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Il valore

Aperto da Apeiron, 10 Novembre 2017, 23:03:22 PM

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Phil

Non voglio fare l'avvocato di Kobayashi (non ne ha bisogno; e se ne ha bisogno, io non sono in grado di farlo ;D ), ma al massimo l'avvocato del diavolo, o meglio, di quel diavolo di "pensiero debole" (sperando di non rendertelo indigesto  :) ).

Citazione di: Apeiron il 14 Novembre 2017, 13:01:45 PM
La società occidentale (almeno quella seria) è arrivata a riconoscere che "l'essere umano ha una dignità intrinseca"
"Riconoscere" o "stabilire"? C'è stata una scoperta oggettiva o un accordo convenzionale condiviso (e il fatto che sia basato su un denominatore comune a molte culture, non lo rende più oggettivo: quando tutte le popolazioni pensavano che il cielo stellato fosse pieno di dei, non per questo era davvero così)?

Citazione di: Apeiron il 14 Novembre 2017, 13:01:45 PM
evidente aporia per la quale il relativismo è nichilismo - ossia "ogni azione è giusta".
E perché non "ogni azione è ingiusta"?
Se non ci sono valori (che il nichilismo si riduca a ciò, resta, a parer mio, da indagare un po' meglio) non comporta che tutto sia giusto o ingiusto, ma l'impossibilità stessa di tale dicotomia (in assenza di criteri demarcanti i due ambiti).
Sostenere che "ogni azione non è giusta e non-giusta e nemmeno né giusta né non giusta" ha un certo retrogusto di catuskoti, no? ;)

Citazione di: Apeiron il 14 Novembre 2017, 13:01:45 PM
L'etica (e anche l'estetica  ;) ) non è solo educazione.
Eppure il peso o, per restare in tema, il valore dell'educazione nei due ambiti resta comunque ben differente, non trovi?

Citazione di: Apeiron il 14 Novembre 2017, 13:01:45 PM
a mio giudizio il relativismo in sé contiene il nichilismo [...] Il problema del relativismo è che appunto finisce per mettere sullo stesso piano ogni prospettiva (e se non lo fa non è più relativismo) in quanto non c'è nessuna gerarchia di valori condivisa che fa preferire una determinata azione rispetto ad un'altra.
Motto (che mi pare un po' stereotipato) di difficile applicazione concreta che lascerebbe pensare, se assunto come assioma di un "x-ismo" (qualunque esso sia), che non esistano persone praticanti tale "x-ismo" e quindi, a conti fatti, non abbia troppo senso parlare di tale "x-ismo". Se un'azione vale l'altra, allora per un soggetto "x-ista", baciare la propria compagna/moglie/etc. o ucciderla è indifferente; tuttavia, supponiamo, finisce con il baciarla sempre senza ucciderla mai (oppure abbiamo appena scoperto che tutti gli "x-isti" sono femminicidi, arrestiamoli preventivamente! ;D ). Allora si impone l'aut-aut: o non è affatto un "x-ista" (e l'"x-ismo" è una leggenda metropolitana o un'utopia impraticabile), oppure anche nell'"x-ismo" c'è una sorta di gerarchia, basata comunque su criteri "x-isti" che rendono possibile la vita pratica e le inevitabili scelte di un "x-ista" (come il non uccidere la propria compagna).

Citazione di: Apeiron il 14 Novembre 2017, 13:01:45 PM
La paradossalità si crea se non esiste (o non esisterà) un tale "oggetto di valore massimo" perchè abbiamo che il soggetto "mira a" qualcosa che non potrà mai essere raggiunto.
Scenario di fallimentare auto-inganno in fondo plausibile: posso mirare al cielo quando tiro i sassi con la fionda, ma è poi possibile colpirlo? E se avessi una fionda più potente non potrei colpirlo lo stesso, poiché il cielo è un concetto prospettico che non ha una sua sostanza che possa essere colpita (sarebbe come voler colpire il cosmo  ;D ). Eppure continuo a mirare e scagliare sassi più forte che posso...

Citazione di: Apeiron il 14 Novembre 2017, 13:01:45 PM
Motivo per cui ritengo che questo "valore massimo" descrive qualcosa di reale (o almeno che è potenzialmente reale) anche se non posso dimostrare tale esistenza in modo razionale. Posso però dedurre che descrive qualcosa che è perlomeno possibile. (Secondo me è reale...)
Non sono totalmente convinto (o forse non ho capito bene :) ): una gerarchia non necessità di un valore massimo, anzi, spesso lo esclude a priori... proprio parlando di valore: qual'è il valore massimo di un numero? E qual'è il valore massimo di un conto in banca? E qual'è il valore massimo di un'azione morale?
La risposta assoluta a queste domande, se non erro, non può esserci né in teoria (troppo comodo dire "infinito", non è un valore umano!), né soprattutto in pratica (sarà sempre possibile concettualmente pensare di poter aggiungere un valore di "+1", e quindi considerare il valore massimo sempre asintoticamente non ancora raggiunto).
Nella prassi diventa talvolta persino irrilevante il valore massimo (ovvero il massimo è pur sempre relativo al contesto): il valore massimo della mia bontà sarà sempre inevitabilmente individuale, e (scommetto!) resterà sempre al di sotto di quello di un santo (che magari non è nemmeno il valore massimo concepibile), per cui, quale sia il massimo possibile assoluto, è per me irrilevante perché è già difficile capire quale sia il mio massimo possibile (e se lo capisco, magari ci riesco pur ignorando il valore esatto del massimo assoluto).

Il_Dubbio

Potremmo chiamare valore un'assioma.
La scelta di un'assioma è una pratica complicata. Se esistessero valori assoluti che producono contraddizioni non sarebbe possibile sostenere che quei valori siano assoluti.

La mente produce valori che si contraddicono?
No, se esistesse una gerarchia di valori. Ma chi stabilisce la gerarchia? La mente nella sua autonomia?
Per cui se non esistono valori assoluti poiche producono contraddizioni,  la mente sceglie autonomamente una gerarchia di valori. La scelta di un valore è libera e questo ci induce a pensare due alternative:
1) esiste una gerarchia di valori ma ogni mente, non riuscendo a percepirla, sceglie la piu quotata.
2) non esiste una gerarchia di valori per cui la mente è estremamente libera nel fare la sua scelta su come disporre i valori in conseguenza gerarchiaca.

Nella prima abbiamo una mente deteminata dalla quotazione del momento o al limite, se esistesse una gerarchia assoluta, la gerarchia assoluta. Nella seconda abbiamo una mente che sceglie, la sua gerarchia di valori, autonomamente.

Il problema è capire: se esistono valori che sembrano contraddirsi, come mai ognuno nella sua libertà li sceglie come valori assoluti?
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Anche se gli esempi trovano lo spazio che si meritano in filosofia (quindi poco) ne faccio uno per semplificare il mio ragionamento:
un pazzo sta per schiacciare un bottone che farà esplorere la terra e tutti i suoi abitanti.

Io ho la possibilità di fermarlo ma devo per forza di cose decidere della sua vita.

Ora il valore assoluto che ho è la vita. Ma a questo punto devo scegliere sulla vita di molti o sulla vita di uno solo.

E' chiaro che la vita non sarà piu un valore assoluto, se lo fermo sto dando piu valore alla vita di molti. Qui gioca il concetto di "quantità". Quanto deve essere grande il numero di vite da salvare per arrivare al valore assoluto? Serve fare per caso una media?

Ammettiamo invece che la vita di molti rischia di compromettere la vita di pochi. Ci sono sempre io a decidere il destino dei pochi e dei molt e non c'è molto da fare che decidere sul destino della vita degli uni o degli altri. Se i molti fossero malvagi e i pochi fossero povera gente indifesa, chi dovrei salvare?  Se il valore assoluto fosse dipendente dal numero di vite da salvare dovrei salvare i malvagi.  :-\

Domingo94

Wow gran bella domanda, complimenti!

Cercherò di essere conciso:
1) Il valore, dal mio punto di vista, è un elemento fondamentale o più elementi che non possono mancare nella vita di ognuno
2) Credo che i valori siano puramente personali dunque individuali, al massimo ci sono valori apprezzati da molti (pace,salute,educazione,rispetto) e valori condivisi solo da pochi 
3) Credo che non esista il massimo valore ma c'è qualcosa a cui diamo più importanza, esiste un valore massimo relativo
4) No, credo che ognuno di noi dia una classificazione diversa ai valori
5) Penso che tutta la classificazione derivi da svariati fattori come : esperienze di vita,insegnamenti ecc..
6) Il massimo valore può essere vista come la cosa che ci fa sentire meglio e quindi noi gli diamo il massimo valore, esempio: se io mi sento bene quando possiedo tanti soldi, alla ricchezza darò il massimo valore.

baylham

Citazione di: Apeiron il 14 Novembre 2017, 13:01:45 PM
Una posizione nichilistica come questa non può essere sostenuta. L'etica (e anche l'estetica  ;) ) non è solo educazione.
Wittgenstein secondo me ha centrato il punto in questo passo della Lezione sull'Etica (anche se non concordo fino in fondo con la sua pretesa che non si può fare una filosofia dell'etica...):
"Supponiamo che uno di voi sia una persona onniscente e per questo motivo conosca tutti i movimenti di tutti i corpi vivi o morti nel mondo e che conosca tutti gli stati mentali di ogni essere umano che abbia mai vissuto, e supponente che questo uomo scriva tutto ciò che conosce in un grande libro. Ebbene questo libro conterrebbe la totale descrizione del mondo; e quello che voglio dire è, che se questo libro non contiene niente che possiamo chiamare un giudizio etico e niente che logicamente implica un tale giudizio. Conterrrebbe ovviamente ogni giudizio relativo di valore e ogni vera proposizione scientifica che può essere fatta. Ma i fatti descritti sarebbero allo stesso livello così come le proposizioni starebbero allo stesso livello. Non ci sono proposizioni che, in un qualsiasi senso assoluto sono sublimi, importanti o banali. ..... Se per esempio nel nostro Libro leggiamo una descrizione di un omicidio con tutti i suoi dettagli psicologici e fisici la mera descrizione di questi fatti non contiene nulla che possiamo chiamare una proposizione etica. L'omicidio apparirà allo stesso livello di ogni altro evento, per esempio la caduta di una pietra. Certamente la lettura di questa descrizione potrebbe causarci dolore o rabbia o ogni altra emozione, o noi potremo leggere qualcosa a riguardo del dolore o della rabbia causata da questo omicidio in altre persone quando ne hanno sentito palare, ma ci sarebbero sempre fatti, fatti, e fatti ma non ci sarebbe l'Etica..."
Non pretendo di "convertirti" e di abbandonare il relativismo ma a mio giudizio il relativismo in sé contiene il nichilismo (che ritengo tu stesso non puoi accettare). Il problema del relativismo è che appunto finisce per mettere sullo stesso piano ogni prospettiva (e se non lo fa non è più relativismo) in quanto non c'è nessuna gerarchia di valori condivisa che fa preferire una determinata azione rispetto ad un'altra.

Non riesco proprio a capire il senso di questo esempio di Wittgenstein in riferimento all'etica, che trovo contraddittorio fin dalla premessa dell'onniscienza.

Il relativismo non mette sullo stesso piano ogni prospettiva morale, ogni valore, non nega la prospettiva morale o i valori come fa il nichilismo, sostiene che ogni individuo ha la sua morale, i suoi valori, distinti da quelli degli altri individui. Questo mi sembra sia il relativismo etico. 

La morale assoluta, i valori assoluti non esistono perché sarebbero in contraddizione con la condizione del problema morale, del valore che appartiene ad ogni individuo: se sono assoluti o universali non sono in gioco nelle scelte morali o nell'attribuzione di valore. Dare alla vita di uomo o alla sua dignità un valore assoluto, universale, significa riconoscere in realtà che hanno un valore relativo: infatti per qualcuno la vita di un uomo non è un valore assoluto e gli omicidi accadono.

Apeiron

Togliamo per ora Wittgenstein e le sue riflessioni che hanno portato solo confusione  ;D Cerco di rispondere a tutti, cercando di essere più chiaro (ad occhio ritengo che Il_Dubbio, Phil e Domingo siano più vicini alla mia posizione però non ne sono veramente sicuro). Ora parlo solo dell'"etica" e non considero il "valore massimo"...



Anzitutto perchè secondo me i valori etici non possono venire dalla convenzione sociale. Semplicemente perchè, citando Phil - che in realtà pur facendo l'avvocato del "diavolo" è più vicino di quanto pensa alla mia posizione  ;) : "e il fatto che sia basato su un denominatore comune a molte culture, non lo rende più oggettivo: quando tutte le popolazioni pensavano che il cielo stellato fosse pieno di dei, non per questo era davvero così". Appunto: questo mostra che la convenzione sociale non può essere alla base dell'etica. Questo deriva dal fatto che essendo l'uomo per sua natura limitato ovviamente limitata sarà anche la società e quindi è errato ritenere che una credenza condivisa sia in fin dei conti "la verità". Il problema del relativismo semmai è proprio questo: esistono solo condivisioni, quindi...
"Ogni azione è giusta", "ogni azione è ingiusta", "ogni azione non è né giusta né ingiusta", "ogni azione è sia giusta che ingiusta" (perdonate la logica indiana  ;D ) sono tutte posizioni valide, non valide, valide e non valide, né valide né non valide  ;D  vedete l'assurdità: l'aver tolto la possibilità che ci sia un'etica "oggettiva" in realtà produce una sorta di confusione. Ossia è proprio questo che in fin dei conti porta alla posizione che l'etica è una credenza condivisa! Motivo per cui sono costretto a dire che ad esempio il principio della "dignità dell'uomo" va bene perchè abbiamo deciso nel 1948 che va bene. Si potrebbe obbiettare dicendo che queste convenzioni si basano sulla scienza. Ad esempio sulla biologia, sullo studio dell'evoluzione ecc. Ma la scienza di per sé al massimo ci dice a sua volta che statisticamente gli umani ritengono che "X è sbagliato (o giusto)": può (almeno per ora, ma considerando che la nostra mente è "limitata" direi per sempre...) dare una giustificazione statistica all'eticità. Ma anche questo tentativo fallisce: nuovamente infatti non c'è in realtà nessuna ragione per cui ad esempio, utilizzando l'esempio de @Il_Dubbio possiamo considerare "pazzo" l'uomo che tenta di commettere la strage planetaria. Quello che abbiamo da offrire è solo una risposta per la quale lui è "diverso" e le sue azioni sono "diverse" dalle nostre. Inversamente facendo lo stesso esempio alla rovescia poniamo che un solo uomo ritenga che è sbagliato fare la strage: nuovamente la statistica ci direbbe che in realtà solo l'uomo che non vuole fare la strage è "pazzo". Utilizzando dunque la logica del convenzionalismo o del mero empirismo vediamo che in questa situazione rovesciata siamo costretti ad ammettere che non abbiamo alcuna ragione per fermare queste "scellerate" azioni...  ;) inoltre non capisco perchè dire che l'etica non dipende dall'educazione inficia il valore dell'educazione. Semmai è il contrario l'educazione - o più precisamente la "philosophia", la spinta a conoscere - che tende a ricercare di "migliorare" le attuali "convenzioni sociali". Ma se l'etica è meramente la convenzione sociale o "derivata" solo dall'osservazione empirica (l'osservazione "dei fatti" ovviamente è importante ma non riesce a spiegare tutto il problema) allora perchè dovrei cercare di "migliorare" la mia condizione, quella della società ecc? ::) Cos'è dunque che ci spinge a cercare il meglio? Chiaramente non è né l'educazione, né la convenzione sociale e nemmeno le parole del personaggio X che vuole indottrinarmi che un determinato tipo di morale è quella "giusta per me" (ovviamente può aver ragione ma può aver torto  ;) ).



@baylham scrive: "Dare alla vita di uomo o alla sua dignità un valore assoluto, universale, significa riconoscere in realtà che hanno un valore relativo: infatti per qualcuno la vita di un uomo non è un valore assoluto e gli omicidi accadono." Ehm... questo è proprio la conseguenza del nichilismo: ognuno interpreta come vuole tale dottrina. Ad esempio se "per me" è meglio rubare e "per te" no posso appellarmi alla mia "dignità" per giustificare la mia azione (magari non ho nemmeno bisogno di ciò che rubo e lo faccio solo per "passare il tempo"...). Questo in effetti è una logica conseguenza di un relativismo abbastanza ingenuo (che tra l'altro è diverso dal pensiero debole  ;) ...). Perchè dovrei concordare con te che "non devo rubare"? Per quanto dice il relativismo non ho alcun motivo per ritenere la tua posizione più "civilizzata" migliore della mia.



Qui entra il fallibilismo (che se vogliamo è una forma di pensiero debole visto che invoglia a "testare" i precetti morali prima di appoggiarli). Ritengo innegabile che tutti noi ricerchiamo ciò che ha più valore (ossia ciò che è più importante per noi). Per esempio per me è importante scrivere su questo Forum e quindi lo cerco di trovare il tempo per farlo. Empiricamente osserviamo che le persone a volte ritengono "importanti" cose che non lo sono per noi o cose che possono causare danno all'altro. Vediamo ad esempio che (per fortuna molto) pochi non danno valore alla vita altrui, mentre la maggioranza tende a valorizzare la vita propria e altrui. In fin dei conti però ci assomigliamo abbastanza e lo si vede semplicemente guardandoci. Quindi è facile inferire che in realtà almeno certe cose che sono importanti per me lo sono anche per un altro che magari non se ne rende conto. Analizzando razionalmente le cose posso a mio giudizio vedere per lo meno ciò che per me è importante e posso provare anche a dare insegnamenti agli altri (non è su questo che in fin dei conti si basa l'educazione?). Perchè non ammettere che la ragione può stabilire che ci sono delle azioni che sono giuste sia per me che per gli altri? Ma in tal caso io faccio un'assunzione importante: ossia che per così dire esiste una sorta di "legge naturale". No? E non è corretto dire che vista la somiglianza tra gli uomini certe azioni saranno per così dire considerabili "giuste" per tutti? E non è nuovamente facile dedurre che chi non è d'accordo è in uno stato di ignoranza (ben che vada...) rispetto a queste "leggi"? E se notiamo un numero elevato di opinioni a riguardo di una determinata azione non vorremmo noi capire il motivo per cui si ritiene una determinata azione "giusta" o meno? E non possiamo noi ammettere che una determinata azione deve essere sempre contestualizzata per essere definibile "giusta"  o meno? E tra "giusto" e "ingiusto" non riteniamo dunque che talvolta vi è una gradazione bene più complessa? E non riteniamo che l'etica in fin dei conti deve partire dall'individuo perchè è l'individuo che è mosso dal senso dell'importanza, della "giustezza"? E non riteniamo dunque che tra i vari individui ci siano somiglianze e che quindi ciò che è importante (o non importante o indifferente o molto importante) per uno possa esserlo anche per gli altri? E non diremo che il relativismo ha ragione nel considerare come il punto di partenza l'individuo ma ha torto quando non considera che tra gli individui ci sono in realtà importanti somiglianze? E a causa di queste somiglianze non potremo dunque dedurre che esistano anche delle gerarchie di valori condivise, anche se chiaramente la "valutazione" è prima di tutto individuale? E dunque non potremo proprio partire da qui a dire che l'educazione si fonda proprio sulle somiglianze e che quindi è possibile per un individuo dire, in linea di principio, ciò che è meglio per un altro individuo? E non potremo anche fare una comune ricerca per capire cosa è importante per ciascuno di noi?
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Il_Dubbio

Citazione di: Apeiron il 10 Novembre 2017, 23:03:22 PMP.S. Ovviamente come c'è scritto nella mia firma sono convinto che esista il "bene supremo" e che esso sia universale. Non capisco però cosa esso sia. Lo ritengo però diverso dalla non-esistenza.

Se pensiamo al "bene" come qualcosa di esterno a cui dare un valore allora il discorso è un discorso poco supremo e molto piu fatto di relazioni.

Il bene supremo è  il bene supremo stesso.

In sostanza è un bene assoluto l'opportunità di cercane uno. Posso odiare la vita o la morte, ma non è bene assoluto la vita o la morte in se, ma il fatto di poter abbracciare uno o l'altro. Questa possibilità è universale, o meglio che ci distingue nell'universo.
Il valore che io posso dare alla vita è di stampo sociale. L'umanità è progredita fino al punto di scegliere una gerarchia di valori. I quali però vanno prima o poi in conflitto. L'unico valore che non può andare in conflitto è il poter giudicare liberamente un valore. Un malato grave può decidere liberamente qual è il suo valore primario e se è la vita o se è la morte non va giudicato per la sua azione di giudizio, ma va accettato per il fatto che lui stesso può liberamente sceglierlo, in quanto quello è il suo e il nostro valore universale.
Come ho detto esistono o si sono creati valori sociali, quali il denaro o anche l'ozio. L'ozio non è un valore sociale (mentre il denaro si), ma se uno è ricco può sceglierlo al posto del lavoro. Non è mai stato mai costretto un uomo a lavorare se non ha bisogno di guadagnare per vivere. E' stato introdotto un valore aggiuntivo per limitare gli oziosi, nei termini di frasi idiomatiche: il lavoro nobilità l'uomo. Sicuramente il ricco non sarà d'accordo. E voglio proprio vedervi a fargli cambiare opinione.  :-*



Quindi la società, o meglio l'umanità plasma i valori a seconda delle necessità della società stessa. Ma non avremmo alcuna umanità se non ci fosse stato l'unico valore assoluto, l'unico bene assoluto in grado di poter fare tutto quello che pensiamo sia stato fatto fino ad ora. Quindi poter riconoscere un bene e poterlo scegliere liberamente. Questo secondo me è il bene assoluto.

Apeiron

Non si può parlare di "bene" e di "valore" in termini esclusivamente teoretici. Come ho scritto nel post d'apertura il "valore" è "ciò che rende per noi importante un oggetto". La definizione è circolare e quindi bisogna partire dall'assioma (e lo stesso vale per una parola come "esperienza". L'esperienza è l'insieme delle cose che vedo, sento ecc ma ovviamete è nuovamente circolare). Il valore è chiaramente relazionale. L'oggetto Y ha valore per il soggetto X. E il soggetto X cerca ciò che è più importante per lui, preferisce cercare l'oggetto Z se è veramente convinto che Z abbia più valore di Y. Si può pensare ad un oggetto "S" che abbia più valore di ogni altro oggetto per il soggetto X. Beh... tendo a dire di sì. Il valore di tale fantomatico oggetto è chiaramente massimo. E l'oggetto di tale valore non è semplicemente la ricerca di tale valore o la possibilità di ricercarlo. In realtà è importantissimo e la mente del soggetto "vorrebbe tanto" che ci fosse veramente un simile soggetto. Pura illusione di sognatori? Retaggio culturale errone? Eppure è proprio l'uomo l'unico (a nostra attuale conoscenza) a essere consapevole che cerca sempre ciò che per lui ha "più valore" - è consapevole di preferire l'oggetto Z rispetto all'oggetto Y se Z è visto più importante di Y. Vedendo questo è naturale che se trova un oggetto W che sembra avere più valore di Z, cercherà di arrivare a W. E così via. Ma ognuno di questi oggetti è una realtà non è solo un concetto. Quindi anche il "Bene Supremo", l'eventuale (?) "bene" che ha valore massimo "deve" per così dire essere una "realtà", una realtà che supera la sola possibilità di cercarlo o la sola possibilità di poter scegliere di cercarlo. Poter solo riconoscere un bene non è la "cosa più importante", esser libero di scegliere l'ozio o la ricchezza come beni non è "la cosa più importante". Anche perchè queste sono solo possibilità e non realtà, la "possibilità di" non è qualcosa di "reale" e inoltre è sempre subordinata a qualcosa di esterno, si rivolge sempre ad altre cose. No... il "bene supremo" - se c'è - dev'essere qualcosa di "completo"  ;)
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Il_Dubbio

Citazione di: Apeiron il 16 Novembre 2017, 12:49:49 PMIl valore è chiaramente relazionale.

Per essere assoluta tale relazione però deve assomigliare ad una equazione dove il primo termine è uguale al primo.

Prendi qualsiasi termine di relazione di valore e trovami una relazione che sia anche solo apparentemente di tipo assoluto.

Sei un fisico e quindi conosci la matematica meglio di me. Anche in fisica (da quel che ho capito io) i valori non sono assoluti. Al limite possono essere assoluti le costanti che comunque sono rapporti fra valori. Qui invece non ci interessa il rapporto fra i valori, ma i valori in rapporto con noi. Solo in rapporto con noi gli "oggetti" esterni assumono un valore. Per cui sembra (e da qui la mia risposta) che non siano gli oggetti esterni che abbiano un valore, ma il loro rapporto con noi. E solo questo rapporto che è (o almeno a me sembra) di tipo assoluto. E' come se massa ed energia (nella famosa relazione che abbiamo in altre parti gia valutato per altre domande)  fossero oggetti uguali (come infatti lo sono). Ma per me avrebbe piu valore l'energia o la massa? E' chiaro che non ha senso. Io mi metto in realzione a cose che sono fondamentalmente uguali ma dandogli un valore diverso. Il fatto che io riesca fondamentalmente a distinguere cose che in realtà sono fatte della stessa sostanza, o per nessun altro abbiano alcun senso, è un valore assoluto. Anche Dio e il diavolo (nelle descrizioni a cui sono legato da racconti di catechismo) erano praticamente della stessa sostanza. O anche Eva poteva mangiare la mela nonostante fosse proibita.

Sono sicuro che se approfondisci le filosofie orientali (come dici di fare gia) secondo me giungi a una conclusione, non so se esattamente quella che sto dicendo io, ma forse simile a questa.
Quindi è chiaro che per me dare un valore ad un oggetto e pensare che esso sia assoluto (o che ne esista uno assoluto) non è una strada percorribile...poi io sono disposto a passare anche su strade quasi impercorribili  ;)

Apeiron

#23
Per quanto riguarda le filosofie orientali... Beh ad esempio nel buddhismo per esempio si rinuncia a tutto per "raggiungere" il Nirvana, il Bene Supremo. E stando al Buddha questo Bene è il Bene Supremo per ogni essere senziente.  ;) Ovviamente già a suo tempo c'era chi pensava che il nirvana non era il "bene supremo" (ossia la cosa più importante per ogni soggetto) e per questo motivo il Buddha sosteneva (ovviamente stando alle parole a lui attribuite ad esempio nel Canone Pali) che chi non si rende conto che il bene supremo è il nirvana ha "polvere negli occhi": in sostanza il bene supremo per il buddhismo è raggiungere il nirvana, ma non lo è solo per i buddhisti - secondo i buddhisti lo è per tutti. Per gli indù è Brahman e per i daoisti è il Dao... Ergo non mi paiono così tanto diverse da questo punto di vista dalla filosofia occidentale (greca, ma anche cristiana) tanto bistrattata (d'altronde tra Platone e la filosofia induista c'è pieno di somiglianze!)  ;)  (ti consiglio di leggere il topic del buddhismo...https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/buddhismo/). Vorrei però evitare di parlare delle religioni o delle filosofie (se non come esempio...) altrimenti si rischia l'off-topic. Per esempio posso dire "Dio è il Bene Supremo Universale" per i cristiani mentre per i buddhisti il "Bene Supremo Universale" è il Nirvana però lascerei perdere (almeno per ora) la descrizione dei "beni supremi universali" delle particolari filosofie o religioni
(LOL forse sarebbe opportuno aprire un "topic" sulle filosofie orientali  ;) d'altronde anche nel topic del buddhismo si parla continuamente - per colpa mia  ;D - delle filosofie "orientali" rivali ad esso. )


Tornando a parlare dei valori... (nota: la gerarchia strettamente parlando è degli "oggetti di valore" a seconda del loro valore)
Credo che a causa della mia inabilità a spiegarmi di aver creato una sorta di equivoco. Ora cerco di scrivere le cose in modo chiaro.
1) Provando a definire il "valore" ho notato che si cade nella circolarità, o meglio "il valore è ciò che rende importante un "oggetto" per un soggetto", in realtà sposta il problema sulla definizione di "oggetto importante", che a sua volta si definisce come qualcosa che ha "valore" ("oggetto di valore" o "bene"). Direi che è un fatto che si può definire a-priori della nostra esperienza e quindi non è definibile se non in modo circolare.
2) il valore è relazionale, perche qualcosa è "importante" solo in riferimento a un soggetto. D'altronde è sempre un soggetto che distingue una cosa come molto importante, importante, indifferente ecc
3) il valore quindi non può essere considerato come una proprietà  dell'oggetto (!). Ma richiede un soggetto e un oggetto.
4) è possibile che più di un soggetto diano lo stesso valore a un determinato "oggetto" (mi pare ovvio, almeno in generale), così come è possibile che due soggetti non siano d'accordo sull'importanza di un determinato "oggetto"
5) è possibile che esista almeno un valore "universale". Cosa voglio dire? Che tutti i soggetti diano la stessa "importanza" (lo stesso "valore") ad un determinato oggetto. Il termine "assoluto" può essere utilizzato in quanto in questo caso può essere utilizzato come sinonimo di universale.
6) ogni soggetto ha una gerarchia di valori (fatto empirico)...
7) è quindi possibile pensare che più di un soggetto abbia una stessa gerarchia (scrivo "una" perchè possono dire che ad esempio i Beatles sono meglio dei Rolling Stones ma possono non essere d'accordo sul fatto che "i Beatles sono meglio dei Queen"). Ed è possibile che esista una gerarchia condivisa da tutti.
8 ) è possibile pensare che esista un (oggetto di) valore massimo per ogni soggetto (per ogni soggetto X esiste un oggetto Y che ha valore massimo - in genere dobbiamo dire che tali oggetti di valore siano diversi).
9) è possibile pensare che esista l'oggetto di valore massimo sia lo stesso per ogni soggetto.
10) si definirà come "bene supremo" l'oggetto che ha il massimo valore (ossia l'oggetto di valore massimo, oppure ciò che ha massima importanza...). Se è unico per ogni soggetto allora tale "bene supremo" sarà anche "universale" (o "assoluto").
E fin qui non ho fatto alcuna conclusione... Ora però andando avanti:
11) empiricamente osserviamo che ad esempio gli esseri umani sono simili tra di loro;
12) ergo è ragionevole pensare che diverse cose siano importanti per tutti gli esseri umani;
13) è ragionevole pensare che anche i "beni supremi" di ogni essere umano siano simili tra di loro;
14) ergo se uno riesce a capire ciò che per lui stesso è importante, sarà utile condividerlo tale comprensione anche agli altri individui (per il loro... bene  ;D );
15) per il principio di somiglianza se ciò è di benificio per quell'individuo è ragionevole pensare che possa esserlo per gli altri;
16) è ragionevole pensare che per il principio di somiglianza anche alcune gerarchie di beni (la gerarchia strettamente parlando è degli "oggetti di valore" a seconda del loro valore) siano condivise;
17) non è così irragionevole pensare che ciò che è più importante per un determinato individuo lo sarà anche per tutti gli altri (d'altronde empiricamente osserviamo che gli esseri viventi senza acqua ( ;D ) non vivono).

Spero di essere stato abbastanza chiaro stavolta... Non credo di riuscire a fare di meglio... :(



Non riesco a capire comunque l'obiezione per cui il valore "assoluto e supremo" non esista o che tale "concetto" sia senza senso (sarò tardo  :D ). Ora se per "assoluto" si intende "universale" non credo proprio che si possa dimostrare che non esistano. Il fatto che i valori siano relazionali non significa che non esistano valori universali. Mi fai l'esempio della fisica... ebbene in relatività ristretta per ogni sistema di riferimento universale il "valore" della velocità della luce è... "c"  ;)  in fisica c'è pieno di quantità che sono misurate (e la misura è in fin dei conti l'interazione tra un soggetto e un oggetto - e quindi è una "cosa" relazionale) che sono uguali per una grande classe di sistemi di riferimento. Motivo per cui ci possono essere tanti valori universali ma chiaramente questi valori "universali" in genere formano una gerarchia  ;)

Ad ogni modo concordo con te che la libertà è un valore universale - ci mancherebbe  :) però secondo me non è quello più importante visto che per sua natura non è completo e non riesce a dare la completa sodddisfazione (ciò che credo che uno si aspetti quando "raggiunge" l'oggetto che ha il massimo valore - se ottengo d'altronde ciò a cui aspiro più di tutto il resto ovviamente mi pare anche abbastanza chiaro)  ;)

P.S. dici:"Sei un fisico e quindi conosci la matematica meglio di me." Anzitutto sono un mero studente di fisica LOL ad ogni modo è meglio dire che "so probabilmente più cose della matematica e della fisica" però "Sapere molte cose non insegna la comprensione" (Eraclito) :(


Ad ogni modo chi volesse sapere cos'è che mi ha causato questa "ossessione" con il "valore", segnalo https://www.riflessioni.it/logos/percorsi-ed-esperienze/quali-sono-state-le-maggiori-influenze-sul-vostro-pensiero/msg16817/#new, risposta 23.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Il_Dubbio

Citazione di: Apeiron il 17 Novembre 2017, 12:51:21 PM
Non riesco a capire comunque l'obiezione per cui il valore "assoluto e supremo" non esista o che tale "concetto" sia senza senso (sarò tardo  :D ). Ora se per "assoluto" si intende "universale" non credo proprio che si possa dimostrare che non esistano. Il fatto che i valori siano relazionali non significa che non esistano valori universali. Mi fai l'esempio della fisica... ebbene in relatività ristretta per ogni sistema di riferimento universale il "valore" della velocità della luce è... "c"  ;)  in fisica c'è pieno di quantità che sono misurate (e la misura è in fin dei conti l'interazione tra un soggetto e un oggetto - e quindi è una "cosa" relazionale) che sono uguali per una grande classe di sistemi di riferimento. Motivo per cui ci possono essere tanti valori universali ma chiaramente questi valori "universali" in genere formano una gerarchia  ;)

Buono. L'esempio sulla velocità della luce è anzi ottimo. Non ci avevo pensato  ;)

Ma proprio basandoci su quel "valore" possiamo dedurre cosa vuol dire valore e cosa vuol dire assoluto. Un valore è una quantità, e assoluto vuol dire che vale per tutti i sistemi (in caso della luce, si intende i sistemi di riferimento).



Per quanto riguarda i concetti filosofici, a cui si riferiscono i concetti di valore e di assoluto, possiamo dire che ci riferiamo alle stesse descrizioni di valore e di assoluto che potremmo dare al valore della velocità della luce?


Facciamo alcune considerazioni Se il valore fosse una quantità dovremmo stabilire se tutti i valori che abbiamo in mente esprimono una quantità. 

I valori solitamente sono astratti. Tipo la fratellanza. L'amore o il rispetto. Il lavoro e l'onesta. Ma, come abbiamo visto, anche il denaro e, perchè no, per alcuni anche l'ozio.

Il primo esempio l'ho fatto sulla vita o sulla morte. Quindi riprendo quello.

Gia solo con la vita ho potuto dargli un senso "quantitativo" (che spesso è però espresso in ragione della sua qualità. Nel caso specifico lo esprimo in senso quantitativo). La vita al massimo della nostra gioia, felicità, salute ecc. contiene infatti il massimo di quantità di vita. Quando una di quelle componenti manca, diminuisce la quantità di vita. Non per tutti quindi la quantità di vita è la stessa, per cui mancherà, in ragione della sua diversità, il secondo aspetto che un valore deve avere, ovvero la sua assolutezza, cioè (come per la velocità della luce) che sia per tutti la stessa. 



Come descriveresti un valore senza dover usare un parametro numerico o (in forma meno rigorosa) quantitativa?
Il denaro potrebbe essere un valore, ma quanto denaro serve perche esprima un valore assoluto cioè che vada a bene a tutti?



Continuando con questo ragionamento trovo anche contraddizioni tra valori che precludono la possibilità di stabilire una gerarchia.

E qui credo sia importante stabilire una cosa. Un conto è fare un gerarchia di valori "approsimati" un conto e trovarne una assoluta.

Ad esempio, se oggi diciamo che il valore di internet è salito rispetto a dieci anni fa, questo non vuol dire che avrà lo stesso valore fra altri dieci anni e nella media di interesse sull'utilizzo di internet su i vent'anni il 90% sia una buona approsimazione per indicare l'interesse per internet di valore assoluto. Non so se mi sono spiegato. Non posso dire (per spiegarmi con un esempio) che internet sia un valore assoluto se c'è anche uno solo che decide di starsene solo in montagna a pascolare le capre. La luce infatti non fa sconti a nessuno..per questo c è una costante.  :D

Apeiron

Ottima risposta @Il_Dubbio  ;) Provo a darti una risposta che pur essendo a mio giudizio insufficiente a rispondere alle tue domande, sarà utile per andare avanti nel dibattito e magari far tornare altri che hanno partecipato.


Nuovamente, ritengo, che sia doveroso chiarire il significato della parola "valore" prima di usarla. (porta pazienza ma sto seguendo la metodologia dei dialoghi platonici... per ora siamo ancora nella confusione  :( ). Se ammettiamo come buona la mia "definizione" (che non è in realtà una vera definizione, in quanto circolare) allora dobbiamo dire che il valore non è un oggetto, bensì definisce "quanto sia importante un oggetto per un soggetto". Il valore perciò pare essere una quantità, assimilabile al numero. Potremo dire che un oggetto "Y" vale più di un oggetto "Z" per il soggetto "X" anche nella forma matematica "{X_valore(Y)>X_valore(Z)}" avendo rappresentato il "valore" con una scala numerica ordinata (ordinata=si può definire in modo sensato il concetto di "maggiore" (>)). In questa notazione ho usato la forma "soggetto_valore(oggetto)". Chiaramente si può avere che utilizzando due soggetti X1 e X2 e due oggetti Y1 e Y2 la relazione di ordine è rispettata (ossia che valore(Y1)>valore(Y2) per entrambi) ma X1_valore(Y1) è un numero diverso da X2_valore(Y1). Se l'oggettoY1 è il "benessere economico" dunque sto dicendo che il "benessere economico" per X1 è più importante che per X2 ma allo stesso tempo se l'oggetto Y2 è "andare su Marte" entrambi valutano che il "benessere economico" è più importante di "andare su Marte". Ci sono come osservi giustamente tu anche i cosiddetti "oggetti di valore astratti" (che a causa della loro "astrazione") sono comunemente detti "valori" (tuttavia per consistenza nella notazione dovremo utilizzare anche in questo caso la nomenclatura di "oggetto" per evitare un conflitto nella notazione). Come dunque confrontare il valore del "benessere economico" con il valore della "fratellanza". Anzitutto dobbiamo ammettere che affinché questi confornti abbiano senso anche la "fratellanza" non sia un qualcosa di astratto ma rappresenti qualcosa di reale (il termine astratto viene dunque usato per indicare il fatto che è più difficile da definire rispetto ad esempio al "benessere economico"). Supponiamo però che sia per X1 che per X2 sia chiaro cosa significa "fratellanza" e che ad esempio entrambi siano d'accordo di definire tale "oggetto" come la disposizione per la quale "amo il prossimo come se fosse un mio fratello" (ammesso che "fratellanza=amore fraterno"). Nuovamente possiamo dunque definire che "fratellanza=Y3" e quindi ad esempio: X1_valore(Y3)> X1_valore(Y1)>X1_valore(Y2). Supponiamo che X2 non sia d'accordo e per lui: X2_valore(Y1)> X1_valore(Y3)>X1_valore(Y2). I due personaggi hanno una gerarchia diversa. Come ho già detto il "valore" è qualcosa di relazionale (essendo l'importanza di un oggetto che viene data da un soggetto).

Definiamo relativismo estremo quella posizione filosofica per la quale non v'è nulla che può distinguere che una gerarchia è migliore dell'altra. Se fosse vera questa posizione allora sarebbe falso dire sia che la gerarchia di X1 è "migliore" (o "peggiore") di X2 perchè non c'è alcun criterio veramente comune tra i due. Una forma di relativismo un po' meno estrema invece, che definisco "relativismo forte" è quella per la quale il confronto delle gerarchie è davvero possibile se e solo se i soggetti X1 e X2 sono uguali (ossia sono indistinguibili). Considerando che le persone differiscono tra di loro per l'educazione, le preferenze personali, le abilità, il contesto sociale in cui vivono, la famiglia ecc allora questo tipo di relativismo asserisce che il confronto delle gerarchie nella realtà è privo di significato - ossia il dialogo stesso è del tutto senza senso. Un "relativismo debole" invece asserisce che i soggetti X1,...,XN riusciranno a trovare beneficio dal dialogo perchè ad esempio sono ignari della gerarchia "migliore" per essi. Tuttavia è categoricamente escluso dal relativismo che si possa definire un "maestro" in quanto in fin dei conti le diversità individuali a priori tendono a fare in modo che ognuno abbia la sua "gerarchia" (e quindi in realtà è possibile per il relativismo che in fin dei conti X1,...,XN abbiano le loro "giuste" gerarchia completamente diverse l'uno dall'altro). La mia posizione "fallibilistica" invece asserisce che anche se è vero che ci sono differenze individuali è pur vero che le somiglianze tra gli individui sono molto più evidenti (per esempio una cosa in comune a tutti gli esseri umani è essere "potenzialmente senzienti"). Ciò significa che è possibile che i soggetti X1,...,XN possano essere ignari della gerarchia a loro favorevole ma che in virtù delle evidenti somiglianze queste gerarchie in realtà si somigliano.

Nella situazione esposta nel primo paragrafo nel caso del "relativismo forte" e in quello "estremo" si deve semplicemente prendere nota delle differenze (non c'è alcuna ragione per cui X1 e X2 debbano ad esempio dialogare). Nel caso del "relativismo debole" invece X1 e X2 potranno dialogare e ognuno "testerà" la gerarchia dell'altro - tuttavia entrambi potranno ragionare in questo modo: "l'altro è diverso da me e quindi mi tengo la mia gerarchia perchè è quella giusta" o viceversa uno dei due potrebbe dire "l'altro è diverso da me però la sua gerarchia mi sembra interessante anche per me". Però non c'è alcuna ragione di fondo per la quale uno dovrebbe mutare la sua gerarchia. Nel caso del fallibilismo invece è possibile ritenere che uno dei due cambi "gerarchia" in quanto solo una delle due è "quella giusta" per entrambi. Il "fallibilismo" in sostanza sostiene che la divergenza delle gerarchie può essere causata dall'ignoranza o dall'errore dei soggetti stessi. Si badi bene che nel caso del "relativismo forte" od "estremo" non è possibile fare un'affermazione simile in quanto il concetto di "errore" o di "ignoranza" è privo di significato. Nel caso del relativismo "debole" invece addirittura i due soggetti non hanno alcun motivo a-priori per cui possono affermare che l'altro può essere in errore o in stato di ignoranza. Nel caso del fallibilismo invece è possibile che entrambi siano motivati a cercare di trovare la "giusta" gerarchia per entrambi facendo magari qualche modifica per adattarla alle predisposizioni individuali. Essendoci per assunto però in questo caso un terreno in comune in generale è possibile parlare di "maestri", di "gerarchie" condivise ecc nel caso del relativismo debole invece il fatto che il dialogo sia utile all'individuo è solamente una mera accidentalità, un caso fortuito.  ;)
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

green demetr

"Valore" per me col passare degli anni ha finito per assumere una valenza negativa.

Essendo valore qualcosa che è legato ad una valuta, significa semplicemente che vi è una pietra del paragone con cui decidere che fare della merce, sia essa oggettiva o intellettuale.

Ma nella nostra tradizione si lega alla questione morale.
Dunque valore è una sorta di incitamento, slogan ad un certo agire, di solito sociale.

Ma questa società è marcia, e dunque è uno slogan, uno dei tanti mezzi usati dai mass media per renderci stupidi.

E devo dire che funziona egregiamente, o sei un filosofo, un intellettuale, dissidente, oppure ci rimani invischiato con queste cose.

E infatti ci ero rimasto invischiato anch'io.

Ma andiamo alla discussione.

Mi sembra che tu tenda ad assegnare alla parola valore quello di bene. Con un bel "TU DEVI" all'inizio di quel bene, per rimettere le cose a posto.

cit "...nasce dall'esigenza di stabilire ciò che è importante"

A questo punto andiamo a rapide risposte.


2) esistono valori solo individuali o universali?

Essendo formalizzazioni, esistono entrambe.


3) esiste il massimo valore?

Il massimo valore, dovrebbe essere un valore assoluto, è invece nella terminologia stessa l'oggetto stesso (l'assioma) da cui si dipanano gerarchicamente le convenzioni, i postulati.

4) esiste una gerarchia di valori? è universale? 

Come detto sopra, è la gerarchia ad essere il vero valore, ossia la vera politica dietro alle convenzioni e ai postulati.
E' universale per definizione (altrimenti come farebbe ad essere gerarchica?)

5) l'idea del "massimo valore" si forma in "modo automatico" nella nostra mente?

Come hai rilevato tu, psicologimamente possiamo dire che si formi in una maniera che potremmo dire automatica.
Anche se la sua origine, ossia la paura, ne è il vero oggetto di analisi filosofica.


6) se il massimo valore non corrisponde a qualcosa di reale perchè dovrebbe formarsi un'idea simile nella nostra mente?

Per via del processo secolare di incivilimento, ossia di allontanamento delle paure originarie, e della Paura originaria, ossia in una parola dell'Ignoto.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

green demetr

Citazione di: Kobayashi il 12 Novembre 2017, 09:44:28 AM
Parto dalla fine.
Non credo che esista un valore supremo. Il relativismo culturale, da cui non si può prescindere, ha già dimostrato abbondantemente l'impossibilità di parlare di valori universali.
Si potrebbe dire allora che i valori sono punti di riferimento per il soggetto.
In parte in linea con Nietzsche direi che i valori sono ciò che ti permettono di svilupparti meglio, di portare a perfetta espressione la tua persona.
Per chi ha un temperamento filosofico, per esempio, alcune cose sono considerabili dei valori o delle virtù perché permettono di vivere distaccati dalle turbolenze inutili del mondo, in modo che le energie migliori non vengano sprecate in faccende superflue.
Un filosofo del genere considererà la gentilezza un valore. Ma in tutt'altro modo di un cristiano.

Naturalmente la cultura di appartenenza determina fortemente il giudizio sui valori.
Per esempio noi occidentali non possiamo fare a meno di considerare un atto criminale l'infibulazione. In altre società viene considerata una buona tradizione.
Possiamo cioè anche considerarci relativisti ma nello stesso tempo non possiamo fingere di non essere il prodotto di una civiltà – la quale deciderà dentro di noi, che lo si voglia o no, ciò che è giusto... Un antropocentrismo ineludibile...

Ma al di là dei limiti di questo antropocentrismo "genetico", c'è spazio per scegliere una forma di vita che sia il più possibile funzionale al proprio temperamento.
La sfida per il soggetto, soprattutto in un tempo come il nostro in cui tutti sono separati e lontani, in cui si vive da soli o in micro-famiglie, e quindi un tempo in cui si subisce poco l'influenza "stilistica" degli altri, è la costruzione di un tipo di uomo da incarnare, partendo magari dalle piccole cose come alimentazione, ginnastica, tempo dedicato alla lettura, alla scrittura etc.

E su questo propongo un'idea: e se la funzione del filosofo del nostro tempo fosse proprio quello di creare tipi, modelli, etc., che poi possano servire da punto di riferimento per gli altri? Anziché produrre monografie specialistiche sulle più assurde curiosità storico-filosofiche...

Sono d'accordo, ma questa cosa che proponi fa parte del luogo delle utopie.

Fin quando il filosofo non si rende conto sulla scorta di Nietzche che siamo dentro ai meccanismi del paranoico, e che dobbiamo sudare ancora molto per trovare una via di uscita a quella impasse, il rischio è quello di indicare un modello (agli altri o a se stessi) che è ancora dentro al paradigma della nostra civiltà, ossia alla sua immobilizzazione intellettuale (appunto competenza del filosofo).

Detto questo, trovare una valida forma di vita all'interno di quel paradigma, secondo il proprio temperamento è sicuramente molto meglio che la specializzazione monografica.

Diciamo che sarebbe un buon modo di superare i sintomi del viver male contemporaneo.
Non è sempre del Byung questa idea del sistema immunitario?
(Oddio quanto lo DEVO leggere! ma niente ho il cervello in bambola da settembre....!)

Non ci sono dubbi.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

Il_Dubbio

Citazione di: Apeiron il 18 Novembre 2017, 12:39:00 PM
 Nel caso del "relativismo debole" invece X1 e X2 potranno dialogare e ognuno "testerà" la gerarchia dell'altro - tuttavia entrambi potranno ragionare in questo modo: "l'altro è diverso da me e quindi mi tengo la mia gerarchia perchè è quella giusta" o viceversa uno dei due potrebbe dire "l'altro è diverso da me però la sua gerarchia mi sembra interessante anche per me". Però non c'è alcuna ragione di fondo per la quale uno dovrebbe mutare la sua gerarchia. Nel caso del fallibilismo invece è possibile ritenere che uno dei due cambi "gerarchia" in quanto solo una delle due è "quella giusta" per entrambi. Il "fallibilismo" in sostanza sostiene che la divergenza delle gerarchie può essere causata dall'ignoranza o dall'errore dei soggetti stessi. Si badi bene che nel caso del "relativismo forte" od "estremo" non è possibile fare un'affermazione simile in quanto il concetto di "errore" o di "ignoranza" è privo di significato. Nel caso del relativismo "debole" invece addirittura i due soggetti non hanno alcun motivo a-priori per cui possono affermare che l'altro può essere in errore o in stato di ignoranza. Nel caso del fallibilismo invece è possibile che entrambi siano motivati a cercare di trovare la "giusta" gerarchia per entrambi facendo magari qualche modifica per adattarla alle predisposizioni individuali. 

Sembra che, secondo quel che dici, ci dovrebbe essere anche una gerarchia storica. Ammettiamo infatti che l'umanità si sia organizzata inconsapevolmente secondo quello che vien chiamato "fallibilismo". Oggi dovremmo avere valori gerarchicamente migliori di quelli che abbiamo lasciato alle spalle.
Ma è cosi? Forse ... non sono uno storico dei valori esistenti nel passato. Però sarebbe la prova che il fallibilismo ( da te descritto) è la strada che porta a migliorare (almeno) il bagaglio dei propri valori. E chiaro che accidentalmente l'ignoranza del passato può aver condotto quelle società ad avere valori gerarchicamente piu basse. Quindi si dimostrerebbe cosi che il relativismo forte è in errore e che i propri valori potrebbero essere migliorati eliminando l'ignoranza.  Il punto omega corrisponderà alla massima informazione possibile o, per dirla in altra maniera, alla onniscienza.

Per me questo risultato va bene  ;)

Apeiron

#29
@Green i tuoi due interventi mi hanno lasciato un po' perplesso così come mi lascia perplesso il tuo duplice apprezzamento dell'induismo e di Nietzsche. Ho grosse difficoltà ad inquadrarti (il che potrebbe essere una cosa positiva  ;D)
Interessante è la tua posizione per la quale "quello che conta veramente" è la gerarchia. Però lasciami prima farti capire la questione del "TU DEVI". No, non mi sono fatto capire. Il mio non è un "TU DEVI" bensì l'etica, la morale (e anche l'estetica) contiene un dovere verso sé stessi prima di ogni altra cosa. Si parte da sé stessi, non si impone nulla. Non c'è nessuno qui che dice "TU DEVI", però riconosco invece la presenza di alcune "cose" che sono estreamente importanti e che quindi è un "dovere" che queste cose vengano fatte dall'individuo. Questo mi accomuna volendo a Nietzsche (credo) e ai "relativisti", però come spero d'aver fatto capire la loro soluzione è rispettivamente secondo me "erronea" (nel caso di N.) e incompleta, nel caso dei relativisti. Non  è un "TU DEVI", bensì è un "IO DEVO" e questo dovere è in realtà - coincidentia oppositorum - il dover seguire i propri diritti. Questo dovere non rinchiude l'uomo in una prigione bensì lo libera.

Per chiarire uso la seguente notazione: "valore= ciò che rende importante una cosa anche in senso quantitativo", "bene= ciò che è importante". Ritengo che dire che "amicizia", "fratellanza" ecc siano "valori" faccia nascere solo confusione e non aiuti per niente l'indagine. Concordo con te che in automatico si arrivi al "massimo bene". Non concordo con te che ciò sia dovuto alla mera paura dell'ignoto. O più precisamente non solo a causa della paura ma anche a causa della volontà di essere veramente liberi, della volontà vivere in modo autentico, la responsabilità e così via. Come spesso dici anche tu "Dio" è qualcosa che spaventa ma deve essere cercato (no? o almeno è il tuo lato "induista" a dirlo  ;D ).


Mi perplede poi la tua risposta a Kobayashi anche se ammetto di non averla veramente capita. Il relativismo afferma che anche quanto tu dici "non si può definire meglio" di quanto dicono gli altri perchè ogni morale, individualistica o colletivistica che sia, in fin dei conti è "arbitraria". Quello che tu dici in realtà è che si debba cercare qualcosa che è meglio, la trascendenza. Secondo me, così come secondo le filosofie indiane, il modo paradossalmente più "diretto" per arrivarci è essere responsabili, cercare di "essere giusti" e così via.

La morale e l'etica non sono solo "bigottismo" e catene per l'uomo, ma lo valorizzano. Questo si è perso. La morale è un dovere che facciamo a noi stessi (quindi una sorta di "diritto" - coincidentia oppositorum). Cerca di valorizzare ciò che nella nostra natura è importante. Che poi i "moralisti" storicamente abbiano visto la morale solo come una catena contro la vita è un altro discorso (sul quale non ha senso ripetere la critica corretta che ha fatto Nietzsche). Ma non è l'unico modo di vedere l'etica, la morale e i valori universali. Spero d'essere stato chiaro!  (questo paragrafo è lo stesso che c'è nella discussione di Nietzsche. L'ho riscritto anche qui per "il beneficio del lettore", visto che ritengo affermi una cosa molto importante che troppo spesso viene "ignorata" ;) )

@Il_Dubbio. Il "fallibilismo" per coerenza non può dire (almeno all'inizio) che una morale già esistente non è quella "giusta". Il fallibilismo vede il problema, vede che in noi vi è la "tendenza" a cercare ciò che è importante e da lì parte per "edificare" il "carattere" dell'uomo così come cercarono di fare ad esempio Socrate e Platone partendo da zero. Il fallibilismo valorizza la mitologia e la "conoscenza degli antichi" perchè riconosce che sono cose che sono state fatte da persone che cercavano una soluzione a questo problema. Riguardo alla storia si può vedere come i concetti di "giusto" sono stati stravolti. Ma ciò non significa come intendono i relativisti che tale concetto sia arbitrario. Significa semmai che deve essere ricercato con la massima serietà, proprio come facevano i filosofi antichi, da cui credo che dobbiamo solo imparare.

L'obbiettivo non è l'onniscienza, bensì conoscere ciò che è per noi importante. Valorizzare ciò che è veramente importante e distogliere l'attenzione da ciò che invece non lo è o è addirittura dannoso.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

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