Menu principale

Il valore

Aperto da Apeiron, 10 Novembre 2017, 23:03:22 PM

Discussione precedente - Discussione successiva

Apeiron

Con "valore" in genere si intende ciò che rende importante qualcosa. Un esempio molto banale e molto evidente di "valore" è il valore economico ed è rappresentato grosso modo dal prezzo. Per esempio qualcosa che si trova raramente costa molto, così come costa in genere di più un'opera fatta artigianalmente da una fatta nell'industria. Tuttavia anche se il valore è "ciò che rende una cosa importante" è anche vero che tale "valore" deve essere importante per "qualcuno". Per me ad esempio è importante seguire la meteorologia, per altri invece non lo è. Se un giorno sarò costretto a non seguire più il meteo sentirò la mancanza di qualcosa di importante. Tuttavia la nostra mente cambia in continuazione e non è detto che ciò che è per me oggi importante lo sia anche fra qualche anno - ergo la rinuncia alla meteo forse fra qualche anno non avrà alcun effetto. Il "valore" quindi è ciò che muove ciascuno di noi: ognuno di noi persegue ciò che ritiene importante. Alcuni ritengono che il valore massimo della vita sia per esempio il piacere dei sensi. Altri la filosofia e così via. Per questo motivo è facile capire che il "valore" è un argomento che dovrebbe essere molto presente nella filosofia.

Chi ritiene ad esempio che non vi è nulla di meglio dei piaceri dei sensi si comporteranno di conseguenza, ossia saranno nella continua ricerca del piacere - questo se vogliamo è l'edonismo. Chi ritiene ad esempio che il massimo valore sia la filosofia probabilmente dedicherà la sua vita ad essa. Altri potrebbero scegliere il sacerdozio. E così via. L'etica - quella seria, non l'insieme bigotto di regolette - nasce dall'esigenza di stabilire ciò che è importante, quali comportamenti sono giusti e così via - quindi in un certo senso l'etica è lo studio di ciò che ha valore. E volendo lo è anche la spiritualità se la si intende come la ricerca del "Bene", ossia di ciò che ha più valore per lo "spirito". In genere sia le religioni che le religioni hanno cercato di raggiungere ciò che il "massimo valore" e lo hanno reso coincidente con l'Assoluto. In alcuni casi il Bene è una Persona, il Dio Personale. In altri casi è un assoluto non personale. Nel caso del buddhismo è l'Estinzione della Sofferenza (il Nirvana). Per Nietzsche era l'affermazione di sé. Per un nichilista non esiste e così via.

In genere il "valore" di qualcosa sembra crescere a seconda della sua "unicità", della sua "rarità", e del fatto che sia importante per più soggetti. Ergo si dice che il "Bene" più grande è unversale, è ciò che è più importante di tutti. Il fatto che è universale lo rende una sorta di "verità eterna", valida per ogni tempo. Curiosamente Kant si accorse che la nostra mente sembra, per così dire, "puntare" all'esistenza del "massimo bene", ossia sembra che il concetto del massimo bene sia intrinseco alla nostra mente (motivo per cui nella Critica alla Ragion Pratica postulò l'esistenza di Dio in modo da evitare il "paradosso" per cui la nostra mente è regolata da un'idea che riguarda qualcosa di completamente irreale).

Volevo chiedere agli amici dell'Hotel Logos:
1) cos'è per voi il valore?
2) esistono valori solo individuali o universali?
3) esiste il massimo valore?
4) esiste una gerarchia di valori? è universale?
5) l'idea del "massimo valore" si forma in "modo automatico" nella nostra mente?
6) se il massimo valore non corrisponde a qualcosa di reale perchè dovrebbe formarsi un'idea simile nella nostra mente?

P.S. Ovviamente come c'è scritto nella mia firma sono convinto che esista il "bene supremo" e che esso sia universale. Non capisco però cosa esso sia. Lo ritengo però diverso dalla non-esistenza.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

doxa

Cosa sono i Valori? Sono convinzioni, modi di credere. Essi rappresentano ciò che è bene per noi, ciò che è giusto per noi e per gli altri.

Al contrario, disvalore è ciò che si distacca dai valori, ciò che è male, ciò che è sbagliato.

Ogni nostra azione come ogni nostro comportamento, le nostre scelte riguardo a ciò che vogliamo fare, dire, o comportarci, dipende soprattutto dai valori che per noi sono importanti nella nostra vita, infatti se per noi un grande valore è l'onestà, le persone che interagiscono con noi possono stare tranquilli su come agiremo nei loro confronti, avranno fiducia di noi, e questo migliorerà i rapporti che avremo con loro.

Il giurista e giudice costituzionale Gustavo Zagrebelsky  distingue tra valori e principi.

Principi e valori si usano, per lo più, indifferentemente, mentre sono cose profondamente diverse. Possono anche riguardare la pace, la vita, la salute, la sicurezza, la libertà, il benessere, eccetera, ma cambia il modo di porsi di fronte a questi beni. Mettendoli a confronto, possiamo cercare di comprendere i rispettivi concetti e, da questo confronto, possiamo renderci conto che essi corrispondono a due atteggiamenti morali diversi, addirittura, sotto certi aspetti, opposti. 

Il valore, nella sfera morale, è qualcosa che deve valere, cioè un bene finale che chiede di essere realizzato attraverso attività a ciò orientate. E un fine, che contiene l'autorizzazione a qualunque azione, in quanto funzionale al suo raggiungimento.

Tra l'inizio e la conclusione dell'agire "per valori" può esserci di tutto, perché il valore copre di sé, legittimandola, qualsiasi azione che sia motivata dal fine di farlo valere. Il più nobile dei valori può giustificare la più ignobile delle azioni: la pace può giustificare la guerra; la libertà, gli stermini di massa; la vita, la morte, eccetera. Perciò, chi molto sbandiera i valori, spesso è un imbroglione. La massima dell'etica dei valori, infatti, è: agisci come ti pare, in vista del valore che affermi. Che poi il fine sia raggiunto, e quale prezzo, è un'altra questione e, comunque, la si potrà esaminare solo a cose fatte. Se, ad esempio, una guerra preventiva promuove la pace, e non alimenta altra guerra, lo si potrà stabilire solo successivamente.

Il principio, invece, è un bene iniziale che chiede di realizzarsi attraverso attività che prendono da esso avvio e si sviluppano di conseguenza. 

A differenza del valore che autorizza ogni cosa, il principio è normativo rispetto all'azione. La massima dell'etica dei principi è: agisci in ogni situazione particolare in modo che nella tua azione si trovi il riflesso del principio. Per usare un'immagine: il principio è come un blocco di ghiaccio che, a contatto con le circostanze della vita, si spezza in molti frammenti, in ciascuno dei quali si trova la stessa sostanza del blocco originario. Tra il principio e l'azione c'è un vincolo di coerenza (non di efficacia, come nel valore) che rende la seconda prevedibile.


Comunque il concetto di valore è uno dei cardini dell'antropologia culturale e per parlarne ampiamente ci si deve basare su questa disciplina.  

Apeiron

Mmmm la distinzione tra principi e valori mi pare un po' artificiale in realtà. Diciamo che sono due modi diversi di vivere i propri valori. :-\

Però relegare i valori alle convinzioni non spiega "cosa" sia il valore, semmai spiega a cosa noi diamo "valore". Per esempio se per me ha valore "la libertà" certamente sono convinto che essa "è importante". Quello che mi chiedevo io era cosa è in fin dei conti questo senso "di ciò che è importante". Il problema del relegare tutta questa quesione alla "convinzione" è che diventano qualcosa di banale ::) . Mi spiego: gli aztechi hanno i loro valori, gli africani i loro, gli europei i loro e così via.

Oppure si può vedere la cosa in un altro modo: è proprio dai valori e quindi dalle convinzioni che si può vedere per così dire "chi siamo". Ossia che la nostra identità in un certo senso è data proprio dalle nostre convinzioni e dal modo con cui ci poniamo rispetto ad esse. In questo senso relegarli alle nostre "convinzioni" non è affatto banale, anzi. D'altronde le nostre convinzioni in realtà condizionano tutto. Perfino nella scienza si cercano le cose "ritenute importanti" - si scartano dati ritenuti non importanti e così via. Che dunque la nostra identità in fin dei conti sia data da ciò a cui diamo valore (e all'intensità con cui crediamo che ciò sia effettivamente di valore - intensità che si riflette in pensiero, parola e azione)? Però cos'è in fin dei conti il "valore"? L'"io", il soggetto? O meglio: l'identità di questo soggetto?

P.S. La mia attuale firma è "Il bene supremo è come l'acqua (Dao-De-jing, capitolo 8 )". Se in futuro dovessi cambiarla ovviamente il povero lettore sarebbe un po' confuso da post inziale LoL
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

doxa

I valori non sono entità metafisiche né postulati teologici. I valori sono dei coefficienti sociali adottati da una comunità perché ritenuti idonei a ridurre al massimo la conflittualità. Quindi niente di sacro o di trascendente, e nulla di immutabile.

Quando attribuiamo un valore a qualcosa, ci imponiamo anche di rispettare dei vincoli o delle restrizioni nel modo in cui la trattiamo. 

Una cosa può avere un valore strumentale, oppure  un valore intrinseco.
Ciò che ha valore strumentale è importante per la sua utilità, mentre ciò che ha valore intrinseco è importante indipendentemente dalla sua utilità.

Un esempio di valore strumentale:  i miei occhiali da vista hanno per me un valore perché mi sono utili per vedere. 
Un esempio di valore intrinseco: l'amore !  E' il fine che perseguo, lo stato emozionale che desidero.

Molti non hanno ben chiara la differenza tra valori strumentali e valori intrinseci, tra valori come mezzi e valori come fini. Di solito siamo impegnati a perseguire i valori-mezzo per riuscire ad ottenere quello che veramente desidera: cioè i valori-fine.

Altra distinzione può essere tra valori funzionali e valori disfunzionali, quelli che ci aiutano a vivere con soddisfazione e quelli che dobbiamo abbandonare per stare meglio. 

Ed anche distinzione tra valori personali e valori collettivi,  connessi con i significati attribuiti. 

I valori guida si possono paragonare ad una bussola:  orientano ai comportamenti nell'ambito sociale.

Sono importanti i valori ma sono importanti anche le regole.


Monsignor Giuseppe Betori, segretario generale della Conferenza episcopale italiana, ha detto: "In un tempo come il nostro nel quale la crisi  dei valori è profonda a livello dell'ethos collettivo è necessario che il cristianesimo mostri la sua capacità di orientare le esistenze degli individui al rispetto della dignità della persona, della solidarietà, della pace, della convivenza civile, la ricerca del bene comune, la salvaguardia ed il rispetto della natura. 

viator

Buonasera Apeiron.

1) il valore di qualcosa è la capacità di questa di rivelarsi utile alla persistenza del mondo (in ambito fisico e cosmologico) od alla persistenza della vita (in ambito biologico) od alla sopravvivenza individuale (in ambito personale).

2) Esistono ovviamente una infinità di valori e di scale di essi, a seconda sia delle circostanze che degli individui. Il valore supremo per i viventi comunque è la vita e la tutela della vita. Per ciascuno di noi esso è la nostra sopravvivenza, visto che nasciamo privi di valori (la morale ed i suoi valori sono il frutto della maturazione delle psiche individuali le quali - alla nascita - hanno un unico contenuto: l'istinto di sopravvivenza, il quale costituisce la base sulla quale la mente - una volta sviluppatasi - costruirà tutte le nostre scelte pratiche od etiche) Il fatto poi che esistano etiche diverse od 'un'educazione o tradizione etica significa poi solo che noi siamo variamente influenzabili e moduliamo in parte autonomamente (caratterialmente?)in parte culturalmente le modalità con cui crediamo di poter meglio tutelare la (nostra) vita.

3) Il valore supremo è appunto descritto al punto 1), trattandosi dell'impulso originario che permette al mondo ed a tutti i suoi contenuti di esistere.

4) Risposte contenute nei punti 1) e 2) Comunque esiste il valore supremo che è pur sempre definibile come relativo (al punto che ciascuno di noi, suicidandosi, può dimostrare di considerare la propria sopravvivenza un disvalore), ma non può esistere un valore ASSOLUTO. L'Assoluto è un concetto che non può essere applicato ad una singola categoria o ad altri concetti seppur elevati. Esso non può risultare un attributo di qualcosa, essendo semplicemente l'espressione dell'esistenza del TUTTO.

5) Risposta contenuta nella seconda parte del punto 2).

6) Ovvio che il concetto di valore non sia in sé legato alla materialità od alla realtà. Per il feticista ossessionato dai guanti femminili questi hanno un grandissimo valore. Ma non si tratta del valore dell'oggetto, bensì solo di un simbolo usato dalla sua psiche per appagarsi al di fuori della realtà.
Il concetto di valore in sé è il frutto dell'acquisizione evolutiva della CAPACITA' di ASTRAZIONE.
Sia dal punto di vista della filogenesi (lo svolgersi nel tempo dell'evoluzione di una specie) che da quello dell'ontogenesi (idem.....per l'evoluzione di un singolo inviduo) all'inizio abbiamo solo una PSICHE "egoista" che si occupa solo di sopravvivenza....poi l'accumulo di esperienze sensoriali ci fa constatare di non essere soli, quindi si instaura la PERCEZIONE dell'ALTERITA'. Segue la comparsa della COSCIENZA, nata per fare da "ponte" tra la psiche e la MENTE. Segue ancora la comparsa delle facoltà LOGICHE, cioè dei processi che permettono deduzione ed induzione. La proiezione oltre il "qui ed ora" dei meccanismi deduttivi ed induttivi genera la CAPACITA' di ASTRAZIONE, consistente appunto nella capacità di generalizzare proiettando le conoscenze ed i dati mentali al di fuori dell'ambito immediato che ci circonda. Nascono così le CATEGORIE, I VALORI e LA MORALE.

Naturalmente questi sono i miei personali punti di vista, espressi da me come al solito in estrema sinteticità. Buona notte a tutti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

doxa

#5
Apeiron ha scritto:
Citazione2) esistono valori solo individuali o universali?
3) esiste il massimo valore?
4) esiste una gerarchia di valori? è universale?
5) l'idea del "massimo valore" si forma in "modo automatico" nella nostra mente?
6) se il massimo valore non corrisponde a qualcosa di reale perchè dovrebbe formarsi un'idea simile nella nostra mente?


Se ho ben capito, le tue domande si possono riassumere nella frase "valutazione dei valori" ?

In caso affermativo io dico si. Anche i valori morali si possono valutare. Ma come si fa a  "misurarli" ?

Se si valuta una persona in base al denaro che possiede, in base al numero di coloro che l'ammirano o in base al potere che esercita, allora le differenze fra gli esseri umani appaiono smisurate.

Alcuni guadagnano milioni di euro l'anno, mentre altri vivono del loro modesto stipendio o muoiono di fame. Quelli che guadagnano di più valgono di più degli altri ? A volte sono certamente più intelligenti e più abili, altre volte sono più fortunati o più spregiudicati.

Anche la fama non è una buona misura del valore. Certo, ci sono notorietà meritate: alcuni scienziati, alcuni artisti ci hanno dato delle cose importanti e dobbiamo essere loro riconoscenti. Ma quel cantante, quell'attore, quel calciatore ammirato è veramente migliore di un tecnico, di un operaio, di un artigiano ?

La stessa cosa si può dire per il potere. Molti individui che hanno posizioni di potere spesso sono moralmente inferiori ai loro subordinati.

La ricchezza, la fama, il potere, sono una lente deformante che ci fa apparire bello ciò che è in alto, e ci impedisce di vedere quale straordinaria ricchezza ci sia nelle persone a noi vicine.

Un valore si crea in base ad una scelta individuale o collettiva. Ciò che è oggetto di scelta implica una valutazione.

Valori come il primato e la protezione della vita, la conservazione della natura, la dignità dell'individuo, la giustizia, la libertà e l'uguaglianza, formano un nucleo sul quale si è formato il consenso universale.

Quali valori scegliere ? Dipende dalla concezione che si ha dell'individuo e della vita.


L'educazione ai valori morali può offrire un significativo contributo nel dare guida e senso alle scelte quotidiane.

Kobayashi

Parto dalla fine.
Non credo che esista un valore supremo. Il relativismo culturale, da cui non si può prescindere, ha già dimostrato abbondantemente l'impossibilità di parlare di valori universali.
Si potrebbe dire allora che i valori sono punti di riferimento per il soggetto.
In parte in linea con Nietzsche direi che i valori sono ciò che ti permettono di svilupparti meglio, di portare a perfetta espressione la tua persona.
Per chi ha un temperamento filosofico, per esempio, alcune cose sono considerabili dei valori o delle virtù perché permettono di vivere distaccati dalle turbolenze inutili del mondo, in modo che le energie migliori non vengano sprecate in faccende superflue.
Un filosofo del genere considererà la gentilezza un valore. Ma in tutt'altro modo di un cristiano.

Naturalmente la cultura di appartenenza determina fortemente il giudizio sui valori.
Per esempio noi occidentali non possiamo fare a meno di considerare un atto criminale l'infibulazione. In altre società viene considerata una buona tradizione.
Possiamo cioè anche considerarci relativisti ma nello stesso tempo non possiamo fingere di non essere il prodotto di una civiltà – la quale deciderà dentro di noi, che lo si voglia o no, ciò che è giusto... Un antropocentrismo ineludibile...

Ma al di là dei limiti di questo antropocentrismo "genetico", c'è spazio per scegliere una forma di vita che sia il più possibile funzionale al proprio temperamento.
La sfida per il soggetto, soprattutto in un tempo come il nostro in cui tutti sono separati e lontani, in cui si vive da soli o in micro-famiglie, e quindi un tempo in cui si subisce poco l'influenza "stilistica" degli altri, è la costruzione di un tipo di uomo da incarnare, partendo magari dalle piccole cose come alimentazione, ginnastica, tempo dedicato alla lettura, alla scrittura etc.

E su questo propongo un'idea: e se la funzione del filosofo del nostro tempo fosse proprio quello di creare tipi, modelli, etc., che poi possano servire da punto di riferimento per gli altri? Anziché produrre monografie specialistiche sulle più assurde curiosità storico-filosofiche...

Apeiron

#7
Il problema di considerare i valori come il prodotto dell'interazione sociale è che come noto si finisce per attribuire valore ad una persona ad esempio sulla sua ricchezza o sulla fama. Lo stesso "amore" non appena viene codificato e messo come "valore convenzionale" finisce per diventare egualmente problematico. In fin dei conti avviene che un "ente" esterno come la società afferma che un certo essere umano vale "molto o poco". Nel mondo capitalistico moderno per esempio il valore è la "produttività". Se sono produttivo "merito", se sono improduttivo non merito nulla. Questo a mio giudizio crea un imprigionamento della persona.

Viceversa se dico che il valore di un pensiero, una parola, un'azione è una "proprietà" che lega sia il soggetto (io, tu...) all'oggetto allora non vi è più nesssuna "imposizione dall'esterno". Ad esempio se per me è importantissimo collezionare francobolli allora sono io che nella mia gerarchia metto al primo posto la collezione di francobolli. Al mio amico piace invece collezionare figurine e quindi nella sua gerarchia avviene che mette al primo posto la collezione di figurine. A questo punto avviene però una cosa paradossale: ognuno di noi ha una gerarchia diversa e ognuno di noi ritiene che essa sia quella "giusta". Questo è il relativismo. Ovviamente però anche nel caso del relativismo ognuno di noi ha un'idea di cosa è per lui il "massimo valore".

Qui però a mio giudizio abbiamo un paradosso. Ognuno di noi è mosso dal "valore": faccio questo perchè è importante, non faccio questo perchè non è importante o perchè è importante non farlo. Ognuno di noi quindi ha una certa misura del "valore" delle cose. E siccome nella gerarchia c'è una direzionalità è necessario che venga pensato un "massimo valore", un "Sommum Bonum" (anche solo in modo astratto) ;) Ergo abbiamo che ogni soggetto quindi ha una gerarchia e in modo astratto pensa ad un "Sommum Bonum" (o "Bene Supremo"). E in ogni soggetto ci sarà la ricerca a trovare appunto questo "Sommum Bonum" perchè è qualcosa che ha più "valore" di tutti per noi.

Secondo me quindi almeno da un punto di vista descrittivo della nostra mente abbiamo tutti l'idea che ci sia una gerarchia di "importanza" tra le "cose" e tutti possiamo pensare almeno come concetto astratto un "Sommum Bonum". Però è empiricamente visto dalla molteplicità delle culture che non tutti concordiamo su cosa è per noi la "giusta gerarchia" e il "giusto Sommum Bonum". Il relativista si ferma qui secondo me, ammettendo l'esistenza di più "gerarchie" e "Beni Supremi".

Se però non esistesse un "Bene Supremo" (ossia se fosse un mero concetto) avremo una sorta di "antinomia" e renderebbe la nostra vita completamente paradossale: la nostra mente infatti produce in questo caso un'idea della "cosa più importante" la quale però non esiste. In sostanza produce quindi un desiderio il quale non può mai essere soddisfatto. Infatti se non ammettiamo l'esistenza di un "Bene Supremo" ogni azione, pensiero ecc per arrivare ad un tale "Bene Supremo" (che è da noi ricercato, essendo all'apice della gerarchia) sarebbe futile. Ammettendo però l'esistenza della gerarchia e del "Bene Supremo" torniamo al discorso del relativismo.

Se fosse vero il relativismo allora a priori bisognerebbe ammettere la possibilità che esistono almeno due "Beni Supremi". Ma questo lo ritengo assurdo per questo motivo: ognuno dei soggetti ha in comune l'avere una gerarchia di valori. Ognuno cerca ciò che ha più valore e può pensare all'esistenza di qualcosa che ha più valore del resto (il Bene Supremo). Quindi questi soggetti in realtà hanno qualcosa in comune e quindi anche ognuno dei Beni Supremi deve avere qualcosa in comune con gli altri Beni Supremi. Ciò che accomuna questi Beni Supremi dunque sarebbe un Bene Supremo per tutti. Quindi esiste un unico Bene Supremo per ogni soggetto.

Da dove dunque nasce la molteplicità delle concezioni a riguardo del valore? L'unica risposta che mi viene in mente è che siamo in una condizione nella quale non conosciamo il Bene Supremo e quindi siamo costretti a rappresentarlo secondo una "immagine imperfetta".


@Kobayashi
Non credo che esista un valore supremo. Il relativismo culturale, da cui non si può prescindere, ha già dimostrato abbondantemente l'impossibilità di parlare di valori universali.
Si potrebbe dire allora che i valori sono punti di riferimento per il soggetto.


Eppure a me sembra che ognuno di noi agisca per (quello che pensa essere) il bene - la ricerca del bene parrebbe dunque essere qualcosa che ci accomuna. Quindi da questo punto di vista non è vero che siamo così tanto diversi noi esseri umani da dire che non è possibile formulare valori universali che valgono per tutti.
Non è per caso più corretto dire che siamo in una condizione di ignoranza per la quale non conosciamo ciò che è "meglio" per noi?


Inoltre se il relativismo è corretto potrei pensare ad esempio che anche i "più mostruosi crimini" in fondo "non sono sbagliati".

P.S. Ovviamente il "valore" di per sé è un concetto "relazionale" (e quindi in un certo senso "relativo") perchè riguarda il rapporto tra un "soggetto" e un "oggetto": per Y è importante X.  Però questa relazionalità di per sé non implica il relativismo (inteso comunemente), perchè X potrebbe risultare importante sia ad Y che a Z e così via.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

sgiombo

Citazione di: Apeiron il 12 Novembre 2017, 15:49:36 PM

ognuno dei soggetti ha in comune l'avere una gerarchia di valori. Ognuno cerca ciò che ha più valore e può pensare all'esistenza di qualcosa che ha più valore del resto (il Bene Supremo). Quindi questi soggetti in realtà hanno qualcosa in comune e quindi anche ognuno dei Beni Supremi deve avere qualcosa in comune con gli altri Beni Supremi. Ciò che accomuna questi Beni Supremi dunque sarebbe un Bene Supremo per tutti. Quindi esiste un unico Bene Supremo per ogni soggetto.

CitazioneCiò che necessariamente hanno in comune i beni supremi di tutti é solo il fatto che ciascuno di essi é il bene supremo per chi lo sente come tale.

Che però in linea teorica, di principio può essere logicamente diverso per ciascuno, pur essendo per tutti il rispettivo (suo proprio di ciascuno) bene supremo (avendo in comune con tutti gli altri unicamente questo astrattissimo "primato per ciascuno".

Non é logicamente possibile identificarlo necessariamente con un unico bene supremo per tutti: l' etica, intesa come un insieme coerente di valori da condividersi da parte di tutti, da tutti condiviso, non é dimostrabile (contro l' intenzione del comunque grandissimo Spinoza), né "geometricamente", nè in alcun altro modo.
Credo che di fatto sia avvertita a posteriori in larga, importantissima misura da parte di tutti, ciascuno "dentro di sè" (salvo forse casi decisamente patologici) come insieme di tendenze comportamentali conseguenti l' evoluzione biologica da cui siamo derivati, che ci ha "prodotti".


doxa

#9
Nel mio precedente post ho scritto
CitazioneValori come il primato e la protezione della vita, la conservazione della natura, la dignità dell'individuo, la giustizia, la libertà e l'uguaglianza, formano un nucleo sul quale si è formato il consenso universale.

Kobayashi ha replicato dicendo
CitazioneNon credo che esista un valore supremo. Il relativismo culturale, da cui non si può prescindere, ha già dimostrato abbondantemente l'impossibilità di parlare di valori universali.
Si potrebbe dire allora che i valori sono punti di riferimento per il soggetto.

Anche se non si accetta la gerarchia di valori non si può negare l'esistenza del consenso generale ("consensus gentium") su un valore o su un gruppo di valori su cui convergono i giudizi di tutti, per esempio la pace, la giustizia, la libertà, ecc..
Allora se il comune sentire (consenso) è universale come si può affermare che è "impossibile parlare di valori universali" e che questi sono condizionati dal relativismo ?

Il relativismo nega l'esistenza di verità assolute, non il consenso universale su alcuni valori.

Valore è un termine  usato nell'economia, adottato nel passato dall'etica come sinonimo di "bene", e disvalore come sinonimo di "male".

Lo so che con la modernità è emerso il soggetto come titolare della libertà e del giudizio, per conseguenza il "bene" e il "male" dipendono dalla sua valutazione, e il valore si relativizza. Ma nel caso dei valori cosiddetti "universali", oggetto di consenso generale, il relativismo non c'entra.

Giorgiosan

Off topic
Saluto tutti i "vecchi" forumisti ed anche i "giovani".  :D
L' uomo vive di fede.

Apeiron

Citazione di: sgiombo il 12 Novembre 2017, 21:43:01 PM
Citazione di: Apeiron il 12 Novembre 2017, 15:49:36 PMognuno dei soggetti ha in comune l'avere una gerarchia di valori. Ognuno cerca ciò che ha più valore e può pensare all'esistenza di qualcosa che ha più valore del resto (il Bene Supremo). Quindi questi soggetti in realtà hanno qualcosa in comune e quindi anche ognuno dei Beni Supremi deve avere qualcosa in comune con gli altri Beni Supremi. Ciò che accomuna questi Beni Supremi dunque sarebbe un Bene Supremo per tutti. Quindi esiste un unico Bene Supremo per ogni soggetto.
CitazioneCiò che necessariamente hanno in comune i beni supremi di tutti é solo il fatto che ciascuno di essi é il bene supremo per chi lo sente come tale. Che però in linea teorica, di principio può essere logicamente diverso per ciascuno, pur essendo per tutti il rispettivo (suo proprio di ciascuno) bene supremo (avendo in comune con tutti gli altri unicamente questo astrattissimo "primato per ciascuno". Non é logicamente possibile identificarlo necessariamente con un unico bene supremo per tutti: l' etica, intesa come un insieme coerente di valori da condividersi da parte di tutti, da tutti condiviso, non é dimostrabile (contro l' intenzione del comunque grandissimo Spinoza), né "geometricamente", nè in alcun altro modo. Credo che di fatto sia avvertita a posteriori in larga, importantissima misura da parte di tutti, ciascuno "dentro di sè" (salvo forse casi decisamente patologici) come insieme di tendenze comportamentali conseguenti l' evoluzione biologica da cui siamo derivati, che ci ha "prodotti".

Hai ragione, che erroraccio  :-[  Ho dato un argomento a favore dell'esistenza (chiarico: era un argomento, non dimostrazione  ;) )... per l'unicità ovviamente no  ;D mettiamola così: si può al massimo "dedurre" questo: visto che i soggetti sono simili (fatto piuttosto empirico) tra di loro allora  saranno "simili" anche le loro "concezioni" di "Valore Supremo" (e anzi in realtà anche la gerarchia stessa). Sono un forte sostenitore della filosofia del "conosci te stesso", la quale però è priva di senso se non siamo "simili".

Riguardo al relativismo (per @altamarea e @Kobayashi): i valori sono ovviamente concetti "relativi" (preferisco il termine "relazionali") nel senso che il valore di un oggetto è sempre riferito ad un soggetto (per il soggetto X l'oggetto Y è  un "bene"...). Anche un supposto valore "universale" d'altronde sarebbe "relazionale": infatti si avrebbe che per tutti i soggetti l'oggetto Y è bene. Su questo sono d'accordo e sono d'accordo sul fatto che ci sono differenze individuali ineliminabili tra le persone. Però non posso accettare che ad esempio un valore "universale" come ad esempio la "dignità dell'uomo" sia solo una convenzione sociale. Se poi una determinata cultura non credeva in questo principio non posso accettare che la loro visione fosse "giusta come" la nostra. Il problema del relativismo nel campo etico è che sostenendo che ogni "posizione" sull'etica è meramente convenzionale non vieta in linea di principio ogni azione. Un relativista potrebbe dire che conoscendo che la sua posizione non è "assoluta" non desidera imporla a nessuno, ma un altro relativista potrebbe invece imporla anche in modo violento giustificandosi proprio con il relativismo stesso. Per il relativismo nessuno dei due sbaglia, visto che non c'è alcun modo per stabilirlo. Il "fallibilismo" - ossia l'ammettere la propria limitatezza - evita a mio giudizio sia l'estremo dell'assolutismo violento che quello del nichilismo (conseguenza secondo me automatica del relativismo) pur essendo chiaramente una forma di assolutismo (in quanto stabilisce che esistano "verità universali")  ;) Comunque non riesco a capire la differenza tra "valore assoluto" e "valore universale": in ogni caso un "bene universale (o assoluto)" è "bene" per ogni soggetto (ossia non dipende dal determinato soggetto scelto). A meno che non si creda che il "valore universale" sia una generazione accidentale o una convenzione sociale (ossia si torna nel nichilismo)...  

@Giorgiosan: ricambio i saluti ;) benvenuto nel Nuovo Forum!

P.S. Ovviamente ho sbagliato a scrivere la locuzione latina per il "Sommo Bene". La scrittura corretta è "Summum Bonum" e non "Sommum Bonum" - perdonate l'errore  :-[
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Kobayashi

@Apeiron
"Inoltre se il relativismo è corretto potrei pensare ad esempio che anche i "più mostruosi crimini" in fondo "non sono sbagliati"

No, non puoi pensare una cosa del genere (e infatti non lo pensi...) perché tu condividi inevitabilmente dei riferimenti etici che vengono dalla civiltà a cui appartieni.
Il relativismo "non ingenuo" implica che i valori della tua cultura (relativi alla tua cultura e quindi non necessariamente condivisi da altre culture) siano sentiti da te come assoluti (almeno alcuni), anche se quella stessa civiltà a cui appartieni, quella occidentale, è arrivata a metterne in discussione, dopo un lungo percorso di autocritica feroce, l'universalità.

Per quanto riguarda il discorso razionale che fai per dimostrare la presenza in noi di una comune ricerca del bene supremo... beh, per me la soggettività è qualcosa di più contraddittorio, confuso, plastico, privo di continuità etc.
Il bene supremo a me sembra l'idealizzazione di un semplice istinto alla vita, la spinta a prosperare, crescere, evolversi... Anche le piante hanno qualcosa del genere (probabilmente all'apice della loro gerarchia hanno "un po' di letame tra le radici"... Alcuni di noi invece "Dio"... Un'immagine su cui riflettere?)


@altamarea
Quei valori (pace, giustizia, etc.) sono diffusi solo perché la nostra cultura ha colonizzato le coscienze della maggior parte della popolazione mondiale.
E comunque che ci sia un consenso universale è tutto da dimostrare: una tribù yemenita seminomade crede in una concezione di pace e giustizia simile alla nostra? Non ne sarei tanto sicuro.
Qualcuno dirà: si evolveranno e alla fine la penseranno come noi!
Ed ecco saltare fuori il concetto di progresso... Ma è un nostro concetto, affonda le sue radici in profondità nella nostra cultura, quindi anche nei nostri convincimenti più radicali, così non possiamo fare a meno di sentirlo come vero e universale, ma non è così, è arbitrario, facciamocene una ragione...

InVerno

Citazione di: Apeiron il 10 Novembre 2017, 23:03:22 PMP.S. Ovviamente come c'è scritto nella mia firma sono convinto che esista il "bene supremo" e che esso sia universale. Non capisco però cosa esso sia. Lo ritengo però diverso dalla non-esistenza.
Per sapere se possa essere considerato universale dovresti innanzitutto stabilire se la tua mente può contenere l'universale, Emily Dickinson pensava di si per esempio (mi hai fatto venire in mente questa poesia http://www.bartleby.com/113/1126.html) io penso di no per esempio, ma non ho poesie, anche se i continui dibattiti a riguardo penso dimostrino un che ne di poetico. Tuttavia l'acqua (specialmente la goccia) è un simbolo che ha a che fare con la circolarità e la non-forma, la liquidità, dai persiani verso l'oriente molto ricorrente. Al di la dell'interpretazione ostica e criptica del dao che accantonerei volentieri (sono andato a rileggerlo sulle mie 3 versioni del libro, senza venirne veramente a capo), il fatto che tu la ritenga corrispondente al vero dipende principalmente dalla tua sensibilità verso le proprietà liquide del famoso fluido che ha forma solo se contenuto (anche se poi il dao elogia la vacuità del vaso). Tu lo ritieni diverso dalla non-esistenza ma quella è una non-definizione, e onestamente l'idea di un esistenza che possa essere espressa solo tramite contraddizioni mi pare enigmatica, con il grosso rischio di indulgere in essa in tautologie misteriose ma che non muovono la questione di un millimetro per via della solo apparente illogicità.
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

Apeiron

@Kobayashi,

quindi in poche parole secondo te è "giusto" pensare che l'uomo abbia una dignità perchè lo hai imparato a scuola, perchè lo dicono alla televisione ecc. Secondo me è una palese assurdità pensare una cosa del genere: veramente ritieni che i "valori" sono tali perchè l'educazione dice così?
La società occidentale non è arrivata a questa conclusione. La società occidentale (almeno quella seria) è arrivata a riconoscere che "l'essere umano ha una dignità intrinseca" - di relativismo qui ne vedo gran poco  ;)  è vero che la soggettività è qualcosa di confuso, plastico e malleabile ma ciò non toglie nulla all'esistenza di valori universali (lasciamo perdere il "bene supremo" che ad alcuni può dare fastidio, ma l'esistenza di valori universali è una cosa ben diversa...). Nella teoria della realtività ristretta i valori delle durate temporali sono relativi ad ogni osservatore: ciò non toglie però che le relazioni tra le misure di diversi osservatori sono invece qualcosa di "universale", su cui (secondo ovviamente questa teoria) tutti gli osservatori sono d'accordo. Nella scienza il relativismo non ha senso: si riconoscono che le misure sono "relative" ad ogni osservatore, ma se ci si fermasse qua il progresso scientifico non esisterebbe. Mi chiedo perchè un ragionamento di questo tipo non si faccia per l'etica. Inoltre i relativisti non riescono a dare alcuna risposta all'evidente aporia per la quale il relativismo è nichilismo - ossia "ogni azione è giusta". Dire che tale azione non è giusta per me perchè me lo hanno insegnato non risolve niente, anzi semplicemente riafferma il nichilismo. E lascia aperta la possibilità alla "volontà di prevaricazione" di creare continuamente conflitti, iniquità ecc perchè d'altronde ogni azione vale l'altra. Una posizione nichilistica come questa non può essere sostenuta. L'etica (e anche l'estetica  ;) ) non è solo educazione.
Wittgenstein secondo me ha centrato il punto in questo passo della Lezione sull'Etica (anche se non concordo fino in fondo con la sua pretesa che non si può fare una filosofia dell'etica...):
"Supponiamo che uno di voi sia una persona onniscente e per questo motivo conosca tutti i movimenti di tutti i corpi vivi o morti nel mondo e che conosca tutti gli stati mentali di ogni essere umano che abbia mai vissuto, e supponente che questo uomo scriva tutto ciò che conosce in un grande libro. Ebbene questo libro conterrebbe la totale descrizione del mondo; e quello che voglio dire è, che se questo libro non contiene niente che possiamo chiamare un giudizio etico e niente che logicamente implica un tale giudizio. Conterrrebbe ovviamente ogni giudizio relativo di valore e ogni vera proposizione scientifica che può essere fatta. Ma i fatti descritti sarebbero allo stesso livello così come le proposizioni starebbero allo stesso livello. Non ci sono proposizioni che, in un qualsiasi senso assoluto sono sublimi, importanti o banali. ..... Se per esempio nel nostro Libro leggiamo una descrizione di un omicidio con tutti i suoi dettagli psicologici e fisici la mera descrizione di questi fatti non contiene nulla che possiamo chiamare una proposizione etica. L'omicidio apparirà allo stesso livello di ogni altro evento, per esempio la caduta di una pietra. Certamente la lettura di questa descrizione potrebbe causarci dolore o rabbia o ogni altra emozione, o noi potremo leggere qualcosa a riguardo del dolore o della rabbia causata da questo omicidio in altre persone quando ne hanno sentito palare, ma ci sarebbero sempre fatti, fatti, e fatti ma non ci sarebbe l'Etica..."
Non pretendo di "convertirti" e di abbandonare il relativismo ma a mio giudizio il relativismo in sé contiene il nichilismo (che ritengo tu stesso non puoi accettare). Il problema del relativismo è che appunto finisce per mettere sullo stesso piano ogni prospettiva (e se non lo fa non è più relativismo) in quanto non c'è nessuna gerarchia di valori condivisa che fa preferire una determinata azione rispetto ad un'altra.
Riguardo al "bene supremo"... è una realtà prima di tutto ideale. Però ogni soggetto ha una chiara distinzione (almeno provvisoria) nella sua mente di qualcosa che è più o meno importante. Almeno a livello concettuale però è possibile pensare una cosa di questo tipo: per l'osservatore X, l'oggetto Y_1 ha un certo valore. Se Y_1 è l'ogggetto con il valore massimo allora non sarà possibile in linea di principio trovare un oggetto con più valore di Y_1. Viceversa se Y_2 ha per X più valore di Y_1 allora Y_2 o sarà l'oggetto di valore massimo oppure esisterà un altro oggetto Y_3 con valore ancora più grande ecc La paradossalità si crea se non esiste (o non esisterà) un tale "oggetto di valore massimo" perchè abbiamo che il soggetto "mira a" qualcosa che non potrà mai essere raggiunto. Motivo per cui ritengo che questo "valore massimo" descrive qualcosa di reale (o almeno che è potenzialmente reale) anche se non posso dimostrare tale esistenza in modo razionale. Posso però dedurre che descrive qualcosa che è perlomeno possibile. (Secondo me è reale...)

Citazione di: InVerno il 14 Novembre 2017, 09:50:42 AM
Citazione di: Apeiron il 10 Novembre 2017, 23:03:22 PMP.S. Ovviamente come c'è scritto nella mia firma sono convinto che esista il "bene supremo" e che esso sia universale. Non capisco però cosa esso sia. Lo ritengo però diverso dalla non-esistenza.
Per sapere se possa essere considerato universale dovresti innanzitutto stabilire se la tua mente può contenere l'universale, Emily Dickinson pensava di si per esempio (mi hai fatto venire in mente questa poesia http://www.bartleby.com/113/1126.html) io penso di no per esempio, ma non ho poesie, anche se i continui dibattiti a riguardo penso dimostrino un che ne di poetico. Tuttavia l'acqua (specialmente la goccia) è un simbolo che ha a che fare con la circolarità e la non-forma, la liquidità, dai persiani verso l'oriente molto ricorrente. Al di la dell'interpretazione ostica e criptica del dao che accantonerei volentieri (sono andato a rileggerlo sulle mie 3 versioni del libro, senza venirne veramente a capo), il fatto che tu la ritenga corrispondente al vero dipende principalmente dalla tua sensibilità verso le proprietà liquide del famoso fluido che ha forma solo se contenuto (anche se poi il dao elogia la vacuità del vaso). Tu lo ritieni diverso dalla non-esistenza ma quella è una non-definizione, e onestamente l'idea di un esistenza che possa essere espressa solo tramite contraddizioni mi pare enigmatica, con il grosso rischio di indulgere in essa in tautologie misteriose ma che non muovono la questione di un millimetro per via della solo apparente illogicità.

Non ritengo che la nostra mente possa "contenere" l'universale tuttavia ritengo che Emily Dickinson qui sostenga un punto importante: esso non va ricercato "in capo al mondo", anzi per certi versi dobbiamo "cercare di non cercarlo"  ;D . (Più precisamente secondo me il "bene supremo" è "qui e ora"). E inoltre a pensarci bene in un certo senso tutta la nostra esperienza è qualcosa di "mentale", quindi prima di indagare il "mondo esterno" è bene anche indagare il "mondo interiore" perchè è molto più "vasto" di quanto crediamo. In esso ci sono molte ricchezze su cui per vari motivi passiamo oltre (e anche se non contiene il "bene supremo" forse è proprio il "mezzo" per giungere ad esso  ;) ).  

Riguardo al Daodejing in realtà alcune versioni cinesi (le più antiche tra l'altro) riportano che "l'acqua beneficia tutte le creature e contende, fluisce nei posti disprezzati dalla moltitudine... proprio perchè non contende non è trovata in colpa". Nella versione ricevuta la frase iniziale è "l'acqua beneficia tutte le creature e non contende". Ritengo più corretta questa seconda formulazione anche se forse è perchè ho un pregiudizio dovuto all'aver letto troppi testi buddhisti. Lo interpreto in questo modo: la più sublime contesa è la non contesa (lettura che tra l'altro è confermata da più o meno tutti gli altri capitoli anche delle versioni più antiche). Però è un testo oscuro, astruso, troppo sintetico. A me la metafora dell'acqua piace perchè appunto "beneficia tutte le creature (senza far distinzioni)". La vacuità la interpreto come uno stato mentale in cui liberandoci da pregiudizi vari diventiamo più aperti e siamo più pronti all'apprendere (quindi anche la vacuità è un modo per "adattarsi", quindi non è poi diversa dall'immagine dell'acqua). Il problema è che il Daodejing è un testo pieno di paradossi, molto oscuro, pare che sia stato modificato più volte nel tempo e così via. Io lo uso come "fonte di ispirazione".
Ad ogni modo non volevo dire che la nostra mente può "trattenere" il "bene supremo" né volevo dimostrare l'esistenza del "bene supremo". Semplicemente ho cercato di mostrare come la nostra mente naturalmente funziona, ossia nel ricercare le cose "importanti" (o di "valore"). Inoltre la nostra mente sembra costruire in modo automatico una gerarchia di cose importanti e inoltre sembra tendere sempre verso la "parte alta" della gerarchia. Il mio argomento in sostanza è che non solo la nostra mente ha un "senso" (mi si perdoni il termine  :-[ ) per cui "valuta" l'importanza delle cose, però ha anche la tendenza a costruire gerarchie e a tendere verso la parte più alta di essa, ossia verso un "sommo bene". Il quale se non esistesse sarebbe un semplice "fantasma". Se fosse semplicemente la non-esistenza allora tutte le cose avrebbero per così dire "valore negativo" oppure sarebbero "senza valore" (in quanto la non-esistenza non essendo qualcosa non ha nemmeno un "valore". Sarebbe per così dire un qualcosa di valore nullo e quindi in questo caso tutta l'esistenza in questo caso avrebbe valore al massimo nullo). Motivo per cui ritengo che il "sommo bene" sia una qualcosa di reale. Se però lo definissi in modo diverso dal fatto di "non essere la non-esistenza" dovrei dire cosa esso è. Qui ovviamente ho le mie idee ma almeno per ora è una questione, che al livello attuale della discussione, è prematuro indagare (per me non è semplicemente la non-esistenza però preferisco definirlo in modo negativo)  ;) (chi volesse farlo ovviamente può dire la sua...)
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Discussioni simili (3)