Il punto di vista di Nietzsche

Aperto da paul11, 26 Aprile 2020, 11:40:46 AM

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paul11

 Nietzsche distingue il pensiero genuinamente filosofico, dal pensiero calcolante.
Il filosofo è mosso da una intuizione mistica,dalla fede nell'unità delle cose, che non proviene dalla ragione. Questa intuizione ci spinge al di là dei limiti dell'esperienza. L'intelletto calcolatore poi la segue pesantemente, cercando degli appoggi. Il pensiero filosofico non va confuso con il pensiero calcolante., perché percorre rapidamente grandi spazi, mentre quello calcolante procede a tentoni. E perché è spinto dalla fantasia, una forza illogica, che lo fa balzare di possibilità in possibilità. Il filosofo sa  dunque che il suo linguaggio, la dialettica, è inadeguato a esprimere l'unità mistica che sta al di là delle cose, ma questo linguaggio è l'unico mezzo per esprimere metaforicamente ciò che ha contemplato.
Il filosofo sa distinguere ciò che è più grande e più importante, più meritevole di essere conosciuto, da ciò che non lo è.
La scienza per contro si getta a capofitto sulle cose che divora tutte, senza distinguere,
La filosofia disciplina il desiderio di conoscenza con il concetto di grandezza, indirizzando il sapere verso l'essenza delle cose.

bobmax

Concordo.
Anche se ritengo che sia difficile distinguere tra le motivazioni  che guidano la scienza e quelle che segue la filosofia.

Entrambe, se autentiche, scaturiscono dalla fede nella Verità.

Riguardo al pensiero "calcolante" direi che è un necessario fardello.
Non possiamo farne a meno, ma di per se stesso non ci porta da nessuna parte.

Non per niente caratteristica del diavolo è quella di contare...
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

paul11


La motivazione dello scienziato è nel fenomeno visivo e materiale in sé e per sé, perché così volle il metodo sperimentale perseguito e quindi indaga calcolando il fenomeno.
Il filosofo indaga non solo il fenomeno,si può porre dialetticamente con la scienza sperimentale come confronto di conoscenze ed esperienze, perché quel fenomeno deve indagarlo non in sé e per sé, ma dentro un contesto molto più vasto ,che leghi il particolare di quel fenomeno all'aspetto  concettuale che spesso è universale. Ogni corrente filosofica segue vari ambiti.
Nel caso di Nietzsche, almeno del "primo Nietzsche" è l'estetica, nella sua accezione ampia, che diventa soggetto interpretante.


La fede in una Verità, se forse potrebbe essere la vera motivazione, non è detto che lo sia, anzi.
Nella modernità sorge il pessimismo nella verità e nella post modernità addirittura si dà per scontato ormai il contrario : tutto è opinione. Dipende anch'essa dalle corenti di pensiero.

Citazione di: bobmax il 26 Aprile 2020, 14:52:48 PM

Riguardo al pensiero "calcolante" direi che è un necessario fardello.
Non possiamo farne a meno, ma di per se stesso non ci porta da nessuna parte.
Sono d'accordo.

Ipazia

Dalla "gaia scienza" in poi anche Nietzsche si lascia attrarre dall'idea del calcolo filosofico. Lo fa puntando sull'aria aperta, i deserti d'alta quota, il buon cibo e le compagnie elettive. Nemmeno la sua filosofia rinuncia al "ricettario" che è il modo in cui la filosofia calcola. Verso la fine vi sono citazioni esplicite di come sarebbe importante anche per la filosofia appropriarsi di propri strumenti di calcolo per essere più persuasiva e meno labile di fronte allo strapotere del calcolo scientifico, che investiva ormai tutto il pensiero moderno.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Ipazia

A dimostrazione di quanto detto sopra, due aforismi da "Umano, troppo umano (1978)" dedicato a Voltaire che col calcolo aveva buona dimestichezza  8)

Citazione106.
Presso la cascata. — Guardando una cascata, nel vario incurvarsi, serpeggiare e rifrangersi delle onde noi crediamo di vedere libertà del volere e libera scelta; ma tutto è necessario, e ogni movimento matematicamente calcolabile. Così è anche per le azioni umane; si dovrebbe poter calcolare in anticipo ogni singola azione, se si fosse onniscienti, come pure ogni progresso della conoscenza, ogni errore, ogni malvagità. Anche colui che compie l'azione vive nell'illusione del libero arbitrio; se all'improvviso la ruota del mondo si arrestasse e un'intelligenza onnisciente e calcolatrice fosse là per utilizzare questa pausa, essa potrebbe raccontare il futuro di ogni essere sin nei tempi più lontani e indicare ogni traccia su cui quella ruota dovrà ancora passare. L'illusione che colui che agisce nutre su di sé, l'ipotesi della libera volontà, appartiene anch'essa a questo calcolabile meccanismo.

296.
Calcolare e misurare. — Veder molte cose, confrontarle, calcolarle l'una rispetto all'altra e trame una rapida conclusione, una somma abbastanza sicura — è questo che fa il grande politico, il grande condottiero, il grande uomo d'affari: — ossia la rapidità in una specie di calcolo mentale. Vedere una cosa e trovare in essa l'unico motivo per agire, l'arbitro di ogni altro agire, è ciò che fa l'eroe e anche il fanatico — ossia un'abilità nel misurare con un solo criterio.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Jacopus

Lo dico da profano, per animare il discorso e per chiedere a chi ne sa più di me su Nietzsche. Credo che N. debba molto alla modernità. In questi giorni di "tempo libero obbligatorio" sono andato anche a ripassare Machiavelli e mi sembra che possa anche essere azzardato un legame fra i due, nel senso di liberazione da ogni vincolo morale ed etico, in nome della sopravvivenza e del mantenimento del potere. E questo è un messaggio fortemente moderno, che si contrappone ai messaggi etici, fondati su imperativi spirituali e religiosi, del medioevo e della tradizione.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

Lou

#6
Citazione di: Ipazia il 27 Aprile 2020, 10:00:40 AM
Dalla "gaia scienza" in poi anche Nietzsche si lascia attrarre dall'idea del calcolo filosofico. Lo fa puntando sull'aria aperta, i deserti d'alta quota, il buon cibo e le compagnie elettive. Nemmeno la sua filosofia rinuncia al "ricettario" che è il modo in cui la filosofia calcola. Verso la fine vi sono citazioni esplicite di come sarebbe importante anche per la filosofia appropriarsi di propri strumenti di calcolo per essere più persuasiva e meno labile di fronte allo strapotere del calcolo scientifico, che investiva ormai tutto il pensiero moderno.


105. I fisici credono a loro modo in un «mondo vero»: un sistema atomico fisso, uguale per tutti gli esseri, con movimenti necessari – sicché per essi il «mondo apparente» si riduce al lato, accessibile ad ogni essere a modo suo, dell'essere universale e universalmente necessario [...]. Ma in ciò si ingannano: l'atomo che essi postulano è ricavato dalla logica del prospettivismo della coscienza ed è pertanto esso stesso una finzione soggettiva. [...] [I fisici] hanno tralasciato qualcosa nella costellazione senza saperlo: appunto il necessario prospettivismo, in virtù del quale ogni centro di forza – e non solo l'uomo – costruisce tutto il resto del mondo a partire da se stesso, cioè lo misura, lo modella, lo forma secondo la sua forza... Hanno dimenticato di calcolare nell' «essere vero» questa forza che pone prospettive... [...]

Passo tratto da i Frammenti Postumi. (italic mio)


Dunque certamente, come in introdotto da Paul, in Nietzsche si trova una aspre critica al pensiero calcolante proprio della scienza e del positivismo, ma già dalle prime opere e nel maturare via via del suo pensiero, trovo corretto il suggerimento di Ipazia: direi che è complessa la posizione nietzschiana in quanto il prospettivismo fa confluire in sè anche il pensiero calcolante, tuttavia lo fa con una consapevolezza e profondità inedita, rilevando come le scienze compiano un errore nel computo, pur avvalendosi del pensiero calcolante. Eppure in questo prospettivismo dal sapore leibniziano, come espresso nel frammento riportato, trovo che se ne riveli la problematicità e, soprattutto, che il pensiero filosofico non si risolve in esso, ma colga argurtamente la necessità di una pluralità di prospettive interpretanti, la valutazione dei loro rapporti e relazioni, la sola che si inserisce in quel "sentire cosmico" senza tradirlo e, lo dico, ne renda conto
;D . In ciò è "oltre", come accennato da Paul.  Il pensiero danzante di Nietzsche è anche calcolante, non è una forma di irrazionalismo, una danza vitale che per essere tale necessita il ritmo dei movimenti. In questo senso, l'arte stessa in Nietzsche è una forza che si oppone strenuamente alla decadenza dell'immobilità, in ultima istanza una potenza che afferma la vitalità del cosmo.
"La verità è brutta. Noi abbiamo l'arte per non perire a causa della verità." F. Nietzsche

Ipazia

Citazione di: Jacopus il 27 Aprile 2020, 14:34:20 PM
Lo dico da profano, per animare il discorso e per chiedere a chi ne sa più di me su Nietzsche. Credo che N. debba molto alla modernità. In questi giorni di "tempo libero obbligatorio" sono andato anche a ripassare Machiavelli e mi sembra che possa anche essere azzardato un legame fra i due, nel senso di liberazione da ogni vincolo morale ed etico, in nome della sopravvivenza e del mantenimento del potere. E questo è un messaggio fortemente moderno, che si contrappone ai messaggi etici, fondati su imperativi spirituali e religiosi, del medioevo e della tradizione.

Quello che li accomuna è la presa d'atto dello iato tra i modelli etici dominanti e i comportamenti sociali prevalenti. Entrambi cercano di calcolare le forze che portano l'uomo, inteso tanto singolarmente che socialmente, ad agire e ne valutano l'azione non in base ai principi etici professati, rivelatisi inaffidabili, ma secondo una prospettiva "realistica" cui ciascuno dei due offre il suo contributo di ricerca ed esplicazione. Sono entrambi in debito con l'ideologia dominante del loro tempo, nella versione più aggiornata, come si conviene a dei pensatori colti. L'imprinting culturale di Machiavelli è l'umanesimo rinascimentale e il suo riferimento politico è Cesare Borgia (peraltro simpatico anche a FN); per Nietzsche senz'altro ha pesato il darwinismo, importante varco universale di passaggio verso la tarda modernità. Nè poteva non subire il fascino della potenza della tecnica, Macht realizzata da un Wille così affine nella potenza, ma pure così lontano nella filosofia, al suo pensiero.

Mentre l'umanista Machiavelli è in dialogo perenne con gli antiqui huomini che gli offrono continui spunti e stimoli al suo ragionare nella fase ascendente della modernità, Nietzsche è un pensatore della decadenza, e gli stimoli li andrà a cercare ancora più a ritroso, ma neppure la dialettica (peraltro tutta sua) dionisiaco-apollineo potrà soddisfarlo e dovrà torcerla in una archetipicità inedita che pesca un po' ovunque e raggiunge il suo apice nella figura eccentrica, spostata verso oriente, di Zarathustra.

Direi che per entrambi l'etica è epifenomeno di qualcosa di più radicale e profondo, che nella loro opera cercheranno di scoprire e calcolare.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Ipazia

Citazione di: Lou il 27 Aprile 2020, 14:52:50 PM
105. I fisici credono a loro modo in un «mondo vero»: un sistema atomico fisso, uguale per tutti gli esseri, con movimenti necessari – sicché per essi il «mondo apparente» si riduce al lato, accessibile ad ogni essere a modo suo, dell'essere universale e universalmente necessario [...]. Ma in ciò si ingannano: l'atomo che essi postulano è ricavato dalla logica del prospettivismo della coscienza ed è pertanto esso stesso una finzione soggettiva. [...] [I fisici] hanno tralasciato qualcosa nella costellazione senza saperlo: appunto il necessario prospettivismo, in virtù del quale ogni centro di forza – e non solo l'uomo – costruisce tutto il resto del mondo a partire da se stesso, cioè lo misura, lo modella, lo forma secondo la sua forza... Hanno dimenticato di calcolare nell' «essere vero» questa forza che pone prospettive... [...]

Passo tratto da i Frammenti Postumi. (italic mio)


Dunque certamente, come in introdotto da Paul, in Nietzsche si trova una aspre critica al pensiero calcolante proprio della scienza e del positivismo, ma già dalle prime opere e nel maturare via via del suo pensiero, trovo corretto il suggerimento di Ipazia: direi che è complessa la posizione nietzschiana in quanto il prospettivismo fa confluire in sè anche il pensiero calcolante, tuttavia lo fa con una consapevolezza e profondità inedita, rilevando come le scienze compiano un errore nel computo, pur avvalendosi del pensiero calcolante. Eppure in questo prospettivismo dal sapore leibniziano, come espresso nel frammento riportato, trovo che se ne riveli la problematicità e, soprattutto, che il pensiero filosofico non si risolve in esso, ma colga argurtamente la necessità di una pluralità di prospettive interpretanti, la valutazione dei loro rapporti e relazioni, la sola che si inserisce in quel "sentire cosmico" senza tradirlo e, lo dico, ne renda conto
;D . In ciò è "oltre", come accennato da Paul.  Il pensiero danzante di Nietzsche è anche calcolante, non è una forma di irrazionalismo, una danza vitale che per essere tale necessita il ritmo dei movimenti. In questo senso, l'arte stessa in Nietzsche è una forza che si oppone strenuamente alla decadenza dell'immobilità, in ultima istanza una potenza che afferma la vitalità del cosmo.

L'epistemologia nicciana dovrebbe essere studiata a parte per poterne fare un discorso compiuto. Quel frammento è tra gli ultimi scritti di FN e fa parte dei lavori preparativi per l'opera summa che avrebbe dovuto essere "La volontà di potenza" che purtroppo non venne alla luce se non nella forma manipolata dalla sorella per fare un po' di cassa con frammenti che non hanno una continuità logica. FN negli ultimi anni, prima del crollo, meditava su fisica, chimica, biologia, evoluzionismo, per poter dare un carattere totale alla sua Weltanschauung. Un sistema. Ma purtroppo non arrivò alla fine dell'opera: l'agognato spirito della terra gli negò il Sistema e probabilmente gli fece un favore.

Tre anni prima di quel frammento troviamo quest'altra riflessione che forse ci può indicare la rampa di lancio della sua prospettiva iniziale "metafisico-epistemologica" sull'atomo.

Citazione di: FN frammenti postumi AUTUNNO 1885 - PRIMAVERA 18861 [32] - Il postulare atomi è solo una conseguenza del concetto di soggetto e di sostanza: in qualche posto ci dev'essere «una cosa ›› da cui l'attività comincia. L'atomo è l'ultimo rampollo del concetto di anima.

Non credo che Democrito e Leucippo avrebbero condiviso e senz'altro neppure Mendeleev. Su una prospettiva opposta a quella materialistica testè evocata, chissà come vedrebbe oggi Nietzsche tutto questo affaccendarsi spiritualistico intorno alla quantistica ?!  :D
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Apeiron

Personalmente credo che una 'intuizione' dell'universale nel particolare (in un certo senso) in realtà è presente nella scienza. Forse, anzi, essa è un aspetto centrale della scienza stessa. In fin dei conti, non ci sarebbe scienza se non si osservassero regolarità nei fenomeni e delle somiglianze tra di essi.

Questa 'osservazione', secondo me, oltre ad essere un qualcosa di empirico è anche di fatto una sorta di 'intuizione'. Un'intuizione che ci spinge a credere, per esempio, che ci debba essere una 'ragione profonda' per queste regolarità e queste somiglianze. A mio giudizio, l'idea secondo cui la scienza è solo un efficace strumento di predizione e che essa non 'rivela' ciò che potremmo chiamare appunto 'ragioni profonde' rischia, se eccessivamente generalizzata, di essere fuorviante. Facendo un esempio, anche se la teoria di gravitazione universale non ci spiega - in un certo senso - 'cosa' è la gravità, è anche vero però che ci fa cogliere l'universale nel particolare: infatti anche se non conosciamo ciò che potremmo chiamare la 'natura ultima' della gravità, è chiaro che in un certo senso la 'ragione' per cui la Luna orbita attorno alla Terra è la stessa per cui i gravi cadono. Una 'legge' dalla quale riusciamo a predire con straordinaria accuratezza una enorme quantità di fenomeni. Se guardiamo alla storia della scienza, essa sembra essere un processo continuo di 'unificazioni'. Si osserva una molteplicità di fenomeni e si cerca di costruire una teoria, ovvero un sistema concettuale che cerca in primo luogo di predire accuratamente le osservazioni in laboratorio e, in secondo luogo, quando è possibile formulare un modello concettuale che cerca di integrare tutti questi fenomeni.  In ambo i casi, ritengo che si manifesta una certa intuizione dell'universale nel particolare.
La stessa 'speranza' che le nostre predizioni possano 'valere' anche nel futuro ci suggerisce che i fenomeni che si osservano in futuro debbano 'somigliare' a quelli che si osservano nel passato. Certo, il divenire non può essere negato ma concentrarsi solo sul cambiamento, sulla diversità . E questo non è solo qualcosa che possiamo pensare per quanto riguarda il divenire temporale. Una delle assunzioni fondamentali è che ci sia una certa 'omogeneità' anche nello spazio. In particolare, noi crediamo che le predizioni basate su ciò che si è osservato in un laboratorio nel posto X possano 'importare' qualcosa anche a chi lavora in un laboratorio nel posto Y. In altre parole, arriverei a dire che probabilmente in noi è addirittura 'innata' una 'convinzione' (per mancanza di una parola migliore) che ci sia una 'affinità' tra i fenomeni che osserviamo.

Quindi da una parte ci sono le distinzioni e la molteplicità, dall'altra queste regolarità, queste 'affinità', queste somiglianze, queste relazioni che ci spingono verso una visione 'unitaria'. Una sorta di 'mondo ambiguo' dove particolarità e universalità sembrano per così dire 'presentarsi' entrambe.
Direi che lo stesso pensiero scientifico necessita di questi due elementi.  Anche se si tratta solo di fare previsioni, si tratta di cogliere relazioni 'universali' nella molteplicità dei fenomeni particolari.
Personalmente, non vedo nell'intuizione dell'universale nel particolare un qualcosa che è in conflitto con il sapere scientifico. Anzi quest'ultimo sembra appoggiarsi, secondo me, anche su tale intuizione o qualcosa di analogo, ovvero che ci sia una spinta a trovare regolarità, qualcosa che accomuna i fenomeni osservati ecc.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

paul11

 Premetto che con Nietzsche ho un rapporto....dialettico, fatto anche di contrasti.
Ma rispetto molto la sua posizione culturale, è sicuramente affascinante e per me fortemente ambiguo, ma non in senso deleterio e denigratorio, bensì costruttivo.


Nietzsche esalta l'estetica, dandogli a mio parere dei nuovi significati storici e di perspicacia che hanno enormemente influito su tutta la filoosfia del Novecento ad oggi. Questa estetica è vicina alla mistica seppur despiritualizzata, privata dai connotati direttamente religiosi. E' direi quasi estasi.


Il calcolo è nella misura delle proporzioni plastiche della cultura dorica greca che contraddistingue con Apollo. Essendo un dio ha quelle caratteristiche virtuose degli dei che per nietzsche sono tutto sommato una forma di sublimazione umana  del dolore che inventa una perfezione.
La dismisura, il non calcolo è nel sileno e nei riti Eleusini orgiastici, in Dioniso, nell'ebbrezza.


Il contrasto, gli antipodi  sono fra misura e calcolo e virtù e dall'altra istinto, ebrezza, dismisura, la danza e la musica del ditirambo. La tragedia greca è un processo che in Nietzsche crea stupore, perché sono uniti calcolo e dismisura, seppur Nietzsche sia dionisiaco.
Perchè la tragedia è la forma di sublimazione, la chiamo così io per intenderci, in cui l'attore è lui stesso opera d'arte, perch' incarna sia il dolore che l'ebrezza.


Insomma sì, mi trovate d'accordo che vi è una unità fra il calcolo della misura e la dismisura dell'ebrezza, e penso che l'uomo, indipendentemente da come pensi Nietzsche, sia in effetti proprio così. E' istinto e intuito , ma anche calcolo, misura e concetto. E' passione e raziocinio.


Rispondendo anche a Jacopus,
personalmente ritengo molto diversi Nietzsche e Machiavelli.
Machiavelli nel Principe dà dei consigli di opportunità e di convenienza, potremmo dire fa dei calcoli politici il cui fine è il potere del principe. Netzsche non fa calcoli, tant'è che la tragedia greca viene scritta nella crisi culturale pangermanica, come dire che la tragedia nel popolo greco è un modello. Nietzsche non ha una morale ante litteram, ha un estetica inusitata e originale che influirà enormemente sul Novecento ad oggi. E' mistica, è estasi.
Nietzsche non accetta la morale come invenzione umana per sublimare il dolore, preferisce che sia la tragedia estetica a raccontare la misura e la dismisura, la virtù e il vizio a misura ,se così si può dire, della condizione e natura umana. Non nega un "uno primigenio", ma penso trovi inutile costruirne appellativi e attributi, predicarne concetti di cui l'uomo non conosce, L'uomo deve accettare la sua condizione, mi sembra dire Nietzsche senza farsi illusioni, ma decidendo che può essere artefice di se stesso. Trovo insomma Nietzsche di tutt'altra statura e ambito rispetto a Machiavelli. Alla fine di Zarathustra nella sua caverna accoglie le persone miserevoli e li sfama e disseta, rimane sempre  qualcosa di profondamente umano, di autentico, che misura le persone altrui ma con compassione.


Apeiron penso che infondo intuito e ragione calcolante, persino i due emisferi del cervello umano sembra che siano divisi, ma al fine uniti dalla corteccia cerebrale, si sposino in qualunque arte e scienza, attività.
Come potrebbe la sola ragione calcolante poter andare oltre il già conosciuto senza un intuito?
E' l'intuito che provoca la ragione a compiere un balzo oltre. E la ragione può confermare o meno ciò che l'intuito ha "annusato".
Come può un compositore di musica dire che odia la matematica, se la regola e la misura dello musica stessa è nelle note frazionarie della minima ,semibreve,  e nei ritmi ternari del walzer o nei binari della bande musicali è nei cicli delle ottave musicali delle scale musicali per costruire gli accordi?
Io penso siano intimamente uniti

Apeiron

CitazioneApeiron penso che infondo intuito e ragione calcolante, persino i due emisferi del cervello umano sembra che siano divisi, ma al fine uniti dalla corteccia cerebrale, si sposino in qualunque arte e scienza, attività.
Come potrebbe la sola ragione calcolante poter andare oltre il già conosciuto senza un intuito?
E' l'intuito che provoca la ragione a compiere un balzo oltre. E la ragione può confermare o meno ciò che l'intuito ha "annusato".
Come può un compositore di musica dire che odia la matematica, se la regola e la misura dello musica stessa è nelle note frazionarie della minima ,semibreve,  e nei ritmi ternari del walzer o nei binari della bande musicali è nei cicli delle ottave musicali delle scale musicali per costruire gli accordi?
Io penso siano intimamente uniti
@Paul,concordo che c'è una profonda 'connessione' tra l''intuito' e la 'ragione' e che l'intuito compie il primo 'passo' (e direi ance che qualcosa è innato...).  C'è poi, secondo me, un 'meccanismo di feedback', per così dire, tra i due che si può osservare nella scienza stessa. Nel senso che certamente si può cogliere la 'profondità', per esempio, della teoria della gravitazione universale anche senza approfondire. Ma poi, però, quando si indaga con la ragione, questa intuizione sembra anch'essa approfondirsi - ciò può a sua volta stimolare la ragione e così via. Porti l'esempio della matematica... qui direi che l'oggetto dell'intuito diventa la ragione stessa, almeno nei casi in cui si studia la matematica 'pura'. E quindi nello studio della matematica si può avere una comprensione intuitiva del ragionamento stesso...

E a questo punto si può anche notare un collegamento con l'arte. Come ben dici, come si può negare un 'legame' tra l'armonia della musica e la matematica? Matematica e scienza possono essere anch'esse l'oggetto della contemplazione estetica. Si parla, per esempio, della bellezza data dalla semplicità di alcuni 'leggi fisiche' - senso di bellezza che nasce dal vedere 'armonizzati' una grande quantità di fenomeni. O della bellezza della matematica...Bertrand Russell si esprimeva così sulla 'bellezza' della matematica (da Wikipedia):
CitazioneMathematics, rightly viewed, possesses not only truth, but supreme beauty—a beauty cold and austere, like that of sculpture, without appeal to any part of our weaker nature, without the gorgeous trappings of painting or music, yet sublimely pure, and capable of a stern perfection such as only the greatest art can show. The true spirit of delight, the exaltation, the sense of being more than Man, which is the touchstone of the highest excellence, is to be found in mathematics as surely as poetry.
CitazioneLa matematica, se vista rettamente, possiede non solo verità, ma anche una bellezza suprema - una bellezza fredda e austera, come quella della scultura, che non affascina alcuna parte della nostra natura più debole, senza gli stupendi orpelli della pittura o della musica, eppure sublimemente pura, e capace di una severa perfezione che solo la più alta arte può mostrare. Si può trovare nella matematica così come nella poesia, il vero spirito di incanto, dell'esaltazione, la sensazione che è oltre l'uomo, che è il termine di paragone della più alta eccellenza.
Ma lo studio della scienza ci può anche dare, credo, un differente tipo di 'esperienza estetica'. Qualcosa che non rientra nel 'bello' ma forse può essere considerato un sottotipo del 'sublime', per utilizzare la terminologia di Schopenhauer. Studiare, per esempio, l'evoluzione delle stelle e scoprire che esse, 'seguendo' regolarità, sono destinate ad avere un determinato processo vitale e spegnersi ci può far contemplare la transitorietà delle cose, che non rientra nell'esperienza del 'bello', anche se riprendendo nuovamente Schopenhauer può essere in un certo senso 'catartico', come la lettura di una tragedia.

Così abbiamo che da una parte lo stupore, la meraviglia, la contemplazione delle regolarità della natura, del mutamento ecc ci possono stimolare la ragione, abbiamo che può avvenire il procedimento inverso. E questo 'processo di feedback' può continuare a ripetersi.

D'altra parte, è anche vero che può succedere che si abbandoni questo 'elemento' 'intuitivo-estetico-contemplativo' (interessante, a mio giudizio, sarebbe anche riflettere sulle relazioni tra questi tre aspetti) per conservare un 'elemento' 'razionale' puramente 'pragmatico' e quindi 'freddo' - pensare la scienza in termini di 'qualcosa di utile' può certamente favorire questo processo. E magari può succedere anche l'inverso, ovvero che la razionalità venga 'abbandonata'.

Personalmente, quindi, ritengo che anche nel caso della scienza stessa, entrambi questi elementi debbano essere presenti  :)
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

paul11

 Ciao  Aperion,
sì, c'è qualcosa di innato, anche una predisposizione del cervello umano che matura con l'esperienza della vita. D'altra parte i bambini prescolastici non hanno ancora capacità raziocinanti che a loro volta maturano con l'acquisizione linguistica, hanno soprattutto intuito.


D'altra parte la matematica, la geometria devono saltare fuori da qualcosa, non sono oggetti naturali, sembrerebbero strumenti metaforici ,come la lingua, che lavorano in parallelo alla realtà per simboli, segni, così bene che riescono a rappresentare, a modellare  la realtà. Quando si dice che il cervello è analogico al mondo.
Forse l'intuito funge da substrato su cui poggia la razionalità del calcolo senza che quest'ultima sopprima l'intuito, lavorano in parallelo.


Penso che gli antichi, ai primordi della geometria e matematica, fossero ancora più stupiti di noi di come la corrispondenza fra strumento conoscitivo ed oggetto di conoscenza , le cose del mondo, coincidessero, tanto da farne conoscenza esoterica, ermetica.


L'estetica  in Nietzsche è già la visione nella rappresentazione sopra la realtà interpretata.
E' lo stesso artista, l'attore tragico che incarna la rappresentazione del mondo in cui vive la condizione tragica umana fra misura e dismisura, Questa visione diventa potente quando fra creatore del'opera, attore e spettatore si crea il pathos, tanto che lo spettatore è dentro l'attore e l'attore nel creatore, c'è un'unione

cvc


Il pensiero calcolante ha bisogno di omogeneità, la matematica si applica ad un insieme di oggetti che reputa omogenei. Più la matematica si diffonde nella vita dell'uomo e più ha bisogno di omogeneità. Una volta instillato nell'uomo il bisogno della matematica, per conseguenza si innesca il bisogno dell'omogeneità. Omogeneità di pensiero, di vedute, di preferenze. Rendi il mondo omogeneo, al resto penserà la matematica. Ma questa non è la realtà, il nostro essere è fatto di parti diverse che spesso lottano fra loro. Ma nemmeno possiamo rinunciare del tutto al pallottoliere. È un pò il discorso del come e del perchè. Abbiamo bisogno di entrambi. Ma quando l'uno e quando l'altro? Armonia dei contrari......
Fare, dire, pensare ogni cosa come chi sa che da un istante all'altro può uscire dalla vita.

Apeiron

#14
Citazione di: paul11 il 29 Aprile 2020, 01:06:11 AM
Ciao  Aperion,
sì, c'è qualcosa di innato, anche una predisposizione del cervello umano che matura con l'esperienza della vita. D'altra parte i bambini prescolastici non hanno ancora capacità raziocinanti che a loro volta maturano con l'acquisizione linguistica, hanno soprattutto intuito.

Ciao @Paul,

concordo. Diciamo che c'è anche il 'seme' delle 'capacità raziocinanti'. Molto interessante sarebbe investigare la relazione linguaggio-ragione. :)


Effettivamente ragione e linguaggio sembrano piuttosto connessi (non a caso, se non erro la parola 'logos' significa anche discorso, parola...).


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Citazione di: paul11 il 29 Aprile 2020, 01:06:11 AM[/size]
D'altra parte la matematica, la geometria devono saltare fuori da qualcosa, non sono oggetti naturali, sembrerebbero strumenti metaforici ,come la lingua, che lavorano in parallelo alla realtà per simboli, segni, così bene che riescono a rappresentare, a modellare  la realtà. Quando si dice che il cervello è analogico al mondo.
Forse l'intuito funge da substrato su cui poggia la razionalità del calcolo senza che quest'ultima sopprima l'intuito, lavorano in parallelo.


Penso che gli antichi, ai primordi della geometria e matematica, fossero ancora più stupiti di noi di come la corrispondenza fra strumento conoscitivo ed oggetto di conoscenza , le cose del mondo, coincidessero, tanto da farne conoscenza esoterica, ermetica.

Sì, penso che questo sia uno dei misteri più interessanti. Penso che una parte della matematica si può dire che è 'inventata', ma 'qualcosa' della matematica sembra essere scoperta. Einstein diceva che il mistero del mondo è la sua comprensibilità. Come può a-priori il mondo essere comprensibile all'indagine della ragione? Fin dall'antichità si sono formulate ipotesi su questo. Si possono elencare varie ipotesi:

1) Il fatto che la matematica 'funzioni', che 'il mondo sia comprensibile' ecc è semplicemente un mistero...è un fatto così che semplicemente non può essere spiegato;

2) è un mistero, ma una 'risposta' c'è ma è impossibile saperla;

3) la 'regolarità' dell'universo è dovuta alla presenza di un qualche tipo di 'Intelligenza' ordinatrice/creatrice (posizione ovviamente molto generica che comprende teismi, deismi, panteismi ecc);

4) la 'regolarità' è dovuta al fatto che il 'mondo fenomenico' è una rappresentazione dovuta al fatto che le sensazioni sono 'formate' dalla mente (in questa alternativa racchiudo 'kantismi' vari, almeno certe varianti della fenomenologia ecc);

Ovviamente, se uno risponde (3), la cosa resta comunque un mistero (si spiega solo la presenza di regolarità in questo modo...).

Citazione di: paul11 il 29 Aprile 2020, 01:06:11 AM
L'estetica  in Nietzsche è già la visione nella rappresentazione sopra la realtà interpretata.
E' lo stesso artista, l'attore tragico che incarna la rappresentazione del mondo in cui vive la condizione tragica umana fra misura e dismisura, Questa visione diventa potente quando fra creatore del'opera, attore e spettatore si crea il pathos, tanto che lo spettatore è dentro l'attore e l'attore nel creatore, c'è un'unione


Penso di concordare con questa interpretazione dell'estetica nietzscheiana. Per quanto mi riguarda, ritengo che però la 'risposta' di Nietzsche alla 'tragicità' sia estrema e ciò conduce a certe idee secondo me 'disturbanti' che si trovano nella sua etica*. Personalmente, preferisco l'analisi della 'tragicità' di Schopenhauer, anche se ritengo anche lui 'estremo', ma in senso opposto...d'altra parte ritengo che la sua analisi dell'esperienza estetica sia molto interessare anche per chi non condivide la sua filosofia.


*Penso che Nietzsche deve molto ad Eraclito di Efeso su queste sue posizioni. Secondo Eraclito, per esempio: "dobbiamo riconoscere che il conflitto è comune, che la contesa è giustizia [dike eris]..."(frammento DK22 B 80) - ovvero una (disturbante) 'glorificazione' del conflitto/contesa. In altre parole, Nietzsche come Eraclito vedendo il 'conflitto' (in varie forme) presente nel mondo pensava che fosse qualcosa da affermare. Curiosamente, Anassimandro si esprimeva in termini ben diversi sulla cosa, sostenendo che il conflitto fosse in realtà 'ingiustizia':


Citazione


«Principio degli esseri è l' apeiron ... da dove infatti gli esseri hanno origine, ivi hanno anche la distruzione secondo necessità: poiché essi pagano l'uno all'altro la pena e l'espiazione dell'ingiustizia secondo l'ordine del tempo»(Anassimandro, in Simplicio, De physica, 24, 13)




(fonte: Wikipedia)**


Anche Nietzsche si accorse del contrasto tra Anassimandro ed Eraclito (precisamente nella 'Filosofia nell'età tragica dei greci', anche se nella sua citazione di Anassimadro non ci sono le parole 'l'uno all'altro' se non erro). Curiosamente, vedeva in Anassimandro, per così dire, una sorta di predecessore di Schopenhauer.


Ad ogni modo, concordo con Nietzsche sul fatto che è necessario coltivare sia l''intuito' che la 'razionalità'. Perdere di vista uno dei due può portare ad errori.


P.S. ** ho leggermente modificato la traduzione di Wikipedia, sostituendo la parola 'infinito' con 'apeiron'.

"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

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