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Il valore

Aperto da Apeiron, 10 Novembre 2017, 23:03:22 PM

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doxa

#30
Ciao Apeiron, dopo aver approfondito il valore da vari punti di vista, compreso il relativismo, non si può trascurare di ampliare il dialogoanche sul valore e l'amoralità, intesa questa come indifferenza verso le norme e le regole della società che incanalano l'agire nella quotidianità.

L'amoralità sfugge ai principi universali di bene e male, non adotta la norma morale come criterio di valutazione. Ma è possibile vivere in modo amorale per lungo tempo ?

Pensare di poter vivere senza i filtri delle regole, delle norme e  dei valori credo sia illusorio.

Osserviamo e giudichiamo la realtà in base a determinati criteri di valore e di giudizio che abbiamo introiettato tramite l'educazione avuta dalla famiglia, dalla socializzazione (in senso antropologico)  ricevuta dalla scuola,  dal gruppo dei pari, dai mass media, ecc.. Valori che governano le nostre azioni. Ovviamente sul nostro comportamento influiscono anche i gruppi di potere, ed è da stabilire se il loro agire è morale, immorale o amorale.

Accettare e seguire le regole, i valori condivisi fa sentire "normali", rifiutarli per praticare la propria opinione può essere  soddisfacente per l'individuo ma è anche a rischio sanzioni.

E' meglio l'amoralità o l'immoralità ? L'abisso della corruzione, per esempio, non è tanto nell'immoralità ma nell'amoralità, quando non c'è la distinzione tra bene e male, quando c'è l'offuscamento della coscienza etica.
"Corrotto" deriva dal latino "cor-ruptum" (= cuore rotto), perciò incapace di battere secondo la legge della morale. E questa è una sindrome che può colpire anche i giusti.
"Corrompere" deriva dal verbo "rompere", in questo caso possiamo considerarlo  metafora dello sconquasso che la corruzione genera nella società.

Lo scrittore calabrese Corrado Alvaro (1895 – 1956) nel suo libro titolato "Ultimo diario 1948 – 1956", afferma: La disperazione più grave che possa impadronirsi di una società è il dubbio che vivere onestamente  sia inutile".

Kobayashi

@green demetr
"Fin quando il filosofo non si rende conto sulla scorta di Nietzche che siamo dentro ai meccanismi del paranoico, e che dobbiamo sudare ancora molto per trovare una via di uscita a quella impasse, il rischio è quello di indicare un modello (agli altri o a se stessi) che è ancora dentro al paradigma della nostra civiltà, ossia alla sua immobilizzazione intellettuale (appunto competenza del filosofo)".

In che senso siamo interni ai meccanismi del paranoico? Cosa intendi per paranoico?
Per come la vedo io il paranoico è una specie di stato d'assedio: ci si sente attaccati da tutte le parti; l'altro trama per la tua rovina etc.
La società attuale, fondata sul principio della competizione, mettendo l'uno contro l'altro (vedi per esempio come si fomenta la competizione interna nelle aziende) di fatto costituisce il presupposto per la formazione di una mentalità paranoica... Per la verità non potrebbe nemmeno essere definita paranoica in quanto è una giustificata reazione ad una situazione di difficoltà oggettiva. Il pericolo è reale, insomma, per cui perché parlare di paranoia?

Nietzsche mi sembra più interessato alla logica del risentimento (la reazione subdola del debole che non potendo vincere in campo aperto cerca di conquistare il potere per altre vie - umiltà, altruismo, santità...).
Per N. i nemici sono una benedizione.

Il fatto è che ai nostri tempi quando qualcuno esce dalla caverna platonica, se ne guarda bene dal rientrarci per salvare gli altri, perché in verità è lui a doversi procurare una salvezza - gli altri, nel fondo della caverna prosperano e non vogliono sentire parlare di uscire all'aria aperta, ma lui è solo, circondato dai pericoli, dall'ostilità di tutti...
Questo per dire che la filosofia non può più essere pensata solo come dialogo.
Deve essere pensata come sintesi delle strategie di attacco e difesa nei confronti del mondo e del potere (e comprendere discipline che hanno a che fare con la salute, l'economia domestica, la guerra, la diplomazia - per costruire le alleanze necessarie).
L'unico esito sensato di questo faticosissimo percorso, di cui in fondo siamo quasi tutti nauseati, non può essere la vita privata, ma una comunità di persone affini.
Sempre il buon Byung-Chul Han fa notare che in tedesco antico la radice della parola "libertà" è la stessa di "amicizia": non c'è vera libertà se non insieme a veri amici.
Utopistico? Ridicolo?

Ps: mi sembra di avere parlato come la scimmia di Zarathustra... Del resto tu green demetr continui a scrivere come il cane di Derrida...

Apeiron

Citazione di: altamarea il 19 Novembre 2017, 19:31:36 PMCiao Apeiron, dopo aver approfondito il valore da vari punti di vista, compreso il relativismo, non si può trascurare di ampliare il dialogoanche sul valore e l'amoralità, intesa questa come indifferenza verso le norme e le regole della società che incanalano l'agire nella quotidianità. L'amoralità sfugge ai principi universali di bene e male, non adotta la norma morale come criterio di valutazione. Ma è possibile vivere in modo amorale per lungo tempo ? Pensare di poter vivere senza i filtri delle regole, delle norme e dei valori credo sia illusorio. Osserviamo e giudichiamo la realtà in base a determinati criteri di valore e di giudizio che abbiamo introiettato tramite l'educazione avuta dalla famiglia, dalla socializzazione (in senso antropologico) ricevuta dalla scuola, dal gruppo dei pari, dai mass media, ecc.. Valori che governano le nostre azioni. Ovviamente sul nostro comportamento influiscono anche i gruppi di potere, ed è da stabilire se il loro agire è morale, immorale o amorale. Accettare e seguire le regole, i valori condivisi fa sentire "normali", rifiutarli per praticare la propria opinione può essere soddisfacente per l'individuo ma è anche a rischio sanzioni. E' meglio l'amoralità o l'immoralità ? L'abisso della corruzione, per esempio, non è tanto nell'immoralità ma nell'amoralità, quando non c'è la distinzione tra bene e male, quando c'è l'offuscamento della coscienza etica. "Corrotto" deriva dal latino "cor-ruptum" (= cuore rotto), perciò incapace di battere secondo la legge della morale. E questa è una sindrome che può colpire anche i giusti. "Corrompere" deriva dal verbo "rompere", in questo caso possiamo considerarlo metafora dello sconquasso che la corruzione genera nella società. Lo scrittore calabrese Corrado Alvaro (1895 – 1956) nel suo libro titolato "Ultimo diario 1948 – 1956", afferma: La disperazione più grave che possa impadronirsi di una società è il dubbio che vivere onestamente sia inutile".

Concordo su tutto. Non è possibile vivere senza regole, senza distinzione tra bene e male e come concordo con quanto dice Corrado Alvaro (che non conoscevo ). Mentre l'amoralità è per così dire il rifiuto che esista una distinzione tra "bene" e "male" e che questa come ben dici nasca anche (certamente) dal bisogno dell'uomo di "vivere nella società", l'immoralità (se è così che la intendi) nasce invece quando invece per così dire "si scambiano bene e male". Personalmente ritengo che il "relativismo" in genere favorisca proprio coloro che ritengono che si possa "vivere" senza appunto la "legge della morale" in quanto si ritiene che la morale è una "mera convenzione". Ritengo però che la morale sia per così dire necessaria a "condurre" l'uomo verso uno stato "più alto", nel quale non ha più bisogno di pensarla come una "regola da seguire" - ossia lo stato di "perfezione morale" che tanto andava di moda parecchio tempo fa. Però la morale è uno strumento che deve essere direzionato proprio in questa direzione sia a livello individuale che a livello sociale (sempre che si possa veramente fare una distinzione tra i due livelli  ::) ), motivo per cui si hanno due alternative per come pensarla. Prima alternativa: la morale può essere vista come una "catena" arbitraria che viene fatta da alcuni "moralisti" per "schiavizzarci" a dovere. Il che è innegabile che sia successo, che succede oggi e che succederà in futuro. Da questa "morale" concordo che sia giusto liberarsi, come ha ad esempio esortato di farlo Nietzsche. Tuttavia questa liberazione è pericolosa perchè in fin dei conti libera l'uomo dalla "legge" quando ancora ne ha bisogno e ciò è pericolosissimo. Infatti se si perde la consapevolezza che la morale sia qualcosa di "reale" e non una mera costruzione ad hoc dell'intelletto in fin dei conti i peggiori "mostri amorali" sono pure coerenti perchè non vedono nulla che li costringa ad "abbracciare" la morale, visto che la convenzione è in fin dei conti arbitraria e quindi non è migliore della loro "nuova visione" (lo stesso in realtà vale per gli "immorali" che scambiano bene e male). Se ammettiamo che la "morale" invece sia una via che ci porta ad uno stato migliore (e qui ahimé si deve fare una sorta d'atto di fede, che chiaramente non è necessariamente religioso...) e che quindi vivere secondo queste "catene" in realtà ci aiuti a vivere meglio. Per esempio l'obbligo di non "vivere nel lusso estremo" anche se sembra una privazione di un piacere ci rendiamo conto che ci fa vivere meglio. Ma dobbiamo secondo me ammettere che la morale sia "qualcosa" di reale, che comunichi qualcosa di "reale" al cuore di ogni uomo, proprio per evitare la "corruzione" di cui parli.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

green demetr

Citazione di: Kobayashi il 20 Novembre 2017, 11:01:38 AM
@green demetr
"Fin quando il filosofo non si rende conto sulla scorta di Nietzche che siamo dentro ai meccanismi del paranoico, e che dobbiamo sudare ancora molto per trovare una via di uscita a quella impasse, il rischio è quello di indicare un modello (agli altri o a se stessi) che è ancora dentro al paradigma della nostra civiltà, ossia alla sua immobilizzazione intellettuale (appunto competenza del filosofo)".

In che senso siamo interni ai meccanismi del paranoico? Cosa intendi per paranoico?
Per come la vedo io il paranoico è una specie di stato d'assedio: ci si sente attaccati da tutte le parti; l'altro trama per la tua rovina etc.
La società attuale, fondata sul principio della competizione, mettendo l'uno contro l'altro (vedi per esempio come si fomenta la competizione interna nelle aziende) di fatto costituisce il presupposto per la formazione di una mentalità paranoica... Per la verità non potrebbe nemmeno essere definita paranoica in quanto è una giustificata reazione ad una situazione di difficoltà oggettiva. Il pericolo è reale, insomma, per cui perché parlare di paranoia?

Nietzsche mi sembra più interessato alla logica del risentimento (la reazione subdola del debole che non potendo vincere in campo aperto cerca di conquistare il potere per altre vie - umiltà, altruismo, santità...).
Per N. i nemici sono una benedizione.

Il fatto è che ai nostri tempi quando qualcuno esce dalla caverna platonica, se ne guarda bene dal rientrarci per salvare gli altri, perché in verità è lui a doversi procurare una salvezza - gli altri, nel fondo della caverna prosperano e non vogliono sentire parlare di uscire all'aria aperta, ma lui è solo, circondato dai pericoli, dall'ostilità di tutti...
Questo per dire che la filosofia non può più essere pensata solo come dialogo.
Deve essere pensata come sintesi delle strategie di attacco e difesa nei confronti del mondo e del potere (e comprendere discipline che hanno a che fare con la salute, l'economia domestica, la guerra, la diplomazia - per costruire le alleanze necessarie).
L'unico esito sensato di questo faticosissimo percorso, di cui in fondo siamo quasi tutti nauseati, non può essere la vita privata, ma una comunità di persone affini.
Sempre il buon Byung-Chul Han fa notare che in tedesco antico la radice della parola "libertà" è la stessa di "amicizia": non c'è vera libertà se non insieme a veri amici.
Utopistico? Ridicolo?

Ps: mi sembra di avere parlato come la scimmia di Zarathustra... Del resto tu green demetr continui a scrivere come il cane di Derrida...

Ciao Kobayashi lasciami uno spazio di protesta, e di protezione delle mie idee poi seguiamo sui lavori.


                                                        *    *     *



Ho come la netta sensazione che rimarrò il cane di Derrida fino a quando non troverò l'amicizia, di cui Nietzche prova ad illustrare le caratteristiche base, e come formarle.

Certamente se il paranoico è quello della società sotto assedio, allora è un modello sociologico, e a mio avviso parimenti importanti conoscerlo. (Bauman se non sbaglio)

Ma io lo intendo proprio nel psicanalitico, e cioè nel senso linguistico.

Noi siamo addentro a una rete di parole, di connotati che se non indagati finiscono per decidere della destinalità del soggetto.

Certamente è un punto della nostra impasse, ossia appunto quello della decisione se virare sull'azione o sulla teoria.

Come dire non voglio fare il cane di Derrida, ma fin quando non trovo, foss'anco negli amici libri, qualcuno che mi illustri un nuovo modo illuminista, per così dire, di agire nel mondo, non rimane che essere vittima del giro di parole.

E anche questo è sistema paranoico.

Il sistema paranoico è quello che ci impedisce di pensare ad una alternativa intellettuale.

Essere cani di Derrida, è quasi la condizione base di molti filosofi che seguo.

Quello che a me preme è vedere se c'è la volontà, l'urgenza anzi di voler far qualcosa per uscire da quella bolla.

Vedo lo sforzo collettivo (Zizek, Sloterdijk, Agamben) ma gli esisti sono sempre gli stessi un muro di gomma (quello della politica) rimbalza i loro assunti più primitivi.

Leggo ora dall'introduzione di "devi cambiare la tua vita": il pensiero critico europeo è morto.

Si riferisce alle scemenze di Habermas che non vuole vedere l'evidenza del bio-potere, del campo di concentramento, dell'ipotesi antropotecnica.


                                                        *    *     *

Mi sembra che sulla scorta di Sloterdijk e Byung-Chul_Han stai indicando anche tu la via della resistenza immunologica.

Sono sulla prefazione del tedesco fatta Paolo Portinari, devo dire che mi sta piacendo moltissimo, e forse grazie a questa nuova linfa, sto sbloccando finalmente l'impasse intellettuale, speriamo.

La linea è segnata, e giustamente Nietzche è di nuovo riconosciuto come il pià grande, con alla base bassa Focault Wittgenstein e Derrida. (non capisco ancora perchè Wittgenstein serva. ma va beh...)

Ma tu ti rendi conto che si tratta di critica? come dire siamo costretti, se vogliamo veramente battagliare, a essere i cani di derrida o le scimmie di nietzche!?



                                                        *    *     *


Ancora sulla paranoia.

Poichè è stata "diagnosticata" a me: in me funziona così che io ipotizzo una soluzione ma poi la affido agli altri.

Questo sicuramente è dovuto al fatto che tu lamenti che la gente se ne sta in fondo alla caverna.

Ma ciò non toglie la responsabilità di accollarsi anche il fallimento altrui.

Laddove i giovani perbenisti indicano etica, ma scommetto che non fanno niente per il vicino indigente: voglio proprio vedere come si fa.

Certamente si tratta di strategie. Ma per vissuto storico, come stratega sono un disastro.


                                                        *    *     *

Ancora sulla paranoia.


A  mio parere il sintomo paranoico, ossia l'altro che mi vuole male, non è il motivo scatenante.

Il motivo scatenante paranoico è la voglia di non cambiare, la stasi.

E' il motivo kafkiano del racconto in cui il personaggio non bussa alla porta perchè davanti c'è un guardiano.

E' il motivo sempre kafkiano del "Processo", in cui il guardiano è addirittura evitato, non si vuole avere a che fare con lui.

Ossia è il motivo della vita non vissuta.

Sostanzialmente la paranoia io la vedo come la morte stessa.

Vai avanti tu che mi vien da ridere

Kobayashi

X green demetr
Ciao ragazzo. Per adesso solo una domanda: ti ricordi dove Nietzsche parla dell'amicizia? più o meno in quali opere?
Sulle altre cose, nei prossimi giorni.

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