Il paradosso del principio di indeterminazione .

Aperto da iano, 27 Maggio 2021, 23:34:43 PM

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iano

#30
Ciao Viator.
Grazie per le precisazioni.
Non è l'immaginazione ad essere basata sulla percezione infatti , ma azzarderei vero il contrario.
È il ragionevole quadro che ci facciamo della realtà ad essere suscettibile di essere condensato in una immagine, che nel caso della percezione appare come immediato, ma tale non è.
Mentre nel caso della scienza è ovvia la mediazione che lo genera, anche se non sempre riusciamo a tradurla in soddisfacimenti immagini che agevolino la nostra comprensione.

È vero, in questo periodo scrivo molto, come quando i nodi dei nostri tanti pensieri vengono al pettine.
Ti confesso che mi sarei aspettato una critica sull'assimilazione della percezione all'indagine scientifica, che però mi pare semplifichi la comprensione di molte cose diverse ponendole in un quadro coerente.
Così mi sono chiesto ciò che in ambito scientifico chiamiamo principio che corrispondente può avere in ambito percettivo, e non mi sembra di averlo trovato.
Il problema è che anche quando non si faccia coscientemente questa assunzione è inevitabile mischiare percezione e indagine facendo confusione.
Certamente i principi, come tutte le cose in fisica si assumono veri fino a prova contraria, ma con la differenza che su essi con fiducia costruiamo tutta l'impalcatura della nostra conoscenza, e a me sembra che essi siano lì per dirimere la confusione di cui sopra.
Sono veri in quanto rimediano ad un altrettanto certo, per quanto non chiaro, errore concettuale che nasce da una qualche spontanea e quindi non voluta analogia fra scienza e percezione.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Ipazia

L'essenza di una cosa è data pure dalla sua composizione chimica che con la percezione ha ben poco da spartire. La pirite non è oro e il diamante è parente stretto del carbone.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

iano

Ciao Ipazia.
Terrei separate scienza e percezione per quanto possibile, ma ognuna ha comunque da insegnare qualcosa all'altra.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Ipazia

Tenerle separate permette di continuare a baloccarci con l'illusionismo percettivo. Illusionismo che viene decostruito non appena si utilizzino metodologie scientifiche.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

iano

#34
Tenerli separati significa considerarli strumenti distinti , che prevedono un diverso uso, ma che condividono la stessa funzione.
I diversi sensi sono gia' un esempio di "separati in casa".
Lo strumento scientifico si aggiunge ad essi a "modo suo" , ma non è un modo sostanzialmente diverso, solo diverso.
Tutti fanno capo alla stessa unità  di elaborazione dati.
Il modo dello strumento scientifico, a differenza dei sensi, è esplicito , perché mediato da massiccio uso di coscienza.
Si guadagna in precisione , ma si perde in immediatezza.
La condivisione dello strumento invece rimane.
Con lo strumento scientifico si guadagna in flessibilità.
Si produce una teoria per ogni occorrenza in tempi non evolutivi.
Si produce una babele biblica. Si perde unità.
Si rimpiange la perdita di unità e si va alla ricerca della teoria del tutto, per ritrovarla.
Raramente tiro in ballo la metafisica, ma mi sembra l'unica giustificazione a questa ricerca di unità, il cui modello starebbe mell'unita' percettiva, che la scienza stessa però di fatto descrive come una illusione.
Una volta che la scienza ha rilevato le illusioni della percezione , non gli rimane che andare alla ricerca, per analogia, delle illusioni da essa prodotte .
La scienza altro non è che un esplicitazione del processo percettivo ancora in corso.
Naturalmente tutto ciò che affermo non è verità, ma una assunzione che ha valore nella misura  in cui crei un quadro unitario, come una rastrelliera in cui riporre in modo ordinato vecchi e nuovi  attrezzi.

In questo quadro mi chiedevo quali potessero essere gli analoghi percettivi dei principi fisici.


Di essi si dice che  non dipendono ne' dalla variabile "bontà degli strumenti" , ne' dalla variabile "perizia dello sperimentatore" , e che perciò sono relativi alla realtà.
E se dipendessero da una variabile nascosta?
Cioè da quella parte ancora non esplicitata.

Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
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iano

#35
Il metodo scientifico è una chimera, mezzo animale  e mezzo macchina.
È flessibile e variabile in quanto macchina, è immediato e costante in quanto animale.
Propongo di associare questa inflessibile costanza, alla certezza dei principi fisici., che quindi risiedono nella chimera e si riflettono sulla realtà, ciò che si può illustrare col mito della caverna di Platone, con riflessione in senso inverso.


P.S. Ho parlato di chimera per esemplificare il concetto, perché invece sono fautore di un uomo "esteso" , comprensivo della sua scienza, della sua percezione, dei suoi sensi, della sua unità elaborativa, dei suoi strumenti, etc...
Sono fautore di ciò sempre nel solito senso si ciò che meglio spiega le cose in quadro semplice e ordinato.
Ultima , ma non ultima, considerazione.
Nel processo di esplicitazione di cui sopra la filosofia gioca in casa.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
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iano

#36
Filosoficamente parlando, la vera illusione sta nel credere che sia possibile una conoscenza priva di pregiudizi, e che anzi essa , come eroe mitico, proceda abbattendo pregiudizi.
In effetti procede, o meglio ,muta, cambiando un pregiudizio con un altro.
Questo è un esempio, giusto o sbagliato che sia, di cosa intendo per contributo della filosofia all'esplicitazione del processo di conoscenza.
Prendere coscienza ad esempio della irrinunciabile funzione del pregiudizio, ma di nessuno di essi in particolare.
Certamente esso crea illusioni, il cui valore però allora va' parimenti rivisto e rivalutato.
Sono parte del processo, sia che medino i sensi, sia che medi la scienza.
Senza di essi non ci sarebbe alcuna scienza e percezione, e quindi alcuna conoscenza.
Perciò la matematica , con i suoi pregiudizi in forma di assiomi , si mostra così "spiegabilmente" efficace .
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
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iano

#37
Ho usato in questa discussione il termine "paradosso" per attrarre audience, ma nonostante ciò, o forse per ciò audience non ha avuto.
Ma ciò che è nato come un gioco è diventato nel corso della discussione un sospetto, che la natura dei principi fisici sia davvero paradossale.
Non so' neanche se il termine sia adeguato a ciò che intendo.
Voglio dire che il mio intuito rifiuta di accettare che la natura sia condizionata da principi che appaiono ai miei occhi come arbitrari.
Certo non nel senso che sono una nostra invenzione gratuita.
Deriviamo essi infatti dalla nostra interazione con la natura.
Ma proprio perciò mi sento di ascriverli propriamente alla natura di questa interazione, che non alla natura.
Dal fatto stesso che questa interazione sia possibile possiamo derivare l'unico limite della natura, se così possiamo dirlo, che risiede in una sua coerenza di fondo che si riflette nelle teorie che la descrivono come requisito ad esse necessario.
Se non è possibile per principio misurare contemporaneamente posizione e velocità, prendendo il principio di indeterminazione ad esempio,  ciò non è cosa che riguarda la natura, perché posizioni e velocità non riguardano la natura, ma una sua possibile descrizione.
In quanto limiti i principi riguardano più noi che la descriviamo.
Il termine stesso "limite" è insoddisfacente.
Noi non abbiamo limiti infatti che non derivino dalla nostra struttura fondamentale.
Il nostro limite coincide col nostro essere, e il descrivere l'essere come limite non sembra del tutto appropriato.
Il giorno che un principio della fisica fosse violato, dovremmo riscrivere le nostre teorie, e sapremo allora che noi siamo cambiati profondamente, perché noi siamo le nostre teorie ad immagine della natura. Cambiano i mezzi che riflettono, cambiano le immagini. Avversiamo le nuove teorie per spirito di conservazione, e non a caso esse spesso vengono proposte da personaggi poco raccomandabili , disadattati sociali, bastian contrari , diversamente sapiens.
Ma il tutto avviene in tempi così lunghi che non c'è ne accorgiamo.
Se qui ne parliamo è perché questi tempi si sono accorciati da farci intravedere qualcosa.
La conoscenza ci ha posti davvero fuori dal paradiso naturale, e ci è dato solo osservarlo da fuori.
La nostalgia del paradiso perduto è però una perfetta illusione.
Il paradiso non appare mai tale se non quando lo puoi guardare da fuori.
Quando ci sei dentro non lo sai, e quando lo sai ne sei fuori, quindi di fatto non te lo godi mai.
Quello di cui possiamo godere nel nostro vivere  è dell'esser ciò che siamo, ma senza mai affezionarci troppo a quel che siamo se vogliamo godere di più vite insieme.


So' cosa risponderete in coro.
Una vita basta e avanza.
E se è così non mi resta , in fondo, che inchinarmi alla vostra saggezza.


Il dolore è funzionale alla vita, ma ad una sola, perché fa' si che nessuno voglia ripetere l'esperienza, a meno che non se ne perda memoria.
Eppure a me sembra di aver vissuto in questi tempi già  più vite insieme.

Non male per un pigro strutturale, o forse proprio per ciò , tendendo a lasciarmi vivere.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Ipazia

Siamo stati generati dall'evoluzione per percepire, entro range fisico-chimico-biologici determinati, l'ambiente che ci circonda ed a cui dobbiamo la nostra possibilità di sopravvivenza. Inoltre, i nostri peculiari processi cognitivi ci hanno fornito strumenti materiali e teoretici in grado di avere una percezione della realtà più esatta di quella fornita dell'evoluzione naturale dei sensi.

Fin qui non c'è nulla di metafisico, nessuna cosa-in-sè a prova di fallacia percettiva. E non è nemmeno postulabile, dato il divenire che incessantemente modifica la realtà.  Di fronte alla quale dobbiamo inventarci rette parallele e figure geometriche regolari per poter progettare ogni cosa a cominciare dalla tana.

Possiamo fare ciò perché la natura benigna tollera anche le nostre approssimazioni e, laddove esse non risolvono, ci concede l'escamotage dell' "hic sunt leones", nella moderna e gettonata versione del principio di indeterminazione relativo a fenomeni subatomici.

Gratificandoci inoltre di non escludere che anche nell'ipotetica regione di questi novelli leones prima o poi ci metteremo pure le nostre percezioni, auspicando che ciò non conduca all'estinzione dei leones e/o dei loro cacciatori-raccoglitori.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

niko

 Il limite posto dal principio di indeterminazione non è solo strumentale, ma teorico, ovvero alcune grandezze non hanno significato simultaneo proprio perché alcuni eventi reciprocamente escludentisi su un piano macroscopico a livello microscopico si verificano simultaneamente.


L'elettrone in orbita intorno al nucleo ha tutte le posizioni possibili prima di essere osservato, non ne ha una inconoscibile che viene perturbata dalla misura, esiste l'effetto tunnel, l'esperimento della doppia fenditura, la non località degli stati entangled eccetera, quindi il linguaggio formale e matematico con cui descriviamo la simultaneità di quello che normalmente (macroscopicamente) non è simultaneo, non può implicare
anche, come possibilità espositiva dello stesso linguaggio, la "consueta" simultaneità di quello che normalmente (macroscopicamente) è simultaneo, pena il non riuscire a nominare correttamente quello che tale linguaggio si propone di nominare; un sasso che lancio con la fionda, per fare un esempio qualsiasi di oggetto macroscopico, ha una posizione e una quantità di moto simultaneamente significative, possiamo fotografarlo in una serie di istantanee del suo tragitto avendo cura di includere nell'immagine anche un metro o un qualche sorta di spazio graduato a cui farlo corrispondere e di tener conto del tempo a cui corrisponde ogni istantanea; possiamo attribuirgli, una serie, o meglio, due serie, di valori per la posizione e per la quantità di moto, tutti simultaneamente escludentisi come singoli valori di una possibile serie esprimente quel valore nel tempo, e tutti correlati in coppie simultaneamente significative di un valore e dell'altro allo stesso attimo; l'elettrone no, in ogni suo possibile tragitto è nella cosiddetta nuvola di probabilità, cioè in un'onda matematica astratta che trasporta la probabilità variabile di trovarlo in certo punto dello spazio ad un certo tempo, per questo dobbiamo entro certi limiti scegliere se rilevarne la posizione o la velocità e non possiamo rilevarle insieme.


Quindi, se riflettiamo bene, la perdita di simultaneità nella conoscibilità di posizione e quantità di moto di una particella quando passiamo dal percorso del sasso a quello dell'elettrone, dal linguaggio descrittivo della fisica classica a quello della fisica quantistica, corrisponde al guadagno per l'"oggetto" elettrone considerato nell'evento "percorso", di un'infinità di posizioni e velocità -simultaneamente significative- che a livello macroscopico, quindi nell'altro possibile linguaggio, si escluderebbero. L'impossibilità dell'accoppiamento dei valori di una serie e dell'altra per istante, corrisponde alla confluenza di più valori possibili per un singolo parametro di una singola serie per un singolo istante, al fatto che le cose siano probabilisticamente diffuse dappertutto ma non in un caos, ma in maniera in linea teorica ordinata e descrivibile, quindi la sopravvenuta indescrivibilità di alcuni stati di cose corrisponde alla sopravvenuta descrivibilità di altri, per questo la natura secondo i filosofi non farà pure salti, ma il modo fisico e matematico in cui
descriviamo la natura non riesce ancora a prescindere dal "salto" tra microscopico e macroscopico, quindi tra relatività generale e fisica quantistica.


Per fare un esempio più concreto, esiste l'effetto Zenone quantistico, per cui effettuando una grande quantità di misurazioni su una particella quantistica, e quindi provocando una grande quantità di collassi della sua funzione d'onda, la particella appare localizzata in una piccola porzione di spazio e quasi ferma e non evolventesi nel tempo, la misurazione impedisce al normale "tragitto" della particella di svolgersi e la riporta sempre allo stato iniziale pre-misurazione, nell'esempio del sasso lanciato, sarebbe come se il fatto che noi lo fotografiamo tante volte lungo il tragitto impedisse al sasso di procedere nella sua normale parabola e il sasso riproponesse all'infinito le condizioni in cui lo abbiamo colto nella prima foto, rendendo tutte le foto indistinguibili dalla prima e l'una dall'altra, finché non smettiamo di disturbarlo fotografandolo, insomma non solo in fisica quantistica la misurazione altera l'evento, ma una quantità enorme di misurazioni possono tendere a farlo svanire del tutto, l'evento, e a restituirci l'immagine della ripetizione indefinita e non più evolvetesi di un singolo attimo.


Quindi il limite posto dal principio di indeterminazione non è solo tecnico o tecnologico, ma epistemico, non si può costruire una macchina, ad esempio un microscopio, che misuri simultaneamente la posizione e la quantità di moto di una particella con arbitraria precisione così, come non si può costruire, in termodinamica per dire, la macchina del moto perpetuo che fa andare la filanda all'infinito, o in senso relativistico, l'astronave di star trek che va più veloce della luce; per quello che ne sappiamo attualmente di come funzione l'universo, queste macchine non sono possibili, mai, perché non sono solo un assurdo materiale e immaginativo, ma anche logico e formale rispetto al linguaggio con cui, a livello scientifico, pensiamo, descriviamo e comunichiamo l'universo stesso, quindi dovrebbe cambiare prima completamente il modo in cui descriviamo l'universo e la conoscenza che ne abbiamo, prima che queste macchine diventino possibili. In altre parole, sono macchine che nella loro impossibilità esprimono i limiti conosciuti del mondo e della natura, non solo dell'uomo nel suo essere storico e contingente. Se anche una sola di queste macchine impossibili esistesse, tutta la fisica da Newton in poi sarebbe da buttare, da riscrivere, cioè non esiterebbe nessuna conoscenza a disposizione nel bagaglio scientifico umano per giustificare non solo la costruzione, ma anche la mera esistenza, di tali macchine, tra cui a pieno titolo il microscopio che viola il principio di Heisenberg.


Il principio di Heisenberg è importante anche perché è violato in caso di una singolarità gravitazionale puntiforme arbitrariamente densa (la singolarità avrebbe energia e tempo simultaneamente significativi, non corrisponderebbe a nessuna oscillazione di energia nel tempo da un minimo a un massimo e quindi a nessun fenomeno fisico possibile), quindi è uno dei principali argomenti contro l'ipotesi teorica del big bang se assunta letteralmente; la singolarità gravitazionale del big bang, o anche quella che si trova nel centro di massa di un buco nero, secondo il principio di Heisenberg può essere micro estesa, piccolissima, qualcosa che possa avere degli estremi sia pur ravvicinatissimi, estremi tra cui avviene e si dispiega il processo corrispondente alla stessa esistenza, ma non inestesa, puntiforme.
Cosa che è anche molto intuitiva per l'uomo comune per quante altre cose controintuitive ci possano essere nella scienza moderna; infatti nell'esperienza quotidiana nessun oggetto reale o materiale può corrispondere all'astrazione del punto geometrico, astrazione che è sia spaziale, ma anche per estensione temporale: ogni segmento ha una lunghezza e ogni lasso di tempo ha una durata, punti e istanti puntiformi sono artifici di linguaggio che possono essere molto comodi a descrivere la realtà o la natura ma a cui non corrisponde nulla di reale o naturale, quindi arrivare a sostenere che un qualche cosa di esistente e producente effetti, sia davvero inesteso come un punto geometrico, indica con grande probabilità un errore nella teoria.




Far nascere il cosmo dall'inestensione, è come farlo nascere da un'entità metafisica.


In generale in filosofia da Cartesio in poi l'inestensione è l'attributo del pensiero, e l'estensione quello della materia; e io non credo che il mondo nasca dal pensiero, da entità che per definizione esistono sempre e solo in quanto pensate, e quindi nemmeno dal punto geometrico, o da qualcosa che ivi possa essere "contenuto".
Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

iano

#40
Citazione di: niko il 08 Giugno 2021, 15:59:20 PM
Il limite posto dal principio di indeterminazione non è solo strumentale, ma teorico, ovvero alcune grandezzenonhanno significato simultaneo proprio perché alcuni eventi reciprocamente escludentisi su un piano macroscopico a livello microscopico si verificano simultaneamente.



È un limite di principio. Non dipende cioè ne' dalla bontà degli strumenti ne' dalla perizia dello sperimentatore.
Vale inoltre a qualunque scala dimensionale.
Infatti il principio non esclude la possibilità di misurare con precisione a piacere , metodo di misurazione permettendo, la posizione , oppure parimenti la QM, ma non le due cose contemporaneamente.
Il principio mette in crisi il determinismo nel definire completamente lo stato di un sistema non potendolo riferire a un preciso istante , o in alternativa perché, a scelta, si dovrà accettare un limite alla precisione delle misure che definiscono lo stato del sistema.
Su scala macroscopica il principio possiamo trascurarlo, ma continua a valere.
Quindi a livello macroscopico possiamo continuare ad assumere il determinismo come valido senza conseguenze dal punto di vista pratico.
Possiamo continuare a mandare razzi sulla luna con successo, come se il principio non esistesse.


Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

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