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Imparare a vivere

Aperto da doxa, 18 Marzo 2024, 14:31:03 PM

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doxa



Il prof. Maurizio Ferraris, docente di filosofia teoretica nell'università di Torino, ha recentemente pubblicato da Laterza un suo libro titolato: "Imparare a vivere. Vivere, sopravvivere, previvere, convivere": sono le tappe attraverso cui questo libro  fa riflettere sul significato della vita e a come  si possa imparare a vivere. Ciò è possibile ? Stando a quanto scrisse due mesi prima di lasciare il mondo l'amico fraterno di Ferraris, il filosofo Jacques Derrida, imparare a vivere non è possibile, perché significherebbe accettare definitivamente il fatto di dover morire.

Se si accetta l'idea heideggeriana che la morte conferisce alle nostre azioni un orizzonte di significato, è anche vero che il pensiero della morte, quando riesce a farsi spazio nella mente non ne esce più e ci immalinconisce.

In questo libro l'autore  spazia su vari temi ma inizia descrivendo una caduta accidentale che lo costringe ad una sosta nella propria quotidianità. Egli dice che nel  momento in cui ci si ferma, la galassia di sentimenti e risentimenti che emergono è fatta dalla memoria delle cose vissute nel passato, nel proprio intimo, attraverso gli altri, intrecciata alle cose apprese anche attraverso  i libri, la letteratura, da Montaigne a Heidegger, da Nietzsche a Derrida, da Proust a Yourcenar, da Fitzgerald a Hemingway.

Il banale incidente sembra suggerire che tutto quello che avevamo ritenuto stabile, potrebbe finire.  Che forse non abbiamo ancora imparato a vivere. È proprio in quel momento che vale la pena di provarci ancora una volta, sperando che il vento si levi, disincagliandoci dalla secca in cui siamo finiti.

"Il nostro tempo ha una scadenza ultima e la realtà ci oltrepasserà, esisterà ancora e indipendentemente da noi, quando noi saremo trapassati. L'errore fatale che possiamo commettere è quello di ignorare la questione: come il pesce dell'aneddoto raccontato da David Foster Wallace (che, per dovere di cronaca, si è suicidato) e che campeggia quale simbolo sulla copertina del libro. Due giovani pesci, nuotando, ne incontrano uno più anziano che chiede loro «Com'è l'acqua, oggi?»; ma uno dei due giovani risponde: 'Cos'è l'acqua?'. Come l'acqua per i pesci che non sanno di nuotarvi, così può essere per noi una vita vissuta nella totale inconsapevolezza; il che costituisce un grande peccato, se non religioso di certo filosofico".

Ferraris ha fede in quella che egli definisce  la "cultura tecno-umanistica".  Secondo lui, noi esseri umani siamo composti da due nature indissolubili: la natura organica, che cessa con la morte, e la natura tecnica, capace di sopravviverci, nella misura in cui l'essenza di homo sapiens coincide con la sua abilità tecnica; e ciò sin dai tempi remoti in cui imparò a fabbricare manufatti e a raccogliersi in gruppo attorno a un fuoco per narrare storie. Infatti, l'artefatto tecnico più straordinario di cui dispone la nostra specie è la scrittura, la trascrizione di storie in documenti capaci di trasmettere il sapere alla collettività al di là della cessazione della vita del singolo. Gli apparati di registrazione, pitture rupestri, papiri, taccuini, volumi, pdf o podcast, film o anche solo post sui social,  rappresentano una forma di sopravvivenza, se non del corpo, quantomeno del corpus di informazioni (più o meno utili) da tramandare ai posteri.

C'è, anche, l'esercizio del previvere, cui ci si dedica da giovani immaginando cosa sarà il futuro adulto fintanto che il futuro non si fa davvero presente, sovrastandoci con la sua ingombrante realtà. Possiamo previvere grazie alle opere letterarie o cinematografiche, attraverso la finzione, utile frutto di quella cultura tecno-umanistica di cui Ferraris tesse l'elogio: le opere di finzione ci fanno provare con l'immaginazione esperienze che avranno un'inevitabile ricaduta nel modo in cui vivremo la nostra vita.

Nella scrittura, nella lettura, nella comunicazione e condivisione di documenti c'è l'insegnamento che ci proviene dal convivere. Siamo animali socievoli, inestricabilmente legati agli altri, a chi ci sta a fianco e a coloro di cui leggiamo a distanza di secoli. Sono gli altri a darci un significato, sin dalla nascita, sin da quando imparammo a sorridere imitando il sorriso di nostra madre e a recitare filastrocche. Oggi, nell'era dell'individualismo e del narcisismo, è importante ribadire che la convivenza e l'empatia costituiscono l'essenza stessa della nostra umanità e il vero antidoto a ogni forma di nichilismo.

Pio

#1
C'è da dire che.secondo me, se si è veramente consapevoli i cosa significa la morte (la nostra) non è di gran conforto, se non per spiriti un po' romantici, il pensiero che quello che abbiamo scritto o creato ci sopravvivrà. È un pensiero classicheggiante , che assomiglia molto a quello della gloria imperitura dei condottieri o degli eroi. Pensate che all' humus in cui si sono trasformati Heidegger o Nietzsche importi forse qualcosa ? Che si sentano orgogliosi di quel che hanno scritto quando erano altro da humus? :-[
E anche l'empatia, cosa nobile e bella, riguarda la vita, non la morte. Ossia: quello che si critica delle religioni ( paura della morte, desiderio di immortalità) , riappare come una specie di sopravvivenza immanente. Sento un grattar di specchi.
" Vanità delle vanità. Tutto è vanità" (Qoelet)
Non ci abitueremo mai ai metodi ruvidi di Dio, Joseph (cit. da Hostiles film)

iano

#2
Citazione di: doxa il 18 Marzo 2024, 14:31:03 PM'Cos'è l'acqua?'. Come l'acqua per i pesci che non sanno di nuotarvi, così può essere per noi una vita vissuta nella totale inconsapevolezza; il che costituisce un grande peccato, se non religioso di certo filosofico".

Non so se sia un peccato, ma credo che sia l'ignoranza dell'acqua in cui nuota a rendere il pesce tale.
Quindi penso che tutto dipenda da quanto ci teniamo a restare tali e quali.
 
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

iano

#3
Se vogliamo restare cioè dentro il nostro acquario o passare dentro un altro altrettanto ignoto mare che ci definisca per quel che saremo.
Certo è che se avessimo già impedito a suo tempo questo passaggio, oggi non saremmo i pesci che nuotano in questa acqua.
Perchè allora lo dovremmo fare?
Credo sia dovuto al fatto di considerare come centrale il tempo che viviamo.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Ipazia

Come prendiamo consapevolezza dell'aria che ci permette di vivere, possiamo diventare consapevoli della nostra impermanenza individuale, senza alcun patema aggiuntivo, come insegnò Epicuro qualche tempo fa. 

Registrato il dato di fatto, non resta che riempire di significato il permanere che ci è dato, ciascuno secondo il suo talento e inclinazione.

Pure nel convivere, che benché sia scoprire l'acqua calda, abbiamo complicato terribilmente lungo la nostra evoluzione più tecnica che umanistica. 

Com'è l'acqua oggi ?
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Pio

Citazione di: Ipazia il 18 Marzo 2024, 16:07:38 PMCome prendiamo consapevolezza dell'aria che ci permette di vivere, possiamo diventare consapevoli della nostra impermanenza individuale, senza alcun patema aggiuntivo, come insegnò Epicuro qualche tempo fa.

Registrato il dato di fatto, non resta che riempire di significato il permanere che ci è dato, ciascuno secondo il suo talento e inclinazione.

Pure nel convivere, che benché sia scoprire l'acqua calda, abbiamo complicato terribilmente lungo la nostra evoluzione più tecnica che umanistica.

Com'è l'acqua oggi ?
È talmente torbida che non si vede quasi nulla. Siamo nella fase del "pesce che va a caso"  O:-)
Non ci abitueremo mai ai metodi ruvidi di Dio, Joseph (cit. da Hostiles film)

Ipazia

Citazione di: Pio il 18 Marzo 2024, 16:43:38 PMÈ talmente torbida che non si vede quasi nulla. Siamo nella fase del "pesce che va a caso"  O:-)
La maledizione di Babilonia  :-X
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

bobmax

Ritengo che Maurizio Ferraris sia una brava persona animata dalle migliori intenzioni. E questo è ciò che conta.
Ha dato importanti contributi nell'offrire occasioni per la riflessione.

Tuttavia, penso che poco abbia a che vedere con la filosofia.
Perché appartiene a quella categoria di intellettuali, ormai pressoché tutti, che si sono arresi al pensiero scientifico. O meglio, si sono accodati a ciò che immaginano sia la scienza, senza conoscerne però granché...

A Ferraris manca infatti la percezione metafisica.
E la filosofia o è metafisica o non è.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

doxa

cliccare sul link 

https://www.instagram.com/reel/C3zve...kxNWN4Yg%3D%3D


da una parte il concetto è tempo in quanto è nell'elemento dell'esser là, e il tempo è il concetto in quanto essere determinato, ma d'altra parte il concetto toglie il tempo, ovvero realizzandosi elimina il tempo. Allora cosa è il tempo per Hegel?

Il tempo non ha essere perché il futuro non è ancora, il passato non è più e il presente non permane. Ma c'è un essere del tempo e qual è? Proprio questa dimensione di profonda negatività del tempo è quella che ha più profondamente ispirato la meditazione filosofica sul tempo. Perché da un lato avvertiamo questo scorrere, dall'altro però noi parliamo del tempo come qualcosa che appartiene all'essere (diciamo "le cose a venire verranno", "le cose passate sono state", "quelle presenti passano"), cioè il passare non è un nulla. Alla base di questa interrogazione c'è una percezione più profonda della temporalità che è articolata in due momenti essenziali.

Voi avete capito qualcosa di ciò che vuol significare il sor Hegel ?

Io no ! Ma è notorio che ho dei pregiudizi verso i filosofi: astrusi, confusionari, si perdono nei meandri e non capiscono nemmeno loro ciò che vogliono dire. 

Per consolarmi e consolarvi  famose du risate co Gigi Proietti

 cliccare sul link

https://www.instagram.com/reel/C22mn...NyeWFweTFsdWJy

Koba II

Citazione di: doxa il 18 Marzo 2024, 14:31:03 PMIl prof. Maurizio Ferraris, docente di filosofia teoretica nell'università di Torino, ha recentemente pubblicato da Laterza un suo libro titolato: "Imparare a vivere. Vivere, sopravvivere, previvere, convivere": sono le tappe attraverso cui questo libro  fa riflettere sul significato della vita e a come  si possa imparare a vivere. Ciò è possibile ? Stando a quanto scrisse due mesi prima di lasciare il mondo l'amico fraterno di Ferraris, il filosofo Jacques Derrida, imparare a vivere non è possibile, perché significherebbe accettare definitivamente il fatto di dover morire.

Se si accetta l'idea heideggeriana che la morte conferisce alle nostre azioni un orizzonte di significato, è anche vero che il pensiero della morte, quando riesce a farsi spazio nella mente non ne esce più e ci immalinconisce.

Come tante altre figure presenti nella sua opera quella dell'essere per la morte di Heidegger è una ripresa (trasfigurata) di un tema cristiano, secondo il quale la vera vita inizia con la morte, nel senso letterale della vita eterna dopo la morte. Ma più interessante è un secondo significato del tema, sempre in ambito cristiano: l'idea apparentemente paradossale del Vangelo che fa iniziare la vera vita con la rinuncia ad essa. Perdere la vita significa ritrovarla, e questo in un senso più profondo, ulteriore, a quello della vita eterna promessa.
Vera vita che nel pensiero greco s'intende vita filosofica, e che Platone nel Fedone definisce come una preparazione alla morte.
Quindi una tradizione filosofica autorevole, che parte da Platone e finisce con Heidegger, passando per il Vangelo, ci dice che la vita autentica ha inizio solo con una lacerazione (Fenomenologia dello Spirito di Hegel).
Lacerazione rispetto a cosa?
È qui, rispondendo a questa domanda, prendendo posizione rispetto ad essa, che s'inizia a fare filosofia.

Ipazia

Filosofia che non è necessariamente metafisica, altrimenti sarebbe davvero nulla. La filosofia si invera in prassi etica meditando sull'orizzonte temporale della morte, itinerante nel suo viaggio che ha un inizio e una fine, incluso un fine racchiuso nel medesimo viaggio.

La filosofia dell'essere ha un certo carattere terrapiattista che si rivela nella confusione intorno al divenire col principio di indeterminazione citato da Hegel. Ma il ciclo della vita e della morte rigetta l'appiattimento metafisico e riporta il non essere alla rivelazione epicurea: mentre ci siamo la morte non c'è. 

Conserviamoci in buona salute, rispettando l'orizzonte temporale che l'evoluzione ci ha concesso, senza riempire il tempo dato con insensate malinconie.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Koba II

Lacerazione, frattura, dicevo, rispetto a cosa?
Si potrebbe rispondere innanzitutto: al senso comune e alle ideologie.
Per ideologie intendo qualsiasi concezione (filosofica o spirituale) che ci permette di scappare dal confronto con le contraddizioni della realtà.

Ma nel nostro tempo, in questi anni, non si vive più, si sopravvive. Il fine ultimo è la conservazione del proprio organismo. Da qui l'ossessione per la salute, lo sport, l'alimentazione etc.

Sembra quasi quindi che ci si presenti l'alternativa tra consentire lo slittamento ideologico di una fuga dalla realtà o al contrario tenere ferma la consapevolezza del presente senza però avere la benché minima idea di come uscire da questo stato di impotenza.
Fuga dalla realtà anche con sofisticati esercizi intellettuali (temprati da un po' di sano edonismo), o continua rammemorazione di una condizione di solitudine e di perdita.

Pio

#12
Come si impara a vivere?  Non lo so. Arrivi ad una certa età pensando di aver imparato qualcosa e invece ti accorgi che quello che hai imparato è ormai superato, fa parte di quel mondo che, mentre ti dannavi a conoscerlo, già era cambiato. Come puoi imparare a vivere se tutto attorno a te cambia in continuazione? Ti dicono che bisogna adattarsi al mondo che cambia, che imparare a vivere consiste proprio nell'imparare ad adattarsi. Immaginate di tornare piccoli e sui banchi di scuola e di dover adattarsi a cambiare continuamente insegnanti. Difficile imparare in questo modo, vero? Così mi pare la vita. Crea anche parecchio stress questo nostro modo di vivere. Ti dicono che bisogna adattarsi anche allo stress, che è pure utile, ti rende più produttivo, più vincente, più... più...mai meno, sempre più.
Insomma non si impara mai a vivere. Non te ne lasciano il tempo!
Non ci abitueremo mai ai metodi ruvidi di Dio, Joseph (cit. da Hostiles film)

Ipazia

Intasati dall'Essere non abbiamo (ancora) imparato il magistero del Divenire. Imparare ciò è virtù. Anche esistenziale oltre che epistemica.

Qualcuno disse: "merita di essere signore del suo tempo colui che si limita ad anticiparlo".
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

green demetr

Citazione di: doxa il 18 Marzo 2024, 14:31:03 PM

Il prof. Maurizio Ferraris, docente di filosofia teoretica nell'università di Torino, ha recentemente pubblicato da Laterza un suo libro titolato: "Imparare a vivere. Vivere, sopravvivere, previvere, convivere": sono le tappe attraverso cui questo libro  fa riflettere sul significato della vita e a come  si possa imparare a vivere. Ciò è possibile ? Stando a quanto scrisse due mesi prima di lasciare il mondo l'amico fraterno di Ferraris, il filosofo Jacques Derrida, imparare a vivere non è possibile, perché significherebbe accettare definitivamente il fatto di dover morire.

Se si accetta l'idea heideggeriana che la morte conferisce alle nostre azioni un orizzonte di significato, è anche vero che il pensiero della morte, quando riesce a farsi spazio nella mente non ne esce più e ci immalinconisce.

In questo libro l'autore  spazia su vari temi ma inizia descrivendo una caduta accidentale che lo costringe ad una sosta nella propria quotidianità. Egli dice che nel  momento in cui ci si ferma, la galassia di sentimenti e risentimenti che emergono è fatta dalla memoria delle cose vissute nel passato, nel proprio intimo, attraverso gli altri, intrecciata alle cose apprese anche attraverso  i libri, la letteratura, da Montaigne a Heidegger, da Nietzsche a Derrida, da Proust a Yourcenar, da Fitzgerald a Hemingway.

Il banale incidente sembra suggerire che tutto quello che avevamo ritenuto stabile, potrebbe finire.  Che forse non abbiamo ancora imparato a vivere. È proprio in quel momento che vale la pena di provarci ancora una volta, sperando che il vento si levi, disincagliandoci dalla secca in cui siamo finiti.

"Il nostro tempo ha una scadenza ultima e la realtà ci oltrepasserà, esisterà ancora e indipendentemente da noi, quando noi saremo trapassati. L'errore fatale che possiamo commettere è quello di ignorare la questione: come il pesce dell'aneddoto raccontato da David Foster Wallace (che, per dovere di cronaca, si è suicidato) e che campeggia quale simbolo sulla copertina del libro. Due giovani pesci, nuotando, ne incontrano uno più anziano che chiede loro «Com'è l'acqua, oggi?»; ma uno dei due giovani risponde: 'Cos'è l'acqua?'. Come l'acqua per i pesci che non sanno di nuotarvi, così può essere per noi una vita vissuta nella totale inconsapevolezza; il che costituisce un grande peccato, se non religioso di certo filosofico".

Ferraris ha fede in quella che egli definisce  la "cultura tecno-umanistica".  Secondo lui, noi esseri umani siamo composti da due nature indissolubili: la natura organica, che cessa con la morte, e la natura tecnica, capace di sopravviverci, nella misura in cui l'essenza di homo sapiens coincide con la sua abilità tecnica; e ciò sin dai tempi remoti in cui imparò a fabbricare manufatti e a raccogliersi in gruppo attorno a un fuoco per narrare storie. Infatti, l'artefatto tecnico più straordinario di cui dispone la nostra specie è la scrittura, la trascrizione di storie in documenti capaci di trasmettere il sapere alla collettività al di là della cessazione della vita del singolo. Gli apparati di registrazione, pitture rupestri, papiri, taccuini, volumi, pdf o podcast, film o anche solo post sui social,  rappresentano una forma di sopravvivenza, se non del corpo, quantomeno del corpus di informazioni (più o meno utili) da tramandare ai posteri.

C'è, anche, l'esercizio del previvere, cui ci si dedica da giovani immaginando cosa sarà il futuro adulto fintanto che il futuro non si fa davvero presente, sovrastandoci con la sua ingombrante realtà. Possiamo previvere grazie alle opere letterarie o cinematografiche, attraverso la finzione, utile frutto di quella cultura tecno-umanistica di cui Ferraris tesse l'elogio: le opere di finzione ci fanno provare con l'immaginazione esperienze che avranno un'inevitabile ricaduta nel modo in cui vivremo la nostra vita.

Nella scrittura, nella lettura, nella comunicazione e condivisione di documenti c'è l'insegnamento che ci proviene dal convivere. Siamo animali socievoli, inestricabilmente legati agli altri, a chi ci sta a fianco e a coloro di cui leggiamo a distanza di secoli. Sono gli altri a darci un significato, sin dalla nascita, sin da quando imparammo a sorridere imitando il sorriso di nostra madre e a recitare filastrocche. Oggi, nell'era dell'individualismo e del narcisismo, è importante ribadire che la convivenza e l'empatia costituiscono l'essenza stessa della nostra umanità e il vero antidoto a ogni forma di nichilismo.

L'industria culturale nasconde in seno le persone più abiette.
Ferraris è solo uno dei tanti altri.
Come fare per scovarli?
E' semplice sono persone che dicono al 90% la verità, e il 10% bugie atroci.
Cosa ha fatto durante tutta la sua vita il Ferraris se non dire che l'uomo è solo il prodotto della sua tecnica?
Come a dire che l'homo economicus è immortale.
Strano le premesse dicevano l'esatto opposto.
(o forse no) Eh già! l'industria culturale fa questo e ben peggio.
Ferraris non ha ancora imparato nè a vivere la vita nè a scrivere un libro.
Ma per la carità: QUELLI BRAVI.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

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