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Il mito della caverna

Aperto da sileno, 28 Gennaio 2019, 12:01:38 PM

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sileno

Il mito della caverna

Per la serie di conferenze "Il filosofo come maestro nella polis" il primo incontro è proposto da un ricercatore di Etica sociale di Padova. Espone l'argomento con un linguaggio semplice: infatti per lui la filosofia deve essere uno strumento di comunicazione a tutti accessibile.
A quei tempi tale voce nella piazza era scomoda e provocatoria in quanto interpretava problemi e saperi con uno sguardo lungimirante e critico. Eppure tale ricerca filosofica era rilevante per la vita dei cittadini e della comunità politica. Rappresentava inoltre un'etica estranea ad autorità religiose.
Parla dello scopo di far raggiungere la perfezione con l' educazione e la giustizia: elementi indispensabili per la collettività.*

Riporta il "mito della caverna" di Platone: ci sono prigionieri che voltano la schiena all'uscita e vedono solo il riflesso di ombre che arrivano dall'apertura, ma non ne conoscono l'origine, cioè la verità sul loro essere. Così sono costretti a credere in un falso simulacro della realtà. Uno solo riesce a vedere cosa sono quelle ombre, ma ora che detiene tale conoscenza non è felice perché non dimentica la sua precedente condizione di ignoranza e perché ha compassione dei suoi compagni che sono ignari come lui prima. Non riesce a godere di questa rivelazione che coinvolge solo lui, e ha pietà di chi è rimasto all'oscuro. Quindi il motivo che induce qualcuno a essere maestro di altri è che diventi come lui consapevole: questo è il vero filosofo e le ragioni del suo ruolo di far luce anche nelle menti altrui. Per una conoscenza che non può essere mai conclusa, ma è tensione per salire ancora e ancora, man mano che noterà carenze nel suo stesso sapere: è un processo infinito.*

"Il mito della caverna" diventa una metafora :chi è abituato a vivere nel buio non accetta la luce, non crede, oppone quello in cui egli crede. Deride chi rivela l'errore, lo tratta da matto fino a ucciderlo. Nessuno dei prigionieri vuole conoscere, stanno bene così, radicati nelle loro abitudini. Lui non può farci nulla, nemmeno fuggire dalla polis perché da cittadino deve rispettare le leggi. Deve accontentarsi di essere l'unico depositario di questa verità e considerare questo privilegio limitato a un senso personale da dare alla sua vita.
Eppure all'esigenza di etica' sociale non ci sono alternative nemmeno oggi perché nulla è cambiato nei secoli.


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Che il senso della filosofia sia questo? L'a - letheia che toglie i veli di Maya? A tal proposito è da citare pure Socrate che attraverso incalzanti interrogativi, fa ammettere al suo interlocutore le sue contraddizioni. La "verità" a cui può seguire un cambiamento non viene imposta, ma è un processo maieutico a cui si deve arrivare da soli,accettando il metodo dialogico e dialettico. Senza rifiutare fonti orali o scritte autorevoli che inducono a un confronto tra più visioni della vita.

Ma tale premessa a uno spontaneo cambiamento non sono oggi peculiari della sola filosofia. Infatti anche le terapie che si appoggiano sulla parola inducono a più ampie visioni e non in modo direttivo. A volte anche per uscire dalla gabbia di una propria "normalità", per una libera crescita personale. In quanto alla ricerca del perché si preferisca restare nelle tenebre, e/o si tacitano certe voci demistificatorie, a volte con la violenza, possono esserci varie motivazioni anche molto diverse tra di loro, su cui si può indagare.

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