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Il pensiero

Aperto da Ipazia, 29 Marzo 2020, 10:33:03 AM

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Ipazia

Tirando le somme:

Il principio d'identità é autoreferenziale, tautologico. Si tratta sempre di un unico ente in gioco.

Pensiero pensante é insensato come una penna scrivente.

Il pensierino non esiste perché il pensiero é un flusso. Volerne isolare delle parti sarebbe come pretendere di fermare una parte delle acque di un fiume con una diga. Ma a quel punto il fiume non esiste più perché è diventato un lago o una palude.

Il pensiero é un flusso continuo, isolabile semmai in singole idee, intuizioni, concetti. Eraclito la spunta anche stavolta.

E qualcosa i trascendentalisti hanno decostruito anche oggi. Saluti.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

iano

#46
@Ipazia.
Grazie per il chiaro riassunto 😊
In effetti un pensiero nuovo può contemplare un pensiero vecchio , e così il tempo interviene a sciogliere la matassa del pensiero che si pensa.
Ciò è possibile perché il soggetto che pensa è sempre lo stesso e può richiamare dalla memoria pensieri passati , ma di fatto , quindi, ancora "presenti".
Ma qual'e' la forbice che ritaglia i pensieri dal flusso continuo?
Diciamo che il soggetto che pensa è "abbastanza uguale a se stesso" di modo che possa verificarsi il pensiero di un pensiero, ma non abbastanza uguale da lasciare veramente continuo il flusso del pensiero.
Questo flusso viene segnato da punti di coscienza che va' a corrente alternata , perché a salti il soggetto acquisisce  coscienza del suo divenire , perché egli certamente cresce nella misura in cui la sua memoria cresce e si modifica.
È il difetto di coscienza del soggetto ,del suo non essere sempre lo stesso , a creare l'illusione di un pensiero che si pensa.
Questa illusione allora può essere riguardata come un fatto , se fatti esistono in filosofia , che ci dimostra che il tempo esiste.

Cogito ergo sum...mai uguale.
Il pensiero del pensiero è una relazione fra diversi e distinti soggetti , come distinti sono i punti su una retta, ma è la retta che pensa , non il punto.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

giopap

Citazione
IANO

È il difetto di coscienza del soggetto ,del suo non essere sempre lo stesso , a creare l'illusione di un pensiero che si pensa.[/size]Questa illusione allora può essere riguardata come un fatto , se fatti esistono in filosofia , che ci dimostra che il tempo esiste.Cogito ergo sum...mai uguale.Il pensiero del pensiero è una relazione fra diversi e distinti soggetti , come distinti sono i punti su una retta, ma è la retta che pensa , non il punto.
Citazione

Ma che il soggetto non sia sempre lo stesso sarebbe tutto da dimostrare.


Compatibilmente con l' evidenza del fatto che il divenire naturale (anche per Eraclito, fatta la tara di eventuali malintesi del suo "panta rei
" e del suo "immergersi nel fiume che non sarebbe mai lo stesso") non é caos ma mutamento ordinato, secondo modalità immutabili, che sono semre le stesse (noi moderni le chiamiamo leggi fisiche).


Il pensiero del pensiero è una relazione fra diversi e distinti aspetti funzionali, relazionali (soggettivo e oggettivo) di un unico evento.
Come l' essere di un triangolo un poligono e una parte finita di un piano (che non sono due diverse entità geometriche ma due diversi aspetti relazionali di un' unica e sola).


Comunque il pensiero in generale (ogni e qualsiasi pensiero) non é qualcosa di istantaneo, ma si svolge nel tempo (come dovrebbe essere particolarmente evidente a chi, per me erroneamente, lo identifica con i processi neurofisiologici cerebrali cui coesiste).

Dunque anche nel fatto che nel pensare che sto pensando (per esempio a un bel ricordo) il pensare il ricordo non é contemporaneo al pensare di pensarlo non c' é comunque nulla di problematico, in quanto nemmeno l' inizio di ciascuno di questi due pensieri (uno dei quali é pensiero di pensiero da parte di un' unica entità riflessivamente soggetto e oggetto di esso- é contemporaneo alla sua fine; eppure non credo che qualcuno possa ritenere che il pensare a un bel ricordo siano più diversi pensieri (quello iniziale, gli infiniti intermedi e quello finale).

iano

#48
Citazione di: giopap il 01 Aprile 2020, 09:59:20 AM


Ma che il soggetto non sia sempre lo stesso sarebbe tutto da dimostrare.


Compatibilmente con l' evidenza del fatto che il divenire naturale [...]
non é caos ma mutamento ordinato, secondo modalità immutabili, che sono semre le stesse (noi moderni le chiamiamo leggi fisiche).
"...........

Comunque il pensiero in generale (ogni e qualsiasi pensiero) non é qualcosa di istantaneo, ma si svolge nel tempo (come dovrebbe essere particolarmente evidente a chi, per me erroneamente, lo identifica con i processi neurofisiologici cerebrali cui coesiste).


Il tuo post mi ha fatto riflettere.
Noi traiamo le leggi dai fatti , e poi diciamo che i fatti si susseguono in modo ordinato secondo quelle leggi.
Apparentemente è un modo ridondante per dire che  riusciamo a mettere ordine fra i fatti , se non fosse che questo casellario di fatti si presta ad accogliere sempre nuovi fatti che seguono , in modo inatteso , di modo che prendiamo l'abitudine ad attendere ciò.
È il tempo quindi a certificare come legge quello che è potenzialmente un ordine arbitrario nato solo per ottimizzare la gestione di un casellario.
Ma un casellario non è mai se stesso in quanto continuamente aggiornato , e mantiene una identità di seconda mano solo nella misura in cui continua ad adottare un ordine, che però, in quanto arbitrario , non è mai definitivo.
Non possiamo identificare l'ordine del mondo col l'ordine che vi mettiamo noi , se non vogliamo peccare di presunzione.
In fondo non dovrebbe meravigliarci che il pensiero sia così poco identificabile , se tale è anche il così detto soggetto pensante.
Ogni volta che crediamo di aver identificato qualcosa , indagandone i confini ci rendiamo conto che questa identificazione non è mai così certa.
Il pensiero non sta da nessuna parte perché è una relazione fra diversi , come l'unica telepatia ammessa in natura.
Tutto scorre , quindi ogni cosa scorre , a prima vista , ma non è mai ben chiaro cosa scorra ad una seconda vista.
Diciamo che tutto scorre , ma in modo più complesso di come appaia.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Ipazia

#49
Il Soggetto, evocando il buon Guccini cui invio un affettuoso pensiero, è sempre uguale e sempre diverso, come la mano di tarocchi che non sai mai giocare. Eraclito la vince perchè l'essere è in perenne movimento: fisico e mentale. E per la parte mentale si muove pensando. Pensando nell'ordine del tempo con la sua irrevocabile freccia rivolta in avanti cui solo il pensiero può opporsi andando a ritroso alla ricerca del tempo perduto. Talvolta ritrovandolo.

Se Agostino avesse messo il "concetto" al posto del "tempo" nella proposizione iniziale di questa discussione, la proposizione funzionerebbe lo stesso, ma ci si sarebbero potuti fare assai meno intrecci e suggestioni, dovendosi inoltrare in una metafisica poco calabile nella "vaghezza del comun parlare/pensare"(cit).

Divagando ulteriormente nel rapporto tra pensiero e tempo, si approda al pensiero nel tempo, al pensiero come dato storico, culturale, patrimonio collettivo che diventa koinè impattando nella compagna predestinata del pensiero, la lingua. O linguaggio che dir si voglia. Involandosi poco alla volta dallo stadio primordiale della lalangue (lalingua) per inoltrarsi nei fasti e nefasti del pensiero metafisico che si incarna, hegelianamente, nella storia. Il pensiero che si fa Storia umana librandosi dalla psiche, fuggendo dai laboratori, e sposando la filosofia. La quale lo ricondurrà nelle prigioni, metafisiche, da cui cercherà di evadere in uno slalom infinito tra morali e scienze eterodirette. Rimanendo comunque pensiero. Nella pluralità dei pensati e pensabili, incessantemente fluenti, finchè morte non li arresti. Rimettendosi alfine al volere di physis. Ma driblandola in un gesto estremo, consegnando ai posteri l'unica immortalità di cui l'umano dispone: se stesso, il pensiero.
...
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Lou

#50
Citazione di: Phil il 31 Marzo 2020, 20:42:18 PM



Citazione di: Lou il 31 Marzo 2020, 18:42:49 PM
Pensa a una mela. la mela è il pensato di un pensiero pensante. Pensiero pensante che non sarebbe tale senza pensato.
Il pensiero come attività, quindi il pensare, è sempre rivolta (consciamente, inconsciamente, etc.) a qualcosa-pensato da qualcuno-pensante. Se penso una mela, siamo: io-pensante, la mela-pensata, l'attività-pensare; il pensiero, come capacità di pensare, è una condizione necessaria alla sussistenza di tale triade così connotata (per la gioia dei trascendentalisti, a cui risparmio le solite "decostruzioni"). Il «pensiero della mela» sarebbe un'espressione vaga che può stare per «il pensare(attività) una mela» o «la mela in quanto pensato/a». «Pensiero pensante» è come «scrittura scrivente», una figura retorica; chi pensa è l'uomo-pensante grazie alla facoltà del pensiero.

Certo Phil, è lo stesso che sto sostenendo (il grassettato). Mi pareva corretto parlare di triade, in gioco.

Per "pensiero pensante" intendo l' atto dinamico distinto dal "pensiero calcolante"e dal "pensiero poetante". Ora figura retorica, al pari di scrittura scrivente, a meno di non essere neopositivisti spinti, non equivale a non-senso, ma è cogliere l'aspetto esistenziale/speculativa dell'atto.
"La verità è brutta. Noi abbiamo l'arte per non perire a causa della verità." F. Nietzsche

iano

#51
@Ipazia.
Diciamo allora che il pensiero è una relazione nel tempo , e il linguaggio nello spazio.
La scrittura l'una e l'altra.
La relazione fra individui crea una cultura , e la relazione , apparentemente cervellotica , fra se' e se' , nel suo divenire , crea il così detto individuo.
L'individuo quindi non può sfuggire al tempo ,essendo quello sua parte costituente , mentre la cultura ha fiato più lungo.
Il nostro prossimo siamo anche noi.

È il pensiero che crea l'individuo , e non viceversa.
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Ipazia

Ragionando in termini relazionali, tutto relaziona con tutto, dal micro al macrocosmo. Ma qui phil ammonirebbe di non confondere i piani del discorso, tenendo, anche nel divagare, un minimo di coerenza relazionale. Non so se ciò sia possibile assegnando al pensiero il tempo e al linguaggio lo spazio e trovando nella scrittura il comune denominatore. Magari un semiotico approverebbe e ci farebbe pure dei discorsi più sensati di quelli che io posso fare.

Il segno che fonde pensiero (concetto) e parola è senz'altro un medium dai poteri magici. Siamo comunque ad uno stadio evoluto, già tecnologico, materico, della vita del pensiero. Con le sue retroazioni casuali che l'ermeneutica filologica cerca di rendere più certe, ma dipendendo sempre dalla permanenza del testo scritto, dovendo rinunciare, come i nostri miseri politicanti, al tamponamento di tutti i testi scritti, perduti per sempre, che potrebbero dare un'immagine assai diversa della storia umana (e dell'andamento epidemico) rendendo lo scibile più consistente. Possiamo solo fare induzioni del tipo che ciò che vale rimane (gli asintomatici dai robusti anticorpi) e che la rodente critica dei topi abbia roso gran parte di ciò che meritava quel destino (i vecchi e/o già malandati di suo).

L'individuo umano è senz'altro un prodotto culturale, sul quale il pensiero costituente è quello della sua storia sociale, data dalle relazioni umane nel tempo e nello spazio. Sul pensiero e sulla concretezza della vita umana, tali relazioni, sono convinta, pesino più della sua storia evolutiva in senso biologico.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Phil

Citazione di: Lou il 01 Aprile 2020, 11:09:20 AM
Per "pensiero pensante" intendo l' atto dinamico distinto dal "pensiero calcolante"e dal "pensiero poetante". Ora figura retorica, al pari di scrittura scrivente, a meno di non essere neopositivisti spinti, non equivale a non-senso, ma è cogliere l'aspetto esistenziale/speculativa dell'atto.
Inevitabile concordare sul fatto che la figura retorica non sia un non-senso, anzi, spesso è ciò che aiuta il linguaggio a "lanciare il cuore oltre l'ostacolo" (ovvero i limiti del linguaggio stesso).
Tuttavia, come in questo caso, talvolta il senso della figura retorica rischia di essere caleidoscopico e ambiguo (o «un'assurdità della ragione» come dice Hobbes nel Leviatano parlando della metafora): distinguere fra pensiero "pensante" e pensiero "calcolante" o "poetante", potrebbe essere letto come se questi fossero tre tipi o categorie di pensiero; ma il "pensiero pensante" è un truismo: "pensiero non-pensante" sarebbe infatti a sua volta solo un'altra figura retorica, probabilmente allusiva alla scarsa qualità di un pensiero, che tuttavia, in quanto tale, non è comunque un non-pensiero (per quanto giudicato scadente).
Detto altrimenti: se, parafrasando, "il pensiero calcolante calcola" e "il pensiero poetante poeta", quanto è ridondante affermare che il "pensiero pensante pensa"? I primi due pensieri si connotano per l'oggetto del pensare (il pensato), ovvero calcoli o poesie, ma il terzo è lapalissianamente un pensiero che pensa pensieri (come dire uno "scrivere scrivente" o uno "scrivere che scrive scritture"; mentre la differenza fra "scrivere calcolante" e "scrivere poetante" non è affatto superflua o apparente).

Se con "pensiero pensante" intendiamo l'«atto dinamico»(cit.), perché non chiamarlo semplicemente «pensare»?
Ammetto sia una grigia domanda da neopositivismo o da filosofia analitica, ma forse può evitare che si inneschino (falsi) problemi come quello, scherzando ma non troppo, del "pensiero che si pensa pensosamente pensante, pensando anche l'impensabile perché nel momento in cui lo pensa viene pensato, in un pensiero pensabile che ha dunque un pensato seppur come assenza di pensiero che... etc." assecondando quel dedalo di questioni "importanti" che talvolta spinge la filosofia a sconfinare nella letteratura (come la pseudo-ontologia dell'indovinello dell'eunuco di Platone), prendendo il largo, a bordo di una figura retorica, dalle problematiche connesse al reale (e così una licenza poetica diventa una "licenziosa licenza di uccidere" la riflessione sul reale).

viator

Salve altamaea ed Ipazia.Riprendendo il vostro breve scambio :Citazione da: altamarea - 29 Marzo 2020, 21:41:08 pm<blockquote>La filosofia considera il pensiero qualcosa di astratto invece è energia.
</blockquote>
Neppure se riuscissimo a misurarlo potremmo ridurlo ontologicamente ad energia. Misureremmo soltanto i processi fisici che lo producono, ma non l'intenzionalità in esso contenuta. Il pensiero è un oggetto meta-fisico che non si lascia rinchiudere in laboratorio. Per quanto preti, regnanti, cortigiani e scienziati si siano data da fare in migliaia di anni per riuscirci, qualche pensiero riesce sempre a sfuggire, convertendosi nel cigno nero che poi li ha travolti.
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Darei ragione ad entrambi, dal momento che trattate il termine da angolazioni diverse ed in sè per nulla  contradditorie.
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Secondo me il pensiero (attività e funzione materialmente basata su flussi energetici di natura bioelettrochimica, cioè differenze di potenziale fluttuanti nel loro succedersi) consiste nel veder affluire, affiorare alla mente, tutta una serie di dati mnemonici (di natura ovviamente consapevole) specificamente selezionati ed assemblati da una certa altra funzione situata appunto a cavallo tra la memoria e la mente.Ora, che i dati mnemonici consistano in informazione (non importa se permanente o volatile) energeticamente organizzata (esattamente come noi umani abbiamo SIA INVENTATO che SCOPERTO essere per i calcolarori) non mi sembra ipotesi sconvolgente.
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Che il pensiero sia connesso e conseguente alla presenza di una coscienza............anche questa non risulta certo una considerazione ardita. La stato di veglia cosciente è non solo quello nel quale si produco i pensieri, ma sorattutto quello in cui NON SI PUO' FARE A MENO DI PENSARE IN CONTINUAZIONE.Ma perchè pensiamo continuamente ? Perchè la nostra fisiologia psichica prevede che debba esistere un continuo controllo e verifica di quanto avviene attorno a noi quando siamo in stato di (appunto) veglia. Ciò fa parte del fondamentale psicobiologico poichè è voluto dall'istinto di sopravvivenza.
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Naturalmente mi si chiederà per quale ragione molti pensieri di molte persone sembra non riguardino affatto le preoccupazioni per la propria sopravvivenza.Ciò dipende dal controllo psichico sulle facoltà coscenziali e quindi poi mentali e cogitatorie, le quali appunto, in assenza di situazioni "giudicate" potenzialmente pericolose dalla psiche stessa, vengono lasciate"libere" di dedicarsi ad attività non decisionali ma di diverso e facoltativo contenuto (fantasie, ideatività, speculazione etc.).
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Un cenno in più circa quanto io penso sui rapporti psiche-memoria-coscienza - se d'interesse - è presente qui : https://www.riflessioni.it/logos/scienza-e-tecnologia/la-coscienza-una-categoria-evolutiva/msg41871/#msg41871

--------------------------------------------------------------------------------- Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

Lou

#55
Citazione di: Phil il 01 Aprile 2020, 12:54:31 PM
Citazione di: Lou il 01 Aprile 2020, 11:09:20 AM
Per "pensiero pensante" intendo l' atto dinamico distinto dal "pensiero calcolante"e dal "pensiero poetante". Ora figura retorica, al pari di scrittura scrivente, a meno di non essere neopositivisti spinti, non equivale a non-senso, ma è cogliere l'aspetto esistenziale/speculativa dell'atto.
Inevitabile concordare sul fatto che la figura retorica non sia un non-senso, anzi, spesso è ciò che aiuta il linguaggio a "lanciare il cuore oltre l'ostacolo" (ovvero i limiti del linguaggio stesso).
Tuttavia, come in questo caso, talvolta il senso della figura retorica rischia di essere caleidoscopico e ambiguo (o «un'assurdità della ragione» come dice Hobbes nel Leviatano parlando della metafora): distinguere fra pensiero "pensante" e pensiero "calcolante" o "poetante", potrebbe essere letto come se questi fossero tre tipi o categorie di pensiero; ma il "pensiero pensante" è un truismo: "pensiero non-pensante" sarebbe infatti a sua volta solo un'altra figura retorica, probabilmente allusiva alla scarsa qualità di un pensiero, che tuttavia, in quanto tale, non è comunque un non-pensiero (per quanto giudicato scadente).
Detto altrimenti: se, parafrasando, "il pensiero calcolante calcola" e "il pensiero poetante poeta", quanto è ridondante affermare che il "pensiero pensante pensa"? I primi due pensieri si connotano per l'oggetto del pensare (il pensato), ovvero calcoli o poesie, ma il terzo è lapalissianamente un pensiero che pensa pensieri (come dire uno "scrivere scrivente" o uno "scrivere che scrive scritture"; mentre la differenza fra "scrivere calcolante" e "scrivere poetante" non è affatto superflua o apparente).

Se con "pensiero pensante" intendiamo l'«atto dinamico»(cit.), perché non chiamarlo semplicemente «pensare»?
Ammetto sia una grigia domanda da neopositivismo o da filosofia analitica, ma forse può evitare che si inneschino (falsi) problemi come quello, scherzando ma non troppo, del "pensiero che si pensa pensosamente pensante, pensando anche l'impensabile perché nel momento in cui lo pensa viene pensato, in un pensiero pensabile che ha dunque un pensato seppur come assenza di pensiero che... etc." assecondando quel dedalo di questioni "importanti" che talvolta spinge la filosofia a sconfinare nella letteratura (come la pseudo-ontologia dell'indovinello dell'eunuco di Platone), prendendo il largo, a bordo di una figura retorica, dalle problematiche connesse al reale (e così una licenza poetica diventa una "licenziosa licenza di uccidere" la riflessione sul reale).
Rispondo alla domanda grassettata: l'introduzione di questa "dizione" da parte mia era vota esattamente a districare, a mio parere proprio l'ambiguità del dire che si stava sviluppando: il richiamo alla distinzione tra pensiero pensante in quanto atto e pensiero pensato in quanto fatto, ovvero contenuto, mi pareva necessaria. Diciamo che era funzionale in un certo contesto discorsivo. Certamente le figure retoriche corrono il rischio di dar adito a nomadismo rispetto a un un rigore concettuale e a un corrispondente linguaggio che la materia filosofica richiede, a sfociare in quel che fu appunto definito un dialetto filosofico (fu rivolto al linguaggio di Heidegger), ma certo se parliamo di materia filosofica, concedimi una battutaccia, non cè nulla di più reale del pensiero e le sue problematicità.

Entrando nel vivo della risposta: trovo che tutti i tuoi rilievi siano rigorosi e li apprezzo assai, tuttavia ritengo che il participio presente espliciti una dimensione di apertura all'evento colto nella attualità del pensare (provando a descrivere il concetto) che solo l'l'infinito non rende.
"La verità è brutta. Noi abbiamo l'arte per non perire a causa della verità." F. Nietzsche

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