Il Sapere non è piatto, ma sferico.

Aperto da Carlo Pierini, 12 Luglio 2018, 00:16:21 AM

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Carlo Pierini

"La sensazione, il presentimento che i continenti decisivi per
la mappa della verità non sono ancora stati scoperti, o
sono stati appena delineati nei loro tratti di contorno, operano
determinativamente sulla coscienza, suscitano una «attentio
animi», uno stato di tensione, che vede in tutto ciò che è nuovo
solo i promontori e gli arcipelaghi di continenti".    
[H. BLUMENBERG: Paradigmi per una metaforologia - pp.73/5]



La Geografia come analogia metaforica della conoscenza
Se definiamo la conoscenza come una rappresentazione rigorosa della realtà e delle relazioni tra gli enti che la costituiscono, non c'è metafora più appropriata della cartografia geografica, potendo la conoscenza esser vista come l'insieme dei diversi "continenti", dei diversi "territori" del sapere, delle diverse "regioni" della ricerca. E la metafora è tanto più illuminante, in quanto la Geografia è l'unica disciplina del sapere che ha raggiunto il proprio compimento e che quindi può fungere da modello ideale, da archetipo anche per forme di conoscenza più complesse, o per la conoscenza stessa intesa come totalità delle scienze. La Geografia, infatti, pur essendo una disciplina relativamente semplice, possiede, in nuce e in forma elementare, tutti gli elementi di problematicità tipici di ogni disciplina; pertanto, essendo stati già risolti, le stesse modalità di soluzione possono essere esportate all'intera ...sfera della conoscenza.

Mentre la geografia raggiunse il suo compimento ultimo proprio quando, da somma virtualmente infinita (in quanto planare) di mappe topografiche, si trasformò in una unità geografica rigorosamente finita e virtualmente descrivibile nella sua totalità (in quanto sferica), della conoscenza attuale non possiamo dire altrettanto: essa è tutt'ora una somma di scienze e di discipline separate di cui non si intravvede ancora l'elemento unificante. Non possiamo ancora parlare di conoscenza, ma solo di conoscenze o, peggio, di un insieme eterogeneo di conoscenze in continua espansione.
L'immagine attualmente prevalente dell'oggetto del sapere è, infatti, quella di un territorio planare virtualmente infinito la cui conquista da parte delle scienze è in continua e illimitata espansione. A prima vista può sembrare una metafora calzante del progresso reale storico della conoscenza ma, se la analizziamo un po' più da vicino, ci si rende conto che essa porta alle medesime e tragiche aporie a cui portava una concezione planare della geografia di fronte alla possibilità di un orientamento geografico rigoroso ultimo. Non può, infatti, non esser tragica una conoscenza reale la cui estensione, per quanto grande possa essere, sarà sempre insignificante e marginale rispetto all'estensione infinita del "non-ancora-conosciuto". Una conoscenza nella quale, cioè, gli interrogativi aumentano più rapidamente delle risposte che riesce a dare, vanificando così il valore del già conosciuto, ...come un cibo che, invece di saziare e di placare la fame, più se ne mangia e più aumenta l'insoddisfazione.
"Tragedia della cultura" l'ha chiamata Georg Simmel:

" Secondo Georg Simmel (Der Begriff und die Tragödie der Kultur) "...il progresso della cultura regala all'umanità sempre nuovi domini; ma il singolo soggetto si vede sempre più escluso dal godimento di essi. E a che serve una ricchezza che l'io non può mai tramutare in proprio stabile possesso? Non sarà per esso solo un'opressione, piuttosto che una liberazione? Con considerazioni del genere il pessimismo intorno alla cultura ci viene incontro proprio nella sua formulazione più acuta e radicale. [...] l beni prodotti da questo sviluppo si accrescono continuamente in quantità, ma proprio in questa crescita cessano di essere utilizzati da noi. [...] L'io si vede schiacciato dalla sue varietà e dal suo peso continuamente crescente, ricavando dalla cultura non la consapevolezza della propria forza, ma solo la convinzione della sua impotenza spirituale. [...] La vita spirituale consiste in un continuo progredire; quella dell'anima in un sempre più profondo ritorno a se stessa. I fini e le vie dello «spirito oggettivo" possono quindi non essere gli stessi di quelli della vita soggettiva. [...] È come se la mobilità creatrice dell'anima morisse nel proprio prodotto. [...] I contenuti mediante i quali l'io deve perfezionare la propria organizzazione per farne un mondo [...] unitario, non appartengono soltanto all'io: essi gli sono dati provenendo da un al di fuori spazio-temporale ideale; sono nello stesso tempo i contenuti di altri mondi, sociali e metafisici, concettuali ed etici e possiedono in questi forme e connessioni fra loro che non vogliono coincidere con quelle dell'io.
Questa è la vera tragedia della cultura. Infatti un destino tragico, diversamente da una triste sorte o da una sorte che derivi dall'esterno la propria rovina, è caratterizzato in questo modo: le forze distruttrici dirette contro un'entità scaturiscono proprio dagli strati più profondi di questa stessa entità e con la sua distruzione si compie un destino che era innato in essa e che costituisce lo sviluppo logico della stessa struttura con cui l'entità ha costruito la propria positività» (G.Simmel, Concetto e tragedia della cultura, pp 98-99, 105)".    
Simmel è lungi dal volere che il corso della civiltà si arresti in un qualsiasi momento. Egli sa che non è possibile invertire la ruota della storia. Ma crede insieme di vedere che la tensione tra i due poli ugualmente necessari e legittimi si venga così facendo sempre più acuta e che per essa l'uomo debba alla fine restare in balia di un insanabile dualismo. La profonda estraneità o ostilità che esiste tra il processo creativo vitale dell'anima da una parte, e dall'altra i suoi contenuti e le sue produzioni, non tollera alcuna composizione e conciliazione".   [E. CASSIRER: Sulla logica delle scienze della cultura - pp.99-100]

"Lo spirito tecno-scientifico, senza dubbio, amplia enormemente la sfera del sapere, ma il suo avanzare non conduce alla riduzione tot court  del non-sapere, bensì coincide spesso con la crescita della complessità di ciò che resta da conoscere. Ciò è dovuto (...) all'inattingibilità di un punto di vista certo e globale".  [O. MARZOCCA : Filosofia dell'incommensurabile - pg.13]


In altri termini, possiamo ipotizzare che la conoscenza stia vivendo la sua fase pre-colombiana, nella quale ognuno si occupa della propria mappa particolare senza preoccuparsi dell'unità con le altre, della coerenza reciproca. Anzi, si è addirittura convinti che non esista alcun mappamondo comune nel quale possano trovar posto dei territori con orizzonti tanto diversi quanto lo sono, per esempio, quelli della Fisica, della biologia, della psicologia, della storia, della teologia, ecc.. In una prospettiva planare infinita non esistono punti di orientamento, poiché ogni punto è uguale a qualunque altro; non si può dire se ci sia o no un centro, perché da una parte ogni punto può esser visto come un centro da cui irradia una estensione ugualmente infinita in ogni direzione ma, nello stesso tempo, nessun punto (né del piano né fuori del piano) può essere considerato centro di una figura senza perimetro.
Tutto ciò può essere insignificante per la geometria pura, il cui scopo non è quello di trovare il centro di un piano euclideo, ma per la conoscenza non è la stessa cosa. Per essa, la ricerca di "centri", di "luoghi geometrici" attorno ai quali sintetizzare l'infinita molteplicità degli eventi è essenziale. Una legge o un principio universale, per esempio, sono centri e luoghi geometrici della conoscenza attorno a cui gravitano le forme più evolute di sapere. Una scienza, infatti, è tale quando non si limita a descrivere analiticamente gli eventi nella loro molteplicità, ma quando sa risalire sinteticamente da essi all'ordine che li governa e che li accomuna. Una infinita molteplicità di oggetti, di enti, può vanificare la possibilità stessa della conoscenza, essendo l'intelletto umano finito e capace di comprendere solo attraverso concetti finiti; ma ciò non accade quando disponiamo di leggi e di principi che sono tali proprio perché validi per una molteplicità indefinita di casi.

"Una ricchezza di fatti non significa necessariamente una ricchezza di pensiero. A meno di trovare un filo d'Arianna che ci porti fuor da questo labirinto non si potrà giungere ad una vera conoscenza del carattere generale della cultura umana; ci si troverà sperduti fra una massa di dati sconnessi e disgregati che sembrano escludere qualsiasi unità ideale".    [E. CASSIRER: Saggio sull'uomo - pg. 75]

"L'idea di una conoscenza che parte dall'osservazione, che cresce in proporzione al numero di osservazioni, e che si giustifica in base all'osservazione, è ancora quella dominante, soprattutto nei contesti in cui l'immagine della scienza si trasmette e si diffonde.  E invece, soprattutto in questi contesti, sarebbe opportuno ricordare di tanto in tanto, con Karl Popper, « che la scienza occidentale - e sembra che non ve ne sia un'altra - non prese avvio dall'accumulazione di osservazioni [... ], ma da audaci teorie intorno al mondo». In generale, dallo studio senza preconcetti dell'attività degli scienziati emerge con crescente chiarezza che l'oggetto ultimo del loro lavoro non è la raccolta, la classificazione e la formulazione sintetica di fatti empirici, bensì la costruzione di una visione coerente e unitaria della costituzione intima e dei principi generali di comportamento della realtà naturale, al fine di comprendere e spiegare i risultati dell'esperienza".  [C. TARSITANI: Il dilemma onda-corpuscolo, in P. ROSSI: Storia della Scienza, vol. 29 - pg. 10]

Senza una prospettiva unificante, avremo una conoscenza perennemente incerta, poiché ogni ulteriore acquisizione potrebbe ribaltare o smentire le conoscenze precedenti, mentre in una visione universale, ogni ulteriore acquisizione non farebbe altro che riconfermare la validità delle leggi e dei principi già noti e quindi arricchire la precedente conoscenza, come è successo, per esempio, con le leggi di Keplero che sono state riconfermate e arricchite dalle nuove acquisizioni di Newton. Le leggi e i principi permettono di ricondurre il molteplice all'unità, la diversità all'uguaglianza, l'indefinito al finito.
E' vero che il cosmo è infinitamente analizzabile; ma una cosa è l'infinita analizzabilità dei punti di un piano infinito e ben altra cosa è l'infinità dei punti di una superficie finita, cioè di una superficie sferica. In altre parole, pur ammettendo una infinita analizzabilità del cosmo, nulla esclude che la sua conoscenza possa gravitare attorno ad un principio unico, o ad un corpus finito di principi reciprocamente complementari, di cui le leggi e i principi già scoperti dalle scienze non siano che aspetti particolari.

"C'è un concetto che corrompe e altera tutti gli altri. (..) Parlo dell' Infinito, l'assoluto male metafisico, operante nel cosmo come seme di disordine e di assurdità."            [J.L. BORGES: Otras inquisiciones]


" Un cerchio e un centro: questa è l'intuizione che domina ai suoi inizi il pensiero teologico e scientifico dei Greci. L'infinito che tutto abbraccia, è principio comune dei Phisyologi e dei Teologi e si riflette perciò sia sul piano filosofico, sia sul piano storiografico. (...) Perché i mondi nascono e muoiono, e il principio, che è il solo a permanere, è il "divino" e, secondo una rappresentazione che Aristotele considera comune anche ai teologi, [...] «abbraccia tutte le cose che governa»". [G. TAGLIAVIA: Inizio e cominciamento - pg.21]

"I concetti greci di essere e di verità sono paragonabili, secondo la similitudine di Parmenide, a una «sfera perfettamente rotonda», salda nel suo proprio centro".  [E. CASSIRER: Sulla logica delle scienze della cultura - pg. 5]

"«Ho indagato me stesso», suggerisce Eraclito, lasciando intendere che è collegata alla scoperta delle proprie intime radici la speranza di scoprire quella "ben rotonda verità" che Parmenide riteneva di poter rintracciare all'interno del pensiero".  [S. ARCOLEO: Euristica scientifica e soteria religiosa, in Progetto scientifico e speranza religiosa - pg. 67]

"Il cerchio è il segno dell'Unità del Principio. E' lo sviluppo del punto centrale, la sua manifestazione. "Tutti i punti della circonferenza si ritrovano al centro del cerchio che è il loro principio e la loro fine", scrive Proclo. Secondo Plotino "il centro è il padre del cerchio". Numerosi autori applicano questo stesso paragone del cerchio e del centro alla creazione e a Dio".  [CHEVALIER - GHEERBRANT: Dizionario dei simboli - pg. 245]

"Per Platone il mondo delle idee che comprende tutto è indescrivibile, ma il suo corrispondente nella materia è una sfera geometrica".  [M.L. VON FRANZ: Psiche e materia - pg. 202]

"[Nell'esoterismo cristiano] il "Centro del Mondo" è il punto originario da cui proferisce il Verbo creatore, oppure è lo stesso Verbo". [R. GUÉNON: L'esoterismo cristiano – pg. 58]

"[Nell'esoterismo islamico] l'«esteriore» (el-zâher) e l'«interiore» (el bâten), vale a dire, l'«apparente» e il «nascosto», la «shariyah» la «haqiqah», sono raffigurati dalla circonferenza e dal suo centro i quali riconducono sia al simbolismo della  scorza e del nocciolo sia all'immagine, comune a tutte le tradizioni, della «ruota delle cose». In effetti, se i due termini li si considera in senso universale senza limitarsi (...) ad una particolare forma tradizionale, la shariyah, la «grande strada» percorsa da tutti gli esseri, non è altro che ciò che la tradizione estremo orientale chiama «corrente delle forme», mentre la haqiqah, cioè la verità una e immutabile, corrisponde con l'«invariabile mezzo». Per passare dall'una all'altra, e quindi dalla circonferenza al centro, occorre seguire uno dei raggi: è questa la tariqah, cioè il «sentiero», la strada stretta seguita solo da un piccolo numero di esseri. D'altronde, esiste una moltitudine di turuq, che sono tutti i raggi della circonferenza presi in senso centripeto, poiché si tratta di partire dalla molteplicità del manifestato per giungere all'unità principale. (...) Tutte le turuq, qualunque sia il loro punto di partenza, tendono verso un unico punto, confluiscono tutte al centro e conducono così gli esseri che la seguono all'essenziale semplicità dello «stato primordiale». (...) E'per questo che Allah, così come è « il Primo e l'Ultimo», è anche l'«esteriore» (el- Zâher) e l'«interiore» (el Bâten), poiché nulla di ciò che è potrebbe essere al di fuori di Lui". [R. GUÉNON: L'esoterismo islamico e il taoismo – pp. 24/28]


INDIOS TABAJARAS - Maria Elena
https://youtu.be/U8UHGTWbbI0

M. MAGALHÃES: Velha e louca
https://youtu.be/f7UBDGt8VK8?t=10

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