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Il ruolo della filosofia

Aperto da paul11, 09 Marzo 2020, 00:44:16 AM

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Hlodowig

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davintro

Citazione di: Jacopus il 14 Marzo 2020, 19:57:56 PM
Per Davintro: accetto la tua visione della filosofia ma non è sicuramente la mia. Poteva forse andare bene prima di Galilei, ma una filosofia che sia "otium" contrapposta a "negotium" non ha alcun valore e rischia di essere di nuovo assorbita dalla teologia. La filosofia ha il compito di indagare, anche in modo metafisico, tutto ciò che è conoscenza, mettendolo in questione e criticandolo, dicendosi sempre che chi conosce davvero è chi ancora non conosce. Ma il filosofo non può isolarsi dal mondo e dal confronto con ciò che accade nel mondo della conoscenza. Il filosofo non può fingere che non esistono gli studi sulla genetica, sull'evoluzionismo, sulla fisica quantistica, sull'informatica.
E nello stesso tempo non può neppure dimenticare gli insegnamenti dei grandi filosofi del passato. Deve avere, se può, tutto presente e collegare i fili che restano nascosto, demistificare ciò che viene mistificato. Pensare alla filosofia come passatempo sofisticato per la classe degli "oziosi" è molto lontano dalla mia visione della filosofia, ma so benissimo che è una interpretazione che ha una lunga tradizione e dei grandi teorici.



personalmente considero l'uso in termini spregiativi dell' "otium" considerato sterile nullafacenza la più grande malattia di cui soffre la cultura. Perché si basa su un'inversione del corretto ordine logico per il quale ciò che è utile, pratico, strumentale, proprio in quanto ha la propria ragion d'essere al di fuori di sè dovrebbe essere subordinato rispetto a ciò che vale per se stesso, ciò che è bello e piacevole per sé, come può essere il godimento per la bellezza di un'opera d'arte o per la perfetta razionalità insita in un modello teorico. Mentre l'Otium ha in se stesso il proprio senso, il Negotium lo deriva dall'Otium, tutto ciò che è utile va sempre perseguito in quando conduce a realizzare un bene di cui si può godere per se stesso, il fine ultimo, e se la filosofia ha una ragion d'essere, cioè, un proprio contenuto di sapere distinto da quello delle altre forme di sapere, onde evitare la sua sterilità, cioè il suo non aggiungere nulla ai contenuti di queste altre forme di sapere, allora questo contenuto dovrà per forza essere qualcosa di trascendente rispetto al complesso degli enti finiti, utilizzabili dalle pratiche che possono giovarsi delle scienze a cui la conoscenza di questi enti finiti è adeguata. E lo stesso Galilei, a mio avviso, rivendicando l'autonomia del metodo sperimentale per la conoscenza del mondo naturale, e al contempo riconoscendo la distinzione tra il Libro della Natura, scritto in termini matematici, e quello della Salvezza, a cui filosofia e teologia sono riferite, ha confermato l'idea della distinzione dei piani tra metafisica e fisica. Essendo un fisico ha combattuto per l'autonomia di quest'ultima, ma in questo modo ha finito anche per riconoscere l'autonomia della prima, che resta padrona per quanto riguarda l'ambito dello spirituale e del sovrasensibile. La sua epistemologia mira a preservare l'autonomia delle scienze naturali dalle invasioni di campo della religione e della filosofia speculativa, ma non ha nulla a che fare con l'invasione in senso opposto del positivismo, per il quale la filosofia non potrebbe rivendicare alcuna conoscenza distinta rispetto a quelle delle scienza naturali, il cui campo di applicazione viene assolutizzato. Se tutto ciò che è utile ha il proprio senso come relativo rispetto a qualcosa che ha in se stesso il proprio valore, allora è un errore ritenere che la filosofia, occupandosi di verità assolute, di una conoscenza di princìpi che si autolegittimano finirebbe con lo svalutare il mondo delle pratiche, degli oggetti finiti, portando chi la coltiva a isolarsi da questo mondo. Al contrario, proprio focalizzando lo sguardo sui fini ultimi, sui princìpi primi, sull'ambito dell'incondizionato, valorizza la pratica, in quanto le ricorda l'ideale della meta definitiva appagante, il senso ultimo, che solo offre a ogni pratica, a ogni 'utile, la ragione della loro attività, la direzione finale verso cui orientare gli sforzi. Distaccarsi dal mondo dell'utile per scoprire ciò a partire da cui l'utile è riferito e subordinato, è cosa ben diversa dall'ignorare l'utile in assoluto, allo stesso modo di come un uccello, staccandosi da terra (astrazione, senso della trascendenza) per volare nel cielo non necessariamente finisce con l'ignorare la terra, ma assume una prospettiva altra, da cui poterla osservare scoprendone parti diverse da quelle che avrebbe osservato continuando a tenere le zampe attaccate ad essa.


per quanto riguarda l'assorbimento nella teologia, direi che questo sarebbe necessariamente un rischio solo a partire dalla premessa per cui ogni discorso su Dio cada necessariamente nell'irrazionalismo, nel fideismo, nella mera apologetica dogmatica. Ma se ammettiamo, quantomeno, la possibilità che Dio possa essere tema di una conoscenza filosofica e razionale (magari non necessariamente sul modello teologico delle religioni rivelate, ma anche nel modello del Dio di un razionalismo di stampo deista, come si avvicinerebbe più al mio caso), non vedo perché un esito del genere dovrebbe essere una motivazione squalificante per questo tipo di filosofia

green demetr

Davintro ma non ti viene in mente che è proprio la paura della filosofia ontologica quella di essere investita da quella speculativo-religiosa, a mettere ancora più in evidenza visto che tu sei un fisico, di come la filosofia sia appunto quell'invasore di cui il fisico ha paura?


Ovviamente la filosofia è specultativo-religiosa, e i continui tentativi della filsoofia analitica di parlare di metafisica analatica, che è appunto una ontologia, mi fanno solo ridere, infatti la metafisica vera è quella che raggiunge gli spazi speculativo religiosi.


L'ontologia è appunto come dici anche tu, mera struttura, mero strumento. Importantissimo certo, ma senza senso se non calato in una dimensione, se non proprio religiosa (visto i danni che ha fatto,e ti capisco) almeno fenomenologico.


Ciao!  ;)
Vai avanti tu che mi vien da ridere

green demetr

Citazione di: Hlodowig il 14 Marzo 2020, 21:01:58 PM
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- perché voglio vivere




Si certo, credo che però manchi quel collante che chiamiamo logos, che unisca tutte queste bellissime e fondamentali domande della filosofia.
Però insomma certo la sostanza è quella che indichi.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

Hlodowig

Hai notato?

Quanto è bello il parlar semplice.

Come bambini che si guardan negli occhi.

Come anziani la cui saggezza è madre per la conoscenza.

Citazione
- perché lo stai cercando

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green demetr

"Imparentati a tutto ciò che esiste, convincendosi
e frequentando il futuro nella vita di ogni giorno,
non si può non incorrere alla fine, come in un'eresia,
in un'incredibile semplicità.

Ma noi non saremo risparmiati,
se non sapremo tenerla segreta.
Più d'ogni cosa è necessaria agli uomini,
ma essi intendono meglio tutto ciò che è complesso..."

estratto dalla poesia le onde di Pasternak, un opera che ho amato e amo tutt'ora alla follia fin dalla mia adolescenza.
Certo che ti capisco.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

paul11

 @green
il reale non è affatto "quello". Nessun filosofo , neppure nella modernità, fa corrispondere il fenomeno alla ragione( il noumenico kantiano, il cogitan cartesiano, la volontà schopenhaueriana)-
Cosa si intende allora per reale?


L'etica (preferisco morale, ma va beh.....) è dipendente dall'ontologia sulla realtà.
In Kant è totalmente contraddittoria, non è possibile parlare del fenomeno se poi la conoscenza sta fra gli a priori e il noumenico. La sua si risolve come processo gnoseologico, pur sapendo che la
"la cosa in sé "non è risolvibile.  L'imperativo categorico da dove scaturisce? Dal fenomenico?
Si inventa necessariamente che fuoriesce dalla pratica, ennesima su contraddizione, perché non è un oggetto è ancora un processo umano teoretico prima di tutto a dichiarare la modalità morale umana
Schopenhauer stima molto Kant, ma se ne allontana in " Il mondo come volontà e rappresentazione" che ha influito su Nietzsche che non accetta la parte pessimistica, in quanto per Schopenhauer la realtà è negativa.


@ipazia
E' da qualche hanno che penso che il rapporto marxista e materialista fra struttura che determina la sovrastruttura, non funzioni affatto. Non funziona nemmeno in termini cultural filosofici, nonostante la selva di pensatori filo marxisti che sono più sociologi e antropologi nelle loro considerazioni, che filosofi.
La mia considerazione è che solo una morale può impedire lo sfruttamento umano dichiarandolo immorale e nelle pratiche giuridiche bollandolo come non legittimo. Quindi è il contrario di ciò che pensa Marx, è la sovrastruttura culturale teoretica e pratica politica giuridica che deve decidere: non si può aspettare che sia l'economia con il mercato o il materialismo ideologico a decidere quello che non verrà mai deciso. E non è neppure la condizione materiale economica a creare le condizioni per ribaltamenti culturali.


La parte giuridica di come il bios umano venga sottratto è spiegato nella "Nuda vita" di Giorgio Agamben, di cui a volte ho scritto nelle varie discussioni del forum.


@davintro
come spesso accade capisco e sono d'accordo in generale sulle tue argomentazioni.
Quì seguono solo alcune considerazioni.


il ruolo della filosofia, nasce da una constatazione ,prima ancora di una intenzionalità.
Come saprai il filosofo antico era phranesis, saggezza ed era ritenuto il livello culturale più alto da cui apprendere per gli stessi re greci. Aristotele era precettore di Alessandro Magno.


Possiamo dire che oggi è lo stesso? Oggi il filosofo è un saggio? Oggi della saggezza , la post modernità cosa se ne fa?
Cosa è allora oggi il filosofo?


Ritengo un po' ambiguo ritenere che la filosofia debba dire altro, negli spazi lasciati da altre discipline naturali e umane. Il filosofo se vuole fare cultura deve conoscere il suo tempo  e saperne leggere le contraddizioni e possibilmente dare una filosofia originale.
Non si può cadere nell'autocompiacimento, Aristotele poteva permetterselo per il ruolo che aveva assunto la filosofia nel contesto greco,di cui ho detto poco sopra.
Concordo che la filosofia debba essere anche, ma non solo, metafisica.


La modernità, per quanto non mi compiaccia molto di essa, ha posto nuove problematiche del tutto inevase dalla filosofia metafisica antica. Uno è ad esempio l'uomo, un altro il procedimento gnoseologico ormai acquisito nella filosofia della mente attuale, un altro le bioingegnerie, eutanasia, un altro il rapporto non ancora risolto fra fenomeno studiato dalle scienze e realtà della "cosa in sè".


Non è così automatico il passaggio fra teoresi filosofica e pratiche umane: avvengono dispositivi culturali mimetici che stravolgono l'autore filosofo da parte delle interpretazioni  storiche interessate non ha stravolgere il pensiero dell'autore, ma interpretando la mancanza di relazioni fra teorie  pratiche, piegandole ai propri interessi e spesso di bottega.
Avverto storicamente la mancanza della filosofia, di un ruolo culturale che non fosse solo un autocompiacimento. Il filosofo sembra dire: "ti do la mia verità", adesso sta a te cosa fartene.


Il lasciar fare ad altri, il lasciar interpretare, ha condotto la storia umana a ripetere sempre le stesse contraddizioni fra teoresi e prassi. Ma se al tempo di  Platone lo schiavo e il popolano erano analfabeti, oggi i contesti culturali sono diversi. Oggi il figlio dell'operaio può accedere all'università e leggersi Platone se vuole e diventare a sua volta filosofo , se vuole.


I contesti storici mutano anche le comunicazioni e le forme relazionali, oltre ai linguaggi.
Non si tratta di perdersi in sociologia, antropologia, politica, ecc. Ma  i principi che tengono in piedi le discipline naturali e umane sono i termini fondamentali che reggono la stessa filosofia: che cosa è la vita, la giustizia, la realtà, la cultura, il bene, la morale.


La storia filosofica ha letteralmente tolto termini filosofici antichi, rendendoli obsoleti e creando neologismi. Ma perché ha costruito un nuovo filosofare, bello o brutto, giusto  o sbagliato,
permeando l'intera cultura occidentale degli ultimi secoli. C'è un altro approccio filosofico, dove la metafisica non è più nello schema soprasensibile e sensibile, Schopenhauer quando parla di volontà come principio noumenico oltre la "cosa in sè", fa metafisica, come Spinoza fa panteismo. Come l'ontologia dell'essere heideggeriana è diversa dall'ontologia platonica.


Galileo e poi Newton ,non è che rivendicano spazi di autonomia facendo crociate contro Dio, e i più intelligenti teologi che lo processarono capirono questo. Semmai le scienze dichiararono nei fatti che la natura doveva essere reinterpretata, non Dio. Sarà l'illuminismo semmai a porre il problema ateo. Fu F.Bacone il vero ideologo del benessere tecnico scientifico.
Nessun filosofo moderno, come ho scritto a Green, ha convalidato la tesi che la scienza che studia il fenomeno trova la verità della "cosa in sè" ed è  a tutt'oggi non risolta, anzi ha creato nuove problematiche: cosa sono Io, come soggetto conoscente? Cosa è l'oggetto della "cosa in sè"? Quali sono le relazioni fra soggetto ed oggetto?

Ipazia

Citazione di: paul11 il 16 Marzo 2020, 15:10:42 PM
@ipazia
E' da qualche hanno che penso che il rapporto marxista e materialista fra struttura che determina la sovrastruttura, non funzioni affatto. Non funziona nemmeno in termini cultural filosofici, nonostante la selva di pensatori filo marxisti che sono più sociologi e antropologi nelle loro considerazioni, che filosofi.
La mia considerazione è che solo una morale può impedire lo sfruttamento umano dichiarandolo immorale e nelle pratiche giuridiche bollandolo come non legittimo. Quindi è il contrario di ciò che pensa Marx, è la sovrastruttura culturale teoretica e pratica politica giuridica che deve decidere: non si può aspettare che sia l'economia con il mercato o il materialismo ideologico a decidere quello che non verrà mai deciso.

Il materialismo storico spiega la patologia non la cura. La cura passa attraverso la coscienza (di classe) che modifica le condizioni materiali della produzione e dell'appropriazione rivoluzionando la struttura socioeconomica che quelle condizioni eterna. Il rapporto tra struttura e sovrastruttura è dialettico, retroattivo, non meccanicamente deterministico come la caricatura capitalistica del marxismo ideologicamente spaccia. Si agisce su entrambi i livelli della struttura socioeconomica e della coscienza della sua inumanità. Di cui abbiamo un esempio eclatante nella reazione del Mercato alla crisi epidemica (borsa, spread).

CitazioneE non è neppure la condizione materiale economica a creare le condizioni per ribaltamenti culturali.

E che altro ? Sospendiamo Spartaco e Rousseau nell'iperuranio ?

Pensiamo davvero che scrivere su papiri statici (in pochi) o su bit naviganti (in tanti) sia indifferente nei ribaltamenti culturali ?
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

green demetr

@Paul

cit Paul
"il reale non è affatto "quello". Nessun filosofo , neppure nella modernità, fa corrispondere il fenomeno alla ragione( il noumenico kantiano, il cogitan cartesiano, la volontà schopenhaueriana)-
Cosa si intende allora per reale?"

Non so come tu faccia a pensare che per me il reale sia corrispondente alla ragione, quello è Ceravolo.

Il reale (per me) è l'intersecazione tra simbolico, immaginario e corpo (pulsionale).
Mi ricollego cioè a Lacan. (ma in sede forum lo tralascio, perchè devo ancora costruire una relazione con la proposta lacaniana, cioè devo ancora leggerlo).

Indi per cui nel forum dico sempre che:

Il reale in sè non esiste, è sempre una percezione di cosa sia reale.
Sta a noi e all'analisi il capire cosa sia il reale per noi.
(ossia lo scontro tra le diverse dimensioni del fenomeno).

Scontro che avviene appunto dentro il corpo vivente (bio-logico).

cit paul
"L'etica (preferisco morale, ma va beh.....) è dipendente dall'ontologia sulla realtà.
In Kant è totalmente contraddittoria, non è possibile parlare del fenomeno se poi la conoscenza sta fra gli a priori e il noumenico. La sua si risolve come processo gnoseologico, pur sapendo che la
"la cosa in sé "non è risolvibile.  L'imperativo categorico da dove scaturisce? Dal fenomenico?
Si inventa necessariamente che fuoriesce dalla pratica, ennesima su contraddizione, perché non è un oggetto è ancora un processo umano teoretico prima di tutto a dichiarare la modalità morale umana
Schopenhauer stima molto Kant, ma se ne allontana in " Il mondo come volontà e rappresentazione" che ha influito su Nietzsche che non accetta la parte pessimistica, in quanto per Schopenhauer la realtà è negativa."

L'etica (imperativo categorico) è lo svolgimento della premessa che esiste la libertà.
E' proprio dentro la verità che si dipana nel fenomeno come analisi del giudizio (l'astruso tribunale della ragione kantiano) che dipende l'impossibilità di una determinazione certa. Da cui induttivamente appunto decidiamo che questa libertà esista. (cioè la libertà consiste nella giusta pratica dell'analisi, ossia nell'assunzione pura, pratica ed estetica del giudizio).
La filosofia di Kant non mi appartiene in nessuna maniera.
Essa è semplicemente una fantasia di dominio del reale, infatti non a caso vi è l'esempio di un tribunale.
Per me è orripilante, una tale assunzione.
Schopenauer nemmeno lo considero, uno che si basa sulla traduzione fantasiosa delle upanishad (unica edizione allora disponibile, non che quelle moderne aiutino gran che) e che ravvisa il reale(fenomenologico) come quello magico dell'induismo, mi fa solo sorridere.
Ma Nietzche lo liquida immediatamente come ben merita.
(e terrà solo la parte che noi oggi, in fenomenologia, chiamiamo intezionalità, e in psicanalisi, fraintendendolo ovviamente, chiamano pulsione, ma queste sono altre considerazioni)

cit Paul
"La mia considerazione è che solo una morale può impedire lo sfruttamento umano dichiarandolo immorale e nelle pratiche giuridiche bollandolo come non legittimo. Quindi è il contrario di ciò che pensa Marx, è la sovrastruttura culturale teoretica e pratica politica giuridica che deve decidere: non si può aspettare che sia l'economia con il mercato o il materialismo ideologico a decidere quello che non verrà mai deciso. E non è neppure la condizione materiale economica a creare le condizioni per ribaltamenti culturali."


Difficile liquidare la questione senza sforare troppo l'argomento.
Diciamo che la mia critica principale alla tue (di conseguenza) fantasie utopiche, è che la morale sia influenzata dalle sovrastrutture (mentre tu in maniera dogmatica ed autoritaria sembra addirittura la fai combaciare).
Ma è proprio la sovrastuttura che aliena l'uomo.
Il problema principale è quello!
Probabilmente poi hai scritto male, in marx le strutture non determinano le sovrastrutture, è invece il contrario.

Andiamo avanti (sforando il ruolo della filosofia secondo me):

Come ben sappiamo la sovrastruttura marxiana, è poi stata declinata e molto più opportunamente ampliata come concetto di dispotivo da Derrida.
Che appunto proprio Agamben riprende e che insieme a Focault poi scopriamo è come impianto giuridico che il dispositivo si rivela nella sua dimensione giuridica.
Ed è lì l'errore della metafisica che l'ha permesso e ideato, dunque attenzione ai discorsi sull'etica! essi sono i discorsi dei cani dell'impero, coloro ai quale è stato delegato il compito inutile (visto che l'ideologia e tra poco le neuroscienze lo fanno in maniera diretta) di suffragare il già dato, il già giudicato.

Visto che ho colpito i miei nemici, ossia i moralisti dell'impero, vado avanti con gli altri nemici.

Nessuna ontologia, nessuna analisi che tenda a confermare cosa già ci appare in un primo momento, nessuna tautologia, nessun automatismo potrà mai spiegare il dispiegamento della storia.
Se non proprio la metafisica, ossia il discorso della metafisica.

E' una scelta obbligata a cui auspico prima o poi ci si arriverà a chiedere della necessità per lo meno.
Ossia non esiste metafisica all'interno dell'ontologia.
la metafisica è il contrario dell'ontologia.E l'ontologia è la nemica giurata del metafisico.
L'ontologia è il discorso dell'identico che torna, è il discorso della scimmia.

D'altronde sia Heidegger che Kant (nella sua forma oppressiva) avevano capito che è nel dispiegamento della storia, nella sua dimensione dinamica, dialettica, poi specificherà Hegel, che vanno ravvisate gli orizzonti del fare filosofia.

Mi paiono cose diverse, anche se poi i loro autori finiscono proprio per dare una dimensione giuridica alle loro filosofie.
(una delle tante aporie della filosofia, che non pratichi l'analisi)

Vai avanti tu che mi vien da ridere

paul11

 

@ipazia
Sulla patologia sono d'accordo, il problema fu già dall'antichità il disinteresse.
Non per sottovalutazione, ma è come se fosse accettato che lo schiavo dovesse essere schiavo.
Non c'è mai stata, questa è la verità, una volontà teoretica e pratica di intervenire sul problema, ma proprio perché non fu ritenuto un problema. E questo anche per me è contraddittorio.
Il primo a porlo fu Gesù. Ma non basta prendere la parte degli ultimi se poi si dichiara che
"...bisogna dare a Cesare". Da cristiano trovo poco chiaro dichiarare che la giustizia è nell'aldilà e
implicitamente si accetta che nell'aldiquà ci sono altre regole che  sono quindi ingiuste. Avvalora la tesi che qua bisogna penare e sopportare.
Il feticcio della coscienza di classe è fallito e non solo per evidenti motivi sociologici che per ogni  crisi del ciclo economico hanno perso l'autobus e la rivoluzione industriale e l'evoluzione capitalistica dura da troppo tempo. Che cosa è il feticcio coscienza di classe, quando identificato l'operaio quest'ultimo si identificava a sua volta con il desiderio che suo figlio fosse un borghese? L'invidia è più forte della coscienza di classe.
Tutti a credere più alla piramide sociale da ascendere sposando la tesi del benessere progressivo che offriva occasioni.
La mia più che una critica vuole essere una serie di  considerazioni,riflessioni.
Credo anch'io nella giustizia sociale.
Non credo affatto che basti scrivere per scuotere le coscienze.
Il problema è che i servi tendono ad asservire e non basta la crescita culturale, l'alfabetizzazione ,anzi, più erano ignoranti e più non cadevano nella tentazione della mobilità sociale,...di arrivisti. E questo avvalora la tesi di chi sostiene  la società di ineguali.


Rimane comunque a mio parere un problema filosofico ancora aperto.

paul11

 @green
non ho scritto che il reale è ragione, ma che nessuno ha mai dato una risposta chiara e non contraddittoria. La scienza sperimentale studia il fenomeno rendendolo razionale con la logica e la matematica. Questo era già chiaro fin dall'ottocento. Nessuno sa e tutti interpretano la "vera" realtà, che è la kantina"cosa in sè" .
A noi il fenomeno arriva come ragione, diversamente non sarebbe razionalizzabile, non sarebbe intellegibile. Questa proprietà è  il mentale, che sia poi intenzionalità, intuito, intelletto, ragione, psiche ,anima; per mentale attribuisco, almeno qui e per ora per non confondere, il contenitore di tutte queste proprietà umane.


E' un 'interpretazione anche quella che fai , degna di nota. Ma spiega solo la parte umana attiva per la conoscenza, anche se non per via diretta razionale della ragione, non spiega la realtà universale ,del mondo.
Tanto per essere più chiari, se la realtà filosoficamente è rappresentazione e non verità, si tratta di indagare ancora, ad es. per Schopenhauer è volontà quella "cosa in sè".


E' la morale che è interna all'ontologia che fa fare scelte nelle prassi, l'etica. Il comportamento umano necessariamente deve avere delle premesse, Ci può essere anche un'etica meccanicistica, un comportamento già predefinito che non ha margini di libertà. E' la morale che è libera.
Quando non mi sento libero nel comportamento(etica) è il pensiero stesso che mi rende consapevole della mancanza di libertà(morale). Non sono la stessa cosa e non vanno confusi morale ed etica.
Il pensiero, per quanto possa essere condizionato, ha margini di libertà; semmai l'etica delle prassi è ancora più condizionato e costrittivo. Ritenere che non ci sia la libertà nell'uomo la ritengo una fesseria. Allora siamo già robot. Ma se fossimo robot o zombie, presupporrebbe un artefice, un demiurgo che così volle, Perchè non si capirebbe il motivo per cui gli uomini abbiano una ragione e possano ,come qui, discutere della libertà. E' un paradosso sentenziare liberamente di una non libertà, ma allo stesso tempo pensarne e scriverne.


Nietzsche viene folgorato dalla volontà di Schopenhauer, perché svincolata dal fenomeno rappresentativo del mondo.
Intuisce che il volere può far mutare la rappresentazione; cambia la valutazione del pessimismo di Schopenhauer, in costruttiva volontà di poter pensare e fare.


La morale determina la sovrastruttura se viene intesa come cultura e filosofia, e non viceversa.
Semmai è l'etica delle prassi che può creare delle differenze fra intenzione e azione.
Certo, una cultura in quanto condizionante può alienare l'uomo


Marx crede alla struttura materialistica economica ed è centrale nel suo pensiero, la sovrastruttura farebbe da servitrice alla struttura.


E come spiegheresti che nella modernità la metafisica  non è al potere culturale? Come spieghi il problema dell'etica moderna e contemporanea? Vuol dire che non è la metafisica che determina
laa differenza fra morale d etica, ma è l'interpretazione umana che fa compromessi fra morale ed etica, magari predicando bene e razzolando male. Ci sono concetti come volontà, come desiderio che son ben potenti e si esplicano nel materico, nell'economico, nel politico e persino nel giuridico.
E' come dire che la Costituzione italiana non muta, ma mutano i comportamenti delle generazioni di italiani  e la loro interpretazione di popolo, patria, famiglia, ecc.
Nessuna filosofia arriva  a dirti per ogni cosa, per ogni scenario, come comportarsi. Detta regole generali , una condotta virtuosa, ma non può essere dentro la mente di ciascun umano.
I filosofi contemporanei che danno ancora colpa a Platone,  o chi per esso, sono fasulli perché non sanno o non vogliono entrare nei reali problemi sociali, non ne sono all'altezza o tutto sommato gli fa comodo che il mondo sia così.


Che la storia sia fondamentale è fuori di dubbio, ognuno è figlio del proprio tempo, compreso i filosofi.
Non so cosa tu intenda per metafisica e cosa per ontologia. La metafisica è il soprasensibile e quindi cerca la verità nel pensiero e non nel fenomeno, e ci sono diverse metafisiche. L'ontologia tratta del TO ON, dell'essere, Per me quindi sono relazionate per forza metafisica ed ontologia.
Forse vuoi dire che la trattazione dell'essere non è chiara da parte della metafisica?

davintro

 
Citazione di: paul11 il 16 Marzo 2020, 15:10:42 PM
@green
il reale non è affatto "quello". Nessun filosofo , neppure nella modernità, fa corrispondere il fenomeno alla ragione( il noumenico kantiano, il cogitan cartesiano, la volontà schopenhaueriana)-
Cosa si intende allora per reale?


L'etica (preferisco morale, ma va beh.....) è dipendente dall'ontologia sulla realtà.
In Kant è totalmente contraddittoria, non è possibile parlare del fenomeno se poi la conoscenza sta fra gli a priori e il noumenico. La sua si risolve come processo gnoseologico, pur sapendo che la
"la cosa in sé "non è risolvibile.  L'imperativo categorico da dove scaturisce? Dal fenomenico?
Si inventa necessariamente che fuoriesce dalla pratica, ennesima su contraddizione, perché non è un oggetto è ancora un processo umano teoretico prima di tutto a dichiarare la modalità morale umana
Schopenhauer stima molto Kant, ma se ne allontana in " Il mondo come volontà e rappresentazione" che ha influito su Nietzsche che non accetta la parte pessimistica, in quanto per Schopenhauer la realtà è negativa.


@ipazia
E' da qualche hanno che penso che il rapporto marxista e materialista fra struttura che determina la sovrastruttura, non funzioni affatto. Non funziona nemmeno in termini cultural filosofici, nonostante la selva di pensatori filo marxisti che sono più sociologi e antropologi nelle loro considerazioni, che filosofi.
La mia considerazione è che solo una morale può impedire lo sfruttamento umano dichiarandolo immorale e nelle pratiche giuridiche bollandolo come non legittimo. Quindi è il contrario di ciò che pensa Marx, è la sovrastruttura culturale teoretica e pratica politica giuridica che deve decidere: non si può aspettare che sia l'economia con il mercato o il materialismo ideologico a decidere quello che non verrà mai deciso. E non è neppure la condizione materiale economica a creare le condizioni per ribaltamenti culturali.


La parte giuridica di come il bios umano venga sottratto è spiegato nella "Nuda vita" di Giorgio Agamben, di cui a volte ho scritto nelle varie discussioni del forum.


@davintro
come spesso accade capisco e sono d'accordo in generale sulle tue argomentazioni.
Quì seguono solo alcune considerazioni.


il ruolo della filosofia, nasce da una constatazione ,prima ancora di una intenzionalità.
Come saprai il filosofo antico era phranesis, saggezza ed era ritenuto il livello culturale più alto da cui apprendere per gli stessi re greci. Aristotele era precettore di Alessandro Magno.


Possiamo dire che oggi è lo stesso? Oggi il filosofo è un saggio? Oggi della saggezza , la post modernità cosa se ne fa?
Cosa è allora oggi il filosofo?


Ritengo un po' ambiguo ritenere che la filosofia debba dire altro, negli spazi lasciati da altre discipline naturali e umane. Il filosofo se vuole fare cultura deve conoscere il suo tempo  e saperne leggere le contraddizioni e possibilmente dare una filosofia originale.
Non si può cadere nell'autocompiacimento, Aristotele poteva permetterselo per il ruolo che aveva assunto la filosofia nel contesto greco,di cui ho detto poco sopra.
Concordo che la filosofia debba essere anche, ma non solo, metafisica.


La modernità, per quanto non mi compiaccia molto di essa, ha posto nuove problematiche del tutto inevase dalla filosofia metafisica antica. Uno è ad esempio l'uomo, un altro il procedimento gnoseologico ormai acquisito nella filosofia della mente attuale, un altro le bioingegnerie, eutanasia, un altro il rapporto non ancora risolto fra fenomeno studiato dalle scienze e realtà della "cosa in sè".


Non è così automatico il passaggio fra teoresi filosofica e pratiche umane: avvengono dispositivi culturali mimetici che stravolgono l'autore filosofo da parte delle interpretazioni  storiche interessate non ha stravolgere il pensiero dell'autore, ma interpretando la mancanza di relazioni fra teorie  pratiche, piegandole ai propri interessi e spesso di bottega.
Avverto storicamente la mancanza della filosofia, di un ruolo culturale che non fosse solo un autocompiacimento. Il filosofo sembra dire: "ti do la mia verità", adesso sta a te cosa fartene.


Il lasciar fare ad altri, il lasciar interpretare, ha condotto la storia umana a ripetere sempre le stesse contraddizioni fra teoresi e prassi. Ma se al tempo di  Platone lo schiavo e il popolano erano analfabeti, oggi i contesti culturali sono diversi. Oggi il figlio dell'operaio può accedere all'università e leggersi Platone se vuole e diventare a sua volta filosofo , se vuole.


I contesti storici mutano anche le comunicazioni e le forme relazionali, oltre ai linguaggi.
Non si tratta di perdersi in sociologia, antropologia, politica, ecc. Ma  i principi che tengono in piedi le discipline naturali e umane sono i termini fondamentali che reggono la stessa filosofia: che cosa è la vita, la giustizia, la realtà, la cultura, il bene, la morale.


La storia filosofica ha letteralmente tolto termini filosofici antichi, rendendoli obsoleti e creando neologismi. Ma perché ha costruito un nuovo filosofare, bello o brutto, giusto  o sbagliato,
permeando l'intera cultura occidentale degli ultimi secoli. C'è un altro approccio filosofico, dove la metafisica non è più nello schema soprasensibile e sensibile, Schopenhauer quando parla di volontà come principio noumenico oltre la "cosa in sè", fa metafisica, come Spinoza fa panteismo. Come l'ontologia dell'essere heideggeriana è diversa dall'ontologia platonica.


Galileo e poi Newton ,non è che rivendicano spazi di autonomia facendo crociate contro Dio, e i più intelligenti teologi che lo processarono capirono questo. Semmai le scienze dichiararono nei fatti che la natura doveva essere reinterpretata, non Dio. Sarà l'illuminismo semmai a porre il problema ateo. Fu F.Bacone il vero ideologo del benessere tecnico scientifico.
Nessun filosofo moderno, come ho scritto a Green, ha convalidato la tesi che la scienza che studia il fenomeno trova la verità della "cosa in sè" ed è  a tutt'oggi non risolta, anzi ha creato nuove problematiche: cosa sono Io, come soggetto conoscente? Cosa è l'oggetto della "cosa in sè"? Quali sono le relazioni fra soggetto ed oggetto?



quando parlavo di automatismo (ma sarebbe meglio parlare di spontaneità) nel passaggio dalla teoretica filosofica alla prassi, lo intendevo dal punto di vista individuale della coerenza fra la propria personale visione del mondo, che ciascuno di noi ha, al di là dei vari livelli di sistematizzazione intenzionale dati dal fatto di essere stati stimolati da letture ad hoc, ed azioni. La mediazione che si interpone fra filosofia e prassi che consisterebbe nel complesso delle interpretazioni che deviano l'autentico pensiero di un filosofo rispetto  alle applicazioni che dovrebbero essere consequenziali, penso sia una possibilità che esiste nella misura in cui si identifica filosofia e storia della filosofia. Il pensiero dei filosofi che riceveremmo alterato da interpretazioni sarebbe quello dei filosofi del passato che studiamo all'interno della storia della filosofia, interpretazioni che costituiscono quel margine di distanza storica per la quale un modello teorico del passato perviene alla nostra conoscenza sempre tramite mediazioni. Il mio punto di vista era molto più ampio e generale e non considera una presunta identità filosofia-storia della filosofia. La filosofia che spontaneamente mettiamo in pratica nelle nostre azioni e perfino piccoli gesti riguarda questa personale visione del mondo, che nel caso di chi ha alle spalle uno studio scolastico/accademico della storia della filosofia, è certamente ispirato ai pensatori del passato, ma che al di là delle ispirazioni da cui trae spunto, è un complesso di idee assunto come riferimenti del nostro modo di pensare, anche quello che applichiamo nella pratica quotidiana, è la forma mentis, che appunto "forma" tutta la personalità e conseguentemente le scelte, nella misura in cui queste riflettono la nostra libertà. Noi, ciascuno di noi, siamo le filosofie di cui siamo convinti, ed ecco perché tra le convinzioni e le azioni c'è un nesso diretto, nesso dato dal fatto che sono due dimensioni che, seppur nella differenza, e anche nei conflitti, interagiscono sempre all'interno dell'unità di una persona di un soggetto, pensante ed agente. Sarò forse strano io, ma non mi sono quasi mai posto seriamente il problema di sospendere un ragionamento teorico per applicarlo nella pratica, in un momento estemporaneo, non perché pensi che la teoria sia più importante della pratica, ma proprio perché penso che siano due elementi che vanno sempre insieme, al di là di una volontà cosciente di armonizzarli o separarli, senza alcuna necessità di autoimporsi una discontinuità per cui si deve smettere di teorizzare per passare all'azione. Sono convinto che le mie personali  convinzioni filosofiche (che certo non sono sistematiche al punto da pretendere di considerarmi un vero filosofo/intellettuale, ma solo, si può dire, un modestissimo cultore) incidano sul mio modo di pensare in generale, che si riflette in ogni pratica quotidiana, nel modo di scrivere, di leggere, nelle relazioni sociali, forse persino nel modo di mangiare o nella scelta dei vestiti. Sono convinto esista un certo grado di coincidenza tra carattere psicologico e preferenze filosofiche, il che non andrebbe però male interpretato in un'ottica psicologista/relativista, per cui sarebbe impossibile ogni argomentazione razionale sulla verità di un discorso, perché il discorso sarebbe del tutto determinato dalla storia personale di chi pensa. Difatti, un conto è un argomentare razionale che resterebbe possibile in linea di principio anche se di fatto viene a confliggere con l'elemento soggettivo e arbitrario dell'uomo, un conto la squalifica in assoluto di ogni tentativo, anche parziale, di riconoscere razionalmente una qualche verità entro i limiti in cui possiamo ragionare in nome di una comune logica. Dall'uno non discende l'altra

Ipazia

@paul

E' vero che la rivoluzione ha perso l'autobus, ma gli autobus ripassano e la coscienza (di classe) tiene i muscoli in allenamento per prendere il prossimo.

Coscienza tenuta sempre accesa dalla struttura (socioeconomica) sottostante che non manca mai di mostrare la nudità del re. E della regina. Nella thatcheriana terra dove si predica l'olocausto dei vecchi improduttivi e l'inutilità dei tamponi, tutto Buckingham Palace è stato tamponato e trovati due positivi la vegliarda si è rifugiata di corsa a Windsor dove presumo si tamponeranno anche i cani. Così la coscienza (di classe) resta vigile e medita sul concetto di "gregge" rivolgendo un pensiero affettuoso al suo più improbabile mentore: il marchese del Grillo.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

paul11

 @davintro


sono d'accordo .
Farei alcune considerazioni.
Le forme mentis individuali possono essere raccolte in una identità socio culturale, vale a dire in una filosofia che comunque determina, almeno in qualche modo,le modalità della forma mentis?


Il sistema di credenze a cui personalmente ognuno aderisce costruendo una propria filosofia ha la problematica di una coerenza interna fra il pensare le proprie convinzioni e l'agire che spesso è un compromesso non solo con quello che noi pensiamo, ma con quello che sono i modelli sociali, da quelli normativi a quelli convenzionali.
Penso che abbiamo problematiche relazionali quindi che sono interne a noi, esterne con la società,
e con quella che ritengo sottovalutata, ma c'è, che è la cultura filosofica che permea l'intera tradizione e nello specifico quella moderna.


citaz.Davintro
Sono convinto esista un certo grado di coincidenza tra carattere psicologico e preferenze filosofiche, il che non andrebbe però male interpretato in un'ottica psicologista/relativista, per cui sarebbe impossibile ogni argomentazione razionale sulla verità di un discorso, perché il discorso sarebbe del tutto determinato dalla storia personale di chi pensa. Difatti, un conto è un argomentare razionale che resterebbe possibile in linea di principio anche se di fatto viene a confliggere con l'elemento soggettivo e arbitrario dell'uomo, un conto la squalifica in assoluto di ogni tentativo, anche parziale, di riconoscere razionalmente una qualche verità entro i limiti in cui possiamo ragionare in nome di una comune logica. Dall'uno non discende l'altra


Trovo che sia una importante considerazione la tua e che è stata posta anche da Vito C,, se la soggettivazione della realtà riesca a mantenere la logica relazionale e con la propria storia personale e quindi le proprie impressioni e interpretazioni. Non a caso l'esistenzialismo è la massima espressione soggettivata. Eppure ha una sua fascinazione, e bisognerebbe capire se questo saper catturare le forme mentis altrui è già una condivisione che identifica l'autore filosofico con chi lo legge trovandovi qualcosa di suo.
Leggendo quasi in contemporanea i testi di Platone con quelli di Nietzsche e Schopenhauer ,in questo periodo, mi accorgo di tre modalità di descrivere il mondo e di porre le proprie visioni problematiche, con linguaggi diversi, con contenuti a volte molto differenti. Non so se sia possibile una sinergia.
Platone è il classico filosofo, Nietzsche è un narratore, Schopenhauer una via di mezzo che prima introduce in forma logica i problemi della "cosa in sè" kantiana,per poi costruire sue considerazioni.
La differenza penso fra antichità e modernità, sta nel fatto che i diversi concetti come volontà, bene, amore, buon governo, ecc. fossero derivazioni che rispondessero al più alto livello ontologico;
nella modernità, tolta, se così si può dire, la metafisica antica, gli stessi concetti assurgono as un ruolo più importante, ma proprio perché non devono più rispondere, relazionarsi all'ontologia.
Essendo accettato il divenire, si cercano per altre vie quella verità da sempre cercata.


Sono solo considerazioni nemmeno molto meditate.......


@ipazia


ma cosa è questa coscienza? Cosa unisce per costruire una identità comune la coscienza di classe?
A mio parere sono due concetti linguisticamente simili, ma filosoficamente molto differenti.
Se indichiamo la nostra coscienza emerge tutto meno che il materico.
La coscienza di classe identifica un ruolo sociale economico politico, è un concetto  sociologico che ha poco in comune con la definizione di coscienza come proprietà umana: è intuito, psiche, anima.
Affinchè l'altrui, pur essendo fianco a fianco sul lavoro, non basta una affinità di appartenenza ad un ruolo sociale. I suoi problemi diventano i miei, i miei suoi, deve essere sorretta da una empatia che rompe i muri, fino a solidarizzare se uno di noi è colpito, tutti gli altri accorrono in soccorso.
Se si scava bene, non sono le crisi  cicliche economiche a costruire la coscienza, nemmeno la denuncia dei problemi economici e politici. Furono i balconi a ringhiera con i cortili in mezzo dove ci si parlava e si chiedeva ad altri se avevano il sale o lo zucchero. Erano le chiavi di casa che tutti lasciavano sopra la porta d'ingresso o sotto lo zerbino, tutti sapevano e nessuno rubava. C'era fabbrica e società che erano unite e lo sentivano come unico destino, nei rosari di maggio, nelle osterie che sapevano di vino fin dai muri

green demetr


ho usato notepad, scusate gli errori di grammatica. e visto che ci sono pure la confusione che si è creata nel tentativo di dare delle sintesi.

@Paul



Ma bisognerà che mi metti tra parentesi cosa intendi per le prossime volte.
E' chiaro che se all'interno di morale scrivi libertà, la cosa diventa il contrario di ciò che io intendo per morale.
Infatti siamo d'accordo dunque.
Idem per mentale, se bizzaramente inseriamo intenzionale all'interno del mentale.
Assume valenza diversa.
Ma direi di lasciar perdere l'approfondimento sull'intezionale andremmo troppo nei tecnicismi.
Chiamiamola molto genericamente volontà.


Dunque libertà e volontà, cominciamo ad avvicinarci al cuore della filosofia (come prassi).


Dunque struttura come economia-politica, e non come impianto coercitivo. Non saprei, mi manca ancora la lettura del nostro, in maniera completa.


Per quanto riguarda Schopenauer la tua è una domanda molto interessante. Per quel poco (molto poco) che so, non saprei ravvisare traccia di questo problema.
Sperando di aver capito: tu intendi chiedere se la volontà coincida con la cosa in sè, giusto?
Per sommi capi credo che questo è esattamente quello che crede, non Schopenauer, bensì Husserl, fino al paradosso per me impossibile da accettare, che le cose abbiano una loro volontà (leggi intenzionalità, ma qui semplifichiamo per non perdere di vista il fulcro della rivoluzione filosofica).
Molto interessante questa riflessione. Certo andrebbe distinta da quella di Husserl, che implode in un oggettivismo esasperato. La volontà (la cosa in sè) che vuole diventare oggetto (io ci vedo una schisi pazzesca).
Ma se la cosa in sè, o volontà, coincidesse invece non con l'oggetto ma con mettiamo l'anima, le cose cambiano decisamente. Ci devo ancora pensare. (chissà forse la Stein).


Per quanto riguarda la verità universale del mondo, la cosmogonia, sinceramente so che è la tua ricerca fondamentale, ma faccio fatica a pensare anche solo un modo perchè si possa giustificare e financo intravedere. Temo ci si debba accontentare dei "mondi" intermedi.


La morale interna all'ontologia (cosa che ho letto anche in davintro), faccio fatica a decifrare questo.


Possiamo e vogliamo forse dire che la libertà è all'interno dell'idea dell'essere? Si naturalmente.


Ma e qui arriva sempre la mia critica (che poi è anche quella di heidegger) che di solito si intende essere QUALCOSA, e non l'essere in sè.
E se la libertà è all'interno di qualcosa, non è più libertà.
E infatti è così, la libertà come la intendiamo oggi è sempre dentro un impianto coercitivo, e le analisi etiche, ragionano su come ridurre sempre di più lo spazio che la libertà ha all'interno delle giurisprudenze. (che poi è il vero problema su cui è naufragato, non solo il Marxismo, ma anche ogni utopismo, e per cui è necessaria un ripensamento radicale del giuridico, non bastano è evidente le rappresentanze di mediazione, così insiste anche Zizek).
Ripeto una ontologia che sia solo dell'essere, si chiama metafisica, non ontologia. Lo so per esperienza, non dalla manualistica.


Una sovrastruttura che sia costruita dalla filosofia (libertaria). Ma certo è un filone che apprezzo.
Non vedo come sia possibile costruirlo, tutto qui.




cit Paul
"E come spiegheresti che nella modernità la metafisica  non è al potere culturale?"


Più che una domanda è un thread a parte.


Ma strigatamente: proprio perchè la modernità è la chiusura del soggetto nel proprio oggetto. E' la scissione dell'anima in res cogitans ed extensa.
Come se l'anima fosse res.
E' cioè il processo di disumanizzazione umana, che è tutt'ora in corso.
Non è forse quello che ci stiamo dicendo da un mesetto a questa parte?


Pensare che la metafisica sia una cosa in sè, è una follia.
E' sempre il soggetto che parla.


Siamo noi che decidiamo cosa sia metafisico, e cosa no.
Nel mondo dell'analitica americana, si parla di un metafisico per esempio. Il che è un paradosso.


Secondo me bisogna prima o poi capire, che Dio non è una personificazione, il cristianesimo ha fallito in ogni senso.


Bisogna tornare alle idee ebraiche del Dio che non si vede.
Possiamo vederlo apocalitticamente come immanenza, o come io preferisco come lotta angelica, laddove l'angelo è il fantasma del metafisico, la tradizione gnostica, laddove è il male, ha comunque studiato il bene.
Ha studiato il fantasma: come si è determinata la fantasia biblica, anche quella agnostica.
Pensa se il fantasma della gnosi si impossessa (e lo fa) delle menti, e pensa che fine fa il mentale.
Se il fantasma è un oggetto, e se la modernità è quel processo per cui il soggetto si crede il fantasma. E non come dovrebbe il fantasma dell'oggetto. E lo fa proprio grazie al fatto che nella modernità il soggetto è il suo oggetto.
Secondo te Marx dove parte? Dal feticismo.


Il metafisico non è qualcosa di intatto come pensi tu.
E' anzi il terreno di battaglia umano, è il terreno dove la guerra angelica viene portata dentro le menti umane.


E' cioè una faccenda umana, troppo umana.
E' per questo che il fantasma dell'oggetto va dissolto.
O percorso fino al suo esaurimento. Fino al far capire all'angelo che ci può essere un patto fra angeli ed umani.
Proprio per intendere DIO.


Il metafisico è questo, qualcosa di primordiale, è la bibbia in sostanza vista nel suo carattere allegorico più allucinato che noi possiamo raggiungere.


La Grecia è il male. E' questo il messaggio Nicciano.
Chiaro chiarissimo lampante.


E infatti come dici Sini, e auspico che tramite youtube tu possa recuperarlo, per Nietzche il serpente (che è la cultura) va decapitato.


E' la cultura il nemico. L'esatto opposto di quello che tu pensi.


O la cultura è continuamente ripensata, o diventerà un oggetto culturale.


Diciamolo è troppo tardi, ormai la cultura è happening culturale.


E' strumento di distrazione di massa.


La vera lotta è fra i vari gruppi gnostici.


La nostra è invece dissolvere il fantasma dell'oggetto, che si pensa essere un fantasma.


Ma noi non siamo fantasmi noi siamo natura (la declinerei così secondo la tua ricerca archetipica)!


Penso purtroppo che non si possa sintetizzare amico mio.


Va veramente spiegato il tutto. Ma come dicevo nel mio dies irae. Non si può.


Rimaniamo pure nelle nostre considerazioni.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

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