 PMDal punto di vista logico, del buon senso e dell'esperienza umana noi non dovremmo esistere come non potrebbe esistere ciò che esiste.
Ogni volta io leggo qui e altrove l'inpossibilitã di capire l'esistente se non dandogli una patente di infinità di per sè stesso o di creazione divina.
Come diceva Hawking , il problema del Nulla è il fatto che non esiste ma serve come escamotage per evitare il problema dell'esistere ...dell'esistente.

Io la vedo così: se non si può dimostrare che l'esistente è infinito in ogni direzione oppure, se non si può dimostrare che è retto da una eternità divina, allora bisogna ammettere che L'ESISTENTE NON ESISTE AFFATTO,NON PUÒ ESISTERE E, IN PRATICA, È UNA ILLUSIONE DEL NULLA.
Questa è logica non è religione o ateismo.
Se uno sceglie l'esistente come infinito sa che non può dimostrarlo, se uno sceglie l'esistente come creazione e/o emanazione della divinitå  sa che non può dimostrarlo
Se uno nega Dio o lo afferma sa che non può pretendere di  dimostrare  e  condividere unanimemente queste scelte.
Allora,resta il Nulla come risposta, una risposta che io non amo e non condivido ma che posso capire logicamente.
Il Nulla risponde a tutte le domande perchè le anNulla tutte,
il Nulla anNulla tutto e tutti  e io non lo sottovaluterei affatto perchè ,secondo me , sta facendo quello che sta scritto nella Storia Infinita  facendo, purtroppo,fin troppo bene, il suo lavoro!







Anche il nulla e' una ipotesi, perche' per avere senso come ipotesi deve essere pensato cone uno zero matematico, una totalita' nulla, insomma una totalita' composta da "parti" solo relativamente essenti, e solo nella misura in cui opposte rispetto ad altre parti, squilibrate.

Noi non viviamo nel nulla, viviamo nell'esistente, ma essendoci un velo di ignoranza su quello che possiamo conoscere, e quello che sta oltre il velo ci rimane inconoscibile, non possiamo escludere nemmeno che l'essente ed esistente che (localmente) conosciano, a distanze e livelli superiori a quelli della nostra conoscibilita' faccia parte di una totalita' nulla, cioe' che oltre il velo vi sia la struttura dell'anti-esistenza, che annullerebbe l'esistente ai fini del valore di esistenza attribuibile (o non attribuibile) alla totalita'.

Noi potremmo essere nella parte +1, oltre il velo della nostra conoscenza potrebbe giacere la parte -1, e il mondo potrebbe a nostra insaputa valere 0, come totalita'.

Sarebbe un pan-ateismo, cioe' un sistema in cui il Dio, inesistente, si identifica integralmente con il cosmo e la natura, altrettanto inesistente. Tutto e' Dio, che non c'e' e che non e' ne' vero ne' credibile, e c'e' solo il nulla

Ogni male e ogni sofferenza sarebbe giustificata, cioe' annullata, data la totalita' nulla del mondo-vero, e l'affermazione secondo cui esiste solo cio' che e' parziale e intrinsecamente limitato rispetto al mondo vero nullo, con controparte annullante rispetto al mondo esistente inconoscibile per dei nostri, e indifferenti al mondo, limiti. Ma qualcosa mi dice che tutto cio' non funziona, e che non e' cosi'.

Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

Pensarbene

diciamo che gli esseri umani non si fidano di niente e di nessuno,  neppure di loro stessi.
Quindi vivono in una paranoia normalizzata  in cui ogni variabile inaspettata  viene vista come ostile, pericolosa e fobica..
Il COVID ha dato una lezione epocale all'umanità proprio per questo.
"Essi preferiscono il nulla all'imprevisto,figurarsi al vero se fosse tutto il contrario di quello che pensano essere...
Per questo non sapranno mai  quello che li stenderebbe psicologicamente,
esistenzialmente,culturalmente.
Mi spiace dirlo ma è così:apparisse Dio in persona  e facesse miracoli epocali tipo fare apparire un altro sole, troverebbero il modo di valutare la cosa attribuendola a qualche ignota forza naturale o fenomeno cosmico.
Sono fatti così..."
dice un mio amico sorridendo e ha ragione.

PhyroSphera

Citazione di: Pio il 23 Gennaio 2024, 10:05:26 AMLo stato escatologico è inteso in senso umano, riguarda l'uomo e non il tempo naturale del divenire. L'uomo nuovo nell'escatologia cristiana vive nel rinnovamento, non nella cristallizzazione. Infatti vengono profetizzati " cieli nuovi e terra nuova". È  quindi un tempo rinnovato non un tempo cristallizzato, immobile. Credo sia anche la visione ebraica del tempo.
Beh, però cielo e terra ritornano anche per la dottrina cristiana.

Mauro Pastore 

PhyroSphera

Citazione di: Pio il 23 Gennaio 2024, 12:35:13 PMInfatti nelle religioni abramitiche il tempo non è ciclico. I cieli e terra nuovi parlano di un futuro diverso nella qualità da tutto ciò che c'è stato, che non è nemmeno un ritorno all'Eden. È una visione di fede s'intende. Il tempo è una retta che va dal caos primigenio, attraversa la caduta,  fino a questa visione di un cosmo rinnovato, dove "leone e agnello pascolano insieme" che intendo simbolicamente come un tempo dove cessa ogni conflitto.
In realtà anche le religioni abramitiche attribuiscono alla natura i cicli. Solo che il loro messaggio originale si riferisce all'àmbito del soprannaturale.

Mauro Pastore 

green demetr

Citazione di: niko il 23 Gennaio 2024, 09:53:02 AMIl futuro e' necessario perche':

Nell'eterno ritorno si pone il problema della salvezza del divenire e quindi il problema del lutto, della morte dell'altro agli occhi e alla prospettiva interna del se' (sopravvivra', avra' mai salvezza, il divenire? Questa, e' la domanda) e non quello della salvezza dell'essere, e quindi della morte propria, e del se' (sopravvivra', avra' mai salvezza l'essere? Questa, non e', una domanda sensata).

Non mi pare sia questa la strada.
Anzitutto perchè il tempo, almeno il tempo filosofico, non certo quello scientifico (che pone l'unità di misura), riguarda il soggetto.
Il divenire in sè è cioè una domanda priva di senso, se non ne diamo il termine di paragone.
Non mi pare tu lo faccia.


Vai avanti tu che mi vien da ridere

niko

Citazione di: green demetr il 09 Febbraio 2024, 23:30:50 PMNon mi pare sia questa la strada.
Anzitutto perchè il tempo, almeno il tempo filosofico, non certo quello scientifico (che pone l'unità di misura), riguarda il soggetto.
Il divenire in sè è cioè una domanda priva di senso, se non ne diamo il termine di paragone.
Non mi pare tu lo faccia.





Il termine di paragone e' che tu non devi vivere aspettando il ritorno dei tuoi attimi felici passati (e intendo, il primo bacio? La prima ubriacatura con gli amici? La presenza delle persone care ormai morte? Fai tu, che ti conosci meglio di quanto ti possa conoscere io, come definizione di "attimo felice").
Ma che anche l'attimo potenzialmente presente in cui tu realizzi la verita' dell'eterno ritorno (questo attimo!) e' un attimo felice. Lo e' teoreticamente, anche se magari non praticamente. Vale quanto quello del primo bacio eccetera eccetera. Perche' e' in questo attimo, che tu hai ricevuto una notizia che, se sei un superuomo e nella misura in cui sei un superuomo, ti rende felice. E cioe' la notizia che tutto, tutto il bene e tutto il male della tua vita, dovra' ritornare a te.

Il mondo si supera, supera se stesso e si trascende, ma verso un doppio mondo dionisiaco, non verso un alter-mondo metafisico.
E, per farlo, per sdoppiarsi come fa una cellula in un futuro identico a un passato identico, con un labile e poi subito perduto punto di contatto tra i due cerchi, richiede la tua partecipazione.

Se tu fossi certo, di dover rivivere la stessa vita innumerevoli volte, dovresti cambiare le tue priorita'. Diverresti significativamente, perche' e nella misura in cui saresti certo di ritornare, a partire dal punto in cui ne saresti certo.

E nel tuo divenire, saresti capace, finalmente, di accettare l'uomo. Che, dalla sua propria prospettiva, vorrebbe rivivere solo piccolissima parte del suo tempo, e non tutto il suo tempo, ma solo perche' il suo tempo lo ha vissuto male, senza la forza, e il coraggio, di viverlo pienamente.
Senza l'intuizione e l'accettazione dell'eterno ritorno.
Ma tu non potresti lo stesso odiarlo o svalutarlo, perche', se tu sei il superuomo, l'uomo e' la tua causa, il tuo appiglio nel tempo.

Il tipo di uomo capace di rivolere l'uomo, e' solo ed esclusivamente il tipo di uomo capace di rivolere, anche, e simultaneamente all'uomo, tutto il resto del mondo, le nuvole, le stelle, i lupi, le rocce eccetera: l'uomo e' la cosa del mondo piu' volente e dolente, e quindi l'ultimo limite del superuomo, la cosa del mondo piu' difficile da volere dalla prospettiva, successiva, e dunque esterna, di chi, proprio al volerlo, avrebbe infinita altra alternativa.

Uomo e superuomo, si desiderano e si supportano a distanza nel tempo. In un gioco in cui conta la salvezza del divenire non dell'essere.

Tutto ritorna uguale attraverso il tempo, con la differenza, non da poco,  di essere voluto, e superato, e distrutto, e obliato, e ricostruito ogni volta. E in questa differenza inestinguibile presso la serie degli identici, sta la verita' del divenire.

Verita' sempre a rischio e precaria, verita' da rimettere alla prova e da ridimostrare sempre.

Ogni ciclo temporale potrebbe essere l'ultimo, l'ultimo prima della fine e del precipitare escatologico di tutta la serie dei cicli in uno stato inedito cristallizzato, definitivo o infinitamente caotico, perche' non c'e', un automatismo del ritorno, una garanzia meccanica del ritornare. O almeno, non c'e' la garanzia del ritornare di una certa specifica forma determinata.

Il ritornare, della forma determinata che siamo e in cui viviamo, aspetta l'assenso, della volonta'.



Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

green demetr

Citazione di: niko il 10 Febbraio 2024, 14:05:35 PMIl termine di paragone e' che tu non devi vivere aspettando il ritorno dei tuoi attimi felici passati (e intendo, il primo bacio? La prima ubriacatura con gli amici? La presenza delle persone care ormai morte? Fai tu, che ti conosci meglio di quanto ti possa conoscere io, come definizione di "attimo felice").
Ma che anche l'attimo potenzialmente presente in cui tu realizzi la verita' dell'eterno ritorno (questo attimo!) e' un attimo felice. Lo e' teoreticamente, anche se magari non praticamente. Vale quanto quello del primo bacio eccetera eccetera. Perche' e' in questo attimo, che tu hai ricevuto una notizia che, se sei un superuomo e nella misura in cui sei un superuomo, ti rende felice. E cioe' la notizia che tutto, tutto il bene e tutto il male della tua vita, dovra' ritornare a te.

Il mondo si supera, supera se stesso e si trascende, ma verso un doppio mondo dionisiaco, non verso un alter-mondo metafisico.
E, per farlo, per sdoppiarsi come fa una cellula in un futuro identico a un passato identico, con un labile e poi subito perduto punto di contatto tra i due cerchi, richiede la tua partecipazione.

Se tu fossi certo, di dover rivivere la stessa vita innumerevoli volte, dovresti cambiare le tue priorita'. Diverresti significativamente, perche' e nella misura in cui saresti certo di ritornare, a partire dal punto in cui ne saresti certo.

E nel tuo divenire, saresti capace, finalmente, di accettare l'uomo. Che, dalla sua propria prospettiva, vorrebbe rivivere solo piccolissima parte del suo tempo, e non tutto il suo tempo, ma solo perche' il suo tempo lo ha vissuto male, senza la forza, e il coraggio, di viverlo pienamente.
Senza l'intuizione e l'accettazione dell'eterno ritorno.
Ma tu non potresti lo stesso odiarlo o svalutarlo, perche', se tu sei il superuomo, l'uomo e' la tua causa, il tuo appiglio nel tempo.

Il tipo di uomo capace di rivolere l'uomo, e' solo ed esclusivamente il tipo di uomo capace di rivolere, anche, e simultaneamente all'uomo, tutto il resto del mondo, le nuvole, le stelle, i lupi, le rocce eccetera: l'uomo e' la cosa del mondo piu' volente e dolente, e quindi l'ultimo limite del superuomo, la cosa del mondo piu' difficile da volere dalla prospettiva, successiva, e dunque esterna, di chi, proprio al volerlo, avrebbe infinita altra alternativa.

Uomo e superuomo, si desiderano e si supportano a distanza nel tempo. In un gioco in cui conta la salvezza del divenire non dell'essere.

Tutto ritorna uguale attraverso il tempo, con la differenza, non da poco,  di essere voluto, e superato, e distrutto, e obliato, e ricostruito ogni volta. E in questa differenza inestinguibile presso la serie degli identici, sta la verita' del divenire.

Verita' sempre a rischio e precaria, verita' da rimettere alla prova e da ridimostrare sempre.

Ogni ciclo temporale potrebbe essere l'ultimo, l'ultimo prima della fine e del precipitare escatologico di tutta la serie dei cicli in uno stato inedito cristallizzato, definitivo o infinitamente caotico, perche' non c'e', un automatismo del ritorno, una garanzia meccanica del ritornare. O almeno, non c'e' la garanzia del ritornare di una certa specifica forma determinata.

Il ritornare, della forma determinata che siamo e in cui viviamo, aspetta l'assenso, della volonta'.




Il tempo come ciclo, il tempo come ritorno, il tempo come fine, precipizio, il tempo come volontà.
Come può un solo concetto avere dentro tutto e il suo contrario.
Questa non è filosofia.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

niko

Citazione di: green demetr il 11 Febbraio 2024, 02:39:08 AMIl tempo come ciclo, il tempo come ritorno, il tempo come fine, precipizio, il tempo come volontà.
Come può un solo concetto avere dentro tutto e il suo contrario.
Questa non è filosofia.


Eppure l'eterno ritorno e' la forma piu' semplice possibile di una antimetafisica: la "fine", il precipizio, di cui parli tu non c'entrano niente, se non forse da un punto di vista psicologico, come effetto, che puo' fare questa concezione del tempo agli uomini.

Invece della fine, c'entra, davvero, il "fine", lo scopo.

Il fine del tempo, e' nel tempo. Il fine dello spazio, e' nello spazio.

E' questo il concetto fondamentale.
Il concetto che non c'e' nessun mondo dei fini a parte. Nessun iperuranio, nessun paradiso, nessuna dimensione divina, nessuna dimensione immateriale umana nel senso hegeliano o platonico di "spirito" in cui si decidano, "in separata sede", i fini, degli uomini o delle cose. Invece, nell'eterno ritorno, si afferma che Il mondo delle cose, e' (direttamente) anche il mondo dei fini. Semplice, ed elegante. Contraddittorio solo per chi e' (ancora) psicologicamente, piuttosto che logicamente, in Platone.

E non ho detto, si badi bene, che il fine del tempo sia in un certo, punto, in qualche modo preferenziale, del tempo, (il momento di un "avvenimento topico" qualsivoglia), e non ho nemmeno detto che il fine dello spazio sia una certa, disposizione dello spazio (la disposizione "migliore" delle cose). Intendevo in senso totale.
Intendevo che:

Il fine del tempo e' in (tutto) il tempo: in tutti gli attimi, di tutto il tempo.

Il fine dello spazio e' (in tutto) lo spazio: tutte le didposizioni possibili, di tutto lo spazio.

Se tempo e spazio concettualmente, sommati insieme formano altri concetti come: "il mondo" o "la natura", allora possiamo dire che il fine del mondo e' nel mondo, e il fine della natura e' nella natura.

Il disporsi della "storia" biologica, naturale e umana in una serie infinita di cicli identici, non e' che il dispiegarsi della natura/mondo che raggiunge i suoi fini, ripercorrendo, ed espandendo nella ripetizione, tutti gli attimi del "suo" tempo e tutte le disposizioni del "suo" spazio, che definiscono i "suoi" fini. E tutto questo, senza, "fine".

Tu vuoi delle cose, ad esempio mangiare, essere felice, essere amato, essere in salute, e la natura, personificata in questa allegoria pure, vuole delle cose: rioercorrere tutti i sui attimi, di cui nessuno e' finale, nessuno e' iniziale, nessuno e' intermedio, nessuno e' preferenziale.

Non mi pare, che sia difficile da capire.

Tu giungi a un compromesso, tra felicita' e realta', nel senso che quello che vuoi e che hai, non ti rende completamente e ininterrottamente felice, e la natura personificata, la volonta' di potenza, pure, giunge a un compromesso tra sua felicita' e sua realta', perche' al "termine" di ogni ciclo, non e' paga e ne inizia un'altro: per aquisire parte significativa di cio' che costituisce il suo scopo, del tempo e nel tempo, deve perderne, altra parte, quindi il ciclo non e' mai riconoscibile come tale se non per convenzione di qualcuno, di inesistente, che lo guardasse dall'esterno, e la natura e' sempre, all'inseguimento, di se stessa. Non ha una quieta e felice "memoria", dove depositare quello che perde, procedendo, per quadagnare altro, quindi, proprio nel suo procedere, deve tornare costantemente alla realta' materiale del "perduto", e porvi rimedio.

Neanche questo, mi sembra inconcepibilmente difficile, da capire.

Tutto questo e', semmai, difficile da accettare, nel senso che a un popolo di individui abituati al cristianesimo e al platonismo, (morali servili...) quindi al concetto opposto di "fine del tempo fuori dal tempo" (Dio, l'idea), e di "fine dello spazio fuori dallo spazio" (altri mondi che a vario titolo contengano, Dio o l'Idea: paradisi, iperurani), questo concetto di fine del tempo dentro il tempo e di fine dello spazio dentro lo spazio, fa orrore. Secondo loro, c'e' un inizio del tempo fuori dal tempo, e un fine/scopo del tempo fuori dal tempo, che e' Dio, o e' l'idea.

In loro, l'infinita' del compito, di perfezionamento mistico, o storico, dell'uomo nel senso di una filosofia della storia, e' data dall'impossibilita' dell'uomo, finito, di assimilarsi completamente al Dio infinito. Nell'eterno ritorno, l'infinita' di un compito di fatto infinito, che non coinvolge solo l'uomo, ma certo anche, l'uomo, al contrario, e' data dalla sua stessa, infinita, possibilita': finito un ciclo eonico, finito un anno cosmico, se ne puo' sempre ri/incominciare un'altro: e' proprio la "banalita' " di una costruzione e distruzione, e ridisposizione, sostanzialmente materica, e materiale, sostanzialmente energetica ed energizzante, a renderla infinita.

Ovviamente, anche nell'eterno ritorno il discorso sulla metafisica e sulla spiritualita' non e' (ingenuamente) eluso, ma riportato, marxianamente direi, con i piedi per terra: la "forma" complessa prolungata e dettagliata del mondo, che la natura deve costantemente distruggere e ricostruire, comprende le azioni volontarie e i benche' minimi sentimenti e pensieri, e ricordi, e corpi,  di tutti i viventi, che rientrano nel ciclo come attimi, degni e alla pari con gli altri, del tempo e quindi come perseguibili scopi e micro-scopi ad opera della natura/volonta' di potenza.
E qui e' il vero abisso: nel senso che e' "schopenahueriamente" previsto, che ogni essere vivente abbia il corpo e la testa infarciti di illusioni, di fatue rappresentazioni, di istinti corporali "noumenici", e quindi indefinibili e innominabili, per fare la sua parte, secondo un copione, di uno spettacolo, di cui ogni singolo vivente fraintende gli scopi; cioe' egli fraintende che lo scopo fondamentale della vita, di ogni vita, e' riportare in vita, ciclicamente il mondo (e magari si aspetta, "leopardianamente" dalla benevolenza della natura la sua felicita' individuale o chissa' quali altri "doni"). Ogni singolo vivente, tranne forse il superuomo, che non fraintende lo scopo della vita, ma lo intende.

Ma sta di fatto che nel mondo c'e' la vita, e quindi il ritorno del mondo deve essere volontario, e derivare dalla somma, sia pure incalcolabile, delle azioni dei viventi. E dei loro impulsi e pensieri.

Ogni vivente deve esprimere un proprio ed intimo consenso al "ritorno" quanto meno inconsapevole, deve essere guidato dal suo stesso fato a ritornare.

Il suo proprio e intimo consenso al "ritorno", ogni essere lo esprime essenzialmente vivendo, e quindi riconfermando che la sua gioia in se' valga il suo dolore, e che ogni sua resistita e insistita agonia, sia migliore della (sua) morte. Ogni ciclo, potrebbe essere l'ultimo, ma non e', l'ultimo. O almeno, non lo e' mai stato fino ad ora. Ovvero il ciclo presente ci intertoga nella sua presenza, e' diverso dagli altri, esprime il ritorno non di tutte le forze, ma solo delle forze attive .

Su questo intimo consenso, che e' la vitalita' stessa dei corpi, si aggiungono, le illusioni metafisiche.
Che non sono spazzatura in assoluto, funzionano nella misura in cui potenziano questo intimo consenso e lo supportano quando manca, permettendo anche loro, pur in quanto illusioni, il ritorno del mondo.

insomma anche le illusioni metafisiche, sono ovviamente, previste e centellinate dalla natura, anche esse contribuiscono, se nella giusta dose e nel giusto tempi, al ritorno del mondo.

E infatti Nietszche  non propone di buttarle al cesso le illusioni metafisiche (del resto come, anche lui, potrebbe?), ma di giocare liberamente con esse, sapendo che sono illusioni. E che non tutte le illusiini sono uguali. E che le illusioni si valutano in base all'utile. Che non e' un utile fisso, ma un utile che varia seconfo lo spazio, e il tempo e il carattere degli individui che di certe illusioni si illudono.

Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

green demetr

Citazione di: niko il 11 Febbraio 2024, 11:46:12 AMEppure l'eterno ritorno e' la forma piu' semplice possibile di una antimetafisica: la "fine", il precipizio, di cui parli tu non c'entrano niente, se non forse da un punto di vista psicologico, come effetto, che puo' fare questa concezione del tempo agli uomini.

Invece della fine, c'entra, davvero, il "fine", lo scopo.

Il fine del tempo, e' nel tempo. Il fine dello spazio, e' nello spazio.

E' questo il concetto fondamentale.
Il concetto che non c'e' nessun mondo dei fini a parte. Nessun iperuranio, nessun paradiso, nessuna dimensione divina, nessuna dimensione immateriale umana nel senso hegeliano o platonico di "spirito" in cui si decidano, "in separata sede", i fini, degli uomini o delle cose. Invece, nell'eterno ritorno, si afferma che Il mondo delle cose, e' (direttamente) anche il mondo dei fini. Semplice, ed elegante. Contraddittorio solo per chi e' (ancora) psicologicamente, piuttosto che logicamente, in Platone.

E non ho detto, si badi bene, che il fine del tempo sia in un certo, punto, in qualche modo preferenziale, del tempo, (il momento di un "avvenimento topico" qualsivoglia), e non ho nemmeno detto che il fine dello spazio sia una certa, disposizione dello spazio (la disposizione "migliore" delle cose). Intendevo in senso totale.
Intendevo che:

Il fine del tempo e' in (tutto) il tempo: in tutti gli attimi, di tutto il tempo.

Il fine dello spazio e' (in tutto) lo spazio: tutte le didposizioni possibili, di tutto lo spazio.

Se tempo e spazio concettualmente, sommati insieme formano altri concetti come: "il mondo" o "la natura", allora possiamo dire che il fine del mondo e' nel mondo, e il fine della natura e' nella natura.

Il disporsi della "storia" biologica, naturale e umana in una serie infinita di cicli identici, non e' che il dispiegarsi della natura/mondo che raggiunge i suoi fini, ripercorrendo, ed espandendo nella ripetizione, tutti gli attimi del "suo" tempo e tutte le disposizioni del "suo" spazio, che definiscono i "suoi" fini. E tutto questo, senza, "fine".

Tu vuoi delle cose, ad esempio mangiare, essere felice, essere amato, essere in salute, e la natura, personificata in questa allegoria pure, vuole delle cose: rioercorrere tutti i sui attimi, di cui nessuno e' finale, nessuno e' iniziale, nessuno e' intermedio, nessuno e' preferenziale.

Non mi pare, che sia difficile da capire.

Tu giungi a un compromesso, tra felicita' e realta', nel senso che quello che vuoi e che hai, non ti rende completamente e ininterrottamente felice, e la natura personificata, la volonta' di potenza, pure, giunge a un compromesso tra sua felicita' e sua realta', perche' al "termine" di ogni ciclo, non e' paga e ne inizia un'altro: per aquisire parte significativa di cio' che costituisce il suo scopo, del tempo e nel tempo, deve perderne, altra parte, quindi il ciclo non e' mai riconoscibile come tale se non per convenzione di qualcuno, di inesistente, che lo guardasse dall'esterno, e la natura e' sempre, all'inseguimento, di se stessa. Non ha una quieta e felice "memoria", dove depositare quello che perde, procedendo, per quadagnare altro, quindi, proprio nel suo procedere, deve tornare costantemente alla realta' materiale del "perduto", e porvi rimedio.

Neanche questo, mi sembra inconcepibilmente difficile, da capire.

Tutto questo e', semmai, difficile da accettare, nel senso che a un popolo di individui abituati al cristianesimo e al platonismo, (morali servili...) quindi al concetto opposto di "fine del tempo fuori dal tempo" (Dio, l'idea), e di "fine dello spazio fuori dallo spazio" (altri mondi che a vario titolo contengano, Dio o l'Idea: paradisi, iperurani), questo concetto di fine del tempo dentro il tempo e di fine dello spazio dentro lo spazio, fa orrore. Secondo loro, c'e' un inizio del tempo fuori dal tempo, e un fine/scopo del tempo fuori dal tempo, che e' Dio, o e' l'idea.

In loro, l'infinita' del compito, di perfezionamento mistico, o storico, dell'uomo nel senso di una filosofia della storia, e' data dall'impossibilita' dell'uomo, finito, di assimilarsi completamente al Dio infinito. Nell'eterno ritorno, l'infinita' di un compito di fatto infinito, che non coinvolge solo l'uomo, ma certo anche, l'uomo, al contrario, e' data dalla sua stessa, infinita, possibilita': finito un ciclo eonico, finito un anno cosmico, se ne puo' sempre ri/incominciare un'altro: e' proprio la "banalita' " di una costruzione e distruzione, e ridisposizione, sostanzialmente materica, e materiale, sostanzialmente energetica ed energizzante, a renderla infinita.

Ovviamente, anche nell'eterno ritorno il discorso sulla metafisica e sulla spiritualita' non e' (ingenuamente) eluso, ma riportato, marxianamente direi, con i piedi per terra: la "forma" complessa prolungata e dettagliata del mondo, che la natura deve costantemente distruggere e ricostruire, comprende le azioni volontarie e i benche' minimi sentimenti e pensieri, e ricordi, e corpi,  di tutti i viventi, che rientrano nel ciclo come attimi, degni e alla pari con gli altri, del tempo e quindi come perseguibili scopi e micro-scopi ad opera della natura/volonta' di potenza.
E qui e' il vero abisso: nel senso che e' "schopenahueriamente" previsto, che ogni essere vivente abbia il corpo e la testa infarciti di illusioni, di fatue rappresentazioni, di istinti corporali "noumenici", e quindi indefinibili e innominabili, per fare la sua parte, secondo un copione, di uno spettacolo, di cui ogni singolo vivente fraintende gli scopi; cioe' egli fraintende che lo scopo fondamentale della vita, di ogni vita, e' riportare in vita, ciclicamente il mondo (e magari si aspetta, "leopardianamente" dalla benevolenza della natura la sua felicita' individuale o chissa' quali altri "doni"). Ogni singolo vivente, tranne forse il superuomo, che non fraintende lo scopo della vita, ma lo intende.

Ma sta di fatto che nel mondo c'e' la vita, e quindi il ritorno del mondo deve essere volontario, e derivare dalla somma, sia pure incalcolabile, delle azioni dei viventi. E dei loro impulsi e pensieri.

Ogni vivente deve esprimere un proprio ed intimo consenso al "ritorno" quanto meno inconsapevole, deve essere guidato dal suo stesso fato a ritornare.

Il suo proprio e intimo consenso al "ritorno", ogni essere lo esprime essenzialmente vivendo, e quindi riconfermando che la sua gioia in se' valga il suo dolore, e che ogni sua resistita e insistita agonia, sia migliore della (sua) morte. Ogni ciclo, potrebbe essere l'ultimo, ma non e', l'ultimo. O almeno, non lo e' mai stato fino ad ora. Ovvero il ciclo presente ci intertoga nella sua presenza, e' diverso dagli altri, esprime il ritorno non di tutte le forze, ma solo delle forze attive .

Su questo intimo consenso, che e' la vitalita' stessa dei corpi, si aggiungono, le illusioni metafisiche.
Che non sono spazzatura in assoluto, funzionano nella misura in cui potenziano questo intimo consenso e lo supportano quando manca, permettendo anche loro, pur in quanto illusioni, il ritorno del mondo.

insomma anche le illusioni metafisiche, sono ovviamente, previste e centellinate dalla natura, anche esse contribuiscono, se nella giusta dose e nel giusto tempi, al ritorno del mondo.

E infatti Nietszche  non propone di buttarle al cesso le illusioni metafisiche (del resto come, anche lui, potrebbe?), ma di giocare liberamente con esse, sapendo che sono illusioni. E che non tutte le illusiini sono uguali. E che le illusioni si valutano in base all'utile. Che non e' un utile fisso, ma un utile che varia seconfo lo spazio, e il tempo e il carattere degli individui che di certe illusioni si illudono.


Tu parli come se fossimo immortali, ma non lo siamo.
Non esiste un senso del mondo, ma un senso del mondo secondo la nostra opinione.
Esiste però un senso del sè che abita il mondo, e che non ha alcuna relazione con esso.
In Nietzche è questo senso del sè che fa i "conti" con il senso del mondo attribuito dagli altri.
In primis ovviamente il castratore primordiale, che Nietzche identifica nella nostra società col cristianesimo.
L'eterno ritorno, è ciò che sussurra il demone del male, ossia il demone che vorrebbe che il sè rimanesse vittima del suo castratore.
Ossia che il senso del mondo che il suo castratore ha in mente, permanga immutato.
La fortuna dell'eterno ritorno in chiave metafisica fantastica è merito della scuola post-modernista francese. Con le sue politiche organiche (e quindi neo-darwiniste, per quel che mi riguarda) di un sè fantastico astorico e sopratutto dissociato.
Nietzche era l'esatto opposto, uno dei tanti paradossi per cui oggi Nietzche è molto letto, e completamente frainteso.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

niko

Citazione di: green demetr il 16 Febbraio 2024, 15:11:06 PMTu parli come se fossimo immortali, ma non lo siamo.
Non esiste un senso del mondo, ma un senso del mondo secondo la nostra opinione.
Esiste però un senso del sè che abita il mondo, e che non ha alcuna relazione con esso.
In Nietzche è questo senso del sè che fa i "conti" con il senso del mondo attribuito dagli altri.
In primis ovviamente il castratore primordiale, che Nietzche identifica nella nostra società col cristianesimo.
L'eterno ritorno, è ciò che sussurra il demone del male, ossia il demone che vorrebbe che il sè rimanesse vittima del suo castratore.
Ossia che il senso del mondo che il suo castratore ha in mente, permanga immutato.
La fortuna dell'eterno ritorno in chiave metafisica fantastica è merito della scuola post-modernista francese. Con le sue politiche organiche (e quindi neo-darwiniste, per quel che mi riguarda) di un sè fantastico astorico e sopratutto dissociato.
Nietzche era l'esatto opposto, uno dei tanti paradossi per cui oggi Nietzche è molto letto, e completamente frainteso.



Tu la fai come al solito troppo complicata...

Io non ho detto che siamo immortali, ho detto che dobbiamo agire in ogni situazione, e valutarla, (e rammemorarla, se passata, e cercare di prevederne per quanto possibile le conseguenze, future) come se dovessimo rivivere tale situazione infinitamente, perche' cosi' sara'...

E' impossibile, non capire che la nostra vita e'
 -solo- la vita della Necessita', e per di piu' solo un frammento, di essa, e che, in quanto tale, non ha niente, di speciale. 
Che posizionalmente siamo periferici rispetto ad ogni centro, anche rispetto al "centro" che sarebbe la nostra presunta unicita' e irripetibilita' come esseri viventi, nel grande gioco dell'universo e dell'infinita' del tempo. 

Infinita', si', lo dico chiaramente... infinita', che in matematica e' corrispondenza biunivoca tra insieme e un suo sottoinsieme proprio, e in Zaratustra, alla porta carraia, sempre e ancora corrispondenza, tra passato ed "eternita' ". 

E insomma, basta una potenza, parziale, antropologica, del tempo, ad esempio quello che noi chiamiamo "passato", il passato del tempo, il passato come parte del tempo, la parte passata del tempo, per "esprimere", come fenomeno, tutto il tempo. O meglio, per numerarlo, per contarlo. Come sono piu' che sufficienti allo scopo di "contare" biunivocamente i numeri, i numeri pari, o i numeri primi. I numeri primi, non sono "di meno", meno capienti, o meno potenti, dei numeri naturali in generale. Gli attimi del passato, non sono di meno, degli attimi del tempo. Capirlo, dopo un po' di tentativi lo capiscono tutti. Poi, dopo averlo capito, si tratta di crederlo. O di continuare a credere ai padreterni antropomorfici che iniziano il mondo, iniziano il tempo, gli danno forma lineare, mettono l'uomo a guardia della creazione, consolano il giusto sofferente invece di imporre la felicita' come legge (e i sofferenti come trasgressori) e tutte quelle robe li'.

Insomma ci siamo decentrati dalla terra dantesca e aristotelica, col sole che gira intorno a nostra maggor gloria, ma non dalla convinzione, biblica, mediocre, cattocomunista, che la "nostra" vita appartenga proprio a noi, o al limite in comproptieta' a noi e ai nostri dei antropomorfici, e non anche, tragicamente, a noi e alla, non per niente antropomorfica, natura.

E cosi', dopo il geocentrismo, con grande sforzo noi bipedi tetrestri abbiamo concepito l'eliocentrismo, ma veramente non abbiamo capito l'essenziale, di tutto quello che veramente c'era da capire, e ci riguardava, e ci strizzava l'occhio, nella metafora di tutto questo gran giramento di "sfere", e di presunte calotte, cristalline, e del suo divenire (gaiamente) scientifico: decisamente, no. Invece, Invece di capire intendo, abbiamo esternalizzato il dato di fatto, o se vogliamo la contemplazione, di come realmente, e disillusivamente rispetto alle bibbie e alle Commedie, precedenti, funzionino il giorno e la notte qui sulla nostra scalcinata terra e (come al solito) ci siamo fermati li'. 

Beata ignoranza, nel possibile e mai intrapreso cammino, non cristiano, della scienza, nel messaggio copernicano originale, eravamo noi, che avremmo dovuto, tramontare.

Kant, ci dicono nella filosofia nozionistica che si studia a scuola, che abbia compiuto un "rivoluzione" simile. A quella di Copernico. Dalla centralita' dell'oggetto, a quella del soggetto, di conoscenza. E ne derivava una, per i suoi tempi innovativa, legge morale: agisci in modo che ogni tua massima.... eccetera eccetera.

Non a caso, Deleuze assimilava Nietzsche, a Kant.

I postmoderni francesi, che non ti piacciono.

Stiamo sempre li': Nietzsche, e Kant, sembrano contraddirsi:

Kant: "agisci in modo tale che quello che fai, possa valere come legge vincolante per tutti, per tutti gli altri esseri razionali, che si venissero a trovare nella tua medesima situazione, in cui tu, ora, agisci". Cosi' facendo, non avrai altro premio, che quello di aver testimoniato la liberta', cioe' la conduzione razionale, su questa terra, della tua volonta'. La sua morale e' l'universale, soggettivo.

Nietzsche: "Agisci in modo tale che quello che fai possa valere come legge vincolante manco per niente per tutti (Nietzsche se ne fregava, di queste cose) ma per te stesso nel tuo dover rivivere all'infinito..." Anche a prescindere un momento dagli altri, e dal loro inattingibile vissuto, Sei tu stesso, che ti verrai a trovare, molteplicemente, nella medesima situazione, in cui ora, agisci. L'universale, oggettuale e oggettivo.

Ma si riconciliano per il fatto di amare la molteplicita' in noi, la costellazione. La natura, per l'uno, la cultura, la societa', per l'altro. Tutte realta' che non fanno uno. Che non valorizzano l'effimero. Che trascendono l'individuo nei molti.

Cosa altro mai si potrebbe amare? Il tempo puo' passare, solo perche' e' infinito, cioe' autocontenuto, fin dentro le sue parti, sovrabbondantemente. E cosi' pure, e con esso, l'uomo. Che deve passare nel suo considerarsi unico, sottratto, dai suoi soccorritori metafisici, alla stretta della Necessita'.

Questo attimo non potrebbe mai passare, se fosse solo passato (cioe' cristallizzato, teoretico e inattingibile alla volonta') se fosse solo presente (eterno, sensoriale ed arbitrariamente esteso) o se fosse solo futuro (attendistico, inoggettuale e messianico). Il fatto che questo attimo sia gia', triplicemente, passato, e presente, e futuro; il fatto dunque, che esso, questo attimo, non sia solo un punto su una singola circonferenza, potenzialmente passibile di ritorno per chi, distrattamente, la percorresse, ma sia gia' presente, gia' proiettato (a cadenzati intervalli) su piu' circonferenze, di piu' cicli eonici temporali, e' condizione, del suo comporsi in figura discreta con altri attimi, e, quindi, del suo passare.
Questo attimo passa perche' vi confluiscono i tre aspetti del tempo. E' in gioco la "salvezza" del divenire, non quella dell'essere. Non devi temere la morte, ma devi temere quello che e' peggio, della morte. Non devi temere la perdita, ma l'infelicita' e la frustrazione. Proprio come gli animiali, che hanno tento da insegnarci.

Poi, se vuoi farmi dire che ho detto che siamo immortali...

Non c'e' un demone del male. C'e' solo una priorita' del positivo e del differente, per cui, chi davanti ad essa e' solo un oppositore, o solo un imitatore, e' un immeritevole di ritornare, diciamo pure un malvagio. Non ti puoi opporre, all'eterno ritorno, e non puoi nemmeno esaurirlo in un autoscimmiottarti. Gli opposti, fanno uno. I differenti, fanno coppia, o gruppo, in un contesto piu' ampio, nel numero, o nell'almeno tre. Molteplicita' irriducibile. Costellazione. Che vedra' l'uomo divenire. Amabile come mezzo, come tramite. E non "fine", in tutti i sensi, del mondo.


Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

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