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Il ruolo della filosofia

Aperto da paul11, 09 Marzo 2020, 00:44:16 AM

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viator

Salve Paul11. Citandoti: XXXXX"ma cosa è questa coscienza? Cosa unisce per costruire una identità comune la coscienza di classe?
A mio parere sono due concetti linguisticamente simili, ma filosoficamente molto differenti"XXXXX.


A livello filosofico i concetti saranno separabili ma secondo me il nesso tra la coscienza "interiore" e quella "di classe" consiste nel fatto che esse non sono altro che i due bordi opposti di una unica dimensione, quella appunto coscienzial-mnemonica.

Tale dimensione o funzione risulta posta "a cavallo" tra una psiche ed una mente, connettendole e provvedendo a tradurre una parte della realtà esterna (quella che la psiche stessa decide di far divenire consapevole alla mente, appunto) in nozioni consapevoli e mentalmente utilizzabili.

Tale funzione coscienziale quindi trasforma una parte dei contenuti psichici, facendo in modo che quelli istintivi ed immediabili (non mediabili perchè da affrontare in via automatica da parte dell'istinto di sopravvivenza) rimangano a livello psichico inconsapevole, mentre altri contenuti (meno "urgenti) che richiedono o possono essere soggetti a risposte razionali e non univoche (facoltà di scelta in base al ragionamento ed all'esperienza), vengono "instradati" (lasciati accedere) verso la consapevolezza mentale ove formeranno il terreno di coltura destinato a confrontarsi con la memoria esperienzale (anch'essa di tipo consapevole, ovviamente) allo scopo di prendere decisioni, scegliere, costruire scenari di propria visione del mondo.

La coscienza accomuna da una parte l'istinto (contenuto psichico inconsapevole di base remotamente genetica e gestente comportamenti automatici universali) e dall'altra la componente etica personale consistente nell'insieme delle nostre nozioni, esperienze,scelte, (consapevolezze specifiche individuali) la quale, trasferita a livello sociale, genererà tra l'altro la nostra eventuale "coscienza di classe". Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

paul11

@viator


La coscienza di classe è una nozione concettuale, non si origina dalla coscienza.
La coscienza cerca identità individuale e sociale, e tu pensi che gli operai leggessero, e seppur lo abbiano letto capivano Marx soprattutto nell' Ottocento? Marx esprime concetti sociologici su analisi economiche materialiste,  e su questo adesso non mi metto adesso a fare analisi filosofico sociali sul marxismo. Semmai posso dire che all'operaio arrivava il messaggio "siamo tutti uguali" e il simbolo della bandiera rossa con falce e martello  e chi lo mediava erano avanguardie che ci credevano, il ruolo mediatore fra pensiero e prassi era svolto da partiti e sindacati.
E' stato proprio il benessere a ridividerli, il desiderio e sottolineo desiderio che fosse più fattibile e quindi praticabile una via individuale di poter cambiare le proprie sorti rispetto ad una rivoluzione che non arrivava.
Posso dirti che c'è un parallelismo con la nascita del cristianesimo. Prima arriva il messaggio, e deve essere forte e semplice, immediatamente il simbolo, la croce, ma la salvezza non arrivò con i primi morti cristiani che non resuscitavano dalla morte....e qui interviene S.Paolo con  le sue lettere alle comunità cristiane.
Ciò che unisce le persone non è un concetto, ma un simbolo identitario che li unifichi e questo non nasce dalle condizioni di alienazione, tutti siamo alienati in qualche modo in senso umano e non economico.
Insomma quello che intendo dire è che la coscienza individuale di fidarsi di un simbolo e delle e persone altre come lui, solo dopo può sorgere lo spirito gregario del gruppo.
E' come dire: prima ti devo parlare al cuore per aprire alla fiducia (= fede=credere), poi posso dare i concetti e le nozioni. Il viceversa è possibile, sia chiaro, ma in maniera individuale e intellettuale, ed è ciò che è accaduto al marxismo.

Phil

La tematica del ruolo (e dell'approccio) della/e filosofia/e è stato anche al centro della "diatriba" fra analitici e continentali, i cui sviluppi contemporanei sono tratteggiati da una dei suoi più attenti osservatori, Franca D'Agostini, in questo saggio (in cui si allude anche al caso Sokal, che non conoscevo ma la cui idea di fondo aveva sempre stuzzicato la mia fantasia). La divergenza viene trattata anche da questo altro articolo di Paolo Costa, che giunge a conclusioni simili (ibridazione delle due prospettive nelle nuove generazioni di filosofi).

Kobayashi


La filosofia per me è liberazione dalle illusioni (nel suo aspetto conoscitivo), è lavoro di distacco da se stessi, dalle proprie dinamiche psicologiche e dai bisogni del corpo (necessario per accedere ad una dimensione universale, trascendente la propria prospettiva particolare), ed un esercitarsi alla virtù.
Quindi tutt'altro rispetto a quello che per lo più ho letto nei precedenti interventi e che riflette lo stato delle cose, ovvero la filosofia come analisi critica dei saperi o della tradizione filosofica stessa. Ma una cultura che non è in grado di costruire persone nobili ha senso? A cosa serve?
Almeno la scienza produce conoscenze che trasformano il nostro mondo, che hanno un vero impatto.
Ma la filosofia come critica, come ermeneutica, che costruisce visioni che non sanno trasformare alcunché (perché alla fine, posato il libro, l'appassionato filosofo torna a vivere esattamente come tutti gli altri), pur continuando a promettere grandi cose tradisce dolorosamente chi si era fidato di lei...

viator

Salve Paul11. Citandoti : "all'operaio arrivava il messaggio "siamo tutti uguali" e il simbolo della bandiera rossa con falce e martello  e chi lo mediava erano avanguardie che ci credevano, il ruolo mediatore fra pensiero e prassi era svolto da partiti e sindacati.
E' stato proprio il benessere a ridividerli, il desiderio e sottolineo desiderio che fosse più fattibile e quindi praticabile una via individuale di poter cambiare le proprie sorti rispetto ad una rivoluzione che non arrivava.".Infatti all'operaio od a chiunque non interessa minimamente il sapersi uguale se non come pretesto per veder generato un insieme di eguali abbastanza numeroso da acquistare la forza per imporre non la generica supremazia di un'eguaglianza, bensì il miglioramento delle condizioni del singolo. Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

Ipazia

Ho nerettato alcune parti di questo notevole post su cui mi trovo d'accordo, o quantomeno che trovo stimolanti pur non condividendole in toto. Cercherò pertanto di reinterpretarle secondo la mia visione del mondo

Citazione di: green demetr il 18 Marzo 2020, 13:20:25 PM
Per quanto riguarda la verità universale del mondo, la cosmogonia, sinceramente so che è la tua ricerca fondamentale, ma faccio fatica a pensare anche solo un modo perchè si possa giustificare e financo intravedere. Temo ci si debba accontentare dei "mondi" intermedi.

La morale interna all'ontologia (cosa che ho letto anche in davintro), faccio fatica a decifrare questo.

Possiamo e vogliamo forse dire che la libertà è all'interno dell'idea dell'essere? Si naturalmente.

Ma e qui arriva sempre la mia critica (che poi è anche quella di heidegger) che di solito si intende essere QUALCOSA, e non l'essere in sè.
E se la libertà è all'interno di qualcosa, non è più libertà.
E infatti è così, la libertà come la intendiamo oggi è sempre dentro un impianto coercitivo, e le analisi etiche, ragionano su come ridurre sempre di più lo spazio che la libertà ha all'interno delle giurisprudenze. (che poi è il vero problema su cui è naufragato, non solo il Marxismo, ma anche ogni utopismo, e per cui è necessaria un ripensamento radicale del giuridico, non bastano è evidente le rappresentanze di mediazione, così insiste anche Zizek). Ripeto una ontologia che sia solo dell'essere, si chiama metafisica, non ontologia. Lo so per esperienza, non dalla manualistica.

Una sovrastruttura che sia costruita dalla filosofia (libertaria). Ma certo è un filone che apprezzo.
Non vedo come sia possibile costruirlo, tutto qui.

Neppure io. E non lo vedo perchè la libertà non è coniugabile con un essere astratto, metafisico, ma necessita di un corpo che la possa esperire sapendo fin da subito che sarà una libertà condizionata da elementi oggettivi e materiali su cui possiamo incidere poco e da fantasmi su cui invece i nostri esorcismi praxi-filosofici possono funzionare.

Citazione di: green demetr il 18 Marzo 2020, 13:20:25 PM
cit Paul
"E come spiegheresti che nella modernità la metafisica  non è al potere culturale?"

Più che una domanda è un thread a parte.

Ma strigatamente: proprio perchè la modernità è la chiusura del soggetto nel proprio oggetto. E' la scissione dell'anima in res cogitans ed extensa.
Come se l'anima fosse res.
E' cioè il processo di disumanizzazione umana, che è tutt'ora in corso.
Non è forse quello che ci stiamo dicendo da un mesetto a questa parte?

Pensare che la metafisica sia una cosa in sè, è una follia.
E' sempre il soggetto che parla.


Siamo noi che decidiamo cosa sia metafisico, e cosa no.
Nel mondo dell'analitica americana, si parla di un metafisico per esempio. Il che è un paradosso.

Secondo me bisogna prima o poi capire, che Dio non è una personificazione, il cristianesimo ha fallito in ogni senso.

Bisogna tornare alle idee ebraiche del Dio che non si vede.
Possiamo vederlo apocalitticamente come immanenza, o come io preferisco come lotta angelica, laddove l'angelo è il fantasma del metafisico, la tradizione gnostica, laddove è il male, ha comunque studiato il bene.
Ha studiato il fantasma: come si è determinata la fantasia biblica, anche quella agnostica.
Pensa se il fantasma della gnosi si impossessa (e lo fa) delle menti, e pensa che fine fa il mentale.
Se il fantasma è un oggetto, e se la modernità è quel processo per cui il soggetto si crede il fantasma. E non come dovrebbe il fantasma dell'oggetto. E lo fa proprio grazie al fatto che nella modernità il soggetto è il suo oggetto.
Secondo te Marx dove parte? Dal feticismo.

Considerare il pensiero in quanto res può essere effettivamente uno di quei sentieri sbagliati che portano alla reificazione. La lezione di Marx rispetto al suo punto di partenza resta tremendamente attuale. Ma mentre la macchina robotica continua a procedere "gnosticamente", gli angelici fantasmi del metafisico se ne stanno chissà dove e tocca ai soggetti cosificati recuperare da soli la loro soggettività, defeticizzando l'oggetto fantasmizzato:

Citazione di: green demetr il 18 Marzo 2020, 13:20:25 PM
Il metafisico non è qualcosa di intatto come pensi tu.
E' anzi il terreno di battaglia umano, è il terreno dove la guerra angelica viene portata dentro le menti umane.


E' cioè una faccenda umana, troppo umana.
E' per questo che il fantasma dell'oggetto va dissolto.
O percorso fino al suo esaurimento...

In assenza di angeli e divinità chiudo qui e sottoscrivo.

Citazione di: green demetr il 18 Marzo 2020, 13:20:25 PM

...Fino al far capire all'angelo che ci può essere un patto fra angeli ed umani.
Proprio per intendere DIO.

Il metafisico è questo, qualcosa di primordiale, è la bibbia in sostanza vista nel suo carattere allegorico più allucinato che noi possiamo raggiungere.

La Grecia è il male. E' questo il messaggio Nicciano.
Chiaro chiarissimo lampante.

E infatti come dici Sini, e auspico che tramite youtube tu possa recuperarlo, per Nietzche il serpente (che è la cultura) va decapitato.

E' la cultura il nemico. L'esatto opposto di quello che tu pensi.

O la cultura è continuamente ripensata, o diventerà un oggetto culturale.

Diciamolo è troppo tardi, ormai la cultura è happening culturale.

E' strumento di distrazione di massa.


La vera lotta è fra i vari gruppi gnostici.

La nostra è invece dissolvere il fantasma dell'oggetto, che si pensa essere un fantasma.

Ma noi non siamo fantasmi noi siamo natura
(la declinerei così secondo la tua ricerca archetipica)!
...

Sì, siamo natura. Dove non si vedono angeli di foggia diversa da quella umana. Mentre quelli immaginari popolano di incubi gnostici e agnostici un mondo fantasmatico di cui forse i poveri greci, da Pitagora e Platone, hanno le loro responsabilità (non è che l'oriente brillii tanto più), ma non è che chi è venuto dopo di loro abbia fatto meglio. Semmai peggio, addomesticando il serpente ai propri fini sempre più macchinici e spettrali.

Il recupero e la bonifica del-soggetto-l'umano resta comunque il ruolo d'elezione della filosofia. Il massimo della libertà, cogitans, impropriamente res.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Mariano

      Salve Paul11, due anni fa, in questa rubrica, proposi il tema "qual'è lo scopo della filosofia" ed ancora oggi mi sento di sottoscriverlo. Ora tu ti interroghi sul ruolo della filosofia; io ritengo che sia diverso a secondo del contesto in cui si opera:
  -a volte (per i veri filosofi) è uno strumento per tentare di esaminare le circostanze della vita ed elaborare indicazioni che possono essere intese come regole che facilitino il vivere nella società, e nel fare questo, quando rinunciando alla cosiddetta razionalità si enunciano verità incontestabili, la filosofia si trasforma in religione;
- nella comune pratica di "fare filosofia" assume il ruolo di stimolo al dialogo nella ricerca della conoscenza.

paul11

 @green
in effetti ci sono tematiche come morale, intenzionalità, mentale, libertà, volontà, che andrebbero sviluppate singolarmente e nei loro intrecci.


Più che una cosmogonia alla Esiodo, è necessaria per una seria filosofia stilare i fondativi che poi determinano l'esistenza e i processi universali causali. Senza questa parte metafisica, la fisica, la natura, l'esistenza, non reggono da sole in quanto diventano fine a sè stesse, autoreferenti. E gli esistenzialisti lo sanno e lo hanno esposto.

Il fatto che sia possibile  anche solo umanamente pensare alla libertà ed altro pensabile,  rispetto alle condizioni che sarebbero quelle fattuali esistenti, significa che già il pensarla la libertà costruisce una consapevolezza di relazioni. La relazione fra stati di possibilità e di necessità che sono  le relazioni fra le forme metafisiche determinano il senso. Allora se si pensa che tutto risponda alla causalità meccanicista e l'uomo si riduce ad oggetto, diventa privo di libertà. Ma bisognerebbe daccapo spiegare come sia possibile la contraddizione fra il pensare la libertà e la prigionia esistenziale che invece non vi sia.


L'ontologia è il TO ON greco, è l'essere ed è necessariamente interna alla metafisica reale, non in quella esistenziale che perde l'essere come nascondimento per esaltare l'esser-ci.
L'ontologia del TO ON anche a mio parere rimane ambigua.
Ci sono tre concetti; morale, etica e diritto, fra loro fortemente correlati, ma essenzialmente diversi.
Il diritto mi dice cosa non fare, mi dice non fare del male. La morale mi dice fai del bene perché la metafisica deve dirmi cosa sia il Bene. L'etica come prassi si muove nello spazio fra morale e diritto.


Ho iniziato proprio da anarchico e libertario alle scuole superiori di parecchi decenni fa a indagare politica, economia ,psicologia e infine filosofia. Non c'è spiegazione interna all'anarchia, è uno stato d'animo,  è una sensibilità esistenziale e sociale che non trova senso internamente alla sua costituzione, Per questo è necessaria la filosofia come anfitrione della cultura.
E' necessario dare risposte sulla natura umana, sull'esistenza, sulla giustizia, volontà ,libertà, dignità. Queste domande non hanno risposte nei domini delle prassi, semmai richiedono verifiche all'interno delle prassi le teoretiche filosofiche.
La mia domanda prima originaria da anarchico adolescente, fu del  perché gli uomini non sanno vivere in santa pace  e rispettandosi, materialmente ,spiritualmente, sensibilmente, in piena libertà.


Eppure la cosa in sé è velato quanto ciò che avvolge il meccanismo che appare. Il problema è che ciò che è determinato è causato proprio dalla cosa in sé e da ciò che avvolge le apparenze.
La disumanizzazione è avvenuta quando l'uomo ha rivolto il suo sguardo alle sole apparenze, non sapendo  più cosa fosse  coscienza, bene, giustizia: appunto ciò che ontologicamente è, e  non appare e scompare.
Dio è una forma dell' essere nella teologia. Chi  antropoformizza, ne fa un cartone animato.


Ti contraddici se ritieni che l'ebraismo dia risposte alle tue domande di lotta fra bene e male. Devi semmai cercarle nelle mistiche.
Il fantasma è sempre l'essere filosofico, o se vuoi lo spirito teologico, o se vuoi l'inconscio psicologico, o se vuoi l'esistenza rispetto all'universo. Non se ne esce scegliendo una singola strada. Per questo le religioni necessitano di corollari e testi mistici secondari, per questo il metafisico ha necessità del fisico come il fisico del metafisico. Per questo se dico Bene chiamo in causa implicitamente o esplicitamente anche il Male.


Attenzione a ridurre il tutto come psicologismo di un umano psicopatico, perché quello steso umano possiede anche razionalità, capacità di relazioni, volontà. E' ovvio, almeno per me, che il fantasma dell'essere ontologico sia simbolico dentro la stessa mente umana, perché lo interroga sulla stessa propria esistenza. Il micromondo umano corrisponde al macro universale. Per cui io penso al fantasma mio quando penso a quell'essere universale, così come quando mi interrogo sulla metafisica dell'essere cerco risposte implicite alla domanda di una risposta del perché esisto.
Non è possibile percorrere una sola strada, c'è la necessità dell'errore, dell'errare.


Nietzsche ama la tragedia greca, aborre la sistematizzazione del pensiero ,soprattutto morale.
Decapito la cultura e cosa mi resta? Ho risposto al fantasma?

paul11

 @phil
la D'Agostino l'ho letta anni fa sulla storia dell'analitica. Per quanto riguarda lo scritto che indichi
inizia male e finisce bene. Inizia male perché non discute sui fondamenti delle diversità fra continentali e analitici, che non ha origine moderna, diversamente non si spigherebbe a sua volta da dove nasca la scuola analitica.
La scuola analitica ha un pregiudizio di fondo,che la metafisica sia in fondo fantasia e perdita di tempo. Di fatto e non ci vuole un genio a capire, sono incapaci di risposte filosofiche importanti. E a differenza loro, li ho studiati quanto la metafisica, quindi conosco i limiti e pregi di entrambi.
Sono complementari fra loro, ma difficilmente se non impossibile unirli.


@kobayashi
sembrerebbe la tua una esigenza esistenziale.
Si tratta  di capire quale cultura potrebbe creare persone nobili.
La scienza naturale moderna studia i meccanismi, non ciò che è all'origine e nemmeno al fine.
Fotografare un' osservazione non è ancora capire e tanto meno comprenderla.
Qualunque cultura, bella o brutta,giusta o sbagliata,  costruisce condizioni al pensiero.
La filosofia non è salvezza.


@viator
è fallito il materialismo storico, o meglio, da solo non regge. C'è l'identità sociale.....


@mariano


il compito della filosofia è cercare di capire il perché l'universo è dato nel modo che si dà.
Qualunque tentativo di risposte particolari, come del perché debba ad esempio funzionare una società umana, non ha risposte se non relazionata coerentemente con una tesi originaria sui fondamenti universali che la governano. Diversamente basta una bestiola pestilenziale invisibile per mettere in crisi l'intero sistema umano.

Ipazia

Citazione di: paul11 il 30 Marzo 2020, 00:45:19 AM

è fallito il materialismo storico, o meglio, da solo non regge. C'è l'identità sociale.....


Regge ancora alla grande quando il gioco si fa duro. Gioco nel quale la bestiola pestilenziale si è infilata allegramente dentro contenitori too important to stop. Disintegrando pure l'dentità sociale. Mentre le stelle filosofiche stavano a guardare. Probabilmente prese da altre danze. O affascinate dal chaos. Chissà ?!
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Kobayashi

cit. paul11: "La filosofia non è salvezza".
In realtà il termine greco sozein (salvezza), prima di essere assorbito dal cristianesimo, era presente diffusamente nella filosofia greca e in quella ellenistica, in particolare nella sua accezione di custodire, proteggere. Per cui le cose sono un po' più complesse e la tua asserzione andrebbe almeno argomentata.


cit. paul11: "Sembrerebbe la tua un'esigenza esistenziale".
Perché c'è qualcuno che fa filosofia senza sentire che l'effetto di ritorno di essa ha un impatto fondamentale sulla propria esistenza? Tu fai filosofia con lo stesso spirito del collezionista di insetti?


cit. paul11: "Si tratta di capire quale cultura potrebbe creare persone nobili"
Ci sono alcune osservazioni molto suggestive di Simone Weil su quello che per lei è stato l'ultimo tentativo di costruire una civiltà all'altezza di quella greca: la Francia del Sud del XIII secolo con i catari. Caratteristica fondamentale della nobiltà di quegli uomini: trattare l'altro come proprio pari, sempre, qualunque sia il posto che occupa nella società.


cit. paul11: "Fotografare un' osservazione non è ancora capire e tanto meno comprenderla"
Ti rimando all'insegnamento sopra...

Phil

Citazione di: paul11 il 30 Marzo 2020, 00:45:19 AM
La scuola analitica ha un pregiudizio di fondo,che la metafisica sia in fondo fantasia e perdita di tempo. Di fatto e non ci vuole un genio a capire, sono incapaci di risposte filosofiche importanti. E a differenza loro, li ho studiati quanto la metafisica, quindi conosco i limiti e pregi di entrambi.
Eppure anche l'identificazione stessa di (eventuali) «risposte filosofiche importanti» dipende da quale dei due (o altri) approcci si utilizza: ciò che è "risposta" per l'uno magari non lo è per l'altro, ciò che è "importante" per l'uno forse non lo è per l'altro, etc.
Un sicuro valore filosofico di tale bipolarismo è la comprensione di entrambi (nel doppio senso del genitivo); lo schierarsi da una parte o dall'altra, prima che diventino ulteriormente anacronistiche, per me non è attività filosofica, piuttosto una questione di "empatia biografico-psicologico-culturale".
Certamente la filosofia è chiamata ad essere anche prassi (e non solo di comprensione), nondimeno l'aporia filosofica per eccellenza è che valutare un paradigma in base alle sue performance, alle "risposte importanti" fornite (con tutta l'ambiguità di tale "metodo") richiede comunque l'uso di un (meta)paradigma valutativo (e così via... suggerisce Sesto Empirico).

Considera le varie teorie sulla verità1 (tema che scorrazza selvaggio anche qui sul forum): corrispondentista, coerentista, pragmatista, deflazionista, scetticista, misticista, etc. il sofista di turno potrebbe porre la meta-domanda: quali di queste teorie della verità è vera? Così chiedendo dimostrerebbe di non aver compreso che per alcune di esse il concetto di verità non è applicabile a una teoria; per cui da tale domandare trapela già che il domandante non appartiene ad alcuni di quegli approcci (oppure non li ha capiti, o vuole faziosamente escluderli dal discorso).
Ogni interpretare e domandare filosofico non è mai totalmente neutro e super partes (circolo ermeneutico docet); tuttavia tentare di comprendere, meno viziosamente possibile, le differenti proposte in gioco, è secondo me un'attività filosofica che può essere decisamente formativa (la eventuale conseguente attuazione in prassi presenterà poi altre problematiche).


1Può essere curioso notare come la voce «verità» sia trattata differentemente nella wikipedia italiana e in quella in inglese (qui tradotta in italiano, con qualche "sgrammaticatura" da sorvolare).
Una vistosa asimmetria fra le due wiki la si può osservare anche fra la voce «metafisica» in italiano e quella in inglese che, a differenza dell'altra, spazia sino ad oriente (che sarebbe il terzo polo filosofico, oltre ad analitici e continentali; sicuramente Kobayashi apprezza, ma non divaghiamo...). Non intendo far assurgere un repertorio generalistico e open source a testo sacro dello scibile umano (i vocabolari settoriali sono sempre differenti da quelli generici), ma potrebbe risultare a suo modo una "cartina al tornasole" di alcune spontanee impostazioni culturali.

Ipazia

La "adaequatio rei et intellectus" è esaustiva del concetto di verità. Perchè funzioni è necessario definire rigorosamente il res e il suo campo di esistenza e contrapporvi un intelletto onesto, ermeneuticamente consapevole dei propri pregiudizi e capace di non farsi da essi sopraffare. Sospendendo il giudizio qualora gli elementi probatori non siano adeguati al paradigma veritativo necessario. E rivedendolo quando ulteriori elementi modifichino il campo di esistenza dell'oggetto indagato.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Lou

Citazione di: Kobayashi il 26 Marzo 2020, 11:21:49 AM

La filosofia per me è liberazione dalle illusioni (nel suo aspetto conoscitivo), è lavoro di distacco da se stessi, dalle proprie dinamiche psicologiche e dai bisogni del corpo (necessario per accedere ad una dimensione universale, trascendente la propria prospettiva particolare), ed un esercitarsi alla virtù.
Quindi tutt'altro rispetto a quello che per lo più ho letto nei precedenti interventi e che riflette lo stato delle cose, ovvero la filosofia come analisi critica dei saperi o della tradizione filosofica stessa. Ma una cultura che non è in grado di costruire persone nobili ha senso? A cosa serve?
Almeno la scienza produce conoscenze che trasformano il nostro mondo, che hanno un vero impatto.
Ma la filosofia come critica, come ermeneutica, che costruisce visioni che non sanno trasformare alcunché (perché alla fine, posato il libro, l'appassionato filosofo torna a vivere esattamente come tutti gli altri), pur continuando a promettere grandi cose tradisce dolorosamente chi si era fidato di lei...
Mi trovo molto in accordo sul tuo incipit, ritengo che lo sforzo incessante della filosofia che attraversa numerosi filosofi è quello sguardo da "altrove" capace di provare a non essere catturati dalla propria prospettiva, da una sorta di incanto che ogni sapere, anche la filosofia, mette in gioco e dalle superstizioni  in cui anch'essa sa invischiarsi.. E' un grande sogno non solo conoscitivo, ma che si incarna sia come esercizio etico, che di metodo. Frequentare la verità è forse anche questa consapevolezza di sapere di stare sognando. Anche la consapevolezza è una forma di conoscenza che trasforma il mondo.
"La verità è brutta. Noi abbiamo l'arte per non perire a causa della verità." F. Nietzsche

paul11

 @kobayashi


un conto è il termine salvezza e un conto sono le accezioni custodire e proteggere.
Non c'è, tanto per capirci, una salvezza fideistica data dalle sacre scritture come nelle religioni, nella filosofia greca. C'è semmai custodire e proteggere ad esempio le virtù per Socrate.


C'è ,come sostengo nella risposta  a Green, un doppio binario.
C'è una filosofia che classifica e categorizza come una raccolta di insetti, per capire specie ,genere ,famiglia, ecc. e questa necessità sorse nella filosofia greca soprattutto in Aristotele
in quanto la filosofia allora tendeva a comprendere anche quelle che oggi chiamiamo scienze naturali e fisiche. Quella filosofia era metafisica reale.
C'è una filosofia, molto più moderna ad esempio gli esistenzialisti, che tendono a porre la
priorità sul soggetto che pensa perdendo il reale. A volte quest'ultima può diventare una via mistica.
Personalmente mi interessano attualmente entrambe le strade.


Se Simone Weil avesse ragione riguardo al movimento cristiano dei catari, che furono sterminati, si tratterebbe di capire quella nobiltà che si presuppone avessero ,su cosa fosse fondata, ed eventualmente capire cosa si sia alterato storicamente


@phil
sai bene che non ci si è mossi più di tanto dal Tractaus di Wittgenstein nell'analitica.
E se le parole per lui e gli analitici devono  essere fondate sulla dimostrazione e giustificazione  di quel che vedono gli occhi e non la mente, ovvero nel dominio sensibile, lascio i S. Tommaso a cercarsi le piaghe mistiche esistenziali. Il problema è fondamentale e lo è talmente che se cambiano i domini l'analitica sparisce.
Questo vale anche per i continentali, che da Kant in poi si sono appiattiti sulla "cosa in sè", mai risolta.
Il punto possibile di contatto fra le due scuole è comunque al di fuori delle grandi risposte che deve dare una filosofia. Sono due scuole in agonia dal punto di vista squisitamente filosofico.


Certo che una filosofia deve necessariamente avere una dialettica costante verificativa  fra fondativi, teoretica che ne deriva e prassi di vita.


Il principio fondante  è la verità incontrovertibile ed assoluta.
Perchè l'universo non si muove per volontà umana è a sua volta un dato fattuale, compresa la nostra esistenza. Tutto ciò prescinde quindi da ciò che accade all'interno dell'universo, da come la pensiamo.
Il soggetto umano deve tentare di ricostruire quella verità originaria ,se vuole dare un senso anche alla propria esistenza. Quindi l'elemento di chiarezza per me importante è:
-l'universo è, indipendentemente da come la pensano gli umani, e si dà ,si mostra agli umani, quindi è reale come la realtà;
-l'uomo può tentare ermeneuticamente, quindi interpretando quella verità che è ; lo fa con le scienze moderne che studiano SOLO il meccanismo, senza ciò che permane esse, che le avvolge.


Il filosofo si trova a relazionare fra una verità assoluta di un principio che governa l'intero universo, lo sente come reale, ma la mente non è in grado di svelarla, ma di avvicinarsi.
C'è una verità quindi inconfutabile e c'è un uomo interpretante che ha necessità di leggerla ,ma senza possibilità di svelarla.
Non è solo un fatto esistenziale, perché senza la verità reale, non esiste la regola e l'ordine per poter definire le virtù morali che a loro volta dovrebbero governare l'organizzazione umana, la sua stessa vita. Senza la stella polare ,non c'è bussola che tenga, e l'uomo si smarrisce nei suoi fantasmi.


La verità filosofica è molto di più di una definizione da wikipedia per tutte le babele linguistiche.
E' l'essere stesso.


@ipazia
sono d'accordo sul post  meno che sul termine adeguamento(adaequatio...). Lo trovo, almeno per me, troppo approssimativo

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