Il merito. Esiste davvero?

Aperto da davintro, 13 Dicembre 2019, 17:11:28 PM

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davintro

Siamo soliti contrapporre in modo apparentemente netto ciò che otteniamo o che si potrebbe ottenere tramite "merito", cioè tramite impegno, le nostre scelte liberamente attuate, rispetto a ciò che si otterrebbe per mera fortuna, di fronte a cui non ci sembra di avere alcun merito, in quanto l'ottenerlo non appare conseguenza di un nostro agire, ma un possesso che preesiste ad esso (la famiglia in cui si nasce, l'aspetto fisico entro i limiti in cui non è oggetto di una cura nel corso della vita, il talento innato...). Quello che vorrei discutere è... quanto è davvero sensata questa distinzione? Se analizziamo razionalmente si nota come la distinzione appaia sfumare. Le nostre azioni, il nostro impegno cioè l'ambito in cui comunemente collochiamo ciò che si otterrebbe per merito, non è mai un apriori con niente alle spalle, ma sempre la conseguenza a sua volta di un carattere, di una personalità, costituita da un sistema di valori soggettivo da cui far derivare le motivazioni che ci energizzano e ci spingono a  impegnarci e a raggiungere gli obiettivi che ci paiono "meritati" e non "fortunosi". Ora, i casi sono due: o questa personalità, questa sensibilità ai valori, queste motivazioni sono originariamente costitutive dell'identità soggettiva, cioè innate, e allora non potremmo considerare tutto ciò che da loro consegue come più "meritato" rispetto al fatto di avere gli occhi azzurri invece che verdi o il biondo naturare dei capelli, oppure in tutto ciò non vi è nulla di innato, ma solo prodotto delle influenze ambientali esteriori, e allora direi, a maggior ragione, non ha alcun senso parlare di "merito"  di cui andar fieri, dato che la causa responsabile del nostro agire e dei nostri eventuali successi non starebbe nella nostra identità interiore, ma in qualcosa di esterno a noi. Appare inoltre evidente come una terza soluzione, intermedia, per cui ogni aspetto della personalità non è mai né puramente innato né puramente derivato dall'ambiente, ma come un misto di questi due fattori, al di là della sua credibilità, non sposti in alcun modo i termini della questione, in quanto, questo miscuglio sarebbe pur sempre composto dalle stesse fonti "interno/innato" e "esterno/ambientale" che rimandano ai primi due casi già trattati in precedenza,  anche se non sarebbero più nello loro singolarità sufficienti a spiegare il dinamismo vitale.

La mia convinzione personale, sulla base di questo accenno di analisi, è che il "merito", inteso  nel senso che gli attribuisce la maggior parte delle persone, cioè qualcosa di separato rispetto alla fortuna, non esiste. Non ha alcun senso andar fieri di ottenere delle cose "per merito e non per fortuna", in quanto i successi che riflettono davvero il nostro talento, la nostra identità non fuoriescono dall'ambito della fortuna, in quanto riflettono sempre una condizione innata, che proprio perché "innata" è davvero rivelatrice di noi, ciò che ciascuno di noi è prima di subire le influenze ambientali, la sua essenza per così dire (chiarisco che in questa discussione non mi sto focalizzando sul tema se esista effettivamente qualcosa di innato o no, ma sto considerando l'ipotesi innatista a livello ipotetico in rapporto al concetto di merito). Quello che contesto non è tanto l'esistenza del "merito" in generale, ma solo l'esistenza nell'accezione che lo distingue e contrappone alla fortuna. Ciò che può essere considerato come uno specchio rivelatore del nostro valore non è il merito astratto dalla fortuna, ma ciò che è interiore/innato contrapposto a ciò che è conseguenza di un'esteriorità, al di là del fatto che ciò che noi siamo innatamente non sia "meritato" nell'accezione comune del termine, nell'accezione che si riferisce alla sua possibilità di esistenza che sto qui contestando. Ma allora, viene spontaneo chiedersi, perché tante persone sono così affezionate a intendere il merito di cui poter andare orgogliosi contrapposto alla fortuna? La mia personale opinione è che ciò sia dovuto a una sorta di residuo attaccamento all'etica del risentimento. Cioè a quella percezione autoconsolatoria per cui le persone che hanno dovuto fare sacrifici per raggiungere un obiettivo avvertono l'esigenza di sentirsi moralmente ripagati dei sacrifici fatti, percependo i loro risultati come moralmente superiori, perché "meritati", nei confronti degli stessi obiettivi raggiunti da persone che avrebbero avuto la fortuna di raggiungerli più facilmente. Inorgoglirsi del merito contrapposto alla fortuna nasce dall'invidia verso le persone che avendo avuto meno bisogno di fare sacrifici, vengono in questo modo svalutate, perché solo "fortunate", non tenendo conto che la tenacia nell'affrontare i sacrifici riflette a sua volta una personalità innata che si è stati fortunati ad avere. Quindi, direi, se motivo di orgoglio deve esserci nei sacrifici fatti non sta nel senso che i sacrifici avrebbero colmato un'assenza pregressa di fortuna, ma che essi hanno offerto l'occasione di rivelare delle doti come la determinazione, che però proprio in quanto possiamo andarne fieri, siamo stati FORTUNATI a trovare innatamente in noi stessi, come parte integrante dell'identità personale

iano

#1
Argomento interessante.
Che ci si realizzi per merito e/o fortuna credo che il vero punto sia la diversa percezione che abbiamo di noi , e che gli altri hanno di noi.
Questo è un problema in quanto esseri sociali che non ci rende indifferenti all'altrui giudizio .
Io posso sentirmi realizzato , mentre gli altri percepiscono il contrario o viceversa.
Abbiamo una diversa percezione della realtà, seppur dovuta ad esperienze casuali , e questo genera azzardati giudizi sugli altri , da cui derivano improprie classifiche di fortunati e sfigati più o meno fai da tè.
Probabilmente colui che crede di aver "avuto un grosso aiuto dalla fortuna" sarà percepito come realizzato senza sentirsi tale.
Bisogna poi considerare lo strano caso di quelli che le sfighe se le cercano per il gusto di superarle , che , più che masochismo , potrebbe essere un buon allenamento contro le sfighe che non ti cerchi.
Ecco , questi ultimi mi sembrano quelli che hanno capito tutto anche se ci sono arrivati per caso.
Ti senti arrivato non quando la realtà non ti è ostile , ma quando la comprendi , e per comprenderla bisogna provocarla , mettendosi dalla parte degli sfigati.
Se hai capito questo , se vivi in stato di continua sfiga ,cercata o no ,sei fortunato.

Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

bobmax

Non vi è alcun autentico merito così come non può esservi alcuna "vera" colpa.

Perché il libero arbitrio è un'illusione.

Vi è però l'idea del merito e della colpa.
Queste idee sono importanti perché derivano dal nostro stesso io. 
Sono la diretta conseguenza del suo esserci.

Con lo svanire dell'illusione del libero arbitrio, il merito e la colpa perdono di significato. 
E con essi si annulla l'io.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

myfriend

@davintro

Merito e fortuna sono due variabili insignificanti.
Quello che conta sono la dedizione (totale e costante offerta di sé per un fine) e le capacità dimostrate nell'agire.
Nel mezzo del cammin di nostra vita, mi ritrovai per una selva oscura, ché la diritta via era smarrita.

Ipazia

Certo che esiste. Basta nascere nella famiglia giusta che ti garantisce fin dalla nascita il meglio planetario di cure, formazione, istruzione e raccomandazione. Se poi gna fai allora non meriti proprio nulla.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

InVerno

Io non confonderei l'esistenza del merito con il suo riconoscimento sociale. Se fossi un bravo intagliatore a coltello di bambù, probabilmente ho il merito di saperlo fare molto meglio degli altri, ma è altrettanto probabilmente questo merito non mi verrà mai riconosciuto da nessuno, perchè nessuno lo domanda. Qualche tempo fa aveva fatto notizia la storia di un ragazzo che si era messo in strada su una sdraio con un cartello con scritto "pagatemi per non far niente", ed era  stato lautamente ricompensato dalle monetine dei passanti. Si può dire che le abbia meritate? Alcuni hanno ritenuto che la sua provocazione\performance avesse un merito di denuncia sociale, di espressione, altri lo hanno semplicemente bollato come un parassita che non meritava nulla. Ciò che rimane intoso è quello che personalmente si crede dei propri meriti, che è fondamentalmente soggettivo. Tuttavia le comunità valutano con diversi sistemi il merito sociale, e lo ricompensano.
La valutazione del merito è estremamente complessa, così complessa che se bisognasse tener conto di tutto ho paura che finiremmo nell'irrazionale, nell'impossibile. Tuttavia è necessario un contesto di valori che stabilisca i meriti, seppur evidentemente fallace e impreciso, non è vero che data la stessa posizione di partenza tutti possono fare le stesse cose, perchè non è possibile dare stesse posizioni di partenza, a meno che non troviamo un modo "standardizzato\industriale" di fare figli, che mi sembra anche un idea disgustosa. Alcuni nascono ricchi e...si addormentano sul divano e dilapidano il patrimonio, altri nascono poveri e... affamati di conquiste arrivano alla vetta. [Ho evitato giudizi di merito sulla società moderna e la sua capacità di riconoscere il merito]
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

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