Il punto di vista di Nietzsche

Aperto da paul11, 26 Aprile 2020, 11:40:46 AM

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Apeiron

Citazione di: cvc il 29 Aprile 2020, 12:00:00 PM

Abbiamo bisogno di entrambi. Ma quando l'uno e quando l'altro? Armonia dei contrari......


Punto di vista interessante @cvc :)


Il pensiero 'calcolante' procede per step, gradualmente, cerca di dimostrare passo per passo. L''intuizione' invece procede per salti. Su certe cose sembrano effettivamente dei 'contrari'.


Ed è meglio evitare di 'mantenere' solo uno dei due 'contrari'. Se non si coltiva l''elemento' intuitivo, il rischio è di sviluppare una 'fredda razionalità' calcolante. Se, inversamente, se non si coltiva l''elemento' 'razionale', il rischio è di cadere, ad esempio, in 'trappole cognitive' come l''apofenia' ecc.







"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

paul11

X  Cvc


Il pensiero calcolante costruisce categorie e classificazioni per caratteristiche omogenee.
A mio parere è una necessità razionale che nasce dalla natura stessa come logica di energia , di efficienza, vale a dire memorizzare, sistematizzare acquisizioni di informazioni, di conoscenze.
Perché aiuta il confronto di nuove conoscenze con quelle già acquisite.


Penso che l'intuizione venga prima del pensiero calcolante, come avviene nell'evoluzione nei bambini. Il pensiero calcolante non è uno "strumento" a parte di quello intuitivo. Quello intuitivo si sviluppa per immediatezza, ha necessità dell'immagine del segno e simbolo. Una volta "assimilato" il segno e simbolo si sviluppa il linguaggio che diventa riflessivo, nel senso che si possono confrontare i segni e i simboli fra loro, le parole o le lettere dell'alfabeto per la dizione, come le cifre nei numeri e da lì iniziare la complessità della semantica e sintassi e dall'altra dell'aritmetica, matematica, algebra, insiemistica, ecc. I due "strumenti" non sono antagonisti fra loro, l'artistica necessita di tecniche oltre che di intuizioni, viceversa lo scienziato. L'intuito lavorando per immagini segniche e simboliche è più veloce ed immediato, ma può più facilmente sbagliare; il calcolo, il formalismo nei sistemi linguistici necessita di regole e ordini che l'intuito "salta". Penso che l'innovazione artistica e scientifica nasca soprattutto da un atto intuitivo è un'immagine "mentale" che necessita di un calcolo odi una tela nel pittore o dello spartito nella musica, ecc. L'intuito può aiutare un blocco un impasse di calcolo. Penso che un ricercatore scientifico oltre che di notevole conoscenze tecniche necessita di un buon intuito.


X Aperion
citaz.
Einstein diceva che il mistero del mondo è la sua comprensibilità


Esatto a mio parere è davvero un grande mistero soprattutto se quel mondo appartiene allo stesso umano come rappresentazione di quel mondo, appunto con intuizione e calcolo.
Riprendo volentieri i tuoi interessanti spunti:
1) e' vero, tant' è che nell'antichità i pitagorici erano "chiusi" nella dottrina ermetica, esoterica. Avevano capito che geometria e matematica potevano spiegare il mondo e ciò era un grande potere umano e in quanto tale meglio non diffondere.  C'è stata una geometria "sacra".
L'Accademia di Platone, si dice che non vi si potesse accedere senza conoscenze della geometria.
Euclide fu discepolo di Platone, e  Teeteto , illustre matematico/geometra ,appare in un dialogo socratico.


2) è esatta la tua formulazione del problema, è un mistero al di là della nostra comprensione
3) esatta anche questa tua formulazione, ci aggiungerei anche qualunque formulazione non
necessariamente religiosa. E questo è un tema "forte" nella metafisica se lo si relaziona a ciò che hai citato in Einstein. Come può presentarsi un ordine e una regolarità che in sé permette la sua comprensione. Se non ci fosse, ogni giorno la nostra esperienza precedente verrebbe azzerata, vi sarebbe caos ,irregolarità, disordine. Nessuna possibilità di tesaurizzare conoscenze ed esperienze.
Ne mio personale modo di pensare è il principio "forte" per cui c'è qualcosa di intelligente, ribadisco, non necessariamente postulatile come un Dio, dei, ecc. Questa è per me "la verità incontrovertibile" e che Nietzsche, visto che è nel tema della discussione, chiama " uno primigenio".
4) è "debole" questa posizione, perché un muro è un muro e se "ci sbatto contro" fa male e questo prescinde dalla mia mente, perché contro quel muro chiunque vada a sbatterci si fa male come me.
C'è una realtà naturale e fisica incontrovertibile che non è invenzione mentale umana.
L'uomo può con intuito e ragione attraverso la tecnica, manipolare quel muro materico, abbatterlo, trasformarlo in altro confacente al suo scopo. L'uomo come creazione, per quanto potente ma anche limitata, è artefice. Ed è qui che "sorge" Nietzsche.

In questo periodo studio anche Nietzsche seguendo cronologicamente le sue opere.
Questo è ,almeno per ora, le considerazioni che a mio parere posso fare.
Nietzsche glissa volutamente la morale, opponendo l'estetica.
Perché accetta il mondo come si presenta all'uomo, senza illusioni morali (a parer suo...).
E' una posizione che non riesco a condividere ,ma ha un sua "forza".
Provo a spiegare.
Il credente , ateo, agnostico, tutti non possono negare che nel mondo  vi sia il dolore e sofferenza(anche gioia e felicità) e il destino umano sia segnato nella morte.
Credere ad un Dio o agli dei significa che sono artefici anche di questo. E questo è almeno un poco contraddittorio : che colpa abbia mai la stirpe umana da dover soffrire? La teodicea è un tentativo di risposta sull'effetto, ma rimarrebbe il mistero del perché il "demiurgo" abbia creato anche il dolore.
Le religioni rispondono attraverso le "Sacre Scritture": prendere o lasciare.....o avere dubbi.
Insomma, o ci si crede o non ci si crede. E' un atto di fiducia, di fede. L'aldilà è necessario se si segue lo schema logico religioso, oppure Dio o chi per Lui, deve apparire come "profeta incarnato" per ridare pace all'umanità e al mondo terreno, togliendo il dolore e la morte; quest'ultimo è vicino al pensiero ebraico.
Nietzsche ritiene che tutto ciò sia invenzione umana, quindi mantiene la posizione "forte" di un "uno primigenio" dentro la regolarità e ordine dei fenomeni universali, ma accetta tutto ciò che è natura senza illudersi di un Dio religioso e non vede alcuna morale nelle regole naturali .Vede il forte e il debole nella natura e nell'umanità il coraggio e la viltà, la compassione: è questa per Nietzsche la vera misura naturale in cui l'uomo deve a sua volta misurarsi. Quindi sparisce ogni regola morale, e la odia in quanto rende l'uomo debole, mortificato, in attesa......, e quindi non vive come forza vitale i suoi giorni.  A questo punto l'uomo è artefice della propria esistenza, nel senso che vive come forza e potenza e non deve rispondere a nessuno se non a se stesso, all'ordine e regolarità naturale e non c'è  ribadisco alcuna morale; il comportamento umano, l'etica risponde alla sua stessa forza vitale come qualunque vivente, come potenza . Il "mentale" umano ,se così posso dire, allora diventa estetica, estasi della propria forza come artefice creativo e ne accetta la tragedia per cui anche quest'ultima diventa rappresentazione epica. L'uomo non è più a misura di un Dio, è a misura di se stesso. Questo non toglie a Nietzsche la compassione umana, la solidarietà, l'umanità intesa come "sentire" umano, il mistico. Ma mutando lo scenario è chiaro che l'uomo diventa guerriero naturale, e quindi vengono esaltate le forze , le qualità umane più potenti, quell' istintive che sono crudeltà da una parte, e solidarietà dall'altra. Ma l'agire non è più relazionato al"timor di Dio", ma al solo sentire umano. C'è, sempre amio parere, una forma di spontaneismo istintivo umano ,derivato dall'impulso naturale e mediato dalle qualità umane sia concettuali che passionali.
E' chiara quindi l'esaltazione estetica, nel suo significato  più ampio.
Quindi se il credente sublima il dolore e la sofferenza come "prova" da vivere per un mondo migliore nell' al di là, abbassa la testa e sopporta le prove della vita, che è l'atto di sottomissione ad un Dio, in quanto misura dei propri passi nel mondo.
Se non si accetta invece che la misura della propria esistenza sia Dio, è necessario comunque accettare dolore e sofferenza e fin la morte come regola dell'ordine naturale, ma si apre il mondo delle possibilità non più ristrette dal peccato morale e diventa naturale l'ebrezza per sublimare il dolore e la sofferenza rappresentate dentro l'estetica e quindi anche nella rappresentazione della tragedia. E' una forma di "spirtualità" atea. L'estasi, il mistico si spostano nel godere dei frutti della natura, negli esseri viventi che ne brulicano vivendo.


Sì, Nietzsche deve molto ad Eraclito, che è un filosofo complesso, molto più di quel che comunemente si vuol far passare. Deve qualcosa anche a Schopenhauer, di cui non approva la visione pessimistica sulla volontà.
Il conflitto è interno alla regola naturale, è nelle catene alimentari, è quello che con termini morali definiamo ferocia, ma il leone se vuole sopravvivere deve essere feroce e non come termine morale. Il mimetismo animale non è forse un inganno? Ma non è più un termine morale se lo si applica alle regole naturali per sopravvivere, ecc.


P.S. E' mia interpretazione sul pensiero di Nietzsche e miei pure i ragionamenti, quindi prenderli
con il "beneficio d'inventario". Mi sembrava onesto specificarlo.

Apeiron

Citazione di: paul11 il 30 Aprile 2020, 00:27:07 AM

X Aperion
citaz.
Einstein diceva che il mistero del mondo è la sua comprensibilità


Esatto a mio parere è davvero un grande mistero soprattutto se quel mondo appartiene allo stesso umano come rappresentazione di quel mondo, appunto con intuizione e calcolo.
Riprendo volentieri i tuoi interessanti spunti:
1) e' vero, tant' è che nell'antichità i pitagorici erano "chiusi" nella dottrina ermetica, esoterica. Avevano capito che geometria e matematica potevano spiegare il mondo e ciò era un grande potere umano e in quanto tale meglio non diffondere.  C'è stata una geometria "sacra".
L'Accademia di Platone, si dice che non vi si potesse accedere senza conoscenze della geometria.
Euclide fu discepolo di Platone, e  Teeteto , illustre matematico/geometra ,appare in un dialogo socratico.
@Paul,anzitutto preciso che, in effetti, per quanto riguarda le 'quattro ipotesi' che volevo presentare in realtà come 'alternative' idealizzate è certamente vero che - come giustamente hai notato tu - si può 'prendere' qualcosa da più di una di esse senza necessariamente cadere nell'incoerenza.
Sicuramente alcune scuole di pensiero antiche erano molto 'sensibili' al 'mistero' in questione. Il pensiero pitagorico e platonico certamente dà molta importanza alla 'regolarità' nel mondo. Ma è anche vero che la convinzione che i fenomeni fisici rispettassero certe proporzioni era evidente anche per altri pensatori dell'epoca. Eraclito, per esempio: "Quest'ordine del mondo, che è lo stesso per tutti, non lo fece né uno degli dei, né uno degli uomini, ma è sempre stato ed è e sarà fuoco vivo in eterno, che al tempo dovuto si accende e al tempo dovuto si spegne." (fr. 30) e "Mutazioni del fuoco: in primo luogo mare, la metà di esso terra, la metà vento ardente." (fr. 31) (da Wikiquote). Ed Eraclito chiaramente non aveva una grande opinione di Pitagora. Eppure, sull'idea della 'regolarità' del mondo, fondava di fatto la sua filosofia. E anche lui vedeva una profonda connessione tra uomo e questo 'ordine'.

Per quanto riguarda Pitagora, credo che si sappia troppo poco sul suo pensiero per esprimersi. Per Platone...leggendo il Timeo sembra che Platone sostenesse l'ipotesi (3) ovvero di un'intelligenza 'regolatrice' che 'seguendo' le Forme del mondo intellegibile ha 'plasmato' il mondo naturale/sensibile. Ma Platone l'ha anche presentato come un 'mito' e quindi non si può dire se effettivamente la pensava così. Di certo, secondo me, è una possibile lettura della sua filosofia.

Citazione di: paul11 il 30 Aprile 2020, 00:27:07 AM3) esatta anche questa tua formulazione, ci aggiungerei anche qualunque formulazione non
necessariamente religiosa....
Ne mio personale modo di pensare è il principio "forte" per cui c'è qualcosa di intelligente, ribadisco, non necessariamente postulatile come un Dio, dei, ecc. Questa è per me "la verità incontrovertibile" e che Nietzsche, visto che è nel tema della discussione, chiama " uno primigenio".
Sì, la intendevo in senso generico. Intendevo infatti uno spretto enorme di posizioni. Per esempio, la Nous di Anassagora e forse anche il logos di Eraclito (dico 'forse' perché si possono fare ipotesi su cosa fosse di preciso questo 'logos'...).

Certamente, l'assunzione della presenza di una 'realtà esterna' avente una 'regolarità invariabile' e 'comprensibile' fornisce un ottimo 'fondamento' alla nostra conoscenza. Posto che questa regolarità ci sia, come possiamo spiegare la sua comprensibilità?

Certamente ipotizzare la presenza di una 'Mente' (in senso più o meno generico) sia 'responsabile' di tale comprensibilità è secondo me un'ipotesi in fin dei conti plausibile, visto che a priori non ci dovremmo aspettare tale comprensibilità. Curiosità: cosa è l''uno primigenio'? Non ricordo di aver trovato questo concetto nelle mie letture di FN ::)
Citazione di: paul11 il 30 Aprile 2020, 00:27:07 AM4) è "debole" questa posizione, perché un muro è un muro e se "ci sbatto contro" fa male e questo prescinde dalla mia mente, perché contro quel muro chiunque vada a sbatterci si fa male come me.
C'è una realtà naturale e fisica incontrovertibile che non è invenzione mentale umana.
...
Diciamo che anche io ho perplessità sulla posizione 'puramente fenomenologica', nel senso che non sono veramente convinto del fatto che un 'fondamento' serva (non sono sicuro del come avrebbe risposto per esempio Kant...). Quello che però riprendo da questo tipo di filosofie è che concordo che c'è un forte contributo del 'soggetto conoscente' (inoltre, trovo interessanti le prospettive fenomenologiche sul 'problema difficile della coscienza', ad es. il filosofo Michel Bitbol).

Se però manca un 'fondamento' - ovvero una realtà 'in sé' (nel senso del noumeno kantiano) - si riesce veramente ad evitare un 'relativismo' o anche un solipsismo epistemologico/scettico. Se così succede, a questo punto l'ipotesi più ragionevole sembra essere quella di un 'realismo indiretto' (non 'naive').

Citazione di: paul11 il 30 Aprile 2020, 00:27:07 AM
In questo periodo studio anche Nietzsche seguendo cronologicamente le sue opere.
Questo è ,almeno per ora, le considerazioni che a mio parere posso fare.
Nietzsche glissa volutamente la morale, opponendo l'estetica....
Nietzsche ritiene che tutto ciò sia invenzione umana, quindi mantiene la posizione "forte" di un "uno primigenio" dentro la regolarità e ordine dei fenomeni universali, ma accetta tutto ciò che è natura senza illudersi di un Dio religioso e non vede alcuna morale nelle regole naturali .Vede il forte e il debole nella natura e nell'umanità il coraggio e la viltà, la compassione: è questa per Nietzsche la vera misura naturale in cui l'uomo deve a sua volta misurarsi. Quindi sparisce ogni regola morale, e la odia in quanto rende l'uomo debole, mortificato, in attesa......, e quindi non vive come forza vitale i suoi giorni.  A questo punto l'uomo è artefice della propria esistenza, nel senso che vive come forza e potenza e non deve rispondere a nessuno se non a se stesso, all'ordine e regolarità naturale e non c'è  ribadisco alcuna morale; il comportamento umano, l'etica risponde alla sua stessa forza vitale come qualunque vivente, come potenza .
Il problema è che dietro tutti questi discorsi trovo che, ironicamente, Nietzsche che si professava 'umanista' finisce per svalutare una delle più 'rilevanti' abilità dell'uomo: il pensiero contro-fattuale.
In fin dei conti, cosa è l'etica se non (anche) il contrapporre un 'dover essere' a un 'essere'? O in termini meno 'metafisici' cos'è se non (anche) il notare la presenza di 'qualcosa che non va' e cercare un 'rimedio'. Perché l'uomo che non accetta il 'mondo così come è' dovrebbe essere mortificato o 'debole'?
In sostanza, a parer mio, la mia impressione è che Nietzsche, convincendosi della 'bontà' del mondo cercava di dire qualcosa del tipo: "questo mondo in realtà non ha alcun problema. Il problema è presente solo in chi non accetta." Così, in pratica, si costringe l'uomo ad accettare come 'senza problemi' un mondo 'problematico'. In altre parole, per Nietzsche il fatto che "il mondo è così" implica che "il mondo è così e quindi lo si deve 'affermare' (amor fati)".

Anche il solo sognare una 'situazione diversa' (che di fatto è una forma del pensiero contro-fattuale e base del desiderio di trascendenza) per Nietzsche era una sorta di sintomo di maladattamento. Infatti, per lui l'ideale era la totale accettazione, fino ad arrivare al voler affermare questa esistenza per l'eternità (eterno ritorno - amor fati). Scriveva: "la mia formula per la grandezza dell'uomo è amor fati: non volere nulla di diverso, né dietro né davanti a sé, per tutta l'eternità" (Ecce Homo)
Quindi nessuna ricerca di 'andare oltre' la sofferenza, nessuna ricerca di uno 'stato' dove essa è presente ecc. Ma anche senza tirare in ballo qualsiasi nozione di trascendenza, ritengo che seguire il consiglio di Nietzsche sul 'non voler nulla di diverso', alla fine si rischia di arrivare anche ad ostacolare la creatività (direi che il pensiero contro-fattuale può essere un buon aiuto alla creatività...). 


Citazione di: paul11 il 30 Aprile 2020, 00:27:07 AMIl "mentale" umano ,se così posso dire, allora diventa estetica, estasi della propria forza come artefice creativo e ne accetta la tragedia per cui anche quest'ultima diventa rappresentazione epica. L'uomo non è più a misura di un Dio, è a misura di se stesso. Questo non toglie a Nietzsche la compassione umana, la solidarietà, l'umanità intesa come "sentire" umano, il mistico. Ma mutando lo scenario è chiaro che l'uomo diventa guerriero naturale, e quindi vengono esaltate le forze , le qualità umane più potenti, quell' istintive che sono crudeltà da una parte, e solidarietà dall'altra. Ma l'agire non è più relazionato al"timor di Dio", ma al solo sentire umano. C'è, sempre amio parere, una forma di spontaneismo istintivo umano ,derivato dall'impulso naturale e mediato dalle qualità umane sia concettuali che passionali.E' chiara quindi l'esaltazione estetica, nel suo significato  più ampio.
L'affermazione Nietzscheiana finisce per cadere nell'arbitrarietà morale. Se con 'Dio' qui intendiamo qualsiasi 'vincolo' all'espressione della volontà - nessun 'dover essere' che regola l''essere' della volontà - è chiaro che 'tutto è permesso'. In fin dei conti anche se si ammette, per esempio, che ciò che 'bisognerebbe seguire' ciò che favorisce la 'vitalità' allora si sta già vincolando la volontà. In altri termini, ritengo che la filosofia di FN è inconsistente. E ahimé in un tale scenario non solo si manifesta la solidarietà, ma anche la crudeltà  :( e il problema è che Nietzsche è molto esplicito da questo punto di vista (vedi i passi secondo me disturbanti di 'Al di là del Bene e del male' che ho citato in questo post). 

Citazione di: paul11 il 30 Aprile 2020, 00:27:07 AMQuindi se il credente sublima il dolore e la sofferenza come "prova" da vivere per un mondo migliore nell' al di là, abbassa la testa e sopporta le prove della vita, che è l'atto di sottomissione ad un Dio, in quanto misura dei propri passi nel mondo.
Vedi, però, senza voler entrare nel problema della teodicea, il credente non vede la sofferenza come fine. Non c'è il desiderio di affermare anche la sofferenza e il dolore perché non si desidera niente di diverso. La speranza del credente, invece, è quella di un superamente della sofferenza: la sofferenza viene vista in un'ottica più grande, si dà del significato alla sofferenza. Nietzsche è costretto a vedere sofferenza e dolore come un fine, come un oggetto di 'glorificazione' ecc

Citazione di: paul11 il 30 Aprile 2020, 00:27:07 AMSe non si accetta invece che la misura della propria esistenza sia Dio, è necessario comunque accettare dolore e sofferenza e fin la morte come regola dell'ordine naturale, ma si apre il mondo delle possibilità non più ristrette dal peccato morale e diventa naturale l'ebrezza per sublimare il dolore e la sofferenza rappresentate dentro l'estetica e quindi anche nella rappresentazione della tragedia. E' una forma di "spirtualità" atea. L'estasi, il mistico si spostano nel godere dei frutti della natura, negli esseri viventi che ne brulicano vivendo.
Non sono sicuro che N. volesse 'sublimare' la sofferenza e il dolore. Secondo me, invece, N. voleva fare proprio il contrario, ma forse qui ti fraintendo. Per lui il problema era qualsiasi desiderio di 'andare oltre' la sofferenza e il dolore e la 'tragicità della vita'. N. voleva che si accettasse completamente la 'tragicità' - "non voler niente di diverso", dolore, sofferenza e tragicità incluse.

Citazione di: paul11 il 30 Aprile 2020, 00:27:07 AMSì, Nietzsche deve molto ad Eraclito, che è un filosofo complesso, molto più di quel che comunemente si vuol far passare. Deve qualcosa anche a Schopenhauer, di cui non approva la visione pessimistica sulla volontà.
Il conflitto è interno alla regola naturale, è nelle catene alimentari, è quello che con termini morali definiamo ferocia, ma il leone se vuole sopravvivere deve essere feroce e non come termine morale. Il mimetismo animale non è forse un inganno? Ma non è più un termine morale se lo si applica alle regole naturali per sopravvivere, ecc.
Tuttavia, noi possiamo pensare in modo contro-fattuale, immaginarci situazioni diverse. Lo facciamo sempre. Certo che il conflitto è ahimé pervasivo. Ma il fatto che 'sia così' non mi porta necessariamente a pensare che "è così e quindi va bene, lo si deve accettare" oppure anche "è così e quindi deve/dovrebbe essere così".


Citazione di: paul11 il 30 Aprile 2020, 00:27:07 AM
P.S. E' mia interpretazione sul pensiero di Nietzsche e miei pure i ragionamenti, quindi prenderli
con il "beneficio d'inventario". Mi sembrava onesto specificarlo.
Vale anche per quanto scrivo io  :)
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

cvc

Nietzsche vede la ragione come  ostacolo delle forze vitali profonde, come il recinto che le rinchiude, che impedisce la catarsi generata dal verificarsi dell'atto tragico, epico, non mediato dal bisogno di ordine e pace (qui inteso come mediocrità) che porta l'uomo ad accordi e leggi morali, allo stato di diritto piuttosto che al diritto del migliore. Nietzsche non esce mai dalla tensione fra ragione e vitalismo. Per Eraclito l'armonia fra gli opposti è il prevalere della ragione, dell'illuminato che coglie il logos e sta in ascolto del logos. Poi Hegel porta la sintesi della ragione alle estreme conseguenze dicendo che , grazie alla ragione, per l'uomo non c'è più alcun mistero in Dio. Forse è l'assassinio di Dio citato da Nietzsche. Di sicuro è l'assassinio delle istanze di Socrate, del suo non sapere rivelatogli in qualche modo dall'oracolo. Il più sapiente è colui che capisce che la sapienza umana non vale nulla. L'unica sapienza è quella divina. Ma proprio perchè divina, un'uomo non può possederla senza macchiarsi le mani del sangue di Dio, della verità che ama nascondersi stanata e imprigionata a colpi di tesi e antitesi, uccisa dalla sintesi della ragione. Non più l'uomo in ascolto del logos, ma l'uomo padrone del logos.
Ma Nietzsche ha anche riportato alla luce il filosofo antico, che vive la sua filosofia e perisce in essa. Da un certo punto di vista è un martire. Ma non posso essere d'accordo sul considerare la ragione come ostacolo alla vita. Come disse Jung l'inconscio è immensamente più potente, ma è stato l'uomo cosciente (razionale) a costruire tutto ciò che ha costruito. Il raziocinio e le forze vitali più profonde devono collaborare e non duellare all'ultimo sangue.

Saluti
Fare, dire, pensare ogni cosa come chi sa che da un istante all'altro può uscire dalla vita.

paul11

ciao Aperion,


Eraclito, di cui ci giungono parecchi frammenti, scriveva per aforismi, come parecchie opere di Nietzsche. E' più complesso di quel che sembra.
"La natura ama nascondersi" e riteneva che tutta la realtà fosse riconducibile ad un principio originario, primo. La natura trova in Eraclito una complessità che non ha il significato odierno, è più propriamente filosofico, non è il meccanismo soltanto è ciò che avvolge il meccanismo. E' un logos cosmico. L'universo è un ordine unico ed eterno . Credeva agli opposti, ad una dualità che diventava unità, per questo il polemos, il conflitto è interno al cosmos. Quindi il divenire è il passare da un opposto all'altro. Questo sistema per contrasti è chiaramente non allineato all'armonia pitagorica e di altri pensatori. L'armonia per Eraclito si trova quando gli opposti sono in tensione.
Ama la guerra, il polemos, perché è una forma di giustizia naturale, definendo la relazione fra forza e debolezza. Il frammento che dice: " Negli stessi scendiamo e non scendiamo, siamo e non siamo " è stato interpretato in mille modi negli scopi dell'interpretante:il "tutto scorre" è poco eracliteo e molto di Cratilo, maestro di Platone (in seguito sceglierà Socrate per le virtù) e si trova come personaggio in dialogo socratico. Cratilo diventerà un sofista, in quanto se tutto scorre ogni nome dato a ciascuna cosa non ha senso visto che muta continuamente, mentre il nome rimane uguale.
Il termine logos non è fisso, ma già in Eraclito. Logos lo definisce come legame, relazione, o discorso, oppure come principio,ecc.


L'uno primigienio si trova in "Nascita della tragedia" di Nietzsche, opera giovanile.
Nietzsche non è un filosofo ante litteram, ci sono pezzetti di pensieri filosofici riconducibili dentro tutte le sue opere, e per pensiero filosofico  e magari classico, intendo un ragionamento logico che definisca l'intera struttura interpretativa del mondo, dell'universo. Non ha schemi di questo tipo, e penso lo abbia appositamente voluto.  In questo modo ha lasciato buchi che altri filosofi e critici hanno riempito ognuno a loro modo. Ed è per questo che mi fido poco dei critici e filosi su Nietzsche.
Ognuno lo interpreta come vuole.
Non penso che credesse alla bontà del mondo, più semplicemente questo mondo è da prendere quale è perché è impossibile fare diversamente e a mio parere ha delle buone ragioni a porsi in questo modo. E' come dire, riprendendo il discorso precedente, è inutile interpretare il mondo o l'universo, si prende per quello che è  e quindi rifiuta la filosofia in termini di interpretazione appunto del mondo.
A mio parere ha un limite ed un pregio allo stesso tempo, è una contraddizione di impostazione filosofica, perché comunque anche Nietzsche è un interpretante della vita, della natura, dell'estetica, ecc. Ma forse l'uomo è contraddittorio per sua natura, in fondo ragioniamo per comparazioni, per contrasti, per dialettiche e viviamo questi contrasti, opposizioni, come nostre tensioni razionali, emotive, esistenziali. Riesce a farne un pregio della contraddizione, in un modo tutto suo. Quindi sì, è un'affermazione del mondo, ma nel vissuto umano, è la vita umana che interpreta.
Non direi che è accettazione passiva del mondo, entra il gioco la volontà, la forza vitale, la capacità umana di creare, di sognare, di rivivere la stessa natura come opera sua, come opera d'arte, quindi di rappresentarla, di rivivificarla in tragedia con il coro greco, con il ditirambo dionisiaco. E' tutt'altro che passività, è esplosione di estaticità, di potenza, di volontà, perché permettono momenti di gioia, di felicità, di ebbrezza.
Direi che Nietzsche ha fiducia nel mondo e negli umani ,in un certo senso. Abbatte la morale come metodo coercitivo ,condizionante, che piega la volontà umana ad una volontà superiore che per Nietzsche non esiste, se non per quello che è il mondo. Quindi vi è l'esaltazione della forza, della volontà, del guerriero, del coraggio, ma non in termini morali o amorali, non ci sono più perché non ci sono proprio ne mondo, sembra dire Nietzsche. Non significa che il forte stermini, il debole, già nella Tragedia greca vi è l'esaltazione del canto popolare , di uomini uniti e non divisi che festeggiano ebbri d questa unità. Metaforicamente per fare un esempio banale, potrei dire è la gioia esplosiva di quando la nazionale del calcio vince il mondiale, ognuno gode della gioia altrui. In quel momento è all'unisono la moltitudine di persone, è un popolo ebbro. In quel momento non ci sono divisioni di ruoli sociali, di censo, tutti sono eguali.


Dovrei studiare approfonditamente Nietzsche, e non so se ci riuscirò, avrei bisogno di altre...vite.
Ci sono fasi nel pensiero nietzschiano che gli studiosi hanno suddiviso. A mio parere ad un certo punto della sua vita, che presumibilmente corrisponde con la sua malattia, conciano scritti fortemente polemici e poco costruttivi che fece allontanare anche amicizie. Il suo massimo presumibilmente lo tocca con "Così parlò Zarathustra", poi scema.


Il problema della sofferenza è che nel credente viene, per così dire, sublimata e accanto vi è il peccato, il timor di Dio. Questo è un blocco in quanto la sofferenza non viene accettata e allora si teme ala vita come portatrice di dolore e sofferenza che arriva come un ladro senza bussare alla porta.
Un uomo cinico che ne "infischia" di Dio ha gioco facile in umani abituati a sopportare, mansueti nell' abitudine divenuta attitudine all'obbedienza, Più si sopporta e più per contrappasso si avrà di più nell'aldilà. Questo meccanismo è molto chiaro in Nietzsche. L'errore non è nella Sacra Scrittura, ma in chi ha ritenuto di interpretare quelle scritture per  il proprio potere.....umano e ben poco o niente di divino. La fattualità è la storia ed è propria degli uomini che fanno la storia comprese le loro contraddizioni, paure, timori, forze ,debolezze, volontà, passioni.
La sofferenza in Nietzsche è una necessità data nel mondo che a sua volta sublima, se mi è concesso, con la volontà, con la potenza. Non avrebbe esaltato l'estetica ,sarebbe stato un pessimista come Schopenhauer che aveva introdotto la volontà.


Il paradosso  morale che a mio parere c'è in Nietzsche, è che l'uomo proprio per la sua potenza data dalle qualità intellettive e da uno sviluppo psichico che non ha pari in natura , è che qualunque organizzazione umana non è sorretta da un principio istintivo, ma proprio perché esistono strutture culturali, fra le quali la morale, i comportamenti etici sono su opportunità, motivazioni, convenienze, in cui la forza vitale ,la potenza, la volontà giocano un ruolo sui rapporti di forza interni al sistema umano che è soprattutto culturale e non direttamente istintivo come quello animale.


Citaz Aperioni
Non sono sicuro che N. volesse 'sublimare' la sofferenza e il dolore. Secondo me, invece, N. voleva fare proprio il contrario, ma forse qui ti fraintendo. Per lui il problema era qualsiasi desiderio di 'andare oltre' la sofferenza e il dolore e la 'tragicità della vita'. N. voleva che si accettasse completamente la 'tragicità' - "non voler niente di diverso", dolore, sofferenza e tragicità incluse.
Sì, è cosi, forse non mi sono espresso bene.


Nietzsche rimane interessante come punto di vista del pensiero, ha il merito di far pensare, riflettere.
E soprattutto penso che certa filosofia, come in Heidegger e parecchi francesi, sarebbe difficile capirli senza passare per Nietzsche.

paul11

 Ciao Cvc,
citaz cvc
Nietzsche vede la ragione come  ostacolo delle forze vitali profonde


Esatto, ed è una chiave di lettura molto importante a parer mio per capire Nietzsche.


E' tutta interessante la tua disamina.


Uno dei problemi per cui Nietzsche sbaglia è che qualunque società umana, aggregazione, comunità, società, che sia una tribù nella più inestricabile foresta o sia nella City delle metropoli tecnologiche, c'è sempre qualcosa di "più alto" della bassezza umana in cui lo stesso uomo crede. Che sia un totem per i propri tabù, che sia la City come cuore della finanza che fa battere i ritmi economici e della stessa vita tecnologica occidentale, tutti guardano a qualcosa che è oltre l'uomo come principio generativo. Non esiste comunità senza un istituto che poggi su principi statuari condivisi e identitari che siano sopra la condizione umana singola, sopra la natura stessa dispensatore di gioia e dolore, che in qualche modo renda giustizia di ciò che l'uomo pensa e non riesce a compiere, ad essere sereni, felici.
E non si può glissare tutto questo,senza cadere in una in-temporalità priva di senso. Il rischio è declamare un uomo che non c'è, che è altro dalla sue vere e reali motivazioni, errori, incombenze, da tutto ciò che è realtà della vita. E' come se l'uomo debba avere una necessità di un metro esterno a lui e questo impulso prima ancora di essere ragione ha costituito e costruito la storia nelle sue bestialità come nelle grandezze.
Nietzsche da più importanza al momento comune della festa che a ciò che ho poc'anzi esposto, ma in realtà è il contrario . E' la festa ebbra di gioia che è solo un momento dentro un tempo scandito da regole e ordini che dichiarano ben altro, non può essere la regola e l'ordine che governa il conflitto e il polemos eracliteo.
E' un martire perché crede in una umanità altra dalla realtà che tutte le storie ,non solo occidentale, narra.  La parte sociale ,delle organizzazioni umane ,non può avere come principio l'ebbrezza orgiastica e il ditirambo dionisiaco, lo può avere come contraltare, come opposto, come denuncia a quella società umana. Così l'estetica, con le Muse , ispira l'artista ad essere contro, a denunciare le ipocrisie sociali, a osservare a trecentosessanta gradi per poterne cogliere gli aneliti umani, i bisogni profondi e mortificati dalla realtà, dalle condizioni sociali.

Apeiron

#21
Ciao Paul,

Citazione di: paul11 il 01 Maggio 2020, 12:17:33 PM
ciao Aperion,


Eraclito, di cui ci giungono parecchi frammenti, scriveva per aforismi, come parecchie opere di Nietzsche. E' più complesso di quel che sembra.
"La natura ama nascondersi" e riteneva che tutta la realtà fosse riconducibile ad un principio originario, primo. La natura trova in Eraclito una complessità che non ha il significato odierno, è più propriamente filosofico, non è il meccanismo soltanto è ciò che avvolge il meccanismo. E' un logos cosmico. L'universo è un ordine unico ed eterno . Credeva agli opposti, ad una dualità che diventava unità, per questo il polemos, il conflitto è interno al cosmos. Quindi il divenire è il passare da un opposto all'altro. Questo sistema per contrasti è chiaramente non allineato all'armonia pitagorica e di altri pensatori. L'armonia per Eraclito si trova quando gli opposti sono in tensione.

Sì, concordo totalmente sulla lettura di Eraclito! Concordo con te che Eraclito è un pensatore molto complesso. I suoi 'frammenti' sono estremamente 'densi'...

Il 'divenire' è solo una parte, seppur innegabilmente importante di Eraclito. E, credo che si possa affermare che il divenire in realtà è un'altra forma, per Eraclito, di armonia-tensione degli opposti. In realtà, come ben osservi Eraclito è ben esplicito sulla 'permanenza' del logos, dell''armonia-tensione'...

Citazione di: paul11 il 01 Maggio 2020, 12:17:33 PM
Ama la guerra, il polemos, perché è una forma di giustizia naturale, definendo la relazione fra forza e debolezza.

Sì, leggendo i suoi frammenti il 'conflitto/discordia' sembra di fatto l'armonia-tensione degli opposti. Il mio problema con Eraclito però è proprio questo 'amore' però...


Citazione di: paul11 il 01 Maggio 2020, 12:17:33 PM
Il frammento che dice: " Negli stessi scendiamo e non scendiamo, siamo e non siamo " è stato interpretato in mille modi negli scopi dell'interpretante:il "tutto scorre" è poco eracliteo e molto di Cratilo, maestro di Platone (in seguito sceglierà Socrate per le virtù) e si trova come personaggio in dialogo socratico. Cratilo diventerà un sofista, in quanto se tutto scorre ogni nome dato a ciascuna cosa non ha senso visto che muta continuamente, mentre il nome rimane uguale.

Riguardo ai frammenti del fiume, è interessante, secondo me, questa analisi filologica nella Stanford Encyclopedia of Philosophy:

Citazione
There are three alleged "river fragments":

    B12. potamoisi toisin autoisin embainousin hetera kai hetera hudata epirrei.

        On those stepping into rivers staying the same other and other waters flow. (Cleanthes from Arius Didymus from Eusebius)

    B49a. potamois tois autois ...

        Into the same rivers we step and do not step, we are and are not. (Heraclitus Homericus)

    B91[a]. potamôi ... tôi autôi ...

        It is not possible to step twice into the same river according to Heraclitus, or to come into contact twice with a mortal being in the same state. (Plutarch)

Of these only the first has the linguistic density characteristic of Heraclitus' words. The second starts out with the same three words as B12, but in Attic, not in Heraclitus' Ionic dialect, and the second clause has no grammatical connection to the first. The third is patently a paraphrase by an author famous for quoting from memory rather than from books. Even it starts out in Greek with the word 'river,' but in the singular.  There is no evidence that repetitions of phrases with variations are part of Heraclitus' style (as they are of Empedocles'). To start with the word 'river(s)' goes against normal Greek prose style, and on the plausible assumption that all sources are trying to imitate Heraclitus, who does not repeat himself, we would be led to choose B12 as the one and only river fragment, the only actual quotation from Heraclitus' book.


Traduzione:

Citazione
Ci sono tre presunti 'frammenti del fiume':

    B12. potamoisi toisin autoisin embainousin hetera kai hetera hudata epirrei.

        Su quelli che scendono negli stessi fiumi diverse ed ancora diverse acque scorrono. (Cleante da Ario Didimo da Eusebio)

    B49a. potamois tois autois ...

          Negli stessi fiumi scendiamo e non scendiamo, siamo e non siamo. (Eraclito Omerico)

    B91[a]. potamôi ... tôi autôi ...

          Non è possibile scendere due volte nello stesso fiume secondo Eraclito, o entrare in contatto con la stessa sostanza mortale nello stesso stato. (Plutarco)

Di questi solo il primo ha la densità linguistica caratteristica delle parole di Eraclito. Il secondo inizia con le stesse tre parole di B12, ma in Attico, non nel dialetto Ionico di Eraclito, e la seconda frase non ha una connessione grammaticale con la prima. Il terzo è palesemente una parafrase di un autore famoso per citare dalla memoria piuttosto che dai libri. Inizia anche in Greco con la parola 'fiume', ma al singolare. Non c'è evidenza che le ripetizioni delle frasi con variazioni sono parte dello stile di Eraclito (come lo sono nel caso di Empedocle). Iniziare con 'fiume(i)' va contro lo stile della prosa greca, e sotto un'assunzione plausibile che tutte le fonti stavano imitando Eraclito, che non si ripete, siamo condotti a scegliere B12 come l'unico frammento del fiume, l'unica vera citazione del libro di Eraclito.

Ovviamente, la cosa rimane speculativa ma l'analisi dell'autore è molto interessante. Probabilmente, il "non si può scendere due volte nello stesso fiume" è una parafrasi del pensiero di Eraclito. Tenendo per buono il primo frammento, il divenire sembra un'altra forma della armonia-tensione degli opposti, dove il fiume rimane uguale mentre le acque cambiano (qundi sì, in un certo senso è anche vero che "non si può scendere due volte nello stesso fiume", ma tale parafrasi non dice tutta la storia...).


Citazione di: paul11 il 01 Maggio 2020, 12:17:33 PM
Il termine logos non è fisso, ma già in Eraclito. Logos lo definisce come legame, relazione, o discorso, oppure come principio,ecc.

Concordo... probabilmente la sua concezione di 'legge della natura' era in qualche modo vicina a quella di 'legge di una città/polis'. (comunque, anche se sono critico di Eraclito, trovo alcuni suoi frammenti bellissimi...)

Citazione di: paul11 il 01 Maggio 2020, 12:17:33 PM
L'uno primigienio si trova in "Nascita della tragedia" di Nietzsche, opera giovanile.
Nietzsche non è un filosofo ante litteram, ci sono pezzetti di pensieri filosofici riconducibili dentro tutte le sue opere, e per pensiero filosofico  e magari classico, intendo un ragionamento logico che definisca l'intera struttura interpretativa del mondo, dell'universo.
...


Ok, capito



Citazione di: paul11 il 01 Maggio 2020, 12:17:33 PM
Non penso che credesse alla bontà del mondo, più semplicemente questo mondo è da prendere quale è perché è impossibile fare diversamente e a mio parere ha delle buone ragioni a porsi in questo modo.
...
Non direi che è accettazione passiva del mondo, entra il gioco la volontà, la forza vitale, la capacità umana di creare, di sognare, di rivivere la stessa natura come opera sua, come opera d'arte, quindi di rappresentarla, di rivivificarla in tragedia con il coro greco, con il ditirambo dionisiaco. E' tutt'altro che passività, è esplosione di estaticità, di potenza, di volontà, perché permettono momenti di gioia, di felicità, di ebbrezza.


Mi sono espresso male, probabilmente. Non intendevo dire che Nietzsche raccomanda una 'passività' di fronte alla vita. Volevo semmai dire che la sua raccomandazione è quella invece di viverla col 'massimo coinvolgimento' possibile, senza 'scartare' ogni aspetto di essa, anche quelli che sono dolorosi, tragici, terrificanti... Ed è per questo che a me sembra una filosofia 'estrema'.

La stessa 'dottrina' dell''eterno ritorno' di fatto non è che una riproposizione di questo tipo di idea:

Citazione

"Il peso più grande

Che accadrebbe se, un giorno o una notte, un demone strisciasse furtivo nella più solitaria delle tue solitudini e ti dicesse: «Questa vita, come tu ora la vivi e l'hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte, e non ci sarà in essa mai niente di nuovo, ma ogni dolore e ogni piacere e ogni pensiero e sospiro, e ogni indicibilmente piccola e grande cosa della tua vita dovrà fare ritorno a te, e tutte nella stessa sequenza e successione – e così pure questo ragno e questo lume di luna tra i rami e così pure questo attimo e io stesso. L'eterna clessidra dell'esistenza viene sempre di nuovo capovolta e tu con essa, granello di polvere!». Non ti rovesceresti a terra, digrignando i denti e maledicendo il demone che così ha parlato? Oppure hai forse vissuto una volta un attimo immenso, in cui questa sarebbe stata la tua risposta: «Tu sei un dio e mai intesi cosa più divina»? Se quel pensiero ti prendesse in suo potere, a te, quale sei ora, farebbe subire una metamorfosi, e forse ti stritolerebbe; la domanda per qualsiasi cosa: «Vuoi tu questo ancora una volta e ancora innumerevoli volte?» graverebbe sul tuo agire come il peso più grande! Oppure, quanto dovresti amare te stesso e la vita, per non desiderare più alcun'altra cosa che questa ultima eterna sanzione, questo suggello?" (La Gaia scienza, 341)


Personalmente, credo che l''eterno ritorno' sia di fatto la culminazione del pensiero di Nietzsche (indipendentemente se sia preso come 'vero'...). In fin dei conti, la 'richiesta' di Nietzsche è affermare la vita in tutti i suoi aspetti, anche quelli terrificanti fino al punto di 'volerla' per tutta l'eternità. Questa 'affermazione' del 'terrificante' è proprio quello che trovo 'disturbante' della filosofia di Nietzsche (e che lui pensava probabilmente impossibile per l'uomo, ergo l'oltre-uomo...).

Riguardo alla 'non accettazione' degli aspetti più 'oscuri' della vita e quindi la ricerca di una 'via d'uscita', una prospettiva più grande ecc...penso che criticare questo tipo di atteggiamento dventa esso stesso una 'resa', ovvero trasformare lo 'staus quo' in un 'dover-essere'. 

Citazione di: paul11 il 01 Maggio 2020, 12:17:33 PM

Direi che Nietzsche ha fiducia nel mondo e negli umani ,in un certo senso. Abbatte la morale come metodo coercitivo ,condizionante, che piega la volontà umana ad una volontà superiore che per Nietzsche non esiste, se non per quello che è il mondo. Quindi vi è l'esaltazione della forza, della volontà, del guerriero, del coraggio, ma non in termini morali o amorali, non ci sono più perché non ci sono proprio ne mondo, sembra dire Nietzsche. Non significa che il forte stermini, il debole, già nella Tragedia greca vi è l'esaltazione del canto popolare , di uomini uniti e non divisi che festeggiano ebbri d questa unità. Metaforicamente per fare un esempio banale, potrei dire è la gioia esplosiva di quando la nazionale del calcio vince il mondiale, ognuno gode della gioia altrui. In quel momento è all'unisono la moltitudine di persone, è un popolo ebbro. In quel momento non ci sono divisioni di ruoli sociali, di censo, tutti sono eguali.

Ok...personalmente, credo che anche questo sia vero nella filosofia di Nietzsche, ma allo stesso tempo l'assenza della 'morale' non vincolando l'espressione della volontà fa in modo che anche manifestazioni 'terrificanti' di essa possano esistere senza problemi. Personalmente, quindi, ritengo che, invece, il conflitto umano così come la 'sopraffazione' (vedi il passo di 'Al di là del bene e del male' citato nel link del messaggio precedente) sia visto in qualche modo 'positivamente'.

Citazione di: paul11 il 01 Maggio 2020, 12:17:33 PM

Nietzsche rimane interessante come punto di vista del pensiero, ha il merito di far pensare, riflettere.

Su questo concordo!
P.S. Sulla questione del frammento, l'autore dell'articolo della SEP afferma:
CitazioneThe major theoretical connection in the fragment is that between 'same rivers' and 'other waters.'  B12 is, among other things, a statement of the coincidence of opposites. But it specifies the rivers as the same. The statement is, on the surface, paradoxical, but there is no reason to take it as false or contradictory. It makes perfectly good sense: we call a body of water a river precisely because it consists of changing waters; if the waters should cease to flow it would not be a river, but a lake or a dry streambed. There is a sense, then, in which a river is a remarkable kind of existent, one that remains what it is by changing what it contains
Traduzione:

CitazioneLa maggiore connessione teoretica nel frammento è tra 'stessi fiumi' e 'diverse acque'. B12 è, tra le varie cose, un'affermazione della coincidenza degli opposti. Ma specifica i fiumi come gli stessi. L'affermazione è a prima vista paradossale ma non c'è ragione per prenderla come falsa o contraddittoria. Ha perfettamente senso: chiamiamo un corpo d'acqua un fiume propro perché consiste di acque che cambiano; se le acque smettessero di fluire non sarebbe un fiume, ma un lago o un letto asciutto. C'è un senso, quinid, in cui il ffume è un interessante tipo di esistente, uno che rimane lo stesso mutando ciò che contiene.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Apeiron

Una precisazione su questo estratto del post precedente:
CitazioneSì, leggendo i suoi frammenti il 'conflitto/discordia' sembra di fatto l'armonia-tensione degli opposti. Il mio problema con Eraclito però è proprio questo 'amore' però...
Nella prima frase volevo dire che il 'conflitto/discordia' per Eraclito sembra una manifestazione dell'armonia-tensione degli opposti.

Riguardo alla seconda, posso concordare che in certi casi l''armonia-tensione' è molto affascinate come ad esempio il caso 'dell'arco e della lira' (per citare un altro frammento di Eraclito)...
D'altra parte, però, direi che è tutt'altra cosa affermare il conflitto/discordia. Anche in questo caso, come nella filosofia di Nietzsche, si arriva secondo me ad una assurda 'esaltazione' anche degli aspetti più terrificanti del mondo (seppur in modo diverso da Nietzsche...)  :(
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

paul11

#23
ciao Aperion,


Mi veniva in mente un dialogo socratico di Platone "Cratilo" (discepolo "estremista" di Eraclito), che tratta sull'origine dei nomi.
Così Socrate dice: " La rotazione simultanea riguarda sia il cielo, che chiamano "poli", sia l'armonia del canto che viene denominata sinfonia,perché tutto questo, come affermano gli esperti di musica ed astronomi, "gira" insieme secondo una certa armonia. E Apollo presiede all'armonia, sia presso gli dei che gli uomini."
"Il nome di Ermete riguarda il discorrere e l'essere e il dio interprete e messaggero e ladro ingannatore nei discorsi e commerciante: tutta questa attività riguarda il potere del discorso . Il discorso si muove sempre ed è duplice: vero o falso. La parte vera di esso è levigata e divina e dimora in alto, tra gli dei, mentre quella falsa abita in basso, tra la moltitudine degli umani, ed è ruvida e caprina : qui nella vita tragica, si trova infatti, la maggior parte dei miti e della menzogna.
Pan, figlio  della duplice  natura di Ermete, liscio nella parte superiore, ruvido e caprino nella parte inferiore."
...e ancora dice Socrate: "I nomi sono stati dati alle cose come se si muovessero e scorressero e divenissero totalmente...La saggezza significa pensiero del moto e del flusso....Comprendere significa che l'anima procede insieme con le cose. Sapienza significa " raggiungere il movimento".
....Bene significa ciò che è ammirevole in tutta la natura.....Necessario è ciò che resiste; volontario è ciò che cede e non resiste....Verità è il divino movimento dell'ente, la menzogna è il contrario del movimento."
..infine Socrate dice: " Chi  ha posto i nomi non intendeva indicare gli oggetti che vanno e si muovono , bensì quelli che permangono...Le cose vanno imparate e cercate non a partire dai nomi, bensì a partire da se stesse molto più che dai nomi.....Ma non è neppure ragionevole parlare di conoscenza, se tutti gli esseri mutano e nulla permane.

Quindi la visione finale di Socrate è che la conoscenza permane e non fluisce ed è il superamento dell'eraclitismo e fondamento della conoscenza.


Questa premessa lunga tocca sia Nietzsche che Eraclito. Perché entrambi vedono una sola parte del vero. Non mi convince la divisione apollinea e dionisiaca in Nietzsche. Se studiano attentamente i miti e i gli scritti di Esiodo ed altri si vedrà che c'è una costante nel divorare da parte del padre il figlio , in Crono il titano, da cui si salva Zeus;, in Apollo, in Dioniso stesso che finisce divorato.
Qualche studioso addirittura ritiene che Apollo e Dioniso siano la stessa persona, la duplice faccia di una stessa medaglia,  e chi ritiene Dioniso e Orfeo la stessa persona. Non è così semplice e banale
entrare nei reconditi sotterranei della cultura greca.
C' è una duplice visione nella cultura greca che riescono a far convivere, come ad esempio da una parte rispettare gli dei in Socrate, ma dall'altra credere al culto dell'orfismo e della trasmigrazione  delle anime(metempsicosi) che esprime chiaramente in un altro dialogo socratico.
Le costanti e le variabili, come in matematica, gli enti fermi e le essenze e il divenire del fluire dei movimenti, la vita e la morte, la conoscenza , la verità e la menzogna.
Nietzsche non risponde a tutto questo, come ho già scritto "glissa" per vedere solo una parte.


Eraclito e Nietzsche, concordano sul "fatto interpretato". Intendo dire che osservano il mondo quale è e lo leggono a loro modo e in questo caso il conflitto il polemos è interno al procedere del mondo.
Hanno a mio parere in questo delle buone ragioni che la storia umana evidenzia.


Citaz Aperion
Mi sono espresso male, probabilmente. Non intendevo dire che Nietzsche raccomanda una 'passività' di fronte alla vita. Volevo semmai dire che la sua raccomandazione è quella invece di viverla col 'massimo coinvolgimento' possibile, senza 'scartare' ogni aspetto di essa, anche quelli che sono dolorosi, tragici, terrificanti... Ed è per questo che a me sembra una filosofia 'estrema'. 


Faccio un esempio del tutto naturale, un carnivoro che crudelmente inizia a divorare una preda quasi torturandola, perché non è ancora morta.
E' una atto rabbrividente, ci da fastidio . Si tratterebbe di capire quanto è morale per noi e quanto è invece è naturale per quello che è. Che cosa davvero nasce in noi da quell'atto. Noi utilizziamo termini morali :terrificante, crudele, ecc. Ma se dovessimo spogliare i termini morali dai vocabolari, la natura sarebbe rappresentata per quello che è. Risulterebbe forse contraddittoria e forse emergerebbe qualche altra verità. Il mio ,ribadisco, è un tentativo di capire la "mente" di Nietzsche.


Penso, ma non sono così sicuro, perché dovrei addentrarmi in turi gli scritti di Nietzsche, che il super uomo e l'eterno ritorno, sono coerenti nella sua visione del mondo e dell'uomo.
Se tutto fluisce e se si pensa che non abbia origine e fine ,perché ciò che importa è cosa e come si da il mondo e quindi niente filosofie teleologiche o verità incontrovertibile, si apre il solo fluire del tempo che viene ,va e ritorna come una rotazione su se stessa, appunto un eterno ritorno.
Il super uomo è l'abbandono totale della tradizione culturale intrisa da morali che hanno sottomesso gli umani agli dei e a Dio. Per Nietzsche , penso ma ribadisco non ho mai approfondito più di tanto, sarebbe un automatismo.

iano

#24
Citazione di: paul11 il 26 Aprile 2020, 11:40:46 AM
Nietzsche distingue il pensiero genuinamente filosofico, dal pensiero calcolante.
Il filosofo è mosso da una intuizione mistica,dalla fede nell'unità delle cose, che non proviene dalla ragione. Questa intuizione ci spinge al di là dei limiti dell'esperienza. L'intelletto calcolatore poi la segue pesantemente, cercando degli appoggi. Il pensiero filosofico non va confuso con il pensiero calcolante., perché percorre rapidamente grandi spazi, mentre quello calcolante procede a tentoni. E perché è spinto dalla fantasia, una forza illogica, che lo fa balzare di possibilità in possibilità. Il filosofo sa  dunque che il suo linguaggio, la dialettica, è inadeguato a esprimere l'unità mistica che sta al di là delle cose, ma questo linguaggio è l'unico mezzo per esprimere metaforicamente ciò che ha contemplato.
Il filosofo sa distinguere ciò che è più grande e più importante, più meritevole di essere conosciuto, da ciò che non lo è.
La scienza per contro si getta a capofitto sulle cose che divora tutte, senza distinguere,
La filosofia disciplina il desiderio di conoscenza con il concetto di grandezza, indirizzando il sapere verso l'essenza delle cose.
Da quello che desumo dalla lettura di questo post direi che FN non sia animato da un amore per la semplificazione.
Credo che ogni distinzione nasca da necessità, col rischio , se funziona , di farsi realtà.
Il rischio è che ogni nuova distinzione diversa appaia assurda , faticando ad affermarsi , per quanto dimostri di funzionare.
Le distinzioni poi a volte sembrano nascere da se', candidandosi fin dall'inizio a papabili realtà.
Viene da se' infatti distinguere il pensiero calcolante da quello filosofico se l'origine dell'uno ci sembra chiara, mentre l'altra oscura.
Ma , fino a prova contraria , ciò è la sola cosa che li distingue.
Assumere infatti , sebbene arbitrariamente , che siano la stessa cosa , sarebbe l'indizio  di una volontà semplificatrice.
Il fatto che i due pensieri si integrino a vicenda di modo che una polarizzazione spinta appaia sintomo di impoverimento sosterrebbe la suddetta scelta.
Non è da pensare che tutti i calcoli debbano essere coscienti ( se ne conosce e se ne può seguire lo svolgimento ) per poter essere definiti tali.
Quando un computer dimostra un teorema non possiamo seguire lo svolgimento dei calcoli , ma sarebbe difficile sostenere che quella dimostrazione non derivi dal calcolo.
Seppure non possiamo sostenerlo per certo , sarebbe quantomeno una utile complicazione .
Se decidiamo di sostenerlo diremo allora che il computer è dotato di intuito?
È possibile seguire calcoli , se sufficientemente semplici , e condividerne i risultati .
Ma ciò che con più certezza condividiamo non sembra derivare da calcolo.
Ma allora come facciamo a condividerlo?



Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

iano

#25
E se sono apparso arido nell'esposizione ,essendomi sbilanciato sul pensiero calcolante , non bisogna dimenticare che esso è il prodotto di una distinzione che ci permette di governare la realtà, non la realtà .
Che il calcolo sia applicabile alla realtà è un dato di fatto , e noi non siamo in grado di andare oltre i dati di fatto , anche quando ci sembra di farlo , solo perché con la velocità di un computer , che non sospettiamo di avere , ci sembra di saltare da palo in frasca senza un percorso nel mezzo.
I mezzi che costruiamo ci dicono molto di quel che siamo , e da quel che capiamo di essere,  il nostro pensiero calcolante cosciente , cauto , lento e prudente ha già di che restare stupefatto e andare fuori giri  in estasi.
Di certo noi siamo più di ogni parte che riusciamo ad esplicitare , ma ciò non dovrebbe risultare un mistero.
L'universo è certamente meraviglioso se una sua esplicita povera parte, noi , non smette mai di sorprenderci.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Apeiron

#26
Citazione di: paul11 il 02 Maggio 2020, 15:22:23 PM
...
Ciao Paul,

Grazie per la citazione del 'Cratilo', dialogo platonico che putroppo non ho mai letto. L'attribuire nomi alle cose si deve ad un'assunzione di partenza, ovvero che esse permangono per qualche tempo (almeno in un certo senso). Senza questa assunzione, crolla il linguaggio. D'altra parte, dissento con il fatto che la conoscenza possa essere presente solo quando si riesce a distinguere qualcosa di, almeno 'relativamente', fisso. A Cratilo si attribuisce l'idea - penso sia stato Aristotele a farlo - che non è possibile nemmeno scendere una volta nel fiume, proprio perché l'acqua continua a cambiare, e quindi non si potrebbe a rigore attribuire un nome ad esso ma solo puntare il dito. Quello che voglio dire è che, secondo me, 'conoscenza' può anche essere qualcosa di 'negativo', ovvero comprendere che 'qualcosa' non può essere compreso in un certo modo. Quello che dice Cratilo ha un che di vero, in fin dei conti. Per lo meno, da un certo punto di vista, è vero che il fiume non rimane mai lo 'stesso' e quindi si può dire che un linguaggio che si basa su concetti 'stabili' non può 'afferrare' completamente una realtà in divenire. D'altra parte, però, c'è una continuità nel continuo scorrere delle acque che ci permette di attribuire a tale corrente un nome unico. Il mistero del 'divenire'...

Riguardo alla mitologia greca, purtroppo non  sono molto 'ferrato' nell'argomento, però concordo con te. Credo che Nietzsche avesse anche lui una visione parziale della questione. La cultura greca era estremamente complessa e abbastanza 'malleabile', non a caso come osservi tu sono stati introdotti miti probabilmente 'estranei' ad essa, nonché in fin dei conti la filosofia stessa, dove i primi filosofi 'riadattavano' il mito alla loro filosofia...in molti casi non perché 'disprezzassero' il mito ma perché cercavano di integrare anch'esso in una nuova prospettiva. Purtroppo non so molto nemmeno del 'primo' Nietzsche - ho letto solo la 'Filosofia nell'Età tragica dei greci' - ma anche a me ha dato l'idea di un'analisi 'parziale' (il che probabilmente è inevitabile...).

Concordo poi che in Nietzsche ed Eraclito ci sia un consenso sulla questione del Polemos - personalmente, credo però che esagerino nell'importanza da dare ad esso. In ambo i casi sembrano vedere il Polemos come il principio di differenziazione (es. frammento 53 di Eraclito) ed entrambi lo 'esaltano' in modo secondo me erroneo, tra l'altro fino ad arrivare probabilmente a dire che il conflitto sia l'unico modo in cui si presentano le differenziazioni, le diversità. In questo sito, si riportano due fonti antiche affermano che Eraclito criticava Omero perché Achille diceva "vorrei che la contesa sparisse tra dei e mortali". In particolare, dal sito:

Citazione
    Aristotle writes (Eudemian Ethics 1235a25), "Heraclitus rebukes the poet who wrote, 'Would strife might perish out of heaven and earth,' for, he says, there would be no harmony without high and low notes, and no animals without male and female, which are opposites."

    Scholia to Iliad 18.107 writes this: "Heraclitus, who believes that the nature of things was constructed according to strife, finds fault with Homer, on the grounds that he is praying for the destruction of the cosmos" (Kahn 204).



Traduzione:

Citazione

Aristotele scrive (Etica Eudemia 1235a25): "Eraclito rimprovera il poeta che scrisse 'che possa la contesa perire nel cielo e nella terra', perché, egli dice non ci sarebbero armonie senza alte e basse note, nessun animale senza maschi e femmine, che sono opposti"

Scholia su Iliade 18.107 scrive questo: "Eraclito, che ritiene che le cose sono costruite secondo la contesa, critica Omero, per il motivo che egli sta pregando per la distruzione del cosmo."


In pratica, non solo dire che c'è il conflitto, ma addirittura criticare in quel modo chi spera in una cessazione...proprio come Nietzsche, sembra che Eraclito vedesse questo tipo di speranza come una forma di 'maladattamento'.

Con il rapporto preda-predatore penso che hai portato un perfetto esempio di come è la lettura di Nietzsche di queste cose - e di quanto è erronea. Dire che la nostra reazione alla scena è sbagliata perché "così vanno le cose", "perché è naturale che succeda così" ecc si basa sull'assunzione che si debbano adattare le proprie convinzioni - e il proprio 'sentire' - allo status quo. Mi sembra chiaro come tale prospettiva poco si adatta non solo a noi ma anche agli animali che partecipano a tale istanza della 'lotta per l'esistenza' (entrambi visto che il predatore stesso caccia la preda perché in fin dei conti è mosso dalla necessità e magari anche dalla necessità di sfamare i cuccioli...).
Ma per fare anche un esempio più 'terribile', anche un essere umano può, in linea di principio, avere lo stesso 'destino' (e una volta non era così raro...). A questo punto 'conta ancora' il voler portare la prospettiva del fatto che "così vanno le cose" e quindi si dovrebbe anche 'affermare' tale momento? Oppure senza scomodare tale estrema evenienza, consideriamo una situazione in cui si faticava e si soffriva anche solo per riuscire a mangiare e sopravvivere, dove si doveva combattere contro le intemperie e le malattie molto più che oggi e magari anche i predatori e si era in ansia per il costante pericolo - ebbene in tale situazione mi chiedo se con tutta quella sofferenza si potesse pensare ad una reazione 'affermatrice' alla seguente affermazione (cito dall'estratto de La Gaia Scienza) "Questa vita, come tu ora la vivi e l'hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte, e non ci sarà in essa mai niente di nuovo, ma ogni dolore e ogni piacere e ogni pensiero e sospiro, e ogni indicibilmente piccola e grande cosa della tua vita dovrà fare ritorno a te". Il discorso è che, secondo me, la prospettiva di Nietzsche richiede proprio una sorta di auto-imposizione di una prospettiva artificiale e disturbante secondo cui gli aspetti più terrificanti della vita debbano essere 'affermati' perché "così vanno le cose" - non penso che, per esempio, nell'esempio di prima l'uomo che soffriva e rischiava ogni giorno anche solo per procurarsi il cibo e magari anche vittima (diretta o indiretta) di qualche crimine di un altro uomo (magari anche orrori della crudeltà umana, delle guerre ecc) volesse "vivere ancora la vita ancora una volta e innumerevoli volte come l'ha vissuta". Oppure, in altre parole, la prospettiva viene 'forzata' verso una ben precisa direzione, quella dove si 'accettano attivamente' anche le situazioni più terribili e il rifiuto di tale prospettiva viene visto come una forma di maladattamento (se questa è libertà...).

Quando parlavo del 'pensiero controfattuale' intendevo proprio questo, ovvero che l'uomo notando una determinata situazione si immagina situazioni diverse, magari mai avvenute, stati privi di determinate caratteristiche. Per esempio, vivere esperienze dolorose - magari una vita piena di questo tipo di esperienze, magari anche vedere gli orrori della crudeltà umana, della guerra - ci può far sognare, far sperare, far immaginare situazioni in cui il dolore non è presente (capacità che probabilmente è presente sono nell'essere umano...). Il desiderio di 'liberazione' perciò sembra nascere proprio da questa straordinaria abilità di immaginare, di sognare, di 'andare oltre', in questo caso con l'immaginazione, il pensiero ecc - e tale desiderio non sembra a me nato da una qualche imposizione, da un qualche risentimento, ma mi pare una cosa estremamente innocente e spontanea. La posizione di Nietzsche sembra a me proprio un tentativo di voler sopprimere questo nobile desiderio. Perché mai dovrei considerare come un 'maladattamento' questo tipo di desiderio? Perché mai dovrei considerarlo frutto del risentimento? Mi sembra, appunto, qualcosa di spontaneo.

Riguardo a oltre-uomo ed eterno ritorno sì, concordo, nella filosofia di Nietzsche sono elementi centrali del suo pensiero e coerenti nella sua visione. E il fatto che lui abbia parlato dell'oltre-uomo in connessione all'amor-fati e all'eterno ritorno mi fa pensare che, appunto, lui non riteneva realizzabile tale sua filosofia per l'uomo...
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

paul11

 Ciao Iano,


Personalmente inserirei il pensiero filosofico e calcolante dentro l'insieme della teoria della conoscenza, vale a dire la relazione che intercorre fra soggetto come agente conoscitivo e oggetto della realtà. Laddove sia per soggetto che per realtà intenderei di significato molto ampio e comprendente tutto. La relazione costituirebbe la forma linguistica scelta in funzione dell'ambito conoscitivo. Il mistico presenterebbe quindi un linguaggio fortemente soggettivato, come vissuto esistenziale; il calcolante avrebbe un linguaggio segnico e simbolico dove il vero e il falso sono dirimenti, sarebbe povero di soggettività e ricco di conoscenza scientifica soprattutto quantitativa e meno qualitativa.
La via scelta per la conoscenza è multiforme e gli scopi e modalità possono essere diversi, anche se alla fine le esigenze e motivazioni nascono intimamente nell'uomo. Le vie più mistiche sono tendenti all'individualismo, quelle più convenzionali che necessitano di intersoggettività e convenzioni linguistiche sociali.Quindi la scienza moderna sceglie per necessità un linguaggio formale calcolante, il filosofo alterna il formale e l'informale, fra il logico e  l'estetico.
Affinchè il pensiero calcolante abbia effetto ha necessità di un linguaggio assertivo superficiale per necessità se vuole condividere il metodo sperimentale che è riterazione dell'esperimento e giustificazione nel sensitivo. Fin qui va bene anche un Wittgenstein, oltre non aiuta in nulla perché l'uomo non funziona per algoritmi se vuole creare e non paralizzarsi al fenomeno visivo.
Ma adatto che uno scienziato ed un artista o pensatore sono tutti umani con medesime qualità e caratteristiche intellettive e psichiche, le due forme di conoscenza si intersecano, laddove allo scienziato serve la creatività e all'artista la tecnica materica.


Quindi penso, se non ho capito male, che anche tut segua il medesimo ragionamento detto in altro modo.
Il pensiero calcolante in sé e per sé non porterebbe conoscenza, incapace di andare oltre al calcolo dei segni e simboli, non può creare altri segni e simboli, necessita di creatività e intuto per costruire nuova conoscenza per mettere in discussione i suoi stessi teoremi e algoritmi.

paul11

 Ciao Aperion,


il problema di dare nomi a cose che mutano signifca dare un principio d'identità e da questa poi
seguire le regole categoriali, tassonomiche, di come e dove collocare quel nome.Ogni nome dichiara un significato, una caratteristica. Anche se non conosciamo perfettamente la galassia più lontana all'occhio umano, non vuol dire che non si debba dargli un nome. Il fiume è composto da acqua ed è l'acqua che muta nei suoi cicli, non il nome del fiume. Infatti da i nomi, dalle causazioni, dalle forme e sostanze , si arriva all'essenza delle cose, degli enti. Anche noi umani mutiamo fisicamente con gli anni, ma non cambiamo nome ogni giorno.
Se si "corre dietro" al divenire nulla sarebbe conoscibile, mutiamo noi e ogni fenomeno in divenire.
Ma una legge fisica è un poco come "bloccare" e fissare una conoscenza che ha però dentro di sé variabili e costanti, ha il divenire e la sua essenza che non muta.


L'essenza del divenire è la contesa, a mio parere Eraclito e Nietzsche dicono qualcosa di ragionevolmente vero. La pace è un equilibrio fra opposti, ma che non nega la contesa interna.
Persino dottrine moderne di politica dicono che un ruolo importante dello Stato è "la pacificazione del conflitto" .Così come particelle atomiche confliggono fra loro e tutto tende ad alterarsi nelle sostanze, come in natura vita e morte e di nuovo vita e poi morte, esistono momenti di quiete apparente, ma dove tutto tende a trasformarsi. Trovo, a mio parere, che le organizzazioni umane, l'universo e il mondo terreno, seguano strade identiche, dove la trasformazione è una contesa di forze che agiscono sulle sostanze, sulle persone umane nel sociale, e rompono vecchi equilibri per riaprirne altri con sempre una contesa.


La crudeltà della vita è un fatto nella natura e per me la natura non ha morale, ha dei suoi ordini e regole, per cui i forti carnivori sono pochi e gli animali nella scala predatoria più deboli prolificano molto di più, affinché il conflitto sia dentro un equilibrio che così si perpetua. E' una lettura prendere le cose per quello che sono ed è altrettanto vero ciò che dici, l'uomo non si è fermato a questa regola, pur essendovi partecipe come corpo fisico, si è posto domande, ha anche altre motivazioni profonde ed ha il potere di intervenire sull'ordine e regola naturale, modificando, trasformando, creando. Questo lo chiamiamo cultura.. Ma anche prendere la natura per quello che è priva di morale è cultura, poiché a sua volta la convinzione determina motivazioni.


Altro a mio parere è il crimine interno fra umani. Ed è mia convinzione che la morale sia nata proprio per questo e che Nietzsche "glissa" tutta la politica umana, vale a dire ciò che istituisce le istanze di giudizio dentro le organizzazioni umane. Quì Nietzsche è debolissimo, perché la cultura non si regge sulle sole regole e ordini naturali, l'uomo può creare i lager per sterminare i propri simili, come gli ospedali per curare con "pietas" la condizione umana.E' necessaria la regola morale per costruire una comunità, una società e per questo vennero a costituirsi i valori morali come le antiche virtù. Platone influito dalla dottrina eraclitea seguirà invece le virtù socratiche premesse dei valori morali fra cui la giustizia.


Sono d'accordo con te che ad un acuto dolore segue una ancora più acuta fantasia. Un voler fuggire da uno stato di malessere profondo. In fondo anche l'estetica, a suo modo,tenta di medicare oltre che denunciare lo stato di sofferenza umano nel proprio vissuto individuale e sociale.
La posizione di Nietzsche non è affatto cinica, direi interlocutoria, non chiarita filosoficamente ,bensì narrata come ad esempio in "Così parlò Zarathustra". Ospita nella sua grotta anche i "mediocri", vive nella natura con i suoi compagni l'aquila e il serpente e ama il sole che lo nutre. Non trovo cattiveria, anzi e il forte desiderio di comunicare con i propri simili. Non c'è il conflitto se non interiormente a sé provocato dalla condizione umana degli altri.
Ci sono diversi Nietzsche, gli studiosi lo suddividono in fasi, e prendono corpo nella cronologia delle sue opere.


Penso che invece Nietzsche ci credesse a questa spinta motivazionale di un umano oltre la mediocrità. Nietzsche vive un tempo in cui il germanesimo era decadente ed inevitabilmente il pensiero e gli scritti di chiunque sono legati al proprio tempo. Ma ciò che vola oltre il tempo è un'idea, un messaggio che in Nietzsche ha comunque influenzato anche tuttora  molti pensatori a venire dopo di lui.

Apeiron

#29
@Paul,concordo su molte delle tue considerazioni... ma penso che quanto dicevo è anch'esso valido. Questo, secondo me, è un segnale della 'poliedricità' - nonché anche direi della contraddittorietà - del pensiero nietzscheiano.

Giusto per fare un esempio, torno alla questione dell'eterno ritorno. Il 'monito' dall'aforisma della Gaia Scienza: "Questa vita, come tu ora la vivi e l'hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte..." può essere visto come un incoraggiamento a vivere la propria vita in modo da essere completamente soddisfatti da essa, ovvero come un invito a cercare di vivere la vita in modo da volerla rivivere ancora e ancora - nel senso di vivere in modo da non avere rimorsi da occasioni perse, scelte sbagliate ecc. Visto in questo modo, chiaramente, il messaggio è anche molto bello - ovvero è un messaggio a cercare di realizzare i propri 'sogni', possiamo dire.
Però, è anche vero che anche se è possibile il successo, è anche forse più probabile il fallimento. Chiaro, Nietzsche direbbe probabilmente di non 'demoralizzarsi' davanti al fallimento ma il fatto stesso che, per esempio, a parità di impegno si possono raggiungere risultati diversi diventa secondo me un problema per la filosofia nietzscheiana, se questa - come lui fa - implica che sognare, sperare in ecc 'qualcosa di diverso' (resto generico...) da 'questo mondo' implica un disadattamento. Certamente, Nietzsche direbbe appunto che fallire 'fa parte del gioco' e che quindi non c'è nessuna 'vergogna' nel fallire quando ci si è impegnati con il masismo impegno possibile ed è quest'ultima cosa l'importante - cosa che condivido. D'altra parte, però, non vedo alcuna ragione di 'demonizzare' come Nietzsche fa quell'anelito, quella speranza, quel sogno di 'qualcosa di diverso' quando si comprende, per esempio, che ci sono dei 'difetti' in 'questo mondo' che rendono talvolta impossibile anche realizzare (o addirittura provare a realizzare) anche le più nobili aspirazioni. Per esempio, si può pensare alle disuguaglianze sociali che possono ostacolare il raggiungimento delle proprie aspirazioni (ad esempio voler fare una certa professione può essere impossibile se si vive in una situazione disagiata e così via...). Oppure gli 'ostacoli' possono venire non da questo tipo di problemi sociali ma anche da cause naturali e così via.
In 'questo mondo' palesemente ci sono ad esempio questo tipo di problemi, tra le varie cose. E 'demonizzare' la speranza in 'qualcosa di diverso' è secondo me sbagliato perché appunto si richiede un'accettazione dello 'status quo'. Tornando all'esempio di prima, secondo me Nietzsche vedrebbe come 'risentito' colui che magari dopo aver fallito nel tentativo di fare una azione veramente 'nobile' (per esempio, che ne so, cercare di cambiare in meglio una determinata società), scoinvolto da tale fallimento spera in 'qualcosa di diverso' da 'questo mondo'. Ed è questo un aspetto che trovo erroneo nella filosofia di Nietzsche.

Inoltre, come dici tu, il pensiero di Nietzsche sembra debolissimo quando ci si sposta da una prospettiva individuale ad una 'comunitaria'. Secondo me, per Nietzsche, evitare il conflitto non è una ragione per non affermare le proprie aspirazioni - non è difficile vedere che questo può essere problematico (ovviamente la problematicità dipende dalle intezioni che le parti hanno, dalla forma del conflitto (per es. un civile dibattito non è ovviamente 'problematico') ecc). Inoltre, non credo che il conflitto sia inevitabile quando si confrontano le diversità.
Non credo che l''equilibrio degli opposti' necessariamente implichi un conflitto tra di essi. Per esempio, appunto nel dialogo è vero che c'è un 'conflitto delle idee' quando il dialogo è dibattito ma talvolta il dialogo ha come effetto quello di arricchire entrambe le posizioni che si confrontano (a meno che per 'contesa' si intenda 'confronto', in tal caso concordo che la 'contesa' è inevitabile...).
Concordo con te su quanto dici su quanto dici dell'estetica...

Riguardo poi alla presenza o meno di 'cinismo' nella filosofia di Nietzsche, credo che sia un punto in effetti discutibile (per esempio l'estratto di 'Al di là del bene e del male' che avevo citato in un post che avevo 'linkato' in precedenza secondo me contiene del 'cinismo'...) ma è anche vero quanto fai notare tu. Nello Zarathustra, è vero, vengono presentate in buona luce delle vittime di un sistema morale eccessivamente oppressivo e questo è un elemento di solidarietà. Ma di nuovo, la risposta a tale problema proposta da Nietzche ha i suoi problemi, come quelli di cui parlavo sopra.

Infine, per quanto riguarda il 'divenire' naturale, in effetti sì, sembra che una metaforica contesa tra i vari elementi in gioco sia un elemento centrale. Concordo poi sulla parte dei nomi, chiaramente una 'mappa' è necessaria per orientarci...
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

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