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Il mondo privo dell'uomo

Aperto da viator, 21 Marzo 2021, 21:10:42 PM

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niko

Citazione di: viator il 24 Marzo 2021, 11:12:17 AM
Salve niko. Non ti ho seguito. Mi limito ad osservare che, per parte mia, la coscienza è solo una funzione-ponte collegante la memoria al raziocinio mentale.

Nell'uomo essa quindi collega psiche-memoria con mente.

In altre specie essa - se esiste (la cosa è discutibile) sempe la psiche-memoria (che tutti i viventi dotati di sistema nervoso possiedono) con.....il vuoto........(poichè solo gli umani dovrebbero possedere ciò cui collegarla, cioè appunto la mente). Saluti.




te la faccio semplice, coscienza di tipo umano, da una parte, nel senso di elevata, complessa e soprattutto dotata della parola, e specie umana fisica biologica, dall'altra, evidentemente, anche a ragionare in termini di darwinismo, genetica e di come la scienza moderna descrive attualmente la natura, molto probabilmente, anzi, quasi sicuramente non hanno lo stesso destino: probabilmente l'uomo si estinguerà e verranno altre specie coscienti o addirittura organismi artificiali; i nostri antenati, pur non sapendone nulla di evoluzione o di intelligenze artificiali, hanno sempre immaginato la possibile, se non necessaria, esistenza di altri esseri coscienti oltre all'uomo, tipo Dio, gli angeli eccetera, magari non ci hanno colto perché queste entità non esistono, ma ci sono in generale nella cultura parlanti non umani, o almeno non contemporanei all'umano parlante, già la scrittura è un modo di interloquire con i morti o con gli spazialmente distanti, insomma la coscienza non corrisponde, ameno non in modo semplice con la specie, quindi la coscienza esiste indipendentemente dalla specie, quindi non è del tutto folle pensarla come una proprietà del mondo (naturale, non quello di Astolfo), e in quanto tale preesiste all'uomo, il che vorrebbe dire che in un certo senso lo spirito e l'autocoscienza dell'uomo preesiste, e post esiste, sopravvive all'uomo.


E' naturalmente possibile distinguere tra mondo fisico e mondo antropologico, il fatto è che prima o poi il mondo fisico farà un bel frullato con quello antropologico, nel senso che lo distruggerà e lo spazzerà via, ma non sappiamo se ciò sarà la fine della coscienza in generale o no, quindi la generica esistenza della coscienza ha ottime probabilità di essere più estesa temporalmente e spazialmente dell'uomo e del mondo antropologico umano, quindi almeno secondo me merita di essere oggetto di riflessione specifica, a parte da quella "sull'universo antropologico", da cui potrebbe anche scaturire un senso meglio definito e meno banale di "cultura".


Il parlante e il raziocinante non è di nessuna specie, è transpecifico, la cultura sfida continuamente l'uomo a uscire dalle sue identificazioni puramente fisiche e a parlare con un "altro" indeterminato, che non si sa chi sia e mette in discussione anche l'identità dell'altro parlante. L'animale che parla non è solo l'uomo, anche perché la facoltà di parola non giunge storicamente a formarsi tutta insieme, in tutti gli aspiranti uomini allo stesso livello di complessità, quindi è probabile che l'umanità abbia attraversato lunghi periodi in cui la facoltà di parola era mista alla comunicazione animale, come differenza sia tra gruppi che tra individui specifici dello stesso gruppo quindi "ecco un animale che parla", come eccezione e parola lanciata verso una probabilità di essere raccolta e ascoltata indefinita, è stato per secoli più reale e realistico di "ecco un uomo". La cultura è dunque per me la comunità transpecifica o aspecifica dei parlanti.
Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

Ipazia

Tutte le ipotesi sono legittime ma per diventare sapere devono trovare conferma nel mondo reale in cui l'unica forma di coscienza evoluta riscontrabile è quella umana, correlata ad umani vivi in carne ed ossa, produttori dell'unica cultura di cui abbiamo conoscenza la cui specificità ha fondato un mondo parallelo e integrato col mondo naturale, da me definito "universo antropologico", con le sue rappresentazioni, volizioni e simboli. Va da sè che questo "mondo" è nato e morirà con la specie che l'ha generato. Mentre il resto dell'universo, che l'ha visto nascere e morire, continuerà per la sua strada.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

iano

#47
@ciao Niko.
Questa non è una critica specifica rivolta a te.
Però trovo certi attorcinamenti nei tuoi discorsi, che mi portano a dedicarla a te.
Ma ci potrei mettere dentro Ipazia e tutta la simpatica banda a seguire ;)
Mi pare che si tenda a vedere discontinuità dove non è dimostrato che ve ne sia, e questa discontinuità complica ogni possibile facile spiegazione.
Complicazioni che nascono dalla comprensibile tendenza ad autoassegnarci un posto privilegiato nel "creato".
È naturale che sia così, ma sembra che ogni vivente più che seguire la sua natura, come normalmente si usa dire con visione statica, tenda a superarla , o meglio a modificarla secondo una più corretta visione dinamica.
Se guardiamo le cose da questo punto di vista sembra un miracolo che si possa parlare di umanità e di specie animali in genere. Cioè che degli individui viventi, ognuno dei quali è cosa unica e irripetibile, possano  convenzionalmente farsi appartenere a delle precise categorie in base a precise caratteristiche.
Venendo scelte queste caratteristiche in modo del tutto arbitrario, ha senso poi chiedersi quale sia il destino di questo gruppo di individui?
Da quando esiste questo gruppo e se continuerà ad esistere?
Posto che abbia senso parlare di questi gruppi, e certamente lo ha, è evidente che l'origine di ogni gruppo viene  da una convenzione arbitraria, che rischia di trasformarsi però in una convinzione, che l'umanità esista davvero.
I paleontologi "creano" e disfano specie man mano che acquisiscono nuove conoscenze, riorganizzandole così in modo più conveniente.
Il mondo privo dall'uomo?
La domanda ha senso se si presuppone che la categoria umana venga stabilità una volta per tutte.
Ma che senso avrebbe fissare queste categorie una volta per tutte, andando magari a cercare caratteristiche uniche ed esclusive che complicano solo ogni discorso?
La domanda che si pone  Viator a rigore e' priva di senso.
Una convenzione non può diventare una convinzione che si protragga nel tempo immutabile ad ogni nuova risultanza scientifica.
A rigore non sono le specie ad estinguersi, ma gli individui viventi, con la morte.
A volte si può esprimere tale ineluttabile evento, dicendo che è "morta" una specie, ma in effetti è morta solo una convenzione, perché nella descrizione delle dinamiche della vita non si ritiene più utile usarla, se non riferendosi eventualmente al passato.
Così nascono e muoiono le specie, per convenzione.Per modo di dire.
È la coscienza perché dovrebbe essere qualcosa di speciale?
Solo perché è utile a caratterizzare un insieme di individui viventi?
Quelli che mostrano di farne più uso.
Emme'. È allora?
Che bisogno c'è di ricamarci su questa banalità?
E sopratutto farlo senza sfuggire al sospetto , comprensibilissimo, umano, troppo umano, di auto celebrarsi.
Ma non sarà arrivato il momento , dentro alle dinamiche della vita, e mi rivolgo ad ogni individuo cosiddetto umano, di superare questa natura?
.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Ipazia

Prova a svegliarti in un mondo in cui la specie umana non esiste più  ed esiste solo l'individuo iano e poi ne riparliamo. Evidentemente lady Thatcher ha fatto scuola e prodotto allievi. Il che, a negazione delle sue convinzioni, dimostra che la società esiste e, purtroppo, in certe forme si replica pure.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

niko

#49
Iano,


le specie non sono convenzioni perché comportano somiglianze fenotipiche, compatibilità sessuale con possibilità di prole fertile e soprattutto sono per lo più indentificate da un numero di cromosomi per cellula fisso, per confermare che tu non sia uno scimpanzé, basta contare i cromosomi, se questo è una convenzione, allora tutto è una convenzione.


A parte questo, proprio perché la vita è auto-superamento, la coscienza non appartiene alla specie, la manteniamo anche aggiustandoci continuamente nella nostra funzione organico-dinamica, questo qualcosa dovrà pur significare.


Ipazia,


io non voglio fare ipotesi, voglio mostrare come è fatta ed è stata fatta nel tempo la cultura, è per questo che il discorso si complica e più provo a usare parole facili più mi dicono che parlo complicato, oggi la rete di quello che è cultura, proprio come nodi di cui è composta, comprende uomini attualmente viventi, macchine costruite da altri uomini, liberi e testi scritti da altri uomini chissà quanto tempo fa, quindi l'identificazione cultura-specie attuale, nel senso di attualmente vivente, o tanto meno compresente, si smonta da sé.


Facendo uno sforzo di astrazione e di immaginazione un po' più complesso, non solo la comunità di quello che è cultura è aperta agli umani non presenti, ma anche alle macchine, animali e oggetti: se butto delle lettere di plastica a terra, ciò può formare, se ho fortuna, magari in un caso su diecimila, una parola, se qualcuno passa di lì tempo dopo, non vede più me e vede quella parola avulsa dal contesto, non può sapere se deriva dall'intenzionalità umana o no (in questo caso no), e in effetti la natura è natura ma è anche oblio dell'artificio e dell'artificiale, se io sono sempre cresciuto in matrix come nel famoso film, per me quello è natura; e cos'è una scimmia che impara a parlare con una tastiera riproducente suoni se non un parlante non umano in grado di interfacciarsi con i parlanti umani? I nostri antenati sono stati per secoli convinti di parlare con angeli, demoni e con Dio, non importa che non esistevano, per loro sì, la loro rappresentazione di comunità dei parlanti non coincideva con la specie, e le profezie e le convinzioni profonde si auto-avverano, nel senso che pur essendo false portano a costruire un mondo "come se" fossero vere.


Un po' di post fa mi veniva in mente Deridà appunto perché la scrittura non è solo riproduzione della parola parlata, non è riducibile a un linguaggio per indicare la parola, anche se certo è anche quello, il fatto di essere scrittura della scrittura la riconsegna all'animalità e all'oggettualità, scrittura uguale traccia, e torniamo all'esempio delle lettere buttate a terra a caso, potrebbe essere stato un gatto, o potrebbe essere successo così per caso: il mondo che mi offre quella parola di lettere di plastica rispetto a me come soggetto può simulare, nessuno può in effetti può aver tentato di inviare un messaggio, e io potrei star ricevendo il messaggio di nessuno, ma non può dissimulare, nel senso che il nesso lettere-parola è chiaro e stabile, il modo in cui tale parola sorge è indecifrabile se non per congettura: mentre con l'oralità è necessario l'incontro dei parlanti nel tempo, con la scrittura si ha una comunicazione epigrafica e spaziale, che proprio perché non prescinde dalla posizione nello spazio, prescinde dall'incontro con i parlanti nel tempo; e se si prescinde dall'incontro tra i parlanti nel tempo, la vita può continuare nella sua dinamicità ed evoluzione, e la scrittura restare, disconfermando appunto il nesso tra facoltà di comunicare e specie.
Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

iano

Citazione di: Ipazia il 25 Marzo 2021, 06:50:10 AM
Prova a svegliarti in un mondo in cui la specie umana non esiste più  ed esiste solo l'individuo iano e poi ne riparliamo. Evidentemente lady Thatcher ha fatto scuola e prodotto allievi. Il che, a negazione delle sue convinzioni, dimostra che la società esiste e, purtroppo, in certe forme si replica pure.
La Thatcher? In cosa dici che gli somiglio, perché non ne so' molto di lei, anzi nulla.
Constato , ma senza nulla recriminare ( ci mancherebbe altro) che al mio ennesimo post ripetitivo finalmente registro qualche reazione.
Credo sia significativo, anche se non saprei bene analizzare il perché.
Come spesso mi succede ho espresso convinzioni nate li per li.
Ma più insistevo con i miei post inevasi, più me ne convincevo , al punto che adesso sarei tentato di credere, sbagliando,  di aver espresso banalità .
In effetti vi ho proposto un diverso punto di vista, nuovo anche per me.
Nel formularlo sono stato certamente influenzato dagli ultimi due libri letti:


-Steve Brusatte, Ascesa e caduta dei dinosauri.


- Ed Young, Contengo moltitudini.

Mettendo insieme questi due libri se ne ricava che ogni individuo è ...una moltitudine inestricabile, dove tutti servono e nessuno è insostituibile.
Se domani mi svegliassi da solo diventerei di difficile collocazione zoolologica.

Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

iano

#51
Citazione di: niko il 25 Marzo 2021, 12:49:28 PM
Iano,


le specie non sono convenzioni perché comportano somiglianze fenotipiche, compatibilità sessuale con possibilità di prole fertile e soprattutto sono per lo più indentificate da un numero di cromosomi per cellula fisso, per confermare che tu non sia uno scimpanzé, basta contare i cromosomi, se questo è una convenzione, allora tutto è una convenzione.


Somiglianze relative e rispetto a cosa?
Rispetto alla nostra relativa conoscenza e all'importanza che decidiamo liberamente di dare al conteggio dei cromosomi ,alla somiglianza del codice genetico piuttosto che ad altro, in relazione e nei limiti di ciò che conosciamo.
Non stiamo dicendo cose diverse , ma ne traiamo conclusioni diverse.
La scelta delle somiglianze è arbitraria, non obbligata, e quindi in base alle scelte fatte mutano i confini fra specie, e quindi la definizione stessa di specie.
Dividere i viventi in specie è conveniente.
Diversamente dovremmo parlare di ogni individuo come cosa a se'.
Ciò corrisponderebbe a verità ma diventerebbe complicato e impossibile parlarne.
Tuttavia esistono individui nella realtà e non specie.
Ma perfino il concetto di individuo è esso stesso una semplificazione.
Ogni individuo è una moltitudine , in effetti.
( vedi riferimento bibliografico mio post precedente)
Possiamo certamente chiederci se una specie è esistita, esiste, esisterà, ma la risposta è legata alla convenzionale definizione di quella specie.
Oggi sembra banale distinguere le diverse specie fra loro, ma esse sono il relativo risultato di un enorme lavoro fatto dagli scienziati nei secoli scorsi a partire dal Linneo.
Non è stata una impresa facile. Il 50% per cento degli allievi di Linneo è morto sul campo .
Prima di allora ippogrifi  e unicorni , seppur mai visti, erano presenze fisse nei bestiari.
Noi oggi possiamo ridere di ciò.
Però se l'esperienza insegna qualcosa dovremmo iniziare a chiederci per qual simile possibile motivo i nostri pronipoti potrebbero ridere di noi e dei nostri moderni bestiari.
Gli ippogrifi non li abbiamo mai visti, ma neanche le specie se è per questo.
Chi può affermare di aver mai visto la specie umana?
La specie umana là si disegna ne' più ne' meno di come si disegna un unicorno.
Diversa è l'utilità che si può trarre da quei disegni.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

niko

#52
"Chi può affermare di aver mai visto la specie umana?"

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Per me, Chiunque abbia puntato un adeguato microscopio su una cellula umana diploide e abbia contato i cromosomi.

Poi la specie, e la vita in generale, esiste come confine alle possibilità di ricerca di senso, realizzazione e autodefinizione dell'individuo: possiamo fare tantissime cose, progetti, monumenti, vocabolari, e definire il nostro orizzonte di senso in mille modi, ma la tendenza complessivamente considerata agente in ogni individuo fare prole, difenderla finché non sia autonoma e a quel punto o una volta mancata l'occasione levarsi dalle scatole morendo, sarà sempre più forte delle nostre autodefinizioni, nominazioni e orizzonti di senso.

Anche l'individuo è convezione ed è tanti, ma proprio questo essere "tanti" dell'individuo vuol dire essere vita ed essere specie, quindi il volersi riprodurre e il tendere a morire prevarranno appunto sulle istanze proprie dell'io e dell'individualismo spicciolo. Questo è anche il motivo per cui non si può definire una base pro-vita dell'etica, per cui in generale bene è vita e male e morte, la morte dell'individuo è vita per la specie e per la bio-massa della vita in generale, un certo grado di "morte" nella massa deve darsi perché possa essere l'individuo, quindi il mors tua vita mea non è solo nella lotta tra compresenti i un dato momento, ma nello scarto differenziale tra interessi del gruppo e dell'individuo.
Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

Ipazia

niko.

le lettere le può buttare per terra, e decifrare, solo un umano poichè l'unica comunicazione simbolica attualmente operante è tra umani. Vi sono forme di comunicazione interspecie ma molto rudimentali, a livello meramente animale. Mentre con le macchine parlare di comunicazione resterà una fantasticheria finchè non esisteranno macchine capaci di pensare ed agire indipendentemente dalle istruzioni che gli umani hanno loro imposto.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Jacopus

#54
l'intervento di Iano (51), è realmente più scientifico di quanto possa sembrare, poichè la scienza si serve di concetti che funzionano, non necessariamente "veri" e la divisione attuale in specie sembra funzionare. Questo però non significa che sia tutto così chiaro. Vi sono specie diverse che si possono accoppiare (mulo/cavallo, leone/tigre) e lo stesso homo sapiens si è probabilmente accoppiato con mulier neanderthalensis ed anche Denisoviana, visto che abbiamo tracce nel nostro DNA che sono di queste due diverse specie (tranne i soggetti puri provenienti dall'Africa di pelle nera, che paradossalmente, rispetto alle teorie razziste, sono gli homo sapiens più puri geneticamente). C'è un processo di commistione/mutamento genetico sempre dinamico. La osserviamo nel breve periodo negli organismi più semplici come virus e batteri (e comunque i virus non sono organismi in senso stretto). Una commistione che avviene intraspecificamente ma anche extraspecificamente, secondo la famosa immagine dell'evoluzione "a cespuglio", quindi non più classicamente descritta come un albero, dai progenitori ai discendenti. Il DNA si mescola anche in modo orrizontale e quindi è effettivamente una convenzione dividere la vita in specie, ma è una convenzione che funziona e che permette di studiare le differenze. In fondo siamo simili ai gorilla giganti, ma siamo anche piuttosto diversi.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

iano

#55
Citazione di: niko il 25 Marzo 2021, 14:40:35 PM
"Chi può affermare di aver mai visto la specie umana?"

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Per me, Chiunque abbia puntato un adeguato microscopio su una cellula umana diploide e abbia contato i cromosomi.

Poi la specie, e la vita in generale, esiste come confine alle possibilità di ricerca di senso, realizzazione e autodefinizione dell'individuo: possiamo fare tantissime cose, progetti, monumenti, vocabolari, e definire il nostro orizzonte di senso in mille modi, ma la tendenza complessivamente considerata agente in ogni individuo fare prole, difenderla finché non sia autonoma e a quel punto o una volta mancata l'occasione levarsi dalle scatole morendo, sarà sempre più forte delle nostre autodefinizioni, nominazioni e orizzonti di senso.

Anche l'individuo è convezione ed è tanti, ma proprio questo essere "tanti" dell'individuo vuol dire essere vita ed essere specie, quindi il volersi riprodurre e il tendere a morire prevarranno appunto sulle istanze proprie dell'io e dell'individualismo spicciolo. Questo è anche il motivo per cui non si può definire una base pro-vita dell'etica, per cui in generale bene è vita e male e morte, la morte dell'individuo è vita per la specie e per la bio-massa della vita in generale, un certo grado di "morte" nella massa deve darsi perché possa essere l'individuo, quindi il mors tua vita mea non è solo nella lotta tra compresenti i un dato momento, ma nello scarto differenziale tra interessi del gruppo e dell'individuo.
Ripeto , diciamo le stesse cose, ma guardandole da sue prospettive diverse.
Io mi sforzo di guardarle da un punto diverso di vista perché questo mi suggerisce la scienza nella sua evoluzione .
Il quesito posto da Viator mi è parso ammissibile quando l'ho letto, ma nel corso di questa utilissima discussione mi è parso via via più paradossale.
Il paradosso nasce, come ha scritto Jacopus, dal credere vero ciò che per convenienza costruiamo.
Che ciò  succeda direi sia inevitabile.
Le nostre teorie prendono il posto della realtà quanto piu esse si mostrano utili, e quanto più vi prendiamo tutti confidenza.
Questo "senso di realtà" è tanto più forte quanto nella sua costruzione non sia intervenuta la coscienza.
È un senso di realtà che certamente condividiamo con le altre specie animali.
Certamente caratterizzarci dunque come specie che usa coscienza in abbondanza sembra una scelta obbligata, ma a rigore si tratta di una libera scelta fatta in attesa di comprendere meglio cosa sia coscienza.
Non è facile modificare un senso di realtà nella cui costruzione non sia intervenuta la coscienza.
Diversamente sarebbe facile farlo. Sarebbe facile disfare ciò che si è costruito in coscienza,
Disfare per ricostruire secondo nuovi criteri suggeriti da nuove conoscenze.
E le specie fanno parte di queste costruzioni.
Non ci vuole una scienza per percepire che una zebra è una zebra.
Là si percepisce così chiaramente che sembra strano immaginare un tempo in cui questa percezione non fosse data.
Ma se si usa la scienza la prospettiva cambia, e cambia in continuazione, e cambiamo quindi noi.
Comprensibile una certa apprensione quando ciò  avviene e il volersi aggrappare a punti fermi quando la "realtà " solita, più che solida, trema.

Se continuiamo a considerarla solida al di là' dei suoi limiti funzionali contingenti, e così succede perché non li percepiamo chiaramente, rischiamo di costruire castelli in aria, di cui il quesito posto da Viator è un buon esempio.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Alexander

#56
Buonasera a tutti


Ho buttato giù una specie di riflessione sul tema:



Quando dico che non c'è mondo se non c'è coscienza di esso, intendo che ciò che viene conosciuto viene conosciuto nella coscienza e che perciò non è possibile conoscre una realtà al di fuori della coscienza. Nessuno può fare esperienza di un oggetto al di fuori della coscienza. Ne consegue che ogni prova dell'esistenza di oggetti esterni alla coscienza, provengono necessariamente dalla coscienza stessa. Non si può quindi provare che l'oggetto esiste al di fuori della coscienza. Se un oggetto non viene conosciuto, non può esserci prova alcuna che lo stesso esista fuori dalla coscienza. Penso che le distinzioni che noi facciamo di solito tra soggetto (cosciente dell'oggetto) e oggetto avvengono all'interno di "qualcosa " che noi definiamo come coscienza, ma che in realtà li contiene entrambi (quindi non viene negata la realtà convenzionale né del soggetto né dell'oggetto). Di questo "qualcosa" non so dire niente perché ogni discorso presuppone dualismo.
Tutto quello che possiamo dire degli oggetti e  dei fatti, che riteniamo esistenti "oggettivamente", è che noi li "percepiamo" (Esse est percipi" Berkeley). Quando noi pensiamo una certa cosa, un oggetto o un fatto, che ci sembra esistente nella "realtà", non facciamo altro che collezionare nella nostra mente una serie di idee su di esso. Per questo una cosa per esistere deve esistere in una mente, dove la percezione si concretizza alla coscienza. Le percezioni delle ossa di dinosauro hanno reso concreta alla coscienza l'idea dell'esistenza di una cosa che chiama (nomina) come dinosauro. Siccome questo "campo di coscienza" non è personale, né semplicemente soggetto, in senso convenzionale, sono d'accordo con Niko all'idea che, anche quando finalmente scomparirà l'uomo, "questo" si manifesterà ancora e costruirà un "mondo". "Questo" però non è "buono" nè "cattivo", ma è una volontà d'esistere. Ha desiderio d'esistere e infatti è attraverso il desiderio che costruisce il mondo.


Sono solo spunti estremamente concentrati, naturalmente.


Ipazia

Allora mettiamola così: la nostra coscienza di fronte ad un fossile ci rende coscienti del fatto che qualcosa è esistito anche quando la nostra coscienza non esisteva perchè non esisteva nemmeno la nostra specie. Traslato sul piano individuale, la foto della bisnonna morta prima che nascessimo è reale o illusoria ? E' esistita solo nel momento in cui la vediamo nella foto ? E se la foto viene distrutta la bisnonna non è mai esistita ?

Prima o poi bisogna fare i conti con una realtà che è al di fuori e indipendente dalla nostra coscienza anche se l'unico modo che abbiamo per conoscerla passa attraverso la nostra coscienza. Per la quale, isolata dal contesto interattivo con altre coscienze, la foto della bisnonna resterebbe un enigma. Il che dimostra pure che la coscienza individuale non è sufficiente per avere un'idea adeguata dalla realtà, ma necessita di interazione con altre coscienze. Ma non basta ancora: è necessario un confronto e una metodologia logica condivisa per interpretare correttamente la realtà, tanto nel caso della foto della bisnonna che del fossile.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

viator

Salve. Nell'aprire il presente topic io non ho parlato di realtà e di verità, concetti eternamente rivangati circa i quali ogni affermazione è contemporaneamente lecita e vana.E' ovvio che un approccio veritativo, da parte di chi abbia una minima dimestichezza con la dialettica (non occorre alcuna conoscenza dottrinale filosofica), è in grado di rivoltare come un calzino qualsiasi tesi.
Quindi trovo che Alexander, iano e niko si stiano dando un gran daffare rigirando i loro mestoli per cercare di separare l'acqua dall'H2O.

Citando - ad esempio (scusami !) Alexander : "Nessuno può fare esperienza di un oggetto al di fuori della coscienza".

Essendo la coscienza il regno del soggettivo ci mancherebbe che essa possa contenere ciò che è fuori di essa. Se ciò che sta fuori della coscienza è (per definizione.......credo!) sia "fuori" che "oggettivo"............non capisco che c'entrino tali due condizioni con il suo poter comunque esistere o non poter esistere.

In breve, viene affermato che nessuno può conoscere ciò che non conosce !!.

Ma simili affermazioni paralogico-lapalissiane mi pare proprio abbondino anche all'interno di altrui interventi ! Saluti.


Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

Jacopus

Per Viator. Non si tratta di affermazioni lapalissiane. Sulla "affermazione dell'esperienza dell'oggetto a partire dal soggetto", sono state scritte intere biblioteche. Basta conoscere la storia della filosofia. Non voglio fare il maestro, Viator, intendimi. Apri delle discussioni molto interessanti, anche dal "basso" della tua cultura ;D  ed hai una mente arguta, però, visto che la filosofia ti interessa, ti metto al corrente che i forumisti che hai citato fanno riferimento ad una tradizione filosofica e spirituale piuttosto solida.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

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