Immortale anch'io ? NO ! Tu no !!

Aperto da viator, 02 Dicembre 2017, 22:24:36 PM

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viator

Salve. Leggevo in altro forum (Atei Italiani) dell'argomento "ricerca sulle origini del sentimento religioso". Le trattazioni filosofiche consistenti in una miscela di argomentazioni proprie più o meno originali condite da più o meno numerose citazioni del pensiero altrui non fanno proprio per me. Io ho una visione estremamente rozza e sintetica dei massimi sistemi. Naturalmente la storia mondiale di un simile argomento avrà occupato centinaia di menti qualificate e generato molte decine o centinaia di migliaia di pagine.
Facendo finta di essere ingenuo, non capisco tali moli di lavoro dedicate ad una problematica che, spiegata in modo chiaro e ragionevole (il che non significa certo per forza corretto od efficace, per carità), potrebbe occupare poche decine di pagine venendo stesa in modo minimamente analitico da una persona di normale intelligenza, cultura, esperienza del mondo e buonsenso.
Se poi, come sto per fare io, tale argomento dovesse venir trattato in modo del tutto colloquiale ed un poco ironico, basterà certo anche molto minor spazio.

Tanto tempo fa l'Uomo divenne tale a seguito del proprio perfezionamento evolutivo che, provvedendo a rendere sempre più numerose e complesse le sue funzioni psichiche, generò il sorgere in lui della Coscienza. Egli divenne cosciente di esistere, di essere intelligente, furbo, bello, insostituibile etc. etc......
Tra tante consapevolezze piacevoli, ahimè, assai presto si affacciò anche quella spiacevole. Si accorse di essere mortale. Accidenti !! Avevi voglia di far "mal comune, mezzo gaudio" poiché ciò riguardava anche tutti gli altri esseri viventi.....lui, l'Uomo, la cosa proprio  non la digeriva....mica era come gli animali......lui !!
Tutto incazzoso, si mise a meditare. Ma come ! Il mondo fisico lo circondava e sembrava eterno......le singole specie viventi lo circondavano e, anche se le singole prede, insetti, foglie di lattuga e mammuth morivano come lui, collettivamente continuavano ad esistere........anche la sua propria specie sembrava poter sopravvivere alla di lui morte.....
Capì, confusamente, che doveva esserci qualcosa, un qualche meccanismo che evidentemente privilegiava la conservazione, la persistenza, la sopravvivenza di ciò che era in sé più antico, più grande e più impersonale. Se per tutelare l'esistente a livello di specie vivente questo qualcosa aveva addirittura inventato la riproduzione ed il sesso !!!
Ma non è che la cosa gli stesse bene. Anzi. Lui, l'Uomo, che era sì l'ultimo arrivato, ma appunto per questo era anche la versione Ultimo Modello.....come poteva rassegnarsi a morire come gli altri viventi !!??
Capiva però che il mettersi a strepitare per veder rimediata una simile ingiustizia forse gli avrebbe fatto consumare un sacco di energie senza risultati. Magari sarebbe stato meglio rivolgersi educatamente, anzi, piamente, a questo qualcosa che aveva il potere di stabilire cosa o chi dovesse morire e cosa o chi invece no.

Cominciò quindi a mettere in piedi gli addobbi e le strutture rituali. Non sapendo bene dove stesse la "cosa" (doveva essere molto grande e quindi occupare la parte più spaziosa del mondo, quindi il cielo), per precauzione cominciò a pregare ed erigere totem un poco a casaccio. Con il passar del tempo le sue preghiere, riti e simulacri divennero sempre più elaborati ed il suo colloquio con quelle che nel frattempo erano diventate le sue divinità lo portò a convincersi che, per poter trattare con loro, queste DOVESSERO avere qualcosa di simile a lui uomo, oppure (faceva lo stesso) era l'uomo che necessariamente DOVEVA AVERE qualcosa in comune con gli dei. Si stabilì così una prima "hot line" preferenziale tra Uomo e Dio, saltando a piè pari tutti gli altri contenuti del mondo (I quali dovevano restare a disposizione degli dei per il loro capriccio, e dell'Uomo per la sua utilità). A tal punto l'Uomo si fece coraggio e divenne più esplicito. Cominciò a chiedere a Dio cosa egli uomo potesse fare perché gli venisse concessa l'immortalità individuale (ah, nel frattempo, essendo l'argomento importante, l'argomento venne affidato alla cura ed all'interpretazione  di nostri simili il più possibile saggi e carismatici, i quali formarono una categoria chiamata "sacerdoti").

Fu così che poi si arrivò fino ai giorni nostri, in cui chi continua a chiedere l'immortalità si ritrova invischiato in un monumentale insieme di miti, riti, tabù, comandamenti, dogmi, precetti, dottrine, sacramenti, canoni, sacri testi, magisteri, encicliche, cerimonie, tradizioni, simbolismi, addobbi, totem, esegesi.....................................................................

Naturalmente mi si dirà che non ho capito un tubo poiché avrei dovuto parlare di SENTIMENTO religioso. Infatti. Il SENTIRE consiste nell'avvertire un bisogno, uno stimolo (in questo caso, interiore). Ed il bisogno e lo stimolo generato dal timore della morte, secondo voi, cosa sarebbe ??

Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

Angelo Cannata

Nella Bibbia è possibile osservare che tutta quest'ossessione per l'immortalità è praticamente assente in tutto l'Antico Testamento. In generale nell'Antico Testamento l'uomo che muore vecchio e sazio di giorni è un uomo realizzato, contento, non ha bisogno di andare ad immaginare un'altra vita ultraterrena paradisiaca. È una dimostrazione che la religione non è nata per il bisogno di sentirsi immortali. L'ossessione per l'immortalità nasce tardivamente. A me sembra che nasca in connessione con il pensiero universalista, assolutista, che si fa strada nelle menti umane con la filosofia greca. È in connessione con il farsi strada della filosofia greca che si fa strada anche la figura di Gesù, lui sì ossessionatissimo dell'immortalità da farla essere il senso della sua esistenza (non sto adesso a disquisire se si tratti di interpretazioni applicate a lui: in ogni caso si tratta di un'ossessione che si è fatta strada in maniera irresistibile nelle menti umane).

Insomma, l'ossessione per l'immortalità mi risulta molto legata al pensiero occidentale. La religione in sé è altra cosa, non può essere legata in modo così stretto all'ossessione per l'immortalità: l'Antico Testamento ne è dimostrazione.

Naturalmente quelli dell'Antico Testamento non erano dei fessi; vivevano senza quest'ossessione.

iano

#2
La nascita della coscienza, che non credo essere comunque una esclusiva umana , ha i suoi pro e i suoi contro ,e la coscienza della propria morte lametterei fra i contro , ma senza giurarci.
Non credo però che il senso religioso possa avere questa come causa necessaria.
La venerazione dei propri cari estinti è molto diffusa in tutti i luoghi e in tutti i tempi , e non ha nulla ha che fare con la consapevolezza della nostra morte individuale , credo.
Ma , seppure questa coscienza non sia una causa necessaria alla nascita della religiosità, ovviamente , la influenza fortemente in senso universale , nel senso di un parentado più esteso da considerare,sia in morte che in vita.
Non è vietato poi ,se si vuole , allargarsi fino ad includere tutti i viventi e così via.
Se il gioco / invito era quello di far sintesi della questione , ho detto brevemente la mia.😊
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

viator

Salve. Per Iano: tu introduci l'ingrediente amore. Che è l'unico strumento non fideistico bensì ben concreto di cui disponiamo per combattere l'inevitabilità della morte.

L'amore significa sesso, riproduzione, desiderio di essere amati (cioè compresi - sia nel senso di capiti che in quello di venir inclusi dagli altri e dal mondo), pulsione ad amare (cioè comprendere - anche qui come capire ed includere).

L'amore in estrema analisi non è che il desiderio di includere in sè il mondo intero o (con effetto speculare e perfettamente equivalente) venirne inclusi.
Non importa in quale modo. Attraverso il sesso, il quale sembra abbia una qualche connessione con la riproduzione e quindi con l'immortalita almeno della nostra specie e la nostra discendenza. Inoltre è durante il sesso che ci si sente particolarmente (completamente) vivi e non si pensa certamente alla morte.

Attraverso appunto l'inclusione attiva (egoistica - io ti amo, cioè voglio te per me) oppure quella passiva (altruistica - io ti amo, cioè sono tuo) noi cerchiamo di far parte di qualcuno o del mondo oppure che qualcuno od il mondo entrino a far parte di noi.

E' l'unico modo di superare la condizione solitaria ed individualistica e poter raggiungere l'immortalità attraverso la riproduzione oppure l'inclusione in qualcosa di immortale come appunto è il mondo nel suo insieme.

Infine, tener presente che il culto dei defunti non si basa certo sulla compassione per il loro destino: sappiamo benissimo che i morti hanno cessato di soffrire e la loro mancanza genera sofferenza solo per chi resta in vita.
 Noi staremo piangendo solamente noi stessi e, dal punto di vista pubblico e sociale, staremo celebrando solamente la nostra solidarietà di specie, di tribù, di famiglia. Meccanismo anche questo che serve come a diluire, condividendola, la nostra egoistica paura della nostra futura morte individuale.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

InVerno

#4
Citazione di: Angelo Cannata il 03 Dicembre 2017, 01:04:17 AMNaturalmente quelli dell'Antico Testamento non erano dei fessi; vivevano senza quest'ossessione.
Non solo quelli dell'Antico Testamento, anche gli ebrei moderni (specialmente quelli appartenenti alle correnti riformate-ricostruzioniste di matrice statunitense) hanno cominciato un percorso di mutazione verso una teologia naturalista e secolarista per cui l'Eden è "il mondo che viviamo" e non un ritrovo di fumetti parlanti. Per dire eh, visto che i cattolici spesso si inorgogliscono nel parlare di "religione riformata" nei confronti degli islamici, ma poi si dimenticano che c'è chi si è riformato più di loro e nel curare il giardino dell'Eden si è accaparrato 9 nobel su 10.
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

baylham

La religione è stata un'invenzione, una tecnologia sociale di successo perché combinava diversi aspetti, dalla filosofia alla scienza, dal diritto alla morale. La promessa dell'immortalità non è pertanto la componente principale della religione, non si comprende altrimenti la paura della morte.


Apeiron

#6
Se sostituiamo il termine "immortalità" con "vita futura" credo che possiamo vedere il problema in questi termini: ovvero come un'antinomia della Ragione Pratica.

La ragione pratica ci dice che il "giusto" dovrebbe essere "premiato" e l'"ingiusto" dovrebbe essere punito (non sto pensando in questo momento alla tradizionale dicotomia tra Inferno Eterno e Paradiso Eterno...).

Se la morte significa la fine della vita allora "blocca" questo meccanismo di "premio" e "punizione", ovvero la morte "annulla" la possibilità di continuare a premiare i "giusti" e punire gli "ingiusti" (da qui il detto "la morte rende tutti uguali"). Ergo un ingiusto potrebbe ricercare nella morte proprio come un modo per "rifugiarsi". Sia per il giusto che per l'ingiusto la morte sarebbe in fin dei conti "neutra", o addirittura come diceva Socrate nell'Apologia:
"Se la morte è assenza totale di sensazioni, come se si dormisse un sonno senza sogni, oh, essa sarebbe un guadagno meraviglioso". [ovviamente il contesto era in confronto alla possibilità di sofferenze di varia natura...]

A questo ogni speranza di differenziare l'ingiusto dal giusto però cessa (e la ragione pratica impone che i giusti dovrebbero essere premiati ecc). Ovviamente questo vale anche per le concezioni della "vita dopo la morte" per le quali il giusto e l'ingiusto hanno lo stesso destino (es. l'Ade della mitologia greca, lo Yurei giapponese e forse lo Sheol (?) del primo giudaismo ecc)

Viceversa se la morte non è la fine della vita allora è possibile continuare che il meccanismo di "premio" e "punizione" continua. A questo punto l'ingiusto non potrebbe più pensare di "liberarsi dalla responsabilità" con la morte mentre il giusto verrebbe (se l'aldilà segue i "dettami" della ragion pratica) in qualche modo "premiato". Tuttavia in questo caso la "bontà" diverrebbe semplicemente "prudenza" in quanto ha sempre in vista il premio e la punizione (sarebbe in un certo senso da "stupidi" comportarsi male - ergo un malvagio potrebbe in un certo senso potrebbe evitare di comportarsi male col solo pensiero di "prendere il premio").

Ricapitolando: se la morte è la "fine" allora "rende uguali" l'ingiusto e il giusto rompendo la "speranza" della retribuzione ricercata dalla ragione pratica. Se la morte non è la fine allora la giustizia potrebbe non essere intesa come "bontà d'animo" ma come semplice "prudenza" andando contro l'intuitivo "principio" del "bene disinteressato" (fare del bene in quanto bene, senza interesse "egoistico"). Ritengo che la questione della vita dopo la morte (spesso confusa con "immortalità" ma non è detto che necessariamente la "vita futura" sia "senza fine") una vera e propria "antinomia" della ragione pratica e ritengo il fatto che non sappiamo cosa ci aspetta dopo la morte come moralmente importante.

Ad ogni modo il pensiero di continuare ad esistere, secondo me, non è così "rassicurante" a meno che non ci si aspetti che necessariamente la prossima vita sia migliore di quella attuale (cosa non vera in quasi tutte - se non tutte - religioni che prevedono una vita dopo la morte). Sinceramente è anche "molto comodo" pensare che non ci sia vita dopo la morte, visto che un "sonno senza sogni" non è poi così male come diceva Socrate. Invece sono proprio i possibili "sogni" che rendono la morte qualcosa che fa "paura". [e in un certo senso possono dare anche più significato alla vita attuale perchè ci si sente "inseriti in un contesto più grande" che richiede anche più "impegno" per così dire ecc ecc come si vede il discorso secondo me è molto complesso, molto di più del solo "desiderio di sopravvivenza" ecc]

Amleto (Shakespeare):
To be, or not to be, that is the question: Whether 'tis nobler in the mind to suffer The slings and arrows of outrageous fortune, Or to take arms against a sea of troubles, And by opposing end them? To die, to sleep... No more, and by a sleep to say we end The heartache and the thousand natural shocks That flesh is heir to: 'tis a consummation Devoutly to be wished. To die, to sleep. To sleep, perchance to dream. Ay, there's the rub, For in that sleep of death what dreams may come When we have shuffled off this mortal coil Must give us pause.There's the respect That makes calamity of so long life...


[Traduzione:] Essere, o non essere, questo è il dilemma: se sia più nobile nella mente soffrire i colpi di fionda e i dardi dell'oltraggiosa fortuna o prendere le armi contro un mare di affanni e, contrastandoli, porre loro fine? Morire, dormire... nient'altro, e con un sonno dire che poniamo fine al dolore del cuore e ai mille tumulti naturali di cui è erede la carne: è una conclusione da desiderarsi devotamente. Morire, dormire. Dormire, forse sognare. Sì, qui è l'ostacolo, perché in quel sonno di morte quali sogni possano venire dopo che ci siamo cavati di dosso questo groviglio mortale deve farci riflettere. È questo lo scrupolo che dà alla sventura una vita così lunga.

P.S. Su questo tema, in particolare sulla distinzione tra "prudenza" e "bontà" segnalo questa pagina (in inglese) http://www.friesian.com/wisdom.htm

P.S.P.S. Sulla questione della vita dopo la morte nel primo giudiaismo non concordo che secondo i giudei alla morte c'era la non-esistenza. Credo che la "vera" posizione sia invece più ambigua visto che si parla di "ombre", di un luogo dove non si loda il "Signore" ecc. Vedi: http://www.laparola.net/testop.php?riferimento=Salmo%206%3A5%3B%20115%3A%2017 .... La posizione mi sembra molto più ambigua di quella descritta da Angelo Cannata e InVerno... anzi non mi sembra che la morte coincidesse con l'"annientamento", quanto quasi come un'esistenza in cui c'è una "lontananza da Dio".
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)