Il materialismo è una fede, non una visione scientifica del mondo

Aperto da Carlo Pierini, 14 Agosto 2017, 03:42:09 AM

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Angelo Cannata

Citazione di: davintro il 25 Agosto 2017, 16:43:49 PML'evidenza della falsità del giudizio: "piove ma non piove" non può essere scalfita, perché nel momento in cui si cerca di farlo si cade nell'assurdità dell' autocontraddizione che rende insensato ogni pensiero, compreso quello di chi contesta la validità della logica.
Chi mi assicura che l'adozione di un principio apparentemente contraddittorio, quale un principio di contraddizione, conduca all'assurdità? Chi mi assicura che ciò che a me sembra assurdo non lo sembri a noi solo a causa dei nostri limiti mentali? Secoli o millenni fa appariva assurdo pensare che la terra fosse rotonda, o che girasse intorno al sole, o che sarebbe stato possibile volare. Poi si è capito che questa sensazione di assurdità era dovuta solo ai nostri limiti mentali.
Ai tempi di Euclide sembrava assurdo immaginare sistemi geometrici che supponessero il contrario di ciò che sosteneva Euclide. Poi qualcuno cominciò a pensare: "Ma perché non ci proviamo?" e si scoprì che i sistemi geometrici non euclidei non sono assurdi, ma funzionano ottimamente.
Siamo nel problema della non padronanza del futuro: non possiamo vietare al futuro di riservarci sorprese che oggi ci sembrano assurde o non riusciamo a immaginare.
Spesso mi si risponde che io, per compiere tutte queste osservazioni, mi sono già servito ampiamente del principio di non contraddizione, senza il quale quindi sarebbe stato impossibile perfino pensarle. Ma ciò non impedisce di sospettare che in futuro, o forse già nel presente, senza che ce ne accorgiamo, sia possibile pensare senza servirsi di tale principio.

Il nocciolo della questione mi sembra essere questo: il principio di non contraddizione è in grado di mettere in dubbio se stesso.

Carlo Pierini

#61
Citazione di: davintro il 25 Agosto 2017, 13:48:59 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 25 Agosto 2017, 02:39:30 AM
Citazione di: davintro il 25 Agosto 2017, 01:18:10 AMproprio per evitare fraintendimenti simili avevo aggiunto una precisazione nella seconda parte del post. Sono convinto che la Terra sia tonda, che si muova, che giri e che il Sole stia fermo... ma non posso esserne certo con la stesso livello di sicurezza che ho nella convinzione che il quadrato abbia un lato in più del triangolo, perché le verità sensibili, probabilistiche, e quelle intelligibili certe, appartengono a due piani diversi di verità. La distinzione tra evidenza piena ed elevata probabilità che all'evidenza piena può solo approssimarsi senza raggiungerla del tutto è uno dei fondamenti di qualunque discussione seria di epistemologia
Quindi, se costruisco un triangolo e un quadrato reali sotto i tuoi occhi, tu non sei certo che quel quadrato reale abbia un lato in più del triangolo reale? E cosa manca al triangolo e al quadrato reali rispetto agli equivalenti della tua mente? E come fai a dimostrarmi che il quadrato della tua mente ha un lato in più del triangolo della tua mente?

sotto ai miei occhi, cioè nell'esperienza sensibile dei triangoli e quadrati disegnati, posso dubitare di aver di fronte davvero dei triangoli e quadrati, e non invece cerchi e pentagoni, posso cioè legittimamente mettere in dubbio l'efficienza dei miei sistemi percettivi, ma questo non tocca minimamente l'evidenza assoluta del fatto che il quadrato ha sempre e comunque un lato in più del triangolo. Questa resta un verità assoluta, in quanto perfettamente coerente con le definizione essenziale dei concetti in questione,

La tua non è epistemologia, ma pedanteria verbale. La conoscenza reale non si costruisce su definizioni solipsistiche arbitrarie, ma sulla verifica che quelle definizioni corrispondano con ciò che si osserva. Se è assolutamente vero che una pecora ha 4 zampe, questa verità assoluta non deriva dalla definizione "la pecora è un quadrupede", ma è l'esatto contrario: è la definizione che deriva dalla constatazione che la pecora ha 4 zampe; ...e se non ti fidi dei tuoi strumenti di osservazione, allora non devi fidarti nemmeno delle definizioni astratte che formuli nella tua mente. Questo vale anche per la matematica e per la geometria, i cui enti sono astrazioni. <<Astrarre>> deriva da <<ab-traere>>, che significa <<trarre da->>; trarre da cosa, se non dall'esperienza?
Il segno "2", per esempio, è un significante vuoto, privo di significato, come qualunque altro segno o parola o definizione, se non è possibile riferirlo, sia pur indirettamente, alla nostra esperienza reale. Anche 1 + 1 è uguale a 2 per definizione, ma tale definizione deriva dalla constatazione che una pecora con un'altra pecora formano un insieme caratterizzato dall'astrazione a cui diamo il nome di "2". Solo a-posteriori stabiliremo la definizione "1+1=2" che potrà fungere da a-priori per tutti i casi simili successivi.
Insomma, il pensiero - e il linguaggio che lo esprime - non nascono per giocare autisticamente con delle idee (o parole, o definizioni) astratte, ma nascono per com-prendere il mondo esterno, cioè, per "duplicarlo" in una immagine soggettiva che lo rispecchi fedelmente, in modo analogo all'occhio, il quale duplica l'oggetto osservato introiettandolo come immagine ottica sulla retina.
...E chi ci assicura - dici tu - che l'immagine sia davvero fedele all'originale? Nel caso dell'occhio, sono le leggi della fisica a garantirtelo; e se non ti fidi del tuo occhio, mettiti gli occhiali, o cerca un amico che ci veda bene.  :)   Mentre nel caso del pensiero, ...la risposta la trovi nel mio thread "La Conoscenza è una complementarità di opposti", nella sezione "Tematiche spirituali".

Carlo Pierini

Citazione di: Angelo Cannata il 25 Agosto 2017, 17:14:57 PM
Il nocciolo della questione mi sembra essere questo: il principio di non contraddizione è in grado di mettere in dubbio se stesso.

Senza il principio di non contraddizione, un: << è vero che ...x >> equivarrebbe ad un << non è vero che ...x" >>, cioè, saremmo legittimati ad affermare tutto e il contrario di tutto, trasformando il linguaggio in nient'altro che un inutile rumore molesto. Quindi è importante che provi a spiegare in che modo il p.d.n.c. sarebbe in grado di mettere in dubbio se stesso.

Angelo Cannata

Forse è utile aggiungere questo: il fatto che io, per dubitare, abbia bisogno di servirmi del principio di non contraddizione, non mi impedisce di dubitare di esso stesso. Allo stesso modo in cui un credente, per dubitare di Dio, non ha bisogno di diventare ateo: può dubitarne mentre è credente. In altre parole, il dubbio non ha bisogno di precisare o proporre alternative. Per dubitare che la terra sia piatta non c'è bisogno di ipotizzare che essa debba essere cubica o cilindrica: è sufficiente semplicemente mettere un punto interrogativo. La mancanza di un'alternativa, di una proposta, non dimostra la certezza di ciò che si sta seguendo. Coloro che credevano che la terra fosse piatta non avevano nessuna idea delle alternative possibili, eppure abbiamo visto che le alternative c'erano ed anzi erano più vicine alla realtà di ciò che si pensava l'unica idea corretta, cioè che la terra fosse piatta. Perciò, per dubitare del principio di non contraddizione, non ho bisogno di dover immaginare alternative, e da qui dedurre che se non riesco ad immaginare alternative vuol dire che il principio di non contraddizione sia inattaccabile. La storia ha dimostrato ampiamente che molte alternative esistevano quando invece tutti ritenevano che qualsiasi alternativa al loro pensiero era assolutamente inconcepibile e assurda.

Carlo Pierini

#64
Citazione di: Angelo Cannata il 25 Agosto 2017, 20:11:46 PM
Forse è utile aggiungere questo: il fatto che io, per dubitare, abbia bisogno di servirmi del principio di non contraddizione, non mi impedisce di dubitare di esso stesso. Allo stesso modo in cui un credente, per dubitare di Dio, non ha bisogno di diventare ateo: può dubitarne mentre è credente. In altre parole, il dubbio non ha bisogno di precisare o proporre alternative. Per dubitare che la terra sia piatta non c'è bisogno di ipotizzare che essa debba essere cubica o cilindrica: è sufficiente semplicemente mettere un punto interrogativo. La mancanza di un'alternativa, di una proposta, non dimostra la certezza di ciò che si sta seguendo. Coloro che credevano che la terra fosse piatta non avevano nessuna idea delle alternative possibili, eppure abbiamo visto che le alternative c'erano ed anzi erano più vicine alla realtà di ciò che si pensava l'unica idea corretta, cioè che la terra fosse piatta. Perciò, per dubitare del principio di non contraddizione, non ho bisogno di dover immaginare alternative, e da qui dedurre che se non riesco ad immaginare alternative vuol dire che il principio di non contraddizione sia inattaccabile. La storia ha dimostrato ampiamente che molte alternative esistevano quando invece tutti ritenevano che qualsiasi alternativa al loro pensiero era assolutamente inconcepibile e assurda.

...Un po' come dire:

...E se tutto ciò che credo vero fosse falso?...E se l'esistenza fosse solo un'illusione? ...Se la vita fosse solo apparenza? ...Se nulla esistesse e tutto fosse solo un sogno evanescente?
...Ma ...allora... non l'avrò forse pagata troppo cara questa moquette?
[WOODY ALLEN: Citarsi addosso]
:)

Angelo Cannata

Se l'unica risposta che trovi è una battuta di Woody Allen, significa che su ciò che ho scritto non ci sono obiezioni che tengano?

Carlo Pierini

#66
Citazione di: Angelo Cannata il 25 Agosto 2017, 22:11:16 PM
Se l'unica risposta che trovi è una battuta di Woody Allen, significa che su ciò che ho scritto non ci sono obiezioni che tengano?

L'obiezione è che un dubbio psicologico-soggettivo privo di fondamenti oggettivi, com'è il tuo, non fa storia. Specialmente se con i tuoi scritti reali dimostri di tenere conto del fatto che un "sì" e un "no" (riferiti ad una medesima cosa) non sono compatibili.

Proprio come W. Allen: da una parte esprime dubbi sulla realtà delle cose, ma dall'altra non ha alcun dubbio che il denaro sia reale.

Angelo Cannata

Al dubbio sul principio di non contraddizione non si può chiedere alcun fondamento oggettivo, perché esso è destituzione di ogni fondamento e ogni oggettività. A questo punto sarebbe fin troppo facile obiettare al dubbio di essere infondato. Il problema è che esso invece è fondato, perché il dubbio non è altro che il principio stesso di non contraddizione condotto alle sue conseguenze. In altre parole, il principio di non contraddizione funziona fin tanto che ci si astiene dall'esplorare tutte le vie a cui esso conduce. Se invece lo si sfrutta in tutte le sue potenzialità, non si può fare a meno di scontrarsi con la demolizione di esso stesso.
Lo stesso avviene se pensiamo di parlare di realtà.
L'illusione che il principio di non contraddizione sia coerente si verifica fin tanto che ci si limita a usarlo per quelle affermazioni che confortano il bisogno di certezze. Le cose cominciano a cambiare quando si scopre che esso può essere adoperato anche per porre interrogativi e quindi dubbi: allora ci si accorge che esso è in grado di porre interrogativi a se stesso, in merito ai quali però non è di alcun aiuto per trovare le risposte.
Può essere interessante osservare che questo processo è proprio storia: esso si verifica nel momento in cui il principio di non contraddizione smette di essere paralizzato nell'astoricità della mentalità dei fondamenti e delle oggettività e lo si fa misurare con il divenire storico umano.

Carlo Pierini

#68
Citazione di: Angelo Cannata il 26 Agosto 2017, 02:30:37 AM
Al dubbio sul principio di non contraddizione non si può chiedere alcun fondamento oggettivo, perché esso è destituzione di ogni fondamento e ogni oggettività. A questo punto sarebbe fin troppo facile obiettare al dubbio di essere infondato. Il problema è che esso invece è fondato, perché il dubbio non è altro che il principio stesso di non contraddizione condotto alle sue conseguenze. In altre parole, il principio di non contraddizione funziona fin tanto che ci si astiene dall'esplorare tutte le vie a cui esso conduce. Se invece lo si sfrutta in tutte le sue potenzialità, non si può fare a meno di scontrarsi con la demolizione di esso stesso.
Lo stesso avviene se pensiamo di parlare di realtà.
L'illusione che il principio di non contraddizione sia coerente si verifica fin tanto che ci si limita a usarlo per quelle affermazioni che confortano il bisogno di certezze. Le cose cominciano a cambiare quando si scopre che esso può essere adoperato anche per porre interrogativi e quindi dubbi: allora ci si accorge che esso è in grado di porre interrogativi a se stesso, in merito ai quali però non è di alcun aiuto per trovare le risposte.
Può essere interessante osservare che questo processo è proprio storia: esso si verifica nel momento in cui il principio di non contraddizione smette di essere paralizzato nell'astoricità della mentalità dei fondamenti e delle oggettività e lo si fa misurare con il divenire storico umano.
Prova a farmi qualche esempio.
Scommetto che i tuoi dubbi si relazionano col problema della complementarità degli opposti. Infatti, gli opposti complementari, nel loro stadio, diciamo, naturale-primitivo-assoluto-estremistico, si presentano come opposizioni contraddittorie, e solo dopo un confronto semantico approfondito si scopre che, invece, sono complementari e che quindi non sono soggetti al divieto del p.d.n.c..

Angelo Cannata

#69
Mi sembra che ciò che ho detto non sia stato compreso. Provo a dirlo in altro modo. Il principio di non contraddizione dice così: "l'essere è e non può non essere; il non essere non è e non può essere". Questo è confortante finché non si scopre che questo principio serve anche a creare domande. Allora nasce anche questa domanda: "l'essere è e non può non essere? Il non essere non è e non può essere?". Questa domanda diventa inquietante allorché si scopre che il principio di non contraddizione, grazie al quale è stato possibile formularla, non ha alcuna risposta da dare: la sola risposta che esso potrebbe dare non sarebbe altro che una ripetizione di se stesso; ma come risposta sarebbe ben poco soddisfacente, una volta che sappiamo che è stato proprio esso a suscitare la domanda.

Carlo Pierini

#70
Citazione di: Angelo Cannata il 26 Agosto 2017, 03:19:22 AM
Mi sembra che ciò che ho detto non sia stato compreso. Provo a dirlo in altro modo. Il principio di non contraddizione dice così: "l'essere è e non può non essere; il non essere non è e non può essere". Questo è confortante finché non si scopre che questo principio serve anche a creare domande. Allora nasce anche questa domanda: "l'essere è e non può non essere? Il non essere non è e non può essere?". Questa domanda diventa inquietante allorché si scopre che il principio di non contraddizione, grazie al quale è stato possibile formularla, non ha alcuna risposta da dare: la sola risposta che esso potrebbe dare non sarebbe altro che una ripetizione di se stesso; ma come risposta sarebbe ben poco soddisfacente, una volta che sappiamo che è stato proprio esso a suscitare la domanda.

L'enunciato originale di Aristotele recita:
<<E' impossibile che la stessa cosa convenga e insieme non convenga a una stessa cosa e sotto il medesimo rispetto>> [Aristotele: Metafisica, libro IV, 1, 5]
Mentre il tuo enunciato è già una trasposizione dell'originale applicata al concetto filosofico di "essere". L'originale, cioè, si limita a dire che noi non possiamo affermare e, nello stesso tempo, negare un medesimo attributo ad un medesimo oggetto e sotto il medesimo rispetto.

Angelo Cannata

Il problema di Aristotele è il problema generale che ho già indicato: egli non si accorse che il suo enunciato originale serviva anche a formare interrogativi; tra cui l'interrogativo più radicale, che consiste semplicemente nell'aggiungere un punto interrogativo al suo enunciato: "E' impossibile che la stessa cosa convenga e insieme non convenga a una stessa cosa e sotto il medesimo rispetto?". A questo punto viene a mancare la risposta: il suo enunciato ha fatto sorgere un dubbio per il quale non è in grado di fornire alcun aiuto. L'unica risposta che il suo enunciato saprebbe dare non sarebbe altro che una riproposizione dell'enunciato stesso; ma questa risposta sarebbe inconsistente, visto che il suo enunciato si è rivelato malato, poiché suscita dubbi, interrogativi, a cui non sa dare altra risposta che una ripetizione di se stesso. Insomma, è autoreferenziale, è un circolo vizioso.

Carlo Pierini

Citazione di: Angelo Cannata il 26 Agosto 2017, 11:15:03 AM
"E' impossibile che la stessa cosa convenga e insieme non convenga a una stessa cosa e sotto il medesimo rispetto?". A questo punto viene a mancare la risposta: il suo enunciato ha fatto sorgere un dubbio per il quale non è in grado di fornire alcun aiuto.

E' proprio vero che <<tra due punti qualsiasi è possibile tracciare una ed una sola retta>>? La risposta che dà la geometria è "sì", perché si tratta di un concetto evidente, così come è evidente che non si può raccontare tutto e il contrario di tutto.
Si tratta, cioè, di postulati, ossia di elementi originari del pensiero, di "conditio-sine-qua-non" del suo corretto "funzionamento", i quali, proprio perché originari non possono essere dimostrati e quindi non danno risposte. Come chiarisce lo stesso Aristotele:
<<E' per ignoranza che alcuni pensano che di ogni cosa debba essere data la dimostrazione; se così fosse si andrebbe indietro all'infinito, cioè, non si darebbe dimostrazione di nulla>>.
In altre parole, il pensiero umano non è onnipotente, ed è proprio per questo che ha bisogno di regole che lo guidino affinché riduca al minimo le "cappelle" in cui può incorrere. E se tu hai dei dubbi su quelle regole, io posso prenderne atto, ma finché non ne proporrai di migliori, io continuerò a farmi guidare da quelle, visto che, comunque, rispettandole, il nostro sapere si è evoluto da quello degli scimpanzè fino alla scienza moderna. ...Che altro, se no?

davintro

vedo che sono preso tra due fuochi... cercherò di non bruciarmi troppo!

Per Carlo Pierini

condivido l'affermazione per la quale la conoscenza reale deve avere di mira la riproduzione fedele delle cose oggettive, ma scorgo il tuo errore di prospettiva nel momento in cui tra le righe identifichi il piano delle cose oggettive con il "mondo esterno", affermando, in linea con le posizioni del realismo ingenuo, che la riproduzione fedele delle cose si attui alla luce di una certa quantità di verifiche empiriche, senza che sia chiaro fino a che punto tale quantità sia sufficiente a legittimare la pretesa di aver raggiunto risultati inconfutabili e non più smentibili. In realtà la riproduzione fedele del reale prevede come momento fondativo proprio una modalità gnoseologica alternativa alla verificazione diretta dell'esterno, cioè la conversione dello sguardo all'interno, alle categorir soggettive, estetiche e intellettuali, della mente. Dal punto di vista scientifico, cioè razionale, non basta la raccolta di dati, ben più importante è la critica, l'autocritica, l'analisi degli strumenti soggettivi di esperienza, di cui occorre valutare l'adeguatezza, i limiti e le possibilità di ciò a cui il loro utilizzo può portare. Questo non è solipsismo, autismo o pedanteria: solo nel momento in cui rifletto su me stesso, mi rendo conto dei filtri che mi impediscono di acquisire un'immagine della reale davvero adeguata alla sua oggettività, e cerco di metterli "fuori circuito" per lasciar manifestare i fenomeni nella maggior "purezza" possibile, nella loro autentica essenzialità. Anche a costo di formalizzare e astrarre maggiormente il discorso. Se un daltonico, sempre vissuto accanto ad altri daltonici, fondasse la sua immagine del mondo limitandosi ad avere acritica fede nelle continue verifiche della sua esperienza sensibile, non si renderebbe mai conto dei suoi errori, scambiando ciò che è rosso con ciò che è verde e viceversa. Solo nel momento riflessivo-autocritico egli prende coscienza del suo difetto percettivo e si rende conto della non-scientificità delle sue rappresentazioni. E chi ci dice i "daltonici" siano una minoranza? Chi ci dice che l'efficienza dei sistemi percettivi sia riconoscibile, in modo meramente quantitativo, solo nelle rappresentazioni della maggioranza degli osservatori o della maggioranza delle verifiche empiriche compite nel tempo? Chi ci dice che ciò che etichettiamo come "allucinati", "paranoici" non siano quelli che davvero vedono le cose così come sono, e i malati siamo invece no "normali"i? Ce lo suggerisce, l'abitudine, il buon senso comune, ma non una solida razionalità scientifica. Non si tratta di svalorizzare l'esperienza del mondo esterno, ma solo rilevarne la sua non-autosufficienza a fondare una scienza che legittimi la qualifica di "assoluto" alle proprie verità (di questo stiamo discutendo), la necessità di integrarla con l'analisi della validità degli schemi soggettivi della coscienza, dei loro limiti e possibilità. Del resto questo mi pare in linea con il senso del tuo topic su "Tematiche spirituali", che hai qui citato, al rifiuto di pensare la conoscenza come passivo assorbimento dell'oggetto da parte del soggetto, all'affermazione di una corrispondenza tra categorie logiche intelligibili riferibili al mondo concettuale del soggetto, e proprietà fenomeniche del mondo reale, punto che dovrebbe far pensare alla necessità di chiarire prima di tutto il punto di vista su noi stessi, per rendere la nostra immagine del mondo oggettiva e adeguata al reale e coglierne la corrispondenza con la nostra dimensione spirituale-mentale.

Anche ammesso e non concesso che le verità assolute della logica formale o della matematica siano astratte dall'esperienza sensibile, ciò non implicherebbe il loro relativizzarsi sulla base della contingenza spaziotemporale sulla base della quale le osservazioni empiriche si svolgono. Occorre cioè distinguere un piano "genetico-psicologico" che spiega il meccanismo fattuale del formarsi nella mente di determinati concetti e riconoscimenti a-posteriori di verità, con la qualità (assoluta o relativa) del loro valore di verità. Anche ammettendo la necessità dell'esperienza sensibile per riconoscere le verità della logica tale necessità sarebbe fondativa del loro riconoscimento nella nostra mente, ma non del fatto che la loro verità sia applicabile solo nel particolare contesto empirico da cui abbiamo fatto astrazione. Confondendo i due piani si cadrebbe nell'idea per cui qualunque affermazione sulla realtà, sia formale che materiale, astratta o concreta, non possa mai essere oggettiva in quanto soggettivistico prodotto dell'esperienza umana, in pratica dovremmo cadere in quell'assoluto scetticismo e relativismo che tu, giustamente, rigetti. Basta solo distinguere l'esperienza sensibile, per la quale resta sempre un dualismo di fondo tra rappresentazione soggettiva del reale e oggettività reale, verso cui la nostra rappresentazione soggettiva tende, ma senza mai arrivare a raggiungerla del tutto, in quanto resta trascendente, cioè distinta dall'immanenza della nostra coscienza, e un sapere intelligibile come quello della logica formale, in cui l'assolutezza della verità è data dal superamento del dualismo soggetto-oggetto, dato che il soggetto pensante pone i propri oggetti (immateriali, non fisici) non come esterni e trascendenti, ma come immanenti al piano delle idee, cioè immanenti a se stesso. Questo è il fondamento dell'indubitabilità della coscienza trascendentale, residuo che emerge nella messa tra partentesi delle presunzioni di verità del mondo sensibile, come messo in luce, in forme diverse da S.Agostino, Cartesio, Husserl. Le verità intelligibili traggono la qualifica di assoluto ed evidenza dalla coincidenza nella coscienza tra "essere" e "apparire".

per Angelo Cannata

anche ammesso che chi dubiti di qualcosa possa dubitare prescindendo dal proporre positivamente alternative, egli dovrebbe dal punto di vista razionale argomentare le ragioni del perché l'asserzione oggetto del dubbio non appare del tutto convincente. Nessuno impedisce di fatto che si possa dubitare di tutto, anche del principio di non-contraddizione, infatti molti lo fanno, ma se siamo in un contesto di discussione filosofica e razionale è necessario porsi le motivazioni del dubbio. Il dubbio è un atto razionale nella misura in cui riesce a individuare zone d'ombra nei suoi oggetti, valide opzioni che coerentemente seguite e sviluppate possono produrre argomenti che mettono in crisi l'evidenza di ciò verso cui si dubita. Dove sarebbero queste zone d'ombra o opzioni che mettono in crisi l'evidenza dei principi logici di identità e non contraddizione? Dubitare solo per il gusto di farlo, dubitare per partito preso è lecito, nulla di male, ma senza motivazioni razionali resta solo un impuntarsi un po' infantilistico che gode nel distruggere senza porsi il problema di creare qualcosa di migliore (anche perché io resto convito che ogni negazione porti sempre con sé implicita un'affermazione positiva, cosicché distruggere senza costruire oltre che inutile sarebbe di fatto anche impossibile). Ripeto, lecito, ma del tutto sterile dal punto di vista di una ricerca razionale della verità.

Carlo Pierini

Citazione di: davintro il 26 Agosto 2017, 16:15:15 PM
vedo che sono preso tra due fuochi... cercherò di non bruciarmi troppo!

Per Carlo Pierini

condivido l'affermazione per la quale la conoscenza reale deve avere di mira la riproduzione fedele delle cose oggettive, ma scorgo il tuo errore di prospettiva nel momento in cui tra le righe identifichi il piano delle cose oggettive con il "mondo esterno", affermando, in linea con le posizioni del realismo ingenuo, che la riproduzione fedele delle cose si attui alla luce di una certa quantità di verifiche empiriche, senza che sia chiaro fino a che punto tale quantità sia sufficiente a legittimare la pretesa di aver raggiunto risultati inconfutabili e non più smentibili. In realtà la riproduzione fedele del reale prevede come momento fondativo proprio una modalità gnoseologica alternativa alla verificazione diretta dell'esterno, cioè la conversione dello sguardo all'interno, alle categorir soggettive, estetiche e intellettuali, della mente. Dal punto di vista scientifico, cioè razionale, non basta la raccolta di dati, ben più importante è la critica, l'autocritica, l'analisi degli strumenti soggettivi di esperienza, di cui occorre valutare l'adeguatezza, i limiti e le possibilità di ciò a cui il loro utilizzo può portare. Questo non è solipsismo, autismo o pedanteria: solo nel momento in cui rifletto su me stesso, mi rendo conto dei filtri che mi impediscono di acquisire un'immagine della reale davvero adeguata alla sua oggettività, e cerco di metterli "fuori circuito" per lasciar manifestare i fenomeni nella maggior "purezza" possibile, nella loro autentica essenzialità. Anche a costo di formalizzare e astrarre maggiormente il discorso. Se un daltonico, sempre vissuto accanto ad altri daltonici, fondasse la sua immagine del mondo limitandosi ad avere acritica fede nelle continue verifiche della sua esperienza sensibile, non si renderebbe mai conto dei suoi errori, scambiando ciò che è rosso con ciò che è verde e viceversa. Solo nel momento riflessivo-autocritico egli prende coscienza del suo difetto percettivo e si rende conto della non-scientificità delle sue rappresentazioni. E chi ci dice i "daltonici" siano una minoranza? Chi ci dice che l'efficienza dei sistemi percettivi sia riconoscibile, in modo meramente quantitativo, solo nelle rappresentazioni della maggioranza degli osservatori o della maggioranza delle verifiche empiriche compite nel tempo? Chi ci dice che ciò che etichettiamo come "allucinati", "paranoici" non siano quelli che davvero vedono le cose così come sono, e i malati siamo invece no "normali"i? Ce lo suggerisce, l'abitudine, il buon senso comune, ma non una solida razionalità scientifica. Non si tratta di svalorizzare l'esperienza del mondo esterno, ma solo rilevarne la sua non-autosufficienza a fondare una scienza che legittimi la qualifica di "assoluto" alle proprie verità (di questo stiamo discutendo), la necessità di integrarla con l'analisi della validità degli schemi soggettivi della coscienza, dei loro limiti e possibilità. Del resto questo mi pare in linea con il senso del tuo topic su "Tematiche spirituali", che hai qui citato, al rifiuto di pensare la conoscenza come passivo assorbimento dell'oggetto da parte del soggetto, all'affermazione di una corrispondenza tra categorie logiche intelligibili riferibili al mondo concettuale del soggetto, e proprietà fenomeniche del mondo reale, punto che dovrebbe far pensare alla necessità di chiarire prima di tutto il punto di vista su noi stessi, per rendere la nostra immagine del mondo oggettiva e adeguata al reale e coglierne la corrispondenza con la nostra dimensione spirituale-mentale.

Anche ammesso e non concesso che le verità assolute della logica formale o della matematica siano astratte dall'esperienza sensibile, ciò non implicherebbe il loro relativizzarsi sulla base della contingenza spaziotemporale sulla base della quale le osservazioni empiriche si svolgono. Occorre cioè distinguere un piano "genetico-psicologico" che spiega il meccanismo fattuale del formarsi nella mente di determinati concetti e riconoscimenti a-posteriori di verità, con la qualità (assoluta o relativa) del loro valore di verità. Anche ammettendo la necessità dell'esperienza sensibile per riconoscere le verità della logica tale necessità sarebbe fondativa del loro riconoscimento nella nostra mente, ma non del fatto che la loro verità sia applicabile solo nel particolare contesto empirico da cui abbiamo fatto astrazione. Confondendo i due piani si cadrebbe nell'idea per cui qualunque affermazione sulla realtà, sia formale che materiale, astratta o concreta, non possa mai essere oggettiva in quanto soggettivistico prodotto dell'esperienza umana, in pratica dovremmo cadere in quell'assoluto scetticismo e relativismo che tu, giustamente, rigetti. Basta solo distinguere l'esperienza sensibile, per la quale resta sempre un dualismo di fondo tra rappresentazione soggettiva del reale e oggettività reale, verso cui la nostra rappresentazione soggettiva tende, ma senza mai arrivare a raggiungerla del tutto, in quanto resta trascendente, cioè distinta dall'immanenza della nostra coscienza, e un sapere intelligibile come quello della logica formale, in cui l'assolutezza della verità è data dal superamento del dualismo soggetto-oggetto, dato che il soggetto pensante pone i propri oggetti (immateriali, non fisici) non come esterni e trascendenti, ma come immanenti al piano delle idee, cioè immanenti a se stesso. Questo è il fondamento dell'indubitabilità della coscienza trascendentale, residuo che emerge nella messa tra partentesi delle presunzioni di verità del mondo sensibile, come messo in luce, in forme diverse da S.Agostino, Cartesio, Husserl. Le verità intelligibili traggono la qualifica di assoluto ed evidenza dalla coincidenza nella coscienza tra "essere" e "apparire".

Se non tieni conto delle mie osservazioni puntuali, mi rendi impossibile il dialogo. Per cui, se tu ignori quello che scrivo, io mi fermo e resto in attesa di un commento punto per punto. Altrimenti il nostro non può essere che un inutile muro-contro-muro.

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