Il primo principio della Logica: <<la verità non può essere negata>>.

Aperto da Carlo Pierini, 05 Settembre 2017, 11:24:29 AM

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Carlo Pierini

#15
Citazione di: sgiombo il 07 Settembre 2017, 15:37:20 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 07 Settembre 2017, 15:16:46 PM
Citazione di: sgiombo il 07 Settembre 2017, 14:27:11 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 06 Settembre 2017, 23:42:39 PM
CitazioneScusa Carlo, ma pur dissentendo da importanti sue tesi mi sembra ridicolissima la tua pretesa di liquidare Kant come assertore di una "squilibrata "rivoluzione copernicana della filosofia", col suo concetto truffaldino di "trascendentale", con le sue farneticazioni sull' origine dei pianeti, con i suoi fuorvianti concetti di "a-priori" e di "cosa in sé" che avrebbe "combinato più danni lui alla filosofia che una volpe in un pollaio.

Infatti, il tuo concetto di "mente" ricalca il concetto di "trascendentale" kantiano il quale non sta né in cielo (ontologia metafisica) né in terra (ontologia fisica). Si tratta di un concetto truffaldino perché fa di un aggettivo - che significa "relativo alla dimensione trascendente" - un sostantivo, al quale, tuttavia, Kant sottrae la valenza ontologica propria della dimensione metafisica trascendente: un vero e proprio limbo ontologico dell'"io penso"!!
Esattamente come il tuo concetto di "mente", che non è né fisica, né metafisica, ma solo fantastico-irreale-limbica, un'indeterminazione allo stato puro. Un concetto manipolato ad hoc per sfuggire sia alle incongruenze del monismo, sia alle conseguenze logiche della dualità. Né uno, né due, ma un "uno e mezzo"; né un "sì", né un "no", ma un "nì"!

davintro

non solo il principio di non-contraddizione è una verità evidente e inconfutabile, in quanto ogni pensiero che cercasse di metterlo in discussione dovrebbe ammettere l'ipotesi di contraddire se stesso e dunque squalificare la presunzione di verità della sua tesi, ma non credo che tale principio debba essere limitato a un piano iperformalistico e autoreferenziale, ma abbia implicazioni riguardo la realtà concreta, riguardo l'ontologia, ontologia che, come dovrebbe suggerire il suffisso, non dovrebbe essere del tutto scissa dalla logica, ma come un suo particolare campo di applicazione, campo "sui generis", in quanto la riflessione sull' "essere" mira a cogliere le strutture essenziali e necessarie dei fenomeni, dei vari aspetti del reale. Se il principio di non-contraddizione dice che una cosa non può essere se stessa e la sua negazione, mentre dal punto di vista del pensiero posso concepire entrambe le possibilità (seppur separatamente), allora bisogna concludere che la ragione per cui quella cosa è in un modo anziché in un altro non consiste nella sua pensabilità, nel suo essere oggetto della nostra mente, in quanto la nostra mente comprende entrambe la possibilità, ma nella realtà oggettiva della cosa stessa, indipendente dal pensiero soggettivo. Se io tramite l'immaginazione posso avere un'idea della neve bianca ma anche di un altro colore, allora la ragione per cui la neve è bianca e non di un altro colore, non sta nel mio pensiero, che ammette indifferentemente entrambe le ipotesi, ma in una causalità interna alla natura oggettiva della neve che seleziona un possibile modo d'essere attualizzandolo, ed escludendo le altre opzioni. Il PDNC così legittima la "vittoria" del realismo sull'idealismo, legittima l'esistenza di una realtà oggettiva il cui modo d'essere è autonomo dalle idee e opinioni soggettive, con la basilare precisazione che il realismo vincente non è quello volgare, ingenuo, che presume di legittimare l'esistenza di un mondo esterno sulla base della costanza delle nostre percezione su di esso, della fissazione arbitraria di una quantità di verifiche sufficienti che dovrebbe bastare a fondare la certezza dei nostri giudizi, sul dare per scontato l'efficienza dei nostri sistemi percettivi soggettivi nell'offrire una rappresentazione adeguata della realtà oggettiva, bensì un realismo critico e trascendentale

 

A questo punto mi pare di poter rispondere qui a ciò che Carlo Pierini mi aveva chiesto qualche giorno fa (mi scuso per il ritardo) nel topic sul relativismo a proposito della dualità mappa-territorio:  

"1 - Non ho capito se ammetti, o no, l'esistenza di verità assolute;
2 - non mi risulta che il relativismo sostenga l'inesistenza del "territorio";
3 - cosa significa: <<...l'esistenza di un territorio ... costituisce un livello seppur formale e trascendentale di certezza della nostra conoscenza>>?"





Il realismo critico e trascendentale individua la presenza di una realtà oggettiva a livello, appunto, formale, cioè generico, si limita (ma non mi pare poco...) a riconoscere l'esistenza di tale realtà come autonoma dal pensiero in senso generico, ma senza presumere di attribuirle determinati caratteri contenutistici-materiali, con cui cerchiamo tutti noi di "riempirla" nel corso ordinario delle nostre esperienze. Cioè, questo realismo non presume di affermare la certezza assoluta che la neve è bianca sulla base delle osservazioni sensibili, ma afferma che ciò che fa sì che la neve sia bianca o di un altro colore non è dato dal pensiero soggettivo, ma da una causalità reale e oggettiva. Afferma che non possiamo avere la certezza inconfutabile che la realtà sia in un modo invece che in un altro, ma che una realtà oggettiva in generale c'è. Questo livello trascendentale, trascendentale perché livello della realtà come implicazione non ricavata empiricamente, ma dedotta da un complesso di princìpi logici, tra cui rientra il PDNC, dall'evidente valore di verità, livello di realtà il cui modo d'essere non dipende dal pensiero, ma che si avvale delle norme fondamentali del pensiero come condizione di riconoscibilità, rende anche il suo riconoscimento davvero critico, in quanto l'argomentazione non muove dall'esperienza, sempre contingente e falsificabile da nuove successive verifiche, ma da una razionalità solida, che corrisponde alla salda evidenza della verità degli assiomi logici da cui questo realismo viene dedotto. Così realismo trascendentale è anche realismo critico

Carlo Pierini

Citazione di: davintro il 07 Settembre 2017, 22:31:42 PMA questo punto mi pare di poter rispondere qui a ciò che Carlo Pierini mi aveva chiesto qualche giorno fa (mi scuso per il ritardo) nel topic sul relativismo a proposito della dualità mappa-territorio:  

"1 - Non ho capito se ammetti, o no, l'esistenza di verità assolute;
2 - non mi risulta che il relativismo sostenga l'inesistenza del "territorio";
3 - cosa significa: <<...l'esistenza di un territorio ... costituisce un livello seppur formale e trascendentale di certezza della nostra conoscenza>>?"



Il realismo critico e trascendentale individua la presenza di una realtà oggettiva a livello, appunto, formale, cioè generico, si limita (ma non mi pare poco...) a riconoscere l'esistenza di tale realtà come autonoma dal pensiero in senso generico, ma senza presumere di attribuirle determinati caratteri contenutistici-materiali, con cui cerchiamo tutti noi di "riempirla" nel corso ordinario delle nostre esperienze. Cioè, questo realismo non presume di affermare la certezza assoluta che la neve è bianca sulla base delle osservazioni sensibili, ma afferma che ciò che fa sì che la neve sia bianca o di un altro colore non è dato dal pensiero soggettivo, ma da una causalità reale e oggettiva. Afferma che non possiamo avere la certezza inconfutabile che la realtà sia in un modo invece che in un altro, ma che una realtà oggettiva in generale c'è. Questo livello trascendentale, trascendentale perché livello della realtà come implicazione non ricavata empiricamente, ma dedotta da un complesso di princìpi logici, tra cui rientra il PDNC, dall'evidente valore di verità, livello di realtà il cui modo d'essere non dipende dal pensiero, ma che si avvale delle norme fondamentali del pensiero come condizione di riconoscibilità, rende anche il suo riconoscimento davvero critico, in quanto l'argomentazione non muove dall'esperienza, sempre contingente e falsificabile da nuove successive verifiche, ma da una razionalità solida, che corrisponde alla salda evidenza della verità degli assiomi logici da cui questo realismo viene dedotto. Così realismo trascendentale è anche realismo critico

Quindi, se ho ben capito, la tua risposta alla mia domanda n. 1 è: <<sono verità assolute solo le norme fondamentali del pensiero, mentre quelle ricavate dall'esperienza - sempre contingente e falsificabile - non sono mai verità assolute>>. E' così?

davintro

avevo dimenticato di aggiungere la risposta riguardante le verità assolute... Più o meno è così, con una precisazione: non solo gli assiomi logici, ma anche le conclusioni metafisiche che ne discendono consequenzialmente come quelle sull'autonomia del reale dal pensiero di cui prima ho provato a parlare le considero come verità assolute. Ma tra le premesse solide di tale deduzioni inserirei non solo gli assiomi della logica, ma anche il residuo fenomenologico del dubbio portato alle estreme conseguenze: vale a dire, l'esistenza dell'Io come soggetto pensante, le relazioni che legano le varie specie di atti di esperienza vissuta cosciente (percezione, ricordo, empatia ecc.) e le conseguenti ripercussioni a livello antropologico. Tutte cose che meriterebbero discussioni a parte

Jacopus

CitazioneAnche da questo punto di vista, il relativismo è fuorilegge, viola il primo principio della logica. Quindi deve essere eliminato dal novero delle filosofie, così come si elimina qualunque proposizione che contraddica la verità.

Sottolineare l'eliminazione è esattamente il contrario di quello che dovrebbe fare una buona filosofia (mi viene da dire una filosofia "buonista").
Accertare la verità è un compito che personalmente lascerei alla teologia e alla religione. Immagino la filosofia come un consigliere saggio che si può interpellare per risolvere anche le questioni pratiche del nostro tempo. Non per decidere come accendere il forno ma su argomenti rispetto ai quali è difficile individuare una verità incrollabile.
Ad esempio: "il turismo produce ricchezza e sviluppo nei paesi più poveri". Oppure "Occorre punire più severamente gli stupratori".
La filosofia ovviamente non deve confondersi con un trattato geo-economico, o giuridico-penale ma neppure innalzarsi tanto da confrontarsi solo con una verità logica priva di connessioni con il vivere civile.
Insomma la filosofia, è dal mio punto di vista, sempre filosofia politica, anche quando lo esclude metodologicamente. E nel campo della filosofia politica, o filosofia pratica, la certezza della verità è ben più difficile da trovare.
Nell'indagare il pensiero umano effettivamente mi trovo più a mio agio fra le contraddizioni e le ambivalenze che non alla presenza di una pura verità che si staglia all'orizzonte, leggermente velata di paranoia, ma ovviamente il mio relativismo ben temperato non può far altro che prendere atto della presenza di altre istanze e altri approcci alla filosofia.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

Carlo Pierini

#20
Citazione di: Jacopus il 08 Settembre 2017, 02:27:03 AM
CitazioneAnche da questo punto di vista, il relativismo è fuorilegge, viola il primo principio della logica. Quindi deveessere eliminato dal novero delle filosofie, così come si elimina qualunque proposizione che contraddica la verità.

Sottolineare l'eliminazione è esattamente il contrario di quello che dovrebbe fare una buona filosofia (mi viene da dire una filosofia "buonista").
Accertare la verità è un compito che personalmente lascerei alla teologia e alla religione. Immagino la filosofia come un consigliere saggio che si può interpellare per risolvere anche le questioni pratiche del nostro tempo. Non per decidere come accendere il forno ma su argomenti rispetto ai quali è difficile individuare una verità incrollabile.
Ad esempio: "il turismo produce ricchezza e sviluppo nei paesi più poveri". Oppure "Occorre punire più severamente gli stupratori".
La filosofia ovviamente non deve confondersi con un trattato geo-economico, o giuridico-penale ma neppure innalzarsi tanto da confrontarsi solo con una verità logica priva di connessioni con il vivere civile.
Insomma la filosofia, è dal mio punto di vista, sempre filosofia politica, anche quando lo esclude metodologicamente. E nel campo della filosofia politica, o filosofia pratica, la certezza della verità è ben più difficile da trovare.
Nell'indagare il pensiero umano effettivamente mi trovo più a mio agio fra le contraddizioni e le ambivalenze che non alla presenza di una pura verità che si staglia all'orizzonte, leggermente velata di paranoia, ma ovviamente il mio relativismo ben temperato non può far altro che prendere atto della presenza di altre istanze e altri approcci alla filosofia.
Qui non si stava parlando del diritto che ognuno ha di negare verità a questa o quell'affermazione, ma del suicidio filosofico di negare LA verità, cioè di negare verità a qualunque affermazione possibile. Senza LA verità non c'è possibilità di distinguere il vero dal falso; e allora l'intelletto diventa un soprammobile e la filosofia un chiacchiericcio molesto.

sgiombo

Citazione di: Carlo Pierini il 07 Settembre 2017, 21:24:34 PM
Citazione di: sgiombo il 07 Settembre 2017, 15:37:20 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 07 Settembre 2017, 15:16:46 PM
Citazione di: sgiombo il 07 Settembre 2017, 14:27:11 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 06 Settembre 2017, 23:42:39 PM
CitazioneScusa Carlo, ma pur dissentendo da importanti sue tesi mi sembra ridicolissima la tua pretesa di liquidare Kant come assertore di una "squilibrata "rivoluzione copernicana della filosofia", col suo concetto truffaldino di "trascendentale", con le sue farneticazioni sull' origine dei pianeti, con i suoi fuorvianti concetti di "a-priori" e di "cosa in sé" che avrebbe "combinato più danni lui alla filosofia che una volpe in un pollaio.

Infatti, il tuo concetto di "mente" ricalca il concetto di "trascendentale" kantiano il quale non sta né in cielo (ontologia metafisica) né in terra (ontologia fisica). Si tratta di un concetto truffaldino perché fa di un aggettivo - che significa "relativo alla dimensione trascendente" - un sostantivo, al quale, tuttavia, Kant sottrae la valenza ontologica propria della dimensione metafisica trascendente: un vero e proprio limbo ontologico dell'"io penso"!!
Esattamente come il tuo concetto di "mente", che non è né fisica, né metafisica, ma solo fantastico-irreale-limbica, un'indeterminazione allo stato puro. Un concetto manipolato ad hoc per sfuggire sia alle incongruenze del monismo, sia alle conseguenze logiche della dualità. Né uno, né due, ma un "uno e mezzo"; né un "sì", né un "no", ma un "nì"!
CitazioneEvito di fare l' "avvocato difensore di Kant" (non sono un megalomane ed ho il senso del limite e delle proporzioni).

Per quanto mi riguarda, la mente é una parte dell' esperienza fenomenica cosciente (l' altra essendo la materia) immediatamente constatabile in quanto tale da chiunque sia di coscienza dotato.

E' vero che essa non sta né in cielo né in terra, dal momento che sono invece il cielo e la terra a stare (insieme al pensiero) nell' esperienza fenomenica cosciente (di chi li esperisce): "esse est percipi"! (Berkeley).
Secondo me per comprendere correttamente i rapporti mente-cervello (e coscienza materia) bisogna cominciare dal compiere questa "rivoluzione copernicana" (leggermente diversa da quella kantiana) consistente nel rendersi conto con Berkeley (e sopratutto con Hume) che non il pensiero e la coscienza in generale sono nei cervelli, ma invece i cervelli sono nella coscienza.

Le tue ciance circa la mente che per me non sarebbe né fisica, né metafisica, ma solo fantastico-irreale-limbica, un'indeterminazione allo stato puro. Un concetto manipolato ad hoc per sfuggire sia alle incongruenze del monismo, sia alle conseguenze logiche della dualità. Né uno, né due, ma un "uno e mezzo"; né un "sì", né un "no", ma un "nì"! dimostrano solo che purtroppo  non hai capito nulla delle mie teorie ontologiche.

Poco male sia per te che per me!

Possiamo tranquillamente continuare a coltivare le rispettive convinzioni (e almeno per quanto mi riguarda a sottoporle a continua critica razionale).


Sariputra

Citazione di: sgiombo link=topic=777.msg15055#msg1
quote]E' vero che essa non sta né in cielo né in terra, dal momento che sono invece il cielo e la terra a stare (insieme al pensiero) nell' esperienza fenomenica cosciente (di chi li esperisce): "esse est percipi"! (Berkeley). Secondo me per comprendere correttamente i rapporti mente-cervello (e coscienza materia) bisogna cominciare dal compiere questa "rivoluzione copernicana" (leggermente diversa da quella kantiana) consistente nel rendersi conto con Berkeley (e sopratutto con Hume) che non il pensiero e la coscienza in generale sono nei cervelli, ma invece i cervelli sono nella coscienza.  
[/quote] [/quote]

"La mente precede le cose, le domina, le crea." (cit. da un detto buddhista  :)).
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Carlo Pierini

SGIOMBO
E' vero che la mente non sta né in cielo né in terra, dal momento che sono invece il cielo e la terra a stare (insieme al pensiero) nell' esperienza fenomenica cosciente (di chi li esperisce): "esse est percipi"! (Berkeley).
Secondo me per comprendere correttamente i rapporti mente-cervello (e coscienza materia) bisogna cominciare dal compiere questa "rivoluzione copernicana" (leggermente diversa da quella kantiana) consistente nel rendersi conto con Berkeley (e sopratutto con Hume) che non il pensiero e la coscienza in generale sono nei cervelli, ma invece i cervelli sono nella coscienza.

CARLO
Infatti Berkeley fa un altro bel pastrocchio: cerca di fondere la filosofia Platonica (le idee di Dio che esistono in sé anche se non vengono percepite) con lo spiritualismo estremista che nega ontologia (esistenza) alla materia riducendola a quella dello spirito (mente): una sorta di monismo alla rovescia, un circolo vizioso in cui il soggetto e l'oggetto sono con-fusi in questo "esse est percipi" nel quale non si sa chi è il percipiente e chi il percepito. ...E Dio?  Secondo B., Dio è l'autore di tutto questo pastrocchio nel momento in cui ha messo nello stesso calderone le idee umane e quelle idee che noi chiamiamo materia. ...E dove colloca Dio? Forse nello stesso calderone dello spirito e della materia, tanto da poter dire che noi siamo Dio? O forse in una realtà che trascende il calderone mente-materia? Ma se B. concepisce per il Divino una realtà trascendente, perché la mente, a sua volta, non dovrebbe trascendere la materia, visto che le leggi di questa non hanno niente a che vedere con le leggi del pensiero e dello spirito? ...Mah, sono i misteri della filosofia!

Carlo Pierini

Citazione di: Sariputra il 08 Settembre 2017, 13:54:33 PM
Citazione di: sgiombo link=topic=777.msg15055#msg1
quote]E' vero che essa non sta né in cielo né in terra, dal momento che sono invece il cielo e la terra a stare (insieme al pensiero) nell' esperienza fenomenica cosciente (di chi li esperisce): "esse est percipi"! (Berkeley). Secondo me per comprendere correttamente i rapporti mente-cervello (e coscienza materia) bisogna cominciare dal compiere questa "rivoluzione copernicana" (leggermente diversa da quella kantiana) consistente nel rendersi conto con Berkeley (e sopratutto con Hume) che non il pensiero e la coscienza in generale sono nei cervelli, ma invece i cervelli sono nella coscienza.  

"La mente precede le cose, le domina, le crea." (cit. da un detto buddhista  :)).

CARLO
...La mente di chi?  :)

Sariputra

Citazione di: Carlo Pierini il 08 Settembre 2017, 14:03:42 PM
Citazione di: Sariputra il 08 Settembre 2017, 13:54:33 PM
Citazione di: sgiombo link=topic=777.msg15055#msg1quote]E' vero che essa non sta né in cielo né in terra, dal momento che sono invece il cielo e la terra a stare (insieme al pensiero) nell' esperienza fenomenica cosciente (di chi li esperisce): "esse est percipi"! (Berkeley). Secondo me per comprendere correttamente i rapporti mente-cervello (e coscienza materia) bisogna cominciare dal compiere questa "rivoluzione copernicana" (leggermente diversa da quella kantiana) consistente nel rendersi conto con Berkeley (e sopratutto con Hume) che non il pensiero e la coscienza in generale sono nei cervelli, ma invece i cervelli sono nella coscienza.
"La mente precede le cose, le domina, le crea." (cit. da un detto buddhista :)). CARLO ...La mente di chi? :)

La mente che percepisce la realtà e costruisce il "mondo",  e costruisce anche il "chi" . La mente come specchio dove tutto si riflette, anche il "chi"... :)
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

sgiombo

Citazione di: Carlo Pierini il 08 Settembre 2017, 14:00:58 PM
SGIOMBO
E' vero che la mente non sta né in cielo né in terra, dal momento che sono invece il cielo e la terra a stare (insieme al pensiero) nell' esperienza fenomenica cosciente (di chi li esperisce): "esse est percipi"! (Berkeley).
Secondo me per comprendere correttamente i rapporti mente-cervello (e coscienza materia) bisogna cominciare dal compiere questa "rivoluzione copernicana" (leggermente diversa da quella kantiana) consistente nel rendersi conto con Berkeley (e sopratutto con Hume) che non il pensiero e la coscienza in generale sono nei cervelli, ma invece i cervelli sono nella coscienza.

CARLO
Infatti Berkeley fa un altro bel pastrocchio: cerca di fondere la filosofia Platonica (le idee di Dio che esistono in sé anche se non vengono percepite) con lo spiritualismo estremista che nega ontologia (esistenza) alla materia riducendola a quella dello spirito (mente): una sorta di monismo alla rovescia, un circolo vizioso in cui il soggetto e l'oggetto sono con-fusi in questo "esse est percipi" nel quale non si sa chi è il percipiente e chi il percepito. ...E Dio?  Secondo B., Dio è l'autore di tutto questo pastrocchio nel momento in cui ha messo nello stesso calderone le idee umane e quelle idee che noi chiamiamo materia. ...E dove colloca Dio? Forse nello stesso calderone dello spirito e della materia, tanto da poter dire che noi siamo Dio? O forse in una realtà che trascende il calderone mente-materia? Ma se B. concepisce per il Divino una realtà trascendente, perché la mente, a sua volta, non dovrebbe trascendere la materia, visto che le leggi di questa non hanno niente a che vedere con le leggi del pensiero e dello spirito? ...Mah, sono i misteri della filosofia!

CitazioneE dagli, con le ridicole liquidazioni di grandi filosofi (indipendentemente dall' approvazione delle loro tesi; che nel mio caso, circa Berkeley, é limitata al -peraltro geniale e che tantissimi non riescono a comprendere- "esse est percipi").

Cerchiamo di rispettare per lo meno la "grandezza" dei filosofi dai quali dissentiamo!

Peraltro il grande Berkeley non era un seguace di Platone ma "quasi l' esatto contrario": un empirista!
Per lui le sensazioni materiali erano causate nella nostra esperienza cosciente da Dio (e in questo era anche un idealista).

Hume ha genialissimamente svolto, completato ed emendato dai suoi errori questa concezione evidenziando che:

a) ciò che Berkeley dice delle sensazioni materiali ("esse est percipi") vale esattamente allo stesso modo anche per quelle mentali o di pensiero:

b) non c' è necessità di (e non é dimostrabile esservi) alcun Dio per spiegarne o giustificarne l' esistenza;

c) nemmeno é necessario che vi siano (e non é dimostrabile che esistano), oltre ad esse, loro soggetti e loro oggetti (che nel caso di quelle mentali si identificherebbero fra loro nell' "io", considerato grammaticalmente come soggetto, ovvero nel "me" o in terza persona nel "sé", considerato grammaticalmente come oggetto.

sgiombo

Citazione di: davintro il 07 Settembre 2017, 22:31:42 PM

Il realismo critico e trascendentale individua la presenza di una realtà oggettiva a livello, appunto, formale, cioè generico, si limita (ma non mi pare poco...) a riconoscere l'esistenza di tale realtà come autonoma dal pensiero in senso generico, ma senza presumere di attribuirle determinati caratteri contenutistici-materiali, con cui cerchiamo tutti noi di "riempirla" nel corso ordinario delle nostre esperienze. Cioè, questo realismo non presume di affermare la certezza assoluta che la neve è bianca sulla base delle osservazioni sensibili, ma afferma che ciò che fa sì che la neve sia bianca o di un altro colore non è dato dal pensiero soggettivo, ma da una causalità reale e oggettiva. Afferma che non possiamo avere la certezza inconfutabile che la realtà sia in un modo invece che in un altro, ma che una realtà oggettiva in generale c'è. Questo livello trascendentale, trascendentale perché livello della realtà come implicazione non ricavata empiricamente, ma dedotta da un complesso di princìpi logici, tra cui rientra il PDNC, dall'evidente valore di verità, livello di realtà il cui modo d'essere non dipende dal pensiero, ma che si avvale delle norme fondamentali del pensiero come condizione di riconoscibilità, rende anche il suo riconoscimento davvero critico, in quanto l'argomentazione non muove dall'esperienza, sempre contingente e falsificabile da nuove successive verifiche, ma da una razionalità solida, che corrisponde alla salda evidenza della verità degli assiomi logici da cui questo realismo viene dedotto. Così realismo trascendentale è anche realismo critico

CitazioneConcordo.
Però vorrei far rilevare che la realtà come "implicazione non ricavata empiricamente, ma dedotta da un complesso di princìpi logici, tra cui rientra il PDNC" rimane qualcosa di assolutamente indeterminato: potrebbe essere "di tutto e di più", ovvero "tutto e il contrario di tutto".
E' "ciò che é, qualsiasi cosa sia", fosse pure il nulla!

Analiticamente a priori, come deduzione logica, nulla (di determinato) può dirsi della realtà (si possono fare affermazioni certe, ma non in qualità di conoscenze di ciò che é e di ciò che non é reale; e infatti valgono qualsiasi cosa realmente fosse o accadesse o meno).
Conoscenze circa come é/diviene o meno la realtà possono essere date solo da giudizi sintetici a posteriori (sempre incerti, salvo giudizi circa immediati-particolari-concreti dati empirici e solo in presenza attuale di essi).

Ciò vale in particolare per "la madre" di tutte le pretese di consocenza della realtà analitica a priori, cioè quell' autentico paralogismo che é noto come la anselmiana "prova ontologica dell' esistenza di Dio", dalla quale ad esempio, Cartesio e Spinoza (e Malebranche e altri; forse anche Leibniz, ma non vorrei sbilanciarmi in proposito) ricavano tutta la loro ontologia.
Citazione di: davintro il 07 Settembre 2017, 22:31:42 PM

Re:Il primo principio della Logica: <<la verità non può essere negata>>.
« Risposta #18 il: Oggi alle 00:09:27 »


avevo dimenticato di aggiungere la risposta riguardante le verità assolute... Più o meno è così, con una precisazione: non solo gli assiomi logici, ma anche le conclusioni metafisiche che ne discendono consequenzialmente come quelle sull'autonomia del reale dal pensiero di cui prima ho provato a parlare le considero come verità assolute. Ma tra le premesse solide di tale deduzioni inserirei non solo gli assiomi della logica, ma anche il residuo fenomenologico del dubbio portato alle estreme conseguenze: vale a dire, l'esistenza dell'Io come soggetto pensante, le relazioni che legano le varie specie di atti di esperienza vissuta cosciente (percezione, ricordo, empatia ecc.) e le conseguenti ripercussioni a livello antropologico. Tutte cose che meriterebbero discussioni a parte




CitazioneConcordo che l' argomento meriterebbe una discussione a parte, ma (anche qui con Hume) non credo che le relazioni che legano le varie specie di atti di esperienza vissuta cosciente (percezione, ricordo, empatia ecc.) bastino a dimostrare l'esistenza dell'Io come soggetto pensante da esse distinto.

Jacopus

CitazioneQui non si stava parlando del diritto che ognuno ha di negare verità a questa o quell'affermazione, ma del suicidio filosofico di negare LA verità, cioè di negare verità a qualunque affermazione possibile. Senza LA verità non c'è possibilità di distinguere il vero dal falso; e allora l'intelletto diventa un soprammobile e la filosofia un chiacchiericcio molesto.

La filosofia si occupa dell'amore per la conoscenza ed è l'unica dimensione del sapere umano che si impone eventualmente di criticare anche sé stessa. Subordinare la filosofia alla verità mi sembra ideologicamente pericoloso, anche se logicamente, forse, corretto. Inoltre c'è già una disciplina che si occupa efficacemente della ricerca della verità, cioè la scienza, con i risultati che abbiamo sotto gli occhi, positivi e negativi. Che la neve sia bianca indipendentemente dalla mia coscienza percettva è ininfluente, se non come presupposto ideologico: nel momento in cui stabilisco che esiste una verità filosofica assunta dal mondo logico-naturale come si relaziona questa affermazione con la verità nel mondo della vita pratica?
Filosoficamente, ad esempio, come si decide la eticità del diritto a decidere la propria morte o il modo di curare i pazzi? Come si decide in sintesi la "buona vita"? Questo discorso etico e morale è indipendente dalla verità? Esiste allora una filosofia "alta" che persegue la costruzione di un sistema che attesti la presenza di una verità non discutible, e una filosofia "bassa" che deve guerreggiare continuamente alla prese di una "doxa", di un "chiacchiericcio molesto" che non conduce in nessun luogo?
Io personalmente ritengo che la filosofia debba saper mettere in discussione anche il concetto di "verità", perché possibile vettore di ideologie ed anzi una vera filosofia matura deve saper mettere in discussione anche sè stessa.
Un'ultima considerazione: credo che il concetto di verità abbia sempre in sè un collegamento con la violenza nel momento in cui si ipostatizza e non viene bilanciato da altre verità.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

Carlo Pierini

#29
Citazione di: Jacopus il 10 Settembre 2017, 12:33:04 PM
CitazioneQui non si stava parlando del diritto che ognuno ha di negare verità a questa o quell'affermazione, ma del suicidio filosofico di negare LA verità, cioè di negare verità a qualunque affermazione possibile. Senza LA verità non c'è possibilità di distinguere il vero dal falso; e allora l'intelletto diventa un soprammobile e la filosofia un chiacchiericcio molesto.

La filosofia si occupa dell'amore per la conoscenza ed è l'unica dimensione del sapere umano che si impone eventualmente di criticare anche sé stessa. Subordinare la filosofia alla verità mi sembra ideologicamente pericoloso, anche se logicamente, forse, corretto.

CARLO
E' come se mi dicessi: <<Subordinare la teologia a Dio mi sembra ideologicamente pericoloso>>.  ....E a cos'altro vuoi subordinare la teologia se non all'esistenza di Dio? Senza Dio non c'è teologia.
Quello che è pericoloso, cioè, non è subordinare la filosofia all'esistenza della verità (ché, anzi, è la conditio-sine-qua-non dell'esistenza della filosofia stessa), ma subordinarla a delle verità (o filosofie) particolari pre-giudiziali, dogmatiche, solo-metafisiche, cioè non sufficientemente verificate né sul piano della logica, né su quello dell'esperienza reale; come, appunto, la filosofia relativista, che, oltre ad essere auto-contraddittoria, si fonda sull'ignoranza della storia reale della conoscenza e, quindi, sul disconoscimento della gran mole di verità definitive e inconfutabili che essa ha già acquisito da secoli.

JACOPUS
Inoltre c'è già una disciplina che si occupa efficacemente della ricerca della verità, cioè la scienza, con i risultati che abbiamo sotto gli occhi, positivi e negativi.

CARLO
...E cos'è la Scienza, se non un ramo del grande albero della Filosofia? Newton stesso chiamava la Scienza "Filosofia della Natura". Insomma, da un punto di vista generale, "Conoscenza", "Filosofia", "Verità", Scienza" sono semplicemente sinonimi, sebbene ciascuno di essi esprima delle diverse sfumature del medesimo significato fondamentale. Sono decine e decine i filosofi che hanno definito la Filosofia come scienza ("scienza delle scienze", "scienza della verità", ecc.).

JACOPUS
Esiste allora una filosofia "alta" che persegue la costruzione di un sistema che attesti la presenza di una verità non discutible, e una filosofia "bassa" che deve guerreggiare continuamente alla prese di una "doxa", di un "chiacchiericcio molesto" che non conduce in nessun luogo?
Io personalmente ritengo che la filosofia debba saper mettere in discussione anche il concetto di "verità", perché possibile vettore di ideologie ed anzi una vera filosofia matura deve saper mettere in discussione anche sè stessa.

CARLO
Quello che dici è sacrosanto. Ma, ripeto, un conto è mettere in discussione tutte le verità particolari per saggiarne la solidità e la fondatezza, e ben altra cosa è negare sconsideratamente la possibilità stessa di esistenza della verità, cioè, negare a-priori verità a qualunque affermazione possibile. E' solo questo secondo caso che, oltre ad essere auto-contraddittorio (e quindi inammissibile sul piano logico), rappresenta il suicidio della filosofia.

JACOPUS
Un'ultima considerazione: credo che il concetto di verità abbia sempre in sè un collegamento con la violenza nel momento in cui si ipostatizza e non viene bilanciato da altre verità.

CARLO
Le verità più autentiche sono sempre complementari tra loro (vedi la complementarità tra chimica, fisica, medicina, ecc.). Sono le "false verità", o le "mezze verità" che creano dualismi e conflitti che possono anche diventare cruenti e distruttivi. Per questo siamo "condannati" a riuscire nell'impresa di distinguere il falso dal vero, cioè, il male dal bene. Non abbiamo altra via d'uscita che questa.

L'angolo musicale:
VERDI: Ah! Fors'è lui, op. Traviata
https://youtu.be/Dkb-7Ewl_h4?t=77

VERDI: Caro nome, op. Rigoletto
https://youtu.be/ksL9iFFVyYE?t=43

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