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Il saggio rabbino

Aperto da Sariputra, 01 Novembre 2016, 15:28:29 PM

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Sariputra

C'era una volta un saggio rabbino, rispettato e benvoluto da tutti. Aveva fama di essere un uomo molto avveduto e scrupoloso nel dare il giusto consiglio. In quell'epoca due fazioni di ebrei erano in contesa fra loro per una questione molto importante.. Così i membri di una fazione andarono dal rabbino ad esporre le loro lamentele. Il rabbino ascoltò e poi disse:" Avete ragione! Avete ragione!" Gli ebrei dell'altra fazione, sentito di questo, decisero anche loro di andare dal rabbino. Esposero anche le loro di lamentele e il rabbino rispose ancora: "Avete ragione! Avete ragione!"
Ovviamente la polemica e le contese ricominciarono daccapo. Allora gli anziani e gli scribi decisero di visitare il rabbino, formarono una commissione, si presentarono e gli dissero, con il dovuto rispetto:" Maestro, oggi hai detto ad una delle due  fazioni che aveva ragione e ieri hai detto che aveva ragione l'altra. E' ovvio che non possono avere ragione entrambe". Il rabbino rispose: "Avete ragione! Avete ragione!" Chi ha ragione ? O solo il rabbino ha torto?

P.S: Non si può rispondere che il rabbino soffriva di Alzhaimer... ;D
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Phil

Ognuno ha le sue ragioni... e la ragione del rabbino che gli fa dare ragione a tutti è una meta-ragione  ;D

sgiombo

A me ricorda tanto i politicanti italiani (ma non solo) odierni (es: la Clinton che dice una cosa in pubblico  al popolo, agli elettori, e tutto il contrario, come si sa grazie a wikileaks, quando parla in gran segreto con gli usurai delle banche).

Sariputra

#3
Questa storiella sul rabbino, in apparenza piuttosto banale, l'ho tratta da un articolo pubblicato da Raimon Panikkar nel 1990 sulla rivista di studi religiosi "World faiths insight" ,da non molto tradotto in italiano  , che porta il titolo  "Il pluralismo della verità". Riporto i sei punti dell'esposizione del famoso filosofo e teologo indo-catalano:
1-Pluralismo non significa pluralità o riduzione della pluralità ad unità. Pluralismo significa di più della pura ammissione della pluralità e della mera illusione dell'unità.
2-Il pluralismo non considera l'unità un ideale indispensabile, nemmeno se questa unità lascia spazio a delle variazioni al suo interno. IL pluralismo accetta gli aspetti inconciliabili delle religioni e delle filosofie senza ignorare ciò che hanno in comune. Il pluralismo non è l'attesa escatologica che alla fine tutto diventi uno.
3-Il pluralismo non approda ad un sistema universale. Un sistema pluralistico sarebbe una contraddizione in termini. L'incommensurabilità fondamentale dei diversi sistemi non può essere oltrepassata.Questa incommensurabilità non è necessariamente un male minore; essa potrebbe invece contenere una rivelazione della natura della realtà.. Nulla può racchiudere la realtà.
4-Il pluralismo ci rende consapevoli della nostra contingenza e dell'opacità della realtà. Esso è incompatibile con l'assunzione monoteistica di un Essere totalmente intelligibile, ovvero con una coscienza onnisciente identificata con l'Essere. Però il pluralismo non rifugge dall'intelligibilità. La posizione pluralista cerca di raggiungere tutta l'intelligibilità possibile, ma non richiede l'ideale di una comprensibilità totale della realtà.
5-Il pluralismo è un simbolo che esprime un atteggiamento di fiducia cosmica, che tiene conto della polarità e della tensione tipiche della coesistenza tra sistemi religiosi, cosmologie e posizioni umane irriducibili. Esso non elimina né assolutizza il male o l'errore.
6-Il pluralismo non nega la funzione del Logos e i suoi diritti inalienabili. Il principio di non contraddizione, ad esempio, non può essere eliminato. Ma il pluralismo appartiene anche all'ordine del mito. Esso incorpora il mythos, non ovviamente come oggetto del pensiero ma come orizzonte che rende il pensiero possibile (  ???  ???).
La verità però, per Panikkar, non è nemmeno molteplice. Se ci fossero molte verità, cadremmo in evidente contraddizione. Pluralismo non sta per pluralità, in questo caso pluralità di verità. Il pluralismo mantiene una posizione a-dualistica (o advaita) che difende il pluralismo della verità in quanto la realtà stessa è pluralistica, incommensurabile sia con l'unità , sia con la pluralità. L'Essere, anche se coesistente con il logos, o una intelligenza suprema, non ha bisogno di essere ridotto solo alla coscienza.

In realtà, l'essere si specchia perfettamente nella verità, ma anche se la perfetta immagine dell'Essere è identica all'Essere, l'Essere non ha bisogno di venir esaurito nella sua immagine...a meno che non si sia assunto in precedenza che l'Essere sia (solo) Coscienza.

Nella storiella del rabbino la relazione tra le tre affermazioni è dialettica. Ma la relazione tra le due fazioni in polemica non è dialettica. Il rabbino vede la completezza relativa di ciascuna posizione, sebbene questo implica la contradditorietà delle affermazioni su un piano intelletuale, come rileva iil gruppo di anziani e scribi che non sono coinvolti sul piano esistenziale.
Al di là della posizione atta, come mi par di capire di Panikkar ( anche se polemico su quello che definisce il "dogma parmenideo" dell'Occidente)e che , ovviamente, non condivido, è interessante questa esposizione sulla consapevolezza della relatività della varie posizioni, che non significa la loro mancanza di verità.
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Jean

C'era una volta un saggio rabbino, rispettato e benvoluto da tutti. Aveva fama di essere un uomo molto avveduto e scrupoloso nel dare il giusto consiglio. In quell'epoca due fazioni di ebrei erano in contesa fra loro per una questione molto importante.. Così i membri di una fazione andarono dal rabbino ad esporre le loro lamentele. Il rabbino ascoltò e poi disse:" Avete ragione! Avete ragione!" ....

Il rabbino non ha potuto (o voluto) in questo caso profferire esplicitamente il giusto consiglio, motivo per cui è stato interpellato dalle due fazioni.
La sua risposta sempre uguale scaturisce dall'immedesimarsi con la (parziale) verità prima dell'una, poi dell'altra e alfine d'entrambe le fazioni.

Il giusto consiglio, racchiuso nell'apparente paradosso, è: se ognuno porta un frammento (dello specchio) di verità, si può davvero scegliere il migliore?



(anche i rabbini possono suonare come i Pink Floid?)

maral

#5
Non trovo necessariamente "atea" la posizione di Panikkar come da te presentata e che condivido. Essa fa appello all'assoluta inconoscibilità (e non negazione ontologica) dell'Uno (unica verità) come tale pur richiamandone la evidente necessità e nello stesso tempo sottolinea come questa unicità solo nella pluralità può di fatto svelarsi e pertanto attuarsi; pluralità che quindi mantiene il suo orizzonte di senso nell'Uno di cui è la chiara e concreta manifestazione. Tra le varie posizioni della pluralità si riflette il medesimo rapporto di contraddizione - complementarietà che lega l'Uno alla pluralità. Avvertire solo la contraddizione (per cui o è così o non lo è) significa porre all'orizzonte la prospettiva nichilistica: nel reciproco volersi annientare dei contendenti, l'Uno (tutto ciò che è) è già inteso come Niente, ossia come assoluta contraddizione (tutto ciò che è è niente proprio poiché procede per progressivo annientamento di ciò in cui si manifesta, ossia gli enti che l'un l'altro si annientano, rendendosi l'un l'altro giustizia, come direbbe Anassimandro). D'altro canto la complementarietà è un processo sempre incompiuto, in cui la verità appare sempre come un ancora "da farsi", sempre nel suo errare (nel senso di essere in cammino trovandosi sempre in errore rispetto all'unità che la esprime venendone espressa).
Le due fazioni di ebrei avevano entrambe ragione e la loro ragione appoggiava sull'aver ragione dell'altra fazione (e magari rendendosene conto una soluzione, per quanto certamente non definitiva, si sarebbe potuta trovare), così come la ragione del rabbino poggia dialetticamente sull'obiezione degli anziani e degli scribi che si arrestano alla evidenziazione della contraddizione logico-formale.

Phil

Citazione di: Sariputra il 01 Novembre 2016, 20:46:37 PM3-Il pluralismo non approda ad un sistema universale. Un sistema pluralistico sarebbe una contraddizione in termini. L'incommensurabilità fondamentale dei diversi sistemi non può essere oltrepassata.
Giustamente, pluralista può essere "l'approccio" (o "impostazione" o "prospettiva" o altro...) non il sistema stesso: l'approccio del rabbino (o meta-sistema) sostiene che ognuno dei sistemi esposti dalle due fazioni abbia una sua "ragione", o meglio, una sua verità contingente (altrimenti non sarebbe vero che entrambi hanno la medesima ragione, pur divergendo e opponendosi...).

Citazione di: Sariputra il 01 Novembre 2016, 20:46:37 PMLa verità però, per Panikkar, non è nemmeno molteplice. Se ci fossero molte verità, cadremmo in evidente contraddizione. 
Eppure avrei detto il contrario: se la verità non è plurale (le verità), allora il pluralismo o si limita al riconoscimento dell'esistenza di differenti posizioni (ma è una constatazione un po' sterile), oppure concepisce la pluralità in modo "gerarchico", in una scala in cui alcune posizioni sono più vicine alla verità (che, se è una, non può essere "equidistante" da tutti i contrastanti sistemi che la cercano...), ma questo sarebbe in contraddizione con il punto 2 "Il pluralismo accetta gli aspetti inconciliabili delle religioni e delle filosofie"(cit.), questa "accettazione plurale" non è lecitamente possibile se la verità è una...

Citazione di: Sariputra il 01 Novembre 2016, 20:46:37 PMPluralismo non sta per pluralità, in questo caso pluralità di verità. Il pluralismo mantiene una posizione a-dualistica (o advaita) che difende il pluralismo della verità in quanto la realtà stessa è pluralistica, incommensurabile sia con l'unità , sia con la pluralità. 
Mi pare che il pluralismo non possa essere incommensurabile con la pluralità, ma può spiegarla adeguatamente proprio pluralizzando la verità... se la posizione è a-dualistica significa che viene meno il dualismo vero/falso per cui: o tutto è vero (e quindi non ha più senso parlare di verità), oppure le verità sono tante per cui il dualismo non è più adeguato a renderne conto (ma, appunto, il pluralismo si...).

Citazione di: Sariputra il 01 Novembre 2016, 20:46:37 PMNella storiella del rabbino la relazione tra le tre affermazioni è dialettica. Ma la relazione tra le due fazioni in polemica non è dialettica. Il rabbino vede la completezza relativa di ciascuna posizione, sebbene questo implica la contradditorietà delle affermazioni su un piano intelletuale, come rileva iil gruppo di anziani e scribi che non sono coinvolti sul piano esistenziale. 
Sottolinerei che il rabbino vede anche la "completezza relativa" dell'obiezione della commissione degli anziani (a cui dà la stessa risposta) e, tappa cruciale, dovrebbe anche vedere la "completezza relativa" della sua stessa posizione sul contenzioso (altrimenti non è pluralista fino in fondo  ;)).


Citazione di: Sariputra il 01 Novembre 2016, 20:46:37 PMconsapevolezza della relatività della varie posizioni, che non significa la loro mancanza di verità.
Direi che il relativismo è il pluralismo visto "dall'interno": ogni posizione, consapevole che ci sono più verità (plurali) "al di fuori" di lei, riconosce la propria come relativa alla sua strutturazione/conformazione intrinseca (e questo dovrebbe coerentemente valere anche per il pluralismo stesso: ci sono tante verità relative al rispettivo sistema o approccio e quindi ci sono anche verità relative agli approcci che non sono pluralisti...).

Sariputra

#7
@ Phil scrive:
Sottolinerei che il rabbino vede anche la "completezza relativa" dell'obiezione della commissione degli anziani (a cui dà la stessa risposta) e, tappa cruciale, dovrebbe anche vedere la "completezza relativa" della sua stessa posizione sul contenzioso (altrimenti non è pluralista fino in fondo  ).


Quindi, se intendo bene, il rabbino, alla sera, dopo aver letto un brano del Talmud , ripensando alle tre risposte date, dovrebbe dire a se stesso: "Ho ragione! Ho ragione!"
Panikkar non ne parla, non so se lo riteneva implicito, ma concordo con te. Troviamo pure la "quarta " posizione. Anche questa dispone di una "completezza" ( o verità) relativa".
Secondo Panikkar la pluralità non è ancora pluralismo perché è una nozione quantitativa , che significa riconoscimento di modi, colori, umori differenti. Ma il pluralismo non è nemmeno pluriformità che è una nozione qualitativa, che riconosce cioè non solo le differenze ma anche la varietà. Il pluralismo muove un altro passo, ha cioè a che fare con la diversità radicale.
Dice il filosofo:
Il pluralismo della verità ci apre gli occhi, in primo luogo, sulla contingenza: io non ho una visuale di 360 gradi; nessuno ce l'ha. In secondo luogo, e questa è la nozione più audace, la verità è pluralistica perché la realtà stessa è pluralistica, non essendo un'entità oggettivabile. Non siamo semplicemente spettatori del Reale, ma perfino co-attori e co-autori di esso. Questa è precisamente la nostra dignità umana.
Sulla strada del bosco
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acquario69

#8
(qui sotto l'articolo intero di panikkar - il pluralismo della Verita - )

http://www.gianfrancobertagni.it/materiali/raimonpanikkar/pluralismo_calabro.htm

la storiella del rabbino secondo me vuole semplicemente dirci che ognuno guarda le cose dal suo punto di vista e che questo e' normalissimo che avvenga (prospettivismo)

più avanti nell'articolo cita un aneddoto (?) di salomone sul bambino che non può essere tagliato in due, (in relazione alla diversa prospettiva)
MA dopo prosegue e dice in sostanza che il bambino ovviamente non può essere tagliato a meta' altrimenti muore,non e' più un bambino (intero/vitale/esistente) e qui secondo me si dimostra in realtà che UNA e' la Verita ed esiste eccome,ed e' lo stesso bambino vivo-intero-esistente (e per Amore)
e' ovvio che il pluralismo appartiene alla condizione umana (come sottolinea lui stesso) ma per l'appunto l'esempio sopra ci indica "l'esistenza" di cio che lo trascende.

qui sotto lo spiega più chiaramente un certo Toshihiko Izutsu che scrive:

La struttura della realtà esteriore implicata dalla preposizione "Il fiore è esistente" si rivela essere completamente differente da quello che la forma grammaticale suggerisce.

Ciò che esiste al senso pieno del termine, è l'esistenza, come assoluto indeterminato, non il fiore.

Essere-un-fiore non è che una determinazione speciale di questo assoluto indeterminato. Non è che una forma particolare nella quale l'esistenza si rivela a sé stessa nella dimensione del mondo detto esteriore.
In altri termini, il fiore è un accidente che qualifica l'esistenza e la determina in una certa forma fenomenica. La wahdat al wujûd, quindi, non è che il riconoscimento – ad un grado trascendente – del fatto che l'esistenza ha il suo fondamento nell'Essere di Dio, ed è perciò "unica".

E' chiaro, però, che l'essere umano, se vuole conoscere, deve superare l'opposizione soggetto-oggetto in cui è confinata la sua visione quotidiana.

Sariputra

#9
@ acquario69

La famosa storia del re Salomone che citi e che è riportata anche nell'articolo sembra un pò diversa da quella del rabbino. Due donne si presentano davanti al re per chiedere che decida a chi deve andare il bimbo che ambedue rivendicano come proprio. Non esiste alcuna prova per decidere quale delle due sia la vera madre. Salomone si fa portare una spada e afferma che taglierà in due pezzi il bimbo, così che ognuna delle due ne possa avere una parte uguale. Al che la vera madre , piangendo, supplica il re di dare all'altra donna il figlio. Per amore non vuole vederlo morire. Il rabbino invece non decide, o meglio...accetta le ragioni di ambedue le fazioni. Qui , a mio parere, Panikkar vuole far fare un passo verso l'accettazione delle diverse prospettive come vere entrambe, ma vere in senso relativo alla prospettiva stessa. Per accettare che la verità sia un pluralismo però sembra inevitabile accettare anche la relatività del male (punto 5), non lo assolutizza né lo elimina. E' evidente che , le diverse prospettive, se non ricondotte ad unità, generano sempre una certa dose di contrapposizione (...la polemica e le contese ricominciarono daccapo), ma Panikkar sembra vederle come necessarie al pluralismo stesso della realtà. Non c'è pretesa di ricondurle ad unicità, al famoso Uno. Anzi, in modo più radicale, vedendo che la realtà è costituita proprio da infinite prospettive diverse, ne afferma la necessità come co-autrici, co-attori della realtà stessa. Se Salomone non avesse deciso di impugnare la spada , anzi avesse dato ragione ad entrambe le donne, che cosa sarebbe successo? Inevitabilmente il conflitto tra le due donne.
Però una delle due donne era palesemente in torto, in quanto mentiva sulla propria maternità. Ma due posizioni religiose o filosofiche, intimamente coerenti al linguaggio che le ha partorite, che non rivendicano la proprietà di un altra posizione ( il bambino conteso tra le due donne...) ma la proprio verità stessa, come possono essere ricondotte ad unità? E' chiaro che, alla fine, l'uomo ricorre storicamente alla violenza e alla forza per stabilire la superiorità di una posizione rispetto all'altra. Come se Salomone dicesse alle donne: "Ecco la spada, vedetevela fra di voi, chi vince è la vera madre del bimbo!" ( che poi, per dirimere le contese, è la soluzione adottata da molte società e popoli antichi, in ragione dell'ipotetica forza e verità data dal sacro, dal divino; non è importante chi sia realmente la madre , la "vera" madre è quella stabilita da Dio...la volontà divina prende forma con l'applicazione della violenza e della forza).
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acquario69

#10
Citazione di: Sariputra il 02 Novembre 2016, 08:52:18 AM
@ acquario69

La famosa storia del re Salomone che citi e che è riportata anche nell'articolo sembra un pò diversa da quella del rabbino. Due donne si presentano davanti al re per chiedere che decida a chi deve andare il bimbo che ambedue rivendicano come proprio. Non esiste alcuna prova per decidere quale delle due sia la vera madre. Salomone si fa portare una spada e afferma che taglierà in due pezzi il bimbo, così che ognuna delle due ne possa avere una parte uguale. Al che la vera madre , piangendo, supplica il re di dare all'altra donna il figlio. Per amore non vuole vederlo morire. Il rabbino invece non decide, o meglio...accetta le ragioni di ambedue le fazioni. Qui , a mio parere, Panikkar vuole far fare un passo verso l'accettazione delle diverse prospettive come vere entrambe, ma vere in senso relativo alla prospettiva stessa. Per accettare che la verità sia un pluralismo però sembra inevitabile accettare anche la relatività del male (punto 5), non lo assolutizza né lo elimina. E' evidente che , le diverse prospettive, se non ricondotte ad unità, generano sempre una certa dose di contrapposizione (...la polemica e le contese ricominciarono daccapo), ma Panikkar sembra vederle come necessarie al pluralismo stesso della realtà. Non c'è pretesa di ricondurle ad unicità, al famoso Uno. Anzi, in modo più radicale, vedendo che la realtà è costituita proprio da infinite prospettive diverse, ne afferma la necessità come co-autrici, co-attori della realtà stessa. Se Salomone non avesse deciso di impugnare la spada , anzi avesse dato ragione ad entrambe le donne, che cosa sarebbe successo? Inevitabilmente il conflitto tra le due donne.
Però una delle due donne era palesemente in torto, in quanto mentiva sulla propria maternità. Ma due posizioni religiose o filosofiche, intimamente coerenti al linguaggio che le ha partorite, che non rivendicano la proprietà di un altra posizione ( il bambino conteso tra le due donne...) ma la proprio verità stessa, come possono essere ricondotte ad unità? E' chiaro che, alla fine, l'uomo ricorre storicamente alla violenza e alla forza per stabilire la superiorità di una posizione rispetto all'altra. Come se Salomone dicesse alle donne: "Ecco la spada, vedetevela fra di voi, chi vince è la vera madre del bimbo!" ( che poi, per dirimere le contese, è la soluzione adottata da molte società e popoli antichi, in ragione dell'ipotetica forza e verità data dal sacro, dal divino; non è importante chi sia realmente la madre , la "vera" madre è quella stabilita da Dio...la volontà divina prende forma con l'applicazione della violenza e della forza).

il rabbino sull'aneddoto delle due madri a mio avviso vuole proprio far emergere la Verita.
se le diverse prospettive delle due madri sono    "vere" relativamente     alla fine risulta chiaro che una sola e' la madre e una sola e' la Verita e non vedo dove sta la contrapposizione.
ed io credo che sia questo il messaggio di questo racconto e che salomone abbia voluto dimostrare proprio che tutto e' riconducibilie all'unicità,alla Verita e all'UNO...cioè al figlio,non diviso,(quindi morto con la spada) ma vivo ed esistente.

quando salomone dice "ecco la spada" non lo fa per lavarsene le mani ma proprio per (decidere) ristabilire giustizia e Verita,e non per presunta volontà divina con l'applicazione della violenza e della forza...tante' che riesce nel suo intento (e senza usare la forza) e la contesa cessa di fronte all'evidenza della stessa Verita.

=======================

qui sotto il racconto di salomone con le due donne:

(1RE 3,16-28)
Un giorno andarono dal re due prostitute e si presentarono innanzi a lui.
Una delle due disse: "Ascoltami, signore! Io e questa donna abitiamo nella stessa casa; io ho partorito mentre essa sola era in casa.
Tre giorni dopo il mio parto, anche questa donna ha partorito; noi stiamo insieme e non c'è nessun estraneo in casa fuori di noi due.
Il figlio di questa donna è morto durante la notte, perché essa gli si era coricata sopra.
Essa si è alzata nel cuore della notte, ha preso il mio figlio dal mio fianco – la tua schiava dormiva – e se lo è messo in seno e sul mio seno ha messo il figlio morto.
Al mattino mi sono alzata per allattare mio figlio, ma ecco, era morto. L'ho osservato bene; ecco, non era il figlio che avevo partorito io".
L'altra donna disse: "Non è vero! Mio figlio è quello vivo, il tuo è quello morto". E quella, al contrario, diceva: "Non è vero! Quello morto è tuo figlio, il mio è quello vivo". Discutevano così alla presenza del re. Egli disse: "Costei dice: Mio figlio è quello vivo, il tuo è quello morto e quella dice: Non è vero! Tuo figlio è quello morto e il mio è quello vivo".
Allora il re ordinò: "Prendetemi una spada!". Portarono una spada alla presenza del re.
Quindi il re aggiunse: "Tagliate in due il figlio vivo e datene una metà all'una e una metà all'altra".
La madre del bimbo vivo si rivolse al re, poiché le sue viscere si erano commosse per il suo figlio, e disse: "Signore, date a lei il bambino vivo; non uccidetelo affatto!". L'altra disse: "Non sia né mio né tuo; dividetelo in due!".
Presa la parola, il re disse: "Date alla prima il bambino vivo; non uccidetelo. Quella è sua madre"

Sariputra

A me sembra che Panikkar ricordi il passo della Bibbia con re Salomone per dirci che le fondamentali differenze esistenti tra una posizione ( religiosa, filosofica e umana irriducibili) e un'altra possano essere trascese in nome di un comune sentire . Qui sicuramente parla in veste di sacerdote e teologo, mentre, filosoficamente esprime questa concezione con l'immagine del cerchio senza un centro. All'interno di questo cerchio , il raggio e la circonferenza si appartengono, pur essendo incommensurabili. SE, per es. Salomone si trovasse a decidere su chi ha ragione tra cristiani e musulmani,o tra idealisti e materialisti, quale spada potrebbe usare se non pervenire alla risposta data dal saggio rabbino:"Avete ragione! Avete ragione! (entrambi) ? Panikkar sembra intendere che ambedue hanno la loro ragione, ragione che non può porsi al centro del cerchio, ragione irriducibile all'altra:

Io sostengo che la situazione attuale richieda che ciascuno di noi possa dire:" Non ti capisco molto bene, penso perfino che ti sbagli, ma il fatto che ti sbagli non mi dice granché sul mio essere nel giusto, o sul fatto che forse anch'io mi sbagli".

Personalmente la intendo come una posizione di relatività realistica, ma Panikkar invece la vede come un pluralismo, costituente, attore, dello svolgersi del reale.
Per Panikkar la verità pluralistica può essere spiegata affermando che nella sua natura è insita la polarità. Qualsiasi teoria filosofica della verità possiamo abbracciare una cosa rimane comune a tutte: La verità è sempre una relazione( soggetto-oggetto, soggetto-predicato, conoscente-conosciuto, utilizzatore-utilizzato,ecc,). Uno dei termini, espliciti o impliciti di questa relazione siamo noi. Per Panikkar "noi" siamo coinvolti nell'impresa :

Anche se parliamo della verità metafisica dell'Essere o della verità teologica della stessa divinità, noi umani non possiamo venir messi del tutto tra parentesi.

 La verità per il filosofo contiene sempre un elemento di soggettività, noi siamo cioè partecipi dell'affermazione della cosa che chiamiamo "verità". La verità è una relazione che fa riferimento a noi uomini. Ma , aggiungo io, le "verità" dell'uomo sono anche ingannevoli, se fondate su presupposti ingannevoli. I raggi e la circonferenza, incommensurabili,  ingannevoli polarità di una realtà costituita da poli ingannevoli. Salomone può decidere saggiamente perché conosce la verità non ingannevole di un polo ( l'amore materno). Sul piano delle idee la faccenda pare complicarsi...
Sulla strada del bosco
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baylham

"Non siamo semplicemente spettatori del Reale, ma perfino co-attori e co-autori di esso. Questa è precisamente la nostra dignità umana."

Questo mi sembra il senso profondo del pluralismo del filosofo Panikkar.
Che cosa importa la verità ad un fiore o ad un animale? Non è molto diverso per l'uomo. Nella frase "Voglio andare a Venezia" la questione della verità dell'io sottinteso, dell'andare, di Venezia, della stessa verità del fine è secondaria, primario è il fine espresso, la sua eventuale realizzazione. Se la falsità, gli errori determinano la realtà, allora significa che la realtà va oltre. è superiore alla questione della verità, la verità non è essenziale, vivere si. L'uomo è vissuto bene anche se ha creduto per millenni che fosse il sole a girare intorno alla terra.

Il rabbino, Salomone, il giudice, non sono chiamati per stabilire la verità, sono chiamati per risolvere un conflitto, per dare una soluzione. Nell'esempio di Salomone nulla vieta che la madre biologica sia diversa dalla madre affettiva: Salomone non ha provato la verità, ha preso un decisione.


mchicapp

forse a non essere saggio era chi affermava che il rabbino fosse saggio o
forse il saggio rabbino era troppo saggio perché la sua saggezza fosse capita da chi non era saggio
forse la troppa saggezza sconfina nella demenza perché gli opposti si toccano

in ogni caso è buona norma dare sempre ragione ai pazzi

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