Implosioni, modello standard e cuore intellettuale

Aperto da green demetr, 18 Novembre 2020, 21:23:25 PM

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green demetr

La demenza del mondo intellettuale non si è più fermata, dagli anni 60 in poi è stato un delirio di nulla, un girare intorno all'impossibilità di prendere potere.
Oggi la teoria standard consiste nella monetizzazione delle prassi, la circolazione è possibile solo al costo, di una demenza infine resa legge.
Dunque ogni prassi se presa nel suo senso generale, ossia intesa come teoria semiotica, di eventi che segnano qualcosa all'interno del senso del semantica e del segno tout court, è considerevolmente un esercizio di nulla. Una mortificazione, se non  proprio un mandare a morire gli altri.
Esatto come Heidegger in ouverture alla sua critica della scienza, rimarcava, che se uno ingegnere non capisce nulla di virologia, è ok, ma se un ingegnere o un virologo non capisce niente della filosofia, allora è il disastro in atto.
Perchè in ballo è proprio il generale. E il generale DEVE essere alla portata di tutti.
Come sappiamo questo non solo si è rivelato utopia, ma anche sappiamo che lo stesso Heidegger proponeva una politica che rimaneva mille passi indietro alla sua metafisica.
Certamente si tratta di agire, e di reagire, ma nel contempo si tratta semplicemente di prendere atto di un tramonto, ossia di una contemplazione di un disfacimento.
Il tramonto essenziale, di un intera generazione presa dai suoi fantasmi, e mai capace di essere veramente presente a se stessa, ha prodotto non solo l'infamia della filosofia analitica, e dei suoi alleati (scienza e company), ma anche e a maggior ragione con ancora maggior infamia ha prodotto una incapacità, un ibernamento e infine la dimenticanza di cosa sia "generale".
Uno stato di demenza insomma. ::)

Qualcuno come il mio adorato Zizek (ok imperdonabile il suo ammutinamento recente a livello politico, ma insomma, si sapeva che prima o poi la sua malattia avrebbe prevalso) si è persino divertito a sostenere che in fin dei conti oggi l'unico a potersi ribellare è proprio l'idiota.
Ossia una figura non proprio demente, e nemmeno propriamente normale (ossia plasmato dai media, inteso in senso lato, il più ampio possibile, in fin dei conti è una teoria politica) di certo non intelligente.

Oggi essere intelligenti non solo è un  disvalore, addirittura presto, molto presto, una colpa, ma è proprio l'impedimento  maggiore ad un ritorno alla comprensione della generalità.

Si dovrebbe poi tornare a riparlare delle cose su cui la filosofia si è arenata.

Certo la questione del soggetto e dell'io. (ormai è un decennio che ci provo, ma vedo che anche i nuovi utenti che si iscrivono, parlano in maniera ancora assai imprecisa, i vecchi utenti invece sono le solite volpi che MAI affrontano di petto il problema).

Ossia del fatto che il soggetto e l'io, NON sono la stessa cosa.

Mi fanno tanta tenerezza quelle forze politiche (forze? non scherziamo) che ovviamente come una necessità di sopravvivenza del vecchio spirito cristiano si stanno piegando a destra.
Hanno proprio perso di vista il grande scenario.
Sul serio il problema è il punto di vista individuale? Ma daiiii.

Ed è proprio per via di una incredibile sottovalutazione del cuore pulsante delle premesse per poter accedere al  discorso filosofico che siamo a questo punto. Ciò che sembra lontano è invece proprio l'imminente urgenza del vivere quotidiano. (Oddio che parole obsolete, rispetto a quello che sta per succedere).

E comunque sia non cambia di una virgola:
IL cuore pulsante della filosofia è sul soggetto.

Parlare come mi è parso di vedere di Io, di sé, come se fossero intercambiabili, tra l'altro, per poterne discutere a livello scientifico (tra l'altro), mi dà l'idea di un profondo deragliamento di questo forum.

Amici cari è ora di chiarirsi, se no ogni dialogo è morto.

(oddio in realtà è già morto, prendetelo come una provocazione, chissà qualcuno risponda  ;)).

PS paul help me!  ;)
Vai avanti tu che mi vien da ridere

Jacopus

Beh Green, ti risponde una delle "solite volpi".Metti sul tappeto un tema enorme. Individuo, soggetto, io, sé, si declinano in mille maniere diverse a seconda delle discipline "social" prescelte.
Per risponderti, invece di fare un ripasso veloce fra qualche testo, ho provato a stendermi sul letto, per concentrarmi ( e ti ringrazio per avermi dato l'estro per provare questo esercizio filosofico).
Il responso è il seguente.
Il soggetto è esautorato dalla tecnica, in quanto a funzionamento, ma non in quanto ad ideale, che deve essere conservato per motivi politici.
La conseguenza è la sopravvivenza solo in effigie dell'eroe romantico, che ha il suo prototipo in Ulisse, perché il cavallo di Troia ora può essere sviluppato ciberneticamente. L'eroe romantico in effigie pratica ancora il culto dell'individualismo senza averne più la competenza e senza neppure avere l'umiltà di tornare al pensiero "romanico", cioè quello simbolizzato dai soggetti umani tutti dipinti allo stesso modo (andare a Ravenna per un test sul campo).
La riproducibilità tecnica dell'opera d'arte fa inoltre illudere che tutti possano diventare eroi senza sforzo.
Per questi motivi, l'occidente è in decadenza e il futuro sembra sempre più un futuro orientale, dove almeno si mantiene l'umiltà generica a rappresentarsi in modo romanico.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

green demetr

#2
O una risposta immediata! Grazie Jacopus!


Sperando che il grande gelo che mi è entrato nel cranio (tipo spleen di Baudelaire) mi riporti anche nei prossimi giorni a scrivere, ne aprofitto subito per aggiungere qualche considerazione.

Si caro Jacopus, è molto ben pensato, il divano ha portato consiglio  ;) .

Il soggetto, che è sempre una costruzione, ha bisogno di sussistere come elemento politico, proprio perchè quella attuale è una crisi politica.
Dunque tu avvii uno spunto interessante.
Sul lato microchip, la raccolta dati, è solo una narrazione per l'esercizio del potere politico.
Tu invece la vedi come una possibilità ontologica.
Ossia che il soggetto è costruito dai microchip.
Ma questo contraddice quello che il divano molto amichevolmente ti ha suggerito e tu con una bellissima intuizione, che apprezzo, e faccio mia immediatamente, hai seguito poco prima.

Il problema del BIG DATA è in circolazione da un bel pò, con la differenza che il problema degli analitici era come fare, e non farne una critica.

Ossia correggo io, come creare una narrazione da dare ai piedi ben leccati delle varie governance mondialiste. Come diceva il buon CB, ma a questa gente vogliamo dare un panino  o no? (leggi Floridi e tutta le nuove scienze del informazione dell'informatizzazione, una parola che mi fa sanguinare le orecchie).

Ovviamente le scienze dell'IT non hanno bisogno dell'aiuto di questi fattorini dell'informazione universitaria. (bastano i TG).

No è corretto lo spunto iniziale, e vale anche per le automatizzazioni varie.
Il soggetto è creato.


Ecco la tua resa è abbastanza veloce, quando parli dell'eroe romano (forse intendevi dire romantico, mi suona meglio), chiaramente obsoleto, e facilmente replicabile come hai ben detto. Purtroppo sulle faccende dell'estetica sono completamente estraneo, ma mi pare di aver capito.

Comunque è appunto vero, il romantico, nel senso proprio negativo del termine, ossia il sognatore è idillicamente preso dalla sua immagine è bypassato dal suo comportamento reso legale dall'accesso ai BIG DATA, spostamenti, credenze, livello di resistenza al potere etc...
tutte cose algebricamente determinate, e quindi con un  periodo iniziale di raccolta con risultati molto discostanti.
Ma nondimeno reso possibile dallo statuto del soggetto eroico sognante.

Sarebbe necessaria una disanima psicologica del caso. Cosa per me molto interessante, ci sto lavorando, con molta noia, e scarso progresso.

Rimane il dato finale incotrovertibile per lo status quo (dove siamo noi oggi).
Il soggetto è ampiamente oltrepassabile, e assolutamente manipolabile.

Ti chiedo solo di ricordarti di non spostare questa malleabilità nostra, mia tua e di tutti, sul lato ontologico. E' un errore che ho già ascoltato in alcuni intellettuali, chiaramente smaliziati, ma subito in grave errore.

Se il soggetto è una narrazione cosa è l'io e il sè?

E sopratutto riesci o riuscite a spiegarmi il nesso della narrazione politica, che va subito a spasso con l'errore fondamentale?
Ossia che il soggetto viene chiamato io. E dunque politicamente il problema è di monopolizzare, ossia rendere ideologico, quello che dicono essere NON IL SOGGETTO (cosa che dovrebbe essere, per una futura politica non idiota) bensì l'individuo.

La rincorsa all'armamentario possente della psichiatria rischia di fortificare questa credenza.
Il soggetto in difficoltà (ossia l'inautentico heideggeriano) diventa l'individuo in difficoltà.

C'è uno spostamento sottile, che vorrei spiegarvi.

L'individuo è ancora quella scorza rimasta del pensiero cristiano, è rappresentato al meglio nell'idea di persona.
La persona sarebbe dovuta essere nelle utopie cristiane (rosmini su tutti) il modello dell'intero edificio cattolico.

Che questo mondo, quello occidentale, sia cristiano, è ben rappresentato dalla parola chiave che sta emergendo in tutti i paesi, dall'europa, all'america, fino all'america latina e l'africa.
Il mondo orientale invece NON SA.
Ossia dalla parola dignità.

La dignità è della persona. E la persona è l'erede del soggetto patriarcale del diritto romano.
E' fondamentalmente una figura del diritto.
Che non può funzionare senza la vera parola chiave la (pretesa) libertà che ne sostiene le fondamenta.

Dunque la libertà è una figura del diritto.
Capiamo subito in quale pantano culturale siamo finiti.
La libertà non è una figura del diritto, è una figura dell'essere umano.
Questa volta sì ontologica.(certo voglio vivere, ma posso decidere anche di morire).


C'è di più se la base è diritto (naturale)--libertà (hijacked)---dignità----persona (hijacked)---soggetto---individuo (hijacked).

Il rischio delle continue mimesi o delle infinite metamorfosi del significante, rischia di fare perdere di vista completamente, l'errore iniziale.

Scambiare l'inidividuo per il soggetto...è proprio questo l'errore ontologico PALESE.

Ora possiamo anche con molta fatica andare avanti, e far finta di niente, di questo errore lapalissiano.
Ecco che tutto torna.
La lotta politica è quella per l'individuo, che in realtà è la lotta per la persona che in realtà è la lotta per libertà che in realtà è la lotta per IL POTERE!!!!
La politica è completamente fuori traccia.


Infatti questo completo fraintendimento cosa porta se non che all'evidenza di base, ossia che il potere che ti soverchia deve essere a sua volta soverchiato.

Non si va da nessuna parte, perchè la narrazione sarà la medesima.

Il soggetto inautentico perdurerà fino al colasso. Necessiterà di una intera catena medica per mantenerlo in vita, esattamente come nella distopia di MATRIX, che coglie nella sua ambientazione piuttosto che nella storia new age, il suo fulcro più inquietante.
Perchè ci porta sui territori che l'analisi freudiana chiama quella dell'estraniamento.
Ossia non essere più a casa propria pur essendo a casa proprio.
Ossia e qui vi do ulteriori spunti di riflessioni per finalmente cominciare a capire qualcosa.
In fin dei conti Jacopus da brava volpe, ha risposto solo sul soggetto, e non sull'io, e sul sè.
Forse che il soggetto inautentico, è inautentico proprio perchè la narrazione non è quella dell'io?
Ma allora se noi non siamo il soggetto che pure crediamo di essere in quanto PERSONE.
Ma allora cosa diavolo è l'io?


Eh eh meditate gente, meditate!
Vai avanti tu che mi vien da ridere

paul11

#3



ciao Green
Il relativismo cultural filosofico ha accettato ormai la secolare battaglia fra metafisica e scienze, come vittoria della tecnica sulla metafisica. Questo è il punto essenziale.
Questa cultura ritene che vero sia un concetto relazionato ad un fenomeno QUANTITATIVO e quindi calcolabile, e quindi visibile e sperimentabile. In questa cultura un sillogismo, un' inferenza, ha senso compiuto solo se almeno una parte degli argomenti che formano le proposizioni linguistiche riguardano enti, cose, fenomeni materici e quindi calcolabili quantitativamente.
Siamo ancora al cartesianesimo meccanicistico, ma non più metafisico.
Le scienze attuali, soprattutto fisiche lavorano e teorizzano in modo superiore di questa cultura relativista che rifiuta aprioristicamente la metafisica, che rimane come concetto deduttivo non necessariamente dentro il dominio materico, fisico calcolabile.
Quindi questa cultura ha difficoltà anche nell'analitica angloamericana(che ha il potere reale globale a tutt'oggi) a discutere di verità qualitative e non calcolabili.
Si potrebbe dire che ,preso come modello Cartesio con il suo metodo del dubbio e con il "cogito ergo sum" quasi scettico , la suddivisione fra res extensa, cioè tutto ciò che ha grandezze spaziali e misurabili matematicamente, e la res cogitans, cioè il mentale, Dio, il trascendentale, hanno tenuto la  materia e buttata via la mente, coscienza, trascendenza.
L'IO diventa il punto originario delle varie analitiche, da Cartesio al "io penso" di Kant, allo psicologismo fenomenologico di Husserl, tanto da esaltare la psicologia come forma parallela al metabolismo del corpo materiale, pulsioni psichiche ,simili a stimoli metabolici.


Se l'io diventa l'origine investigativa della conoscenza e la matematica la base della calcolabilità della conoscenza è ovvio l'appiattimento d'indagine filosofica sulla struttura linguistica relazionale.


La frammentazione fra soggetto, io, sé, è tipico di una cultura che non fa altro che prolificare particolarismi senza poter mai  fare sintesi strutturale: queste sono piccole filosofie. Che la scienza domini è quindi direttamente proporzionale alla pochezza del pensiero filosofico , perché l'indagine scientifica sulla res exensa di Cartesio è proprio della scienza che ovviamente la fa meglio della filosofia. Un astrofisico, un microbiologo molecolare hanno conoscenze particolaristiche che in un filosofo non può avere e  si riduce ad un metodo soggettivistico , quell' "io" ci racconta di un mondo che in realtà non esiste se non c'è un soggetto che lo interpreti .


Il soggetto è uno stereotipo formale, l'Io diventa esaltazione edonistica e individualistica, il Sè scompare nell'oblio della coscienza.

Se decido ,all'inverso della strutturazione metafisica, che l'io sia origine conoscitiva, diventa difficile se non impossibile costruire strutture accettate universalmente, Quindi anche le filosofie diventano disarticolate, particolari, e soggettiviste.
Cartesio scrisse che l'etica sarebbe dovuta emergere dopo la conoscenza matematicizzata, e che intanto fra il nero e il bianco fosse meglio sceglier il grigio......sic.
E' ovvio che nessuna morale può reggere originandosi da un IO , si originano infiniti punti di vista personali, dove tutti hanno ragione e ognuno interpreta il mondo come vuole.
Questo è stato spacciato per libertà , ma non bisogna essere geni per capire che apre a frammentazioni sociali, a individualismi e soggettivismi , dove ognuno è libero di interpretare intellettualmente la realtà, ma è coatto nella struttura socio economica impositiva e sanzionatoria.
Lo Stato non regge più su morali, ma sul monopolio della violenza e sulla sanzione.
Lo stato dell'anima ,diventa stato di coscienza ,e infine relazione pulsionale fra inconscio e super-io .
E  Woody Allen piglia per i fondelli la psicologia. Un mistico è un pazzo per loro .

L'idiota si ribella perché è privo di senno. E' inutile ribellarsi oggi, non ci sono le condizioni.....

green demetr

Ciao Paul


Grazie per l'intervento sempre molto puntuale.


Certamente il relativismo culturale è uno dei nodi su cui il pettine della razionalità si blocca.
Qua il punto non è tanto fare l'ennesima disanima della situazione contemporanea, ne sono state fatte a centinaia.
Come ho già detto, da bravo metafisico, si tratta di osservare la caduta, l'implosione.
Di ribellione parla Zizek, in quanto comunista, uno dei pochi che resiste, ma che è caduto in depressione, credo nel momento stesso in cui si è schierato col potere.
Ovviamente la ribellione è impossibile. Per chi non ne avesse idea, si tratta della teoria dei MEME, oggi argomento attuale, è stato riportato dalla Filosofia Americana, come "archeologia dei media". In realtà, non vi sto qui a spiegare perchè lo so, si tratta di tecniche militari, già pienamente formate negli anni 90. Giustamente però qualche italiano si lamenta in quanto questo ambito dei Cultural Studies era già stato indagato da alcuni italiani già in anni precedenti. Scusate non ho approfondito. Se volete poi trovo il video con cui si dà la bibliografia. Consistente in un solo libro, a dire il vero.

Credo che i più giovani sappiano cosa sono gli influencer d'altronde.

No Paul, ovviamente non era quello il punto, anche se ho aperto una parentesi spero interessante.

Il punto è invece il cuore intellettuale.

Certamente il nocciolo della questione è quella identitaria. Ma un filosofo che si pieghi su un simile discorso, sta facendo un errore gravissimo.

Se non torniamo, proprio razionalmente a capire la costruzione del soggetto, e della sua relazione con l'io, io intenzionale, come giustamente Husserl intese (ma così in realtà già lo vedeva Kant, quando parlava di uomo etico), staremo all'infinito a parlare di niente.

No il filosofo deve muovere il culo e riprendere a far funzionare il cerebro (ovviamente se già non lo ha venduto, al macellaio).

Qua si tratta nemmeno di riprendere un discorso politico, qua si tratta di fare filosofia.
Solo un io intenzionale, e quindi a contatto con la propria etica, ossia con l'etica universale, che poi si riallaccia alle religioni ovviamente.

E' inutile parlare di etica, senza capire cosa muove l'io, senza capire che l'io PUO' determinare il soggetto.
E' solo allora che io posso essere VERAMENTE io, e non inautenticamente.

Bisogna essere precisi, chiari. O l'umanità eone dopo eone rimarrà preda dei cicli cosmici dell'oscurità. E certo questo è un discorso religioso.
Non è necessario arrivare qui, non è il compito della filosofia.
La filosofia ha il dovere di indicare la trascendenza, e lo deve fare nella maniera più chiara e precisa.

Il fatto che oggi la trascendenza non sia presa in considerazione, non può essere demandato ad un fatto culturale e scientifico (sebbene politicamente i nemici sono quelli) bensì alla coscienza di ciascuno.

In questo decennio ho sempre parlato dell'importanza del discorso sul comunitarismo, e penso che lo sia ancora il punto focale.

Ma questo punto focale, può essere raggiunto tramite una completa e spassionata disanima, ossia proprio razionalmente, raggiungendo di nuovo il punto di vista filsofico, il cuore intellettuale, l'intuizione a cui la ragione è solo ancella.

Concetto come intellezione legato ad intuizione, oggi è scomparso dai radar di una i3 generazioni di intellettuali.

Quanto è grave? Sarebbe gravissimo, se non fosse che tramite i libri abbiamo ancora tutto il pensiero che conta dall'800 in giù fino ai greci e oltre fino ai giudei e oltre.

Ma questo si può fare solo tramite una emendazione dell'intelletto. (caro buon Spinoza).

E in un dialogo. E purtroppo questo segmento, nella mia vita è sempre mancato.

Troppo solitario per poter veramente studiare. Anche in tempi di fine del mondo.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

bobmax

Ciao Green,

la solitudine a volte è necessaria, ma poi bisogna tornare nel mondo.
Nessuno dei due è però la nostra casa.

La solitudine assoluta è l'orrore dell'abisso senza fondo. Che si può avvertire in qualsiasi momento.
E prescinde dall'essere soli o in compagnia. Perché comunque non c'è nessuno...

Tuttavia in quel orrore si nasconde forse proprio ciò che cerchiamo.

Perché vi è soltanto il figlio unigenito e sei tu.

L'altro è il mondo, ma è nessuno, è nulla, è... Dio.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

paul11

Citazione di: green demetr il 19 Novembre 2020, 18:13:28 PM
.
Solo un io intenzionale, e quindi a contatto con la propria etica, ossia con l'etica universale, che poi si riallaccia alle religioni ovviamente.

E' inutile parlare di etica, senza capire cosa muove l'io, senza capire che l'io PUO' determinare il soggetto.
E' solo allora che io posso essere VERAMENTE io, e non inautenticamente.

Bisogna essere precisi, chiari. O l'umanità eone dopo eone rimarrà preda dei cicli cosmici dell'oscurità. E certo questo è un discorso religioso.
Non è necessario arrivare qui, non è il compito della filosofia.
La filosofia ha il dovere di indicare la trascendenza, e lo deve fare nella maniera più chiara e precisa.



La coscienza intenzionale, il rapporto fra logica formale e logica trascendentale sono tipiche della fenomenologia di Husserl , maestro di Heidegger.


Conosco qualcosa, ma non così approfonditamente da averne un pensiero critico.


green demetr

in risposta a  BOB MAX  ma per tutti come al solito


Ciao scusate il ritardo, non riuscivo a postare, ora sembra il problema risolto.

La solitudine come luogo dell'abitazione del terrore (l'orrore è invece legato alla sessualità): la domanda che ti/mi poni è degna di attenzione particolare.
Perché bisogna sempre ricostruire, il luogo da cui si dipana quella solitudine.
Quel luogo siamo noi, in quanto soggetto.
Ossia io che abitano il mondo.
Quindi siamo d'accordo nel dire, che sia la solitudine che il mondo non siamo "noi".
La breve sollecitazione del tema dell'esser soli seppure in compagnia, io l'ho risolto 20 anni fa con questa considerazione: si è soli perché si fa da spettatori della vita.
Ma la vita và vissuta. Nessuna filosofia ha mai contemplato questo dato di fatto (tranne ovviamente il Maestro e qualche intellettuale rissaiolo di destra).
E' quando viviamo che entriamo in contatto con l'altro, ossia con il nostro prossimo.
Altrimenti è il mausoleo, il museo, lo spettatore, tutti temi della solitudine come dissociazione dalla vita, dal vitale.
Questo non risolve niente in prospettiva comunitaria, perché l'altro è sempre portatore dell'Altro, ossia di DIO.
In quanto desiderio dell'altro, "come se" fosse il custode dell'Altro.
Basterebbe pensare all'amore per la donna/uomo che sia, che travalica, l'esser donna o uomo, dell'oggetto del desiderio nostro.
Come direbbe il traditore Galimberti, quando si ama non si è mai convinti di essere "come tutti gli altri".
Altro tema ancora che hai sfiorato, ma altrettanto degno di considerazione, è il tema della solitudine come luogo del Dio.
Certamente questo richiama alla mia mente subito l'intera tradizione cristiana d'oriente. Il monachesimo che si affaccia dalle splendide pagine dell'antologia curata a suo tempo della Cristina Campo (superba scrittrice, e mediocre filosofo) è quello di una fuga dal Mondo, e quindi dall'altro, soprattutto se donna.
Una chiara distorsione del Mondo, un arte completamente devota a se stessa, una vicinanza al mondo Indiano dell'astinenza, e del disprezzo del mondo, e soprattutto del soggetto in vista dello sforzo finale ossia l'immolazione dell'io al Dio (cosa che io non credo possibile in alcuna maniera).
Non è mai stato, né mai sarà la mia strada, seppure qualcosa di questo delirio, soprattutto nelle pagine narrative (e quindi comunque supportato dalla narrativa) emerga nel suo splendore mistico (e quindi seduttivo, come nelle migliori pagine delle religioni, laddove seduttivo non lo intendo minimamente nel regno dell'orrore, bensì in quello della Gloria, ossia le mille strade che conducono a DIO, in quanto ognuno ha la sua strada, vedere anche i racconti di Kafka).

Vai avanti tu che mi vien da ridere

green demetr

#8
Citazione di: paul11 il 20 Novembre 2020, 23:20:34 PM
Citazione di: green demetr il 19 Novembre 2020, 18:13:28 PM
.
Solo un io intenzionale, e quindi a contatto con la propria etica, ossia con l'etica universale, che poi si riallaccia alle religioni ovviamente.

E' inutile parlare di etica, senza capire cosa muove l'io, senza capire che l'io PUO' determinare il soggetto.
E' solo allora che io posso essere VERAMENTE io, e non inautenticamente.

Bisogna essere precisi, chiari. O l'umanità eone dopo eone rimarrà preda dei cicli cosmici dell'oscurità. E certo questo è un discorso religioso.
Non è necessario arrivare qui, non è il compito della filosofia.
La filosofia ha il dovere di indicare la trascendenza, e lo deve fare nella maniera più chiara e precisa.



La coscienza intenzionale, il rapporto fra logica formale e logica trascendentale sono tipiche della fenomenologia di Husserl , maestro di Heidegger.


Conosco qualcosa, ma non così approfonditamente da averne un pensiero critico.

Husserl perché Sini o Cacciari o infiniti altri dicono sia il filosofo più importante del novecento.

Sinceramente no, Husserl fa errori a ogni piè sospinto.

In effetti usando le tue parole, condivido naturalmente l'analisi trascendentale, in quanto logica, ossia in quanto logos. Ovvero l'esempio celebre quando vedo una porta che sta per sbattere per via di una corrente d'aria, io già sò che non è la porta ma lo sbattere quello che traumatizza il mio essere.
Dunque la porta è la trascendenza dello sbattere, come trauma.
Qualcosa che già abita la mia esistenza, prima ancora che la porta potesse mettere in atto il suo potenziale ricorrente.

Ma non accetto assolutamente la sua logica formale, in quanto l'intenzione è sempre del soggetto, mentre per Husserl, è anche della porta.
Cioè la porta ha intenzione di sbattere (per rimanere nell'esempio)...
O meglio la porta ha intenzione di diventare porta già in quanto legno, ferro etc...
Come dire che in potenza l'atto che ne consegue, è un atto intenzionale di ogni forma vivente e non.
Il che per me è delirio.

Dio non abita nella porta, Dio abita in noi.
Non a caso Heidegger, parte certo dall'analisi trascendentale, ossia come intenzione in atto.
Ma poi chiude la porta in faccia ad Husserl, quando ritiene che quella intenzione sia il DESTINO. Ossia destino del Mondo, ossia intenzionalità dell'atto in potenza che DIO si fa in quanto uomo, o meglio umanità, popolo, religione.

Ecco un brave apologia del vero dominatore del novecento:
Heidegger è infinitamente superiore a Husserl, che solo a fine vita capisce che la scienza è il nemico. (non in quanto scienza, ma in quanto politica, ossia in quanto destino, lasciamo perdere il suo infatuamento politico, tra l'altro durato poco, per il nazismo, non ha mai chiesto scusa, per onestà intellettuale, al destino non ci si può sottrarre, lo vediamo come invece i traditori diventino ormai esercito, legione....).
Troppo perso insomma nell'analisi infinita delle serie degli oggetti (Peirce, Hegel), perchè io riesca mai a leggerlo.
Ma mi fido dei maestri che ho detto sopra (che non hanno ancora tradito, tra l'altro, e a cui rivolgo i complimenti) forse un giono riuscirò.



Ps


Vedo che hai quotato anche "eone dopo eone", quello non è Husserl, è ovviamento il vangelo di FILIPPO testo MAGNIFICO che è piombato come un meteorite accanto a quello di GIOVANNI.
OH se potessi tornare a leggere come a 15 anni....non riescoooo. ciao bestie.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

bobmax

Ciao Green Demetr

Anch'io non credo possibile alcun auto annichilimento dell'io in Dio.
Perché anche se questa fosse la mia effettiva volontà, sarebbe comunque volontà dell'io. E perciò in sostanza non sarebbe che la suprema estrema conferma dell'io stesso.

Ma vi è un motivo ancor più profondo.
Vi è in questo sforzo per immolarsi dell'io una implicita insuperabile contraddizione. Una contraddizione alimentata forse da un'impalpabile ma pervicace ipocrisia.
Perché questo sforzo vorrebbe confermare una verità che non necessita di alcuna conferma, perché eterna.
Una verità che è origine di quello stesso sforzo.
Un voler diventare ciò che si è già.

Sono convinto però che l'annichilimento dell'io possa comunque avvenire, seppur non come atto di volontà.
Piuttosto come riconoscimento.

Ma non si può fare nulla perché avvenga.
Solo avvertirne il possibile preludio.

E qui può scaturire l'orrore dell'abisso del Nulla.
Ma pure essere colti dalla Compassione.

Dio ama se stesso.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

davintro

Green demetr scrive


Ma non accetto assolutamente la sua logica formale, in quanto l'intenzione è sempre del soggetto, mentre per Husserl, è anche della porta.[/size]Cioè la porta ha intenzione di sbattere (per rimanere nell'esempio)...O meglio la porta ha intenzione di diventare porta già in quanto legno, ferro etc...Come dire che in potenza l'atto che ne consegue, è un atto intenzionale di ogni forma vivente e non.Il che per me è delirio.






Quando si parla di intenzionalità che proviene dall'oggetto in direzione del soggetto in Husserl non la si dovrebbe intendere come un attribuire all'oggetto una "intenzione" nel senso di come la si intende riferita al soggetto, intenzione personale, volontà, coscienza, come a cadere in una sorta di animismo dove gli oggetti pensano e comunicano con noi come fossero persone (un'operazione del genere è possibile solo nel caso dell'empatia, nel quale ciò che si empatizza, l'
"oggetto" di apprensione empatica, è però colto come, a sua volta, soggetto, alter ego, dotato di una propria vita interiore che nell'empatia si manifesta in espressioni corporee). L'intenzionalità proveniente dall'oggetto, per come l'ho capita, rientra nella questione della sintesi passiva, in ogni momento della percezione di un oggetto, questo può disvelare lati che modificano l'attribuzione di senso a quell'oggetto da parte della coscienza soggettiva, andando a modificare gli schemi entro cui questa coscienza percepisce e da significato ai contenuti della sua esperienza. Se vedo una figura umana da lontano e percepissi inizialmente un essere umano, ma quando mi avvicino scopro che era un pupazzo, è evidente che a me come soggetto resta il monopolio dell'intenzionalità intesa come libera volontà personale di esplorare e conoscere l'oggetto esterno, ma quest'ultimo ha una sua "intenzionalità", nel senso di comprendere dei lati inizialmente nascosti alla coscienza esperiente, che, quando disvelati, incidono sullo schema percepiente, non allargando in senso quantitativo la conoscenza soggettiva, ma modificandola qualitativamente, operando una sostituzione semantica riguardo l'intuizione della natura dell'oggetto. E una volta che la figura apparentemente umana si è rivelata un pupazzo, la coscienza tratterrà nella memoria il ricordo dell'esperienza vissuta, associando quella figura umana come segno rivelativo non solo di un uomo ma anche di un pupazzo, ridefinendo gli schemi percettivi in funzioni di future esperienze, il soggetto si è dunque trasformato sulla base della ricezione dell'influenza che l'oggetto ha prodotto, per quanto non in virtù di un'intenzionalità personale (volontà e ragione). Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, questa concezione della relazione soggetto-oggetto, in cui l'influenza è reciproca e biunivoca, è quella che riesce a render ragione della "creatività" del soggettività cosciente come portatrice di significato del mondo, costantemente responsabile delle conferme e degli errori in cui incappa nella ricerca della verità. Mentre nell'ottica kantiana l'oggetto appare essere mero materiale della sensazione che progressivamente riempie gli schemi vuoti delle categorie formali dell'Io, e la percezione sembra finire (mi corregga pure chi Kant lo conosce molto meglio di me...) a condividere la natura meramente passiva della sensazione, nella sintesi passiva fenomenologica, in ogni momento, fin dal primo istante di esperienza del mondo, la percezione soggettiva dell'oggetto avanza una sua pretesa, un intuizione semantica in cui il lato dell'oggetto attualmente colto dai miei sensi è compreso in un'unità comprendente anche i lati nascosti o in ombra:  c'è sempre un attivo rivolgersi del soggetto verso un'interpretazione dell'oggetto che dice di più di ciò che l'esperienza dell'oggetto nella sua fisicità esteriore sembrerebbe dirmi, non sono una tabula rasa che si forma progressivamente sotto il bombardamento delle affezioni sensibili che subisco (concezione empirista che ancora condiziona in parte Kant), ma soggetto libero che in ogni momento sa andare oltre la visione dell'oggetto per come mi si offre nella sua apprensione immediata, e che attende una risposta di conferma e smentita da parte dell'oggetto nella scoperta dei lati inizialmente nascosti. Non si da mai, se non per astrazione analitica, un momento di pura neutralità percettiva in cui ci si limita a incamerare sensazioni riferite all'oggetto senza che i lati attualmente sentiti siano intesi come parti di una forma reale che li unifica con quelli nascosti, e questa forma è il senso che le esperienze successive possono confermare o smentire. Perché si parli di conferma o smentita è necessaria che sia già in atto una posizione che si confermerebbe o smentirebbe, cioè un'intenzionalità soggettiva, propriamente egologica e coscienziale. La scoperta di aver di fronte un pupazzo anziché un uomo è resa possibile dal fatto che inizialmente avevo associato la figura apparentemente umana a quella di un uomo in carne e ossa. Insomma l'intenzionalità "dall'oggetto al soggetto" è ciò che rende possibile anche quella che procede in direzione opposta e che costituisce l'aspetto di libertà e attività del soggetto, che all'oggetto si rapporta non come il vaso vuoto che si riempie d'acqua ma in una sorta d'interazione "dialogica" (le virgolette sono decisive), in cui una tesi di partenza viene messa alla prova del confronto col reale.

Ma forse ho deviato troppo dal topic...

green demetr

Citazione di: bobmax il 02 Dicembre 2020, 16:59:37 PM
Ciao Green Demetr

Anch'io non credo possibile alcun auto annichilimento dell'io in Dio.
Perché anche se questa fosse la mia effettiva volontà, sarebbe comunque volontà dell'io. E perciò in sostanza non sarebbe che la suprema estrema conferma dell'io stesso.

Ma vi è un motivo ancor più profondo.
Vi è in questo sforzo per immolarsi dell'io una implicita insuperabile contraddizione. Una contraddizione alimentata forse da un'impalpabile ma pervicace ipocrisia.
Perché questo sforzo vorrebbe confermare una verità che non necessita di alcuna conferma, perché eterna.
Una verità che è origine di quello stesso sforzo.
Un voler diventare ciò che si è già.

Sono convinto però che l'annichilimento dell'io possa comunque avvenire, seppur non come atto di volontà.
Piuttosto come riconoscimento.

Ma non si può fare nulla perché avvenga.
Solo avvertirne il possibile preludio.

E qui può scaturire l'orrore dell'abisso del Nulla.
Ma pure essere colti dalla Compassione.

Dio ama se stesso.


Devo dire che mi trovi in un curiosa affinità elettiva.


Non riesco a capire bene la questione del nulla come minaccia all'io. Chiaramente c'è qualcosa che devi risolvere, non ho idea di cosa sia.
Probabilmente, mi arrischio, e si, nessuno me lo ha chiesto, ma lo dico proprio in termini generali, non necessariamente attinenti a quanto senti e intelligi (che mi interessa tantissimo): c'è un problema con la costruzione del mondo trascendente.
Io ho appena iniziato, in questo mappatura fantastica, che sugge la sua linfa vitale, dalla grande tradizione cabalistica.
E che spero si inveri in Dante. Sia perchè in tal modo sarebbe sorretta dal più grande poeta e se è come penso anche pensatore del mondo.
L'anima individuale è immortale, e si perde in ascesa, in quanto si riconosce materia della luce che tutto soffonde e soggiace e che arriva fino alle tenebre che sareberro il Mondo.
Questa luce è solo dimensionalmente più vicina alla nostra, in quanto le tenebre non capiscono, che esistono solo grazie alla degradazione della luce. Ma esistono gradi superiori che i grandi mistici hanno toccato.
Con mia sorpresa Il Paradiso di Dante, da oggi la mia Bibbia, inizia proprio così. (da liceale queste cose non si capiscono ovvio).

"La gloria di Colui che tutto muove
attraversa l'universo, e fa risplendere
alcune cose più di altre. Nel cielo che prende la maggior parte di luce
fui, e vidi cose che ripetere
non può, ne sa, chi da lì discende; perché avvicinandosi alla meta del suo desiderio,
il nostro intelletto sprofonda tal punto
che la memoria non può ricordare quei pensieri."


"La chiave di volta portante è "alcune cose più di altre".
Lo scopo dell'io immortale è quello di usare l'intelletto (e non la ragione) per raggiungere quel luogo maggiormente invaso di luce.
Ossia di una ascesa come ogni mistica insegna.
Non vi è traccia dunque di un nulla.
Al massimo di una dimenticanza, e qui siamo già nei pressi della psicanalisi, della psicopatologia della vita quotidiana.
Del vivere inautentico, del reminescenza Platonica.
Dante dall'alto del suo pensiero enciclopedico è capace di sintetizzarlo in pochi versi.

Spero di approfondire comunque questo tuo pensiero.

Sul tema della compassione, ancora una volta mi trovi in straordinaria affinità elettiva.

Tra l'altro queste cose io le sto scoprendo i grandi testi sacri, ma tu invece sembra quasi che ne parli come di vissuto.
Ti ammiro e stimo. Complimenti.

E' vero lo Zohar inizia proprio ricordando che il grande popolo ebraico DEVE inverare proprio la sua portante, che è la carità.

Carità, misericordia, agapè, compassione, amore...infinite sfaccettature di qualcosa che DEVE inverarsi.
Desiderio dell'io di ascendere alla sua forma più pura. Di diventare luce nei luoghi della luce.
Un superamento del dualismo, un ritorno ai luoghi della catena aurea, del mitos, dell'epos.
Tutte cose che si perdono nella traduzione e cha vanno ri-narrate, ri-dette.
Come stai facendo tu, e spero io con sempre più chiarezza andando avanti. Sempre avanti mai indietro.

Ciao caro.

Vai avanti tu che mi vien da ridere

green demetr



x DAVINTRO e chi volesse appofondire


No non hai deviato dal topic.
E' proprio a partire da questi assetti iniziali che poi si dipana la discussione critica, mi fa sempre piacere parlarne.
Te lo dico per come ragiono io.
Queste tematiche sono affrontate nel corso di filosofia teoretica alla statale tenuti da Spinicci.
Nel mio anno sabbatico lo frequentai, mio vicino di banco, era un giovane brillante, apertamente kantiano.
Abbiamo spesso parlato della cosa.
La disputa che più ci interessava era la questione delle sintesi, che per Kant come hai scritto molto bene tu, sono chiamate attive, mentre Husserl a quelle aggiunge le passive.
Il discorso del corso di quell'anno ragionava sopratutto della genesi di quelle che Husserl chiamerà sintesi passive, ossia in modo principale di Berkley, filosofo che influenzerà non solo Husserl ma le cui intuizioni adirittura lo sorpassano sino ad arrivare ad alcuni analitici americani, di cui leggendo la bibliografia di Spinicci, egli stesso si occupa.
Dunque l'obiettivo della polemica era esattamente Kant.
Il mio giovane amico ci teneva ad avere l'opinione del professore, e rimase molto deluso, nel non ricevere risposta e stima, del suo essere kantiano.
Egli muoveva dal fatto che le cosidette sintesi passive, sono già in fin dei conti, un contenuto, della libera scelta dell'individuo. Se è vero che Kant sembra disinteressato ai vari principi di indeterminazione del sapere, è anche vero, che fa del suo metodo analitico, l'unico che lo possa determinare.
In fin dei conti Husserl integra Kant, non lo sorpassa affatto.
Ma in Husserl le due sintesi sono ineludibilmente le due facce della stessa medaglia. Certamente hai ragione a richiamare l'attenzione sul fatto che l'intenzionalità dell'oggetto, è qui da intendere proprio come parte di un movimento ben superiore a quello del soggetto. Purtroppo necessiterei di maggiori informazioni su questa mappatura superiore che Husserl sembra poter avere. Purtroppo nel corso non se ne è parlato. (Come non si è parlato della mappatura del male Berkleiano, mappatura superiore alla genesi delle sintesi passive).
Ormai ci conosciamo da un pò di tempo Davintro, so che effettivamente anche tu preferisci una mappatura più precisa, più analitica, alla Spinicci appunto. Quindi tralascio completamente la questione superiore che è la metafisica. Ma non per questo un analitica ben strutturata, e sopratutto pensata, non va rigettata, anzi direi approfondita, questo per ribadire che sei nel topic, e anzi come al solito ne hai fatto una disanima sufficiente e intellegibile.
Il punto di Husserl della moneta intera, ossia sintesi della sintesi attive/passive, sarebbe probabilmente l'intenzionalità tout court, un passo avanti e qualitativamente superiore alla visione umanista di Brentano.
Ecco Spinicci è invece analiticamente improntato ad un superamento della distinzione fra sintesi attive e passive, e per una mediazione fra esse. Non so dirti se l'analitica americana che segue lui, fa questa operazione, a rigor di logica, dovrebbe essere di sì la risposta.
Io rispetto al mio giovane amico, ho una visione più radicale.
E' vero che la sintesi passiva può essere vista come l'eterno darsi dell'altro lato del cubo (berkley), oppure della stazione che abita la fine della linee ferroviarie, che paiono infinite se guardate con una prospettiva soggettiva (sempre berkley).
Ma è altrettanto vero, che sarà sempre il soggetto a vedere quella stazione, e quel lato del cubo.
Se in ballo è la questione temporale, la temporalità è proprio il soggetto.
Mentre sia Berkley che Husserl, la spazio e il tempo sono relativi.
Come dici tu, apriori, vuoti in attesa di essere occupati.
In questo senso studiammo anche Locke.
Dunque il soggetto è tale solo in quanto occupante uno spazio tempo indeterminato.
Che nel suo valore assoluto, Husserl riconosce come epochè, sospensionde di qualsiasi giudizio, come condizione sine qua non di qualsiasi gnoseologia (altro termine che so tu ami,e sposi incondizionatamente).
Solo a contatto con altri oggetti dunque il soggetto può riconoscersi come tale. E all'infinito, dunque essere egli stesso frutto della sintesi passiva, perennemente emendata dall'intelletto attivo, nel presente darsi, qui ed ora.
Io invece credo che il soggetto sia un frutto, e non una monade.
E' il punto di vista che è l'eterno emendatore, del soggetto qui ed ora. Ossia vi è una separazione tra io e soggetto.
L'introduzione alla critica della ragion pura, evidentemente, come già spiegato da Zhok, altro professore che ho seguito brevemente, è sottovalutata dalla critica ognitempo.
Kant ben lungi parte da un soggetto, egli invece (parte) proprio dalle categorie apriori dello spazio, e quindi per estensione del tempo.
Io inverto la questione è lo spazio che risulta una estensione del tempo, dell'infinito eveniente.
In Kant non esiste un eveniente, e dunque la sua fenomenologia è una metafisica speciale.
E' Hegel che scoprirà finalmente il soggetto come evento della Storia. Sebbene finisca anche lui in un titanismo della storia, che lo fa incorrere in errori banalissimi a livello politico, come un suo successore poco tempo dopo.
Il concetto di evento, su cui si inerpica la filosofia ad edera di Heidegger, è anch'esso mal compreso.
Lo spazio non può essere una categoria a sè.
Egli (spazio) è inequivocabilmente frutto del pensiero soggettivo.
Certamente lo spazio che è una intuizione in Kant, fa già parte di quella consecutio temporum, di cui tanto parla Berkley, e su cui Husserl imposta la sua personalissima metafisica.
Se io dico spazio, intendo il mio spazio.
Non intendo lo spazio delle sintesi passive.
Infatti come potrebbe un cubo disvelarsi come cubo, se non fosse nel mio spazio. Se fosse nello spazio degli infiniti auto da sè, come si comprenderebbe? Quale ruolo gnoseologico Davintro attribuiresti a questa intenzionalità delle sintesi passive?
In fin dei conti mi risulta più onesta una distinzione, cartesiana senza ombra di dubbio, fra sintesi passiva e sintesi attiva, come dualità, che un meticciato come quello proposto da Spinicci.
Che comunque negava qualsiasi dialogo. Ma questo non sorprende.
Effettivamente loro stessi, Spinicci e tanti altri prof. dicevano a mezza voce, che la filosofia si fa fuori dall'accademia.
Quello che con piacere spero Davintro continuiamo a fare qui.


Ad ulteriori approfondimenti. E grazie del contributo fondamentale.


ps.
Io so che è un uomo e non un pupuzzo solo quando decido di andare verso quell'uomo, vicino quell'uomo. E infatti amico mio! Oggi chi va più vicino all'altro? E parlo bene prima che la nevrosi si trasformasse in qualcos'altro.
Ah ah esempio perfetto. ;)
Vai avanti tu che mi vien da ridere

bobmax

Sì, caro Green, parlo di un vissuto.
Ho avuto anche questa fortuna. Essere compassione.
Così come essere amore.

Esperienze che scuotono risvegliando dal torpore. Dopo non è più come prima.
Quello che era vago e incerto interesse diventa ragione di vita.

Tuttavia, non lasciano alcuna "prova", alcun appiglio su cui contare per proseguire.
Tutto ritorna a me, a ciò che decido in perfetta solitudine.
La memoria non riporta "fatti", "verità" su cui contare. Solo che qualcosa di forse veramente importante era avvenuto. Un messaggio, che spetta però ancora a me decifrare.

Anche la percezione del Nulla è da sempre mia possibile esperienza di vita. Per risvegliarla è sufficiente tendere l'orecchio.
Orrore inesprimibile, che appena lo avverto devo fuggire. Perché so che se provassi a resistere tutto si dissolverebbe. Non si tratta della mia morte, pur angosciante, è il mondo che tornerebbe ad essere ciò che è sempre stato: Nulla.

Non so se il mio sia solo un pietoso auto inganno. Ma mi sto convincendo che in questo orrore sia celata la Verità.
Nel senso che in questo nostro esserci molteplice e diveniente l'Uno equivale necessariamente al Nulla.
Essere = Nulla.

Ed è giusto, appropriato che sia così. Perché ciò che conta, per davvero, è l'Amore.

Amore che tutto crea e tutto annichilisce. Amore che è l'Essere perfetto, così come il Nulla.
Un Nulla, fonte d'infinite possibilità. Appunto perché Amore.

E' interessante a mio avviso notare come Dante sia coevo di Meister Eckhart. Entrambi dicono in sostanza le medesime cose.

Non smettono di tornami in mente i versi:

"Amor, ch'a nullo amato amar perdona"
e
"L'amor che move il sole e l'altre stelle"

Mi parlano.
Il primo mi chiarisce il perché del mio stare all'inferno: non ho amato quando avrei dovuto.
Il secondo  mi rincuora rassicurandomi: tutto è amore.

Ti auguro ogni bene.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

davintro

Citazione di: green demetr il 02 Dicembre 2020, 21:49:48 PM


x DAVINTRO e chi volesse appofondire


No non hai deviato dal topic.
E' proprio a partire da questi assetti iniziali che poi si dipana la discussione critica, mi fa sempre piacere parlarne.
Te lo dico per come ragiono io.
Queste tematiche sono affrontate nel corso di filosofia teoretica alla statale tenuti da Spinicci.
Nel mio anno sabbatico lo frequentai, mio vicino di banco, era un giovane brillante, apertamente kantiano.
Abbiamo spesso parlato della cosa.
La disputa che più ci interessava era la questione delle sintesi, che per Kant come hai scritto molto bene tu, sono chiamate attive, mentre Husserl a quelle aggiunge le passive.
Il discorso del corso di quell'anno ragionava sopratutto della genesi di quelle che Husserl chiamerà sintesi passive, ossia in modo principale di Berkley, filosofo che influenzerà non solo Husserl ma le cui intuizioni adirittura lo sorpassano sino ad arrivare ad alcuni analitici americani, di cui leggendo la bibliografia di Spinicci, egli stesso si occupa.
Dunque l'obiettivo della polemica era esattamente Kant.
Il mio giovane amico ci teneva ad avere l'opinione del professore, e rimase molto deluso, nel non ricevere risposta e stima, del suo essere kantiano.
Egli muoveva dal fatto che le cosidette sintesi passive, sono già in fin dei conti, un contenuto, della libera scelta dell'individuo. Se è vero che Kant sembra disinteressato ai vari principi di indeterminazione del sapere, è anche vero, che fa del suo metodo analitico, l'unico che lo possa determinare.
In fin dei conti Husserl integra Kant, non lo sorpassa affatto.
Ma in Husserl le due sintesi sono ineludibilmente le due facce della stessa medaglia. Certamente hai ragione a richiamare l'attenzione sul fatto che l'intenzionalità dell'oggetto, è qui da intendere proprio come parte di un movimento ben superiore a quello del soggetto. Purtroppo necessiterei di maggiori informazioni su questa mappatura superiore che Husserl sembra poter avere. Purtroppo nel corso non se ne è parlato. (Come non si è parlato della mappatura del male Berkleiano, mappatura superiore alla genesi delle sintesi passive).
Ormai ci conosciamo da un pò di tempo Davintro, so che effettivamente anche tu preferisci una mappatura più precisa, più analitica, alla Spinicci appunto. Quindi tralascio completamente la questione superiore che è la metafisica. Ma non per questo un analitica ben strutturata, e sopratutto pensata, non va rigettata, anzi direi approfondita, questo per ribadire che sei nel topic, e anzi come al solito ne hai fatto una disanima sufficiente e intellegibile.
Il punto di Husserl della moneta intera, ossia sintesi della sintesi attive/passive, sarebbe probabilmente l'intenzionalità tout court, un passo avanti e qualitativamente superiore alla visione umanista di Brentano.
Ecco Spinicci è invece analiticamente improntato ad un superamento della distinzione fra sintesi attive e passive, e per una mediazione fra esse. Non so dirti se l'analitica americana che segue lui, fa questa operazione, a rigor di logica, dovrebbe essere di sì la risposta.
Io rispetto al mio giovane amico, ho una visione più radicale.
E' vero che la sintesi passiva può essere vista come l'eterno darsi dell'altro lato del cubo (berkley), oppure della stazione che abita la fine della linee ferroviarie, che paiono infinite se guardate con una prospettiva soggettiva (sempre berkley).
Ma è altrettanto vero, che sarà sempre il soggetto a vedere quella stazione, e quel lato del cubo.
Se in ballo è la questione temporale, la temporalità è proprio il soggetto.
Mentre sia Berkley che Husserl, la spazio e il tempo sono relativi.
Come dici tu, apriori, vuoti in attesa di essere occupati.
In questo senso studiammo anche Locke.
Dunque il soggetto è tale solo in quanto occupante uno spazio tempo indeterminato.
Che nel suo valore assoluto, Husserl riconosce come epochè, sospensionde di qualsiasi giudizio, come condizione sine qua non di qualsiasi gnoseologia (altro termine che so tu ami,e sposi incondizionatamente).
Solo a contatto con altri oggetti dunque il soggetto può riconoscersi come tale. E all'infinito, dunque essere egli stesso frutto della sintesi passiva, perennemente emendata dall'intelletto attivo, nel presente darsi, qui ed ora.
Io invece credo che il soggetto sia un frutto, e non una monade.
E' il punto di vista che è l'eterno emendatore, del soggetto qui ed ora. Ossia vi è una separazione tra io e soggetto.
L'introduzione alla critica della ragion pura, evidentemente, come già spiegato da Zhok, altro professore che ho seguito brevemente, è sottovalutata dalla critica ognitempo.
Kant ben lungi parte da un soggetto, egli invece (parte) proprio dalle categorie apriori dello spazio, e quindi per estensione del tempo.
Io inverto la questione è lo spazio che risulta una estensione del tempo, dell'infinito eveniente.
In Kant non esiste un eveniente, e dunque la sua fenomenologia è una metafisica speciale.
E' Hegel che scoprirà finalmente il soggetto come evento della Storia. Sebbene finisca anche lui in un titanismo della storia, che lo fa incorrere in errori banalissimi a livello politico, come un suo successore poco tempo dopo.
Il concetto di evento, su cui si inerpica la filosofia ad edera di Heidegger, è anch'esso mal compreso.
Lo spazio non può essere una categoria a sè.
Egli (spazio) è inequivocabilmente frutto del pensiero soggettivo.
Certamente lo spazio che è una intuizione in Kant, fa già parte di quella consecutio temporum, di cui tanto parla Berkley, e su cui Husserl imposta la sua personalissima metafisica.
Se io dico spazio, intendo il mio spazio.
Non intendo lo spazio delle sintesi passive.
Infatti come potrebbe un cubo disvelarsi come cubo, se non fosse nel mio spazio. Se fosse nello spazio degli infiniti auto da sè, come si comprenderebbe? Quale ruolo gnoseologico Davintro attribuiresti a questa intenzionalità delle sintesi passive?
In fin dei conti mi risulta più onesta una distinzione, cartesiana senza ombra di dubbio, fra sintesi passiva e sintesi attiva, come dualità, che un meticciato come quello proposto da Spinicci.
Che comunque negava qualsiasi dialogo. Ma questo non sorprende.
Effettivamente loro stessi, Spinicci e tanti altri prof. dicevano a mezza voce, che la filosofia si fa fuori dall'accademia.
Quello che con piacere spero Davintro continuiamo a fare qui.


Ad ulteriori approfondimenti. E grazie del contributo fondamentale.


ps.
Io so che è un uomo e non un pupuzzo solo quando decido di andare verso quell'uomo, vicino quell'uomo. E infatti amico mio! Oggi chi va più vicino all'altro? E parlo bene prima che la nevrosi si trasformasse in qualcos'altro.
Ah ah esempio perfetto. ;)


Intanto ti ringrazio dell'attenzione e per gli stimoli.


Non so quanto abbia correttamente inteso i tuoi punti, provo a dire qualcosa. Sull'idea dello spazio come categoria a priori concorderei con Kant, concorderei che l'idea di spazio non sia empirica bensì trascendentale, e che sia il presupposto di ogni esperienza di oggetti fisici. In questo senso applicare l'idea dello spazio rientra nell'ambito dell'intenzionalità egologica, dal soggetto all'oggetto, quella attiva. Pensare che l'idea di spazio venga recepita a posteriori, sulla base delle esperienze dei singoli oggetti, vorrebbe andare nella direzione opposta a quella per il quale trovo che la fenomenologia, a mio avviso correttamente, supera Kant, vorrebbe dire andare nella direzione di un empirismo ancora più forte, mentre la fenomenologia mirerebbe a superare la Critica proprio in ottica antiempirista, anche se apparentemente non sembrerebbe così, quando parla di sintesi passiva. Non contesto l'intuizione intellettiva dello Spazio in Sé, come categoria trascendentale, ma che, nel momento in cui si ha una concezione della conoscenza scientifica dove il materiale conoscitivo è appreso solo dall'intuizione sensibile, qualunque discorso sullo spazio e in generale sulla componente trascendentale della conoscenza non è scientifico, cioè la critica giunge a una conclusione che delegittimerebbe anche se stessa, in quanto non è tramite la sensibilità, che dovrebbe essere il limite di ciò che è oggetto di scienza, che pensiamo le categorie a priori, queste ultime restano fuori dal recinto della scienza, insomma la critica kantiana si rende impossibilitata a render ragione di sé. L'esito è lo stesso in cui cade qualunque empirismo, annullamento della conoscenza, ridotta a conoscenza di fenomeni, di apparenze, chiusa nel solipsismo di un soggetto, senza che una realtà oggettiva possa intervenire su questo "circuito chiuso" e correggerlo, rendendo la visione del reale più attinente al reale. Perché si dia davvero oggettività del conoscere (e anche della critica del conoscere) è necessario il recupero dell'idea di sostanza dalla metafisica classica, cioè l'idea di un substrato che pur manifestandosi in modo sensibile nell'impatto dell'oggetto sui nostri campi percettivi corporei, sappia andare al di là del sensibile riconducendolo a una forma comprendente anche i lati nascosti. Fintanto che mi limito a osservare l'albero di fronte a me, ad ascoltare il fruscìo del vento tra le foglie, ancora non posso dire di conoscere l'albero oggettivamente, l'oggettività arriva nel momento in cui ciò che osservo o ascolto lo riferisco a un substrato, una sostanza che esiste al di là di tali manifestazioni sensibili, comprendente anche parti attualmente in ombra, cioè nel momento in cui riferisco il sensibile a una forma intelligibile che costituisce l'idea, l'essenza dell'albero, che resterebbe tale anche se nessuno ne facesse esperienza. Kant inverte i termini corretti della questione, pensando di guadagnare l'oggettività tramite il sensibile, e relegando l'intelligibile al livello di una soggettività trascendentale di per sé vuota, formalistica, in un'accezione di "formale" schiacciata empiristicamente ad un'astrazione vuota e di fatto insensata. Husserl cerca, a mio avviso, di raddrizzare i termini (per quanto non esplicitamente nel modo in cui sto provando a spiegarmi, forse perché, non avendo avuto, da matematico, una specifica formazione storico-filosofica, era a disagio nel maneggiare troppo apertamente certe categorie tradizionali come quelle di sostanza...) recuperando il concetto di intenzionalità attiva, la facoltà per l'Io di percepire l'oggetto al di là dei lati attualmente appresi sensibilmente, che però presuppone la disposizione ad attendere conferme o smentite sulla base della scoperta degli altri lati. Ed ecco che le due diverse intenzionalità, pur distinte, in quanto quella che va dal soggetto all'oggetto rende ragione della coscienza come condizione necessaria dell'attribuzione di senso alla realtà, emancipandola dalla connotazione positivista di mero "fatto" amorfo, quella che va dall'oggetto al soggetto rende ragione della non totale arbitrarietà di tale attribuzione, sono reciprocamente implicate: l'intenzionalità attiva, trascendendo il livello immediato di ricezione immediata della sensibilità, attribuisce alla cosa un senso intelligibile che la caratterizza come oggettività, e come oggettività, alterità rispetto al soggetto, la cosa interviene sulle aspettative e schemi di quest' ultimo.

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