Il male morale deriva in gran parte dall'ignoranza?

Aperto da Socrate78, 19 Ottobre 2018, 15:35:48 PM

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0xdeadbeef

#15
Citazione di: sgiombo il 20 Ottobre 2018, 11:16:57 AM

Secondo me questa concezione del "male come reale ma, allo stesso tempo, affermandone la subordinazione al superiore pensiero del bene" é logicamente inconsistente.
Per ma a rigor di logica possono darsi soltanto in reciproca alternativa:




Guarda Sgiombo, io trovo che nelle nostre discussioni vi sia un equivoco di fondo...
Da me non sentirai mai l'affermazione di Dio, ma solo dell'idea di Dio ("Dio non ha più realtà dell'idea che io abbia
10 milioni di euro in tasca", ti potrei dire parafrasando Kant).
Quindi, quando parlo di "assoluto" ne parlo in termini di idea, non di realtà (e qui, come ben sai, si potrebbe
disquisire circa la realtà delle idee, ma lasciamo perdere).
Tanto per tornare all'oggetto della discussione, io, come dicevo, credo che Socrate anticipi la visione platonica
di un bene qualitativamente superiore al male (per cui la preferenza accordata al male risulterebbe ignoranza).
C'è da tener ben presente un fatto. Obliandosi la visione parmenidea (l'essere è, il non essere non è), che rendeva
indispinguibili l'idea e la realtà, con il platonismo la realtà (cioè che è) viene a subire una distinzione dall'idea
(che poi, fra l'altro, diventerà il kantiano "ciò che deve essere").
In altre parole, l'unica dimensione parmenidea si sdoppia.
La realtà del male, come del bene, risiede allora nella dimensione delle cose divenienti, finite, cioè "del mondo".
Mentre la "superiorità" del bene sul male risiede nella dimensione delle idee eterne, infinite, iperuraniche.
Da questo punto di vista, io non ritengo "logicamente inconsistente" l'affermazione di Socrate.
Perchè lo sarebbe? Il bene, come il male, sono secondo "quella" forma-mentis (che non è ancora quella Cristiana,
attenzione) sia realtà oggettive, tangibili nella loro pluralità che idee eterne, eteree nella loro univocità.
Vediamo forse, nella realtà, una "superiorità" del bene sul male? Naturalmente no (a meno di non pensarla come
l'amico Inverno, per il quale è preferibile perseguire il bene per la probabilità di finire in carcere...).
Ma questa superiorità la possiamo invece "vedere" nell'iperuranio, nel regno delle idee eterne che fungerà, come
ovvio, da sostrato per l'ultraterreno cristiano.
Per Socrate, il bene è la "cosa più grande che possiamo imparare"; ed è chiaro che questa è una affermazione
"iperuranica"  (non dimantichiamo la rigida struttura gerarchica dell'iperuranio platonico, che è dominato dall'idea
del bene) che non potrebbe darsi nel "mondo".
La "creazione" cristiana, con i suoi "misteri" è una cosa che verrà solo in seguito (e che fa parte di un altro
discorso).
saluti

InVerno

Citazione di: 0xdeadbeef il 20 Ottobre 2018, 11:12:08 AM
Citazione di: InVerno il 20 Ottobre 2018, 10:50:49 AMNo, perchè? Lo dici tu stesso, "gode" della sofferenza altrui. Quindi per lui è il "bene" se intendi il godimento come uno stato di bene-essere. Il punto è che questo benessere è illusorio e poco duraturo, o perlomeno ci adoperiamo affinchè sia tale costruendo prigioni e inferni. Un assassino potrà pure pensare che uccidere un altro gli provochi godimento, quando poi si trova i carabinieri fuori dalla porta si renderà conto di aver ignorato l'esistenza delle forze dell'ordine.


Beh, la storia è piena di assassini che non hanno pagato per i loro crimini (ma che, anzi, ne hanno tratto grandi vantaggi).
Il tuo ragionamento dunque presuppone che il male sia ignoranza in quanto ignoranza della forte probabilità di finire in
galera (di essere comunque punito)?
Permettim di dire che questo non era sicuramente quel che pensava Socrate...
saluti
No vabbè so bene che era un esempio forzato.. io direi che anche se sfugge alla galera non sfuggirà a se stesso, la galera dimostra solamente che la società prova a far rispettare questo principio. Ancor più quando la galera ha valore "rieducativo" e non punitivo, li proprio si intende il criminale come un ignorante da re-educare. Questo ovviamente non ha niente a che fare con il principio stoico, era solamente per dire che non è un idea "passata alla storia" ma ancora ben presente.

Io dico semplicemente, quando uno decide se fare o meno un azione prende in considerazione una serie di variabili e poi decide. Penso che il principio stoico si attenga al momento prima dell'atto in se, quindi al di la se poi sia presente una conseguenza punitiva, è nella valutazione dell'atto che il malvagio ignora le inevitabili ricadute negative del proprio agire. Non è molto diverso da tanti altri principi "universali" che intendono la circolarità dell'azione, come per esempio il karma, e che pongono il problema dell'ego come illusione. Se una persona tiene conto solamente del proprio godimento, e non considera le ricadute che l'atto ha sul contesto, molto probabilmente fa una valutazione errata, "ignorante", perchè ignora tutto ciò che non è se stesso. Il principio stoico non fa altro che ribadire una fondamentale verità della nostra "natura" ovvero che siamo individui sociali, immersi in un contesto, e che una valutazione solamente individualistica porta all'errore, che chiamiamo "male", che è un principio "super partes", proprio perchè prova a tenere in considerazione un valore superiore al godimento personale. In definitiva, il bene e il male ci sono solo in relazione all'altro, se fossimo soli sul pianeta, non avrebbero senso.
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

0xdeadbeef

#17
Citazione di: InVerno il 20 Ottobre 2018, 13:17:36 PM

Io dico semplicemente, quando uno decide se fare o meno un azione prende in considerazione una serie di variabili e poi decide. Penso che il principio stoico si attenga al momento prima dell'atto in se, quindi al di la se poi sia presente una conseguenza punitiva, è nella valutazione dell'atto che il malvagio ignora le inevitabili ricadute negative del proprio agire. Non è molto diverso da tanti altri principi "universali" che intendono la circolarità dell'azione, come per esempio il karma, e che pongono il problema dell'ego come illusione. Se una persona tiene conto solamente del proprio godimento, e non considera le ricadute che l'atto ha sul contesto, molto probabilmente fa una valutazione errata, "ignorante", perchè ignora tutto ciò che non è se stesso. Il principio stoico non fa altro che ribadire una fondamentale verità della nostra "natura" ovvero che siamo individui sociali, immersi in un contesto, e che una valutazione solamente individualistica porta all'errore, che chiamiamo "male", che è un principio "super partes", proprio perchè prova a tenere in considerazione un valore superiore al godimento personale. In definitiva, il bene e il male ci sono solo in relazione all'altro, se fossimo soli sul pianeta, non avrebbero senso.



Beh, non credo che quei criminali che, giorni fa, hanno assalito quel medico e la moglie a Lanciano fossero poi
tanto preoccupati dalle ricadute sociali della loro azione...
Ora, dargli degli "ignoranti" perchè non si preoccupavano di quelle (ma del loro tornaconto) mi sembrerebbe un
tantino eccessivo proprio da un punto di vista antropologico...
Certo, Socrate gli avrebbe dato degli "ignoranti", ma glielo avrebbe detto non certo sulla base delle ricadute
sociali della loro azione, ma sulla base, si diceva, di una "preferibilità del bene in ab-solutum", cioè, detta
terra-terra, di una preferibilità che trova il proprio fondamento non su questo mondo...
Nella mia tesi quel che sostengo non è che una persona che opera il male lo fa: "perchè ignora tutto ciò che non
è se stesso"; ma perchè "tutto ciò che conta" è, per lui, se stesso.
E' chiaro che il bene e il male ci sono solo in relazione all'"altro", ed infatti per colui che opera il male
l'"altro" non conta, se non come oggetto da sfruttare per i propri scopi.
saluti

sgiombo

Citazione di: 0xdeadbeef il 20 Ottobre 2018, 12:36:18 PM
Citazione di: sgiombo il 20 Ottobre 2018, 11:16:57 AM

Secondo me questa concezione del "male come reale ma, allo stesso tempo, affermandone la subordinazione al superiore pensiero del bene" é logicamente inconsistente.
Per ma a rigor di logica possono darsi soltanto in reciproca alternativa:




Guarda Sgiombo, io trovo che nelle nostre discussioni vi sia un equivoco di fondo...
Da me non sentirai mai l'affermazione di Dio, ma solo dell'idea di Dio ("Dio non ha più realtà dell'idea che io abbia
10 milioni di euro in tasca", ti potrei dire parafrasando Kant).
Quindi, quando parlo di "assoluto" ne parlo in termini di idea, non di realtà (e qui, come ben sai, si potrebbe
disquisire circa la realtà delle idee, ma lasciamo perdere).
Tanto per tornare all'oggetto della discussione, io, come dicevo, credo che Socrate anticipi la visione platonica
di un bene qualitativamente superiore al male (per cui la preferenza accordata al male risulterebbe ignoranza).
C'è da tener ben presente un fatto. Obliandosi la visione parmenidea (l'essere è, il non essere non è), che rendeva
indispinguibili l'idea e la realtà, con il platonismo la realtà (cioè che è) viene a subire una distinzione dall'idea
(che poi, fra l'altro, diventerà il kantiano "ciò che deve essere").
In altre parole, l'unica dimensione parmenidea si sdoppia.
La realtà del male, come del bene, risiede allora nella dimensione delle cose divenienti, finite, cioè "del mondo".
Mentre la "superiorità" del bene sul male risiede nella dimensione delle idee eterne, infinite, iperuraniche.
Da questo punto di vista, io non ritengo "logicamente inconsistente" l'affermazione di Socrate.
Perchè lo sarebbe? Il bene, come il male, sono secondo "quella" forma-mentis (che non è ancora quella Cristiana,
attenzione) sia realtà oggettive, tangibili nella loro pluralità che idee eterne, eteree nella loro univocità.
Vediamo forse, nella realtà, una "superiorità" del bene sul male? Naturalmente no (a meno di non pensarla come
l'amico Inverno, per il quale è preferibile perseguire il bene per la probabilità di finire in carcere...).
Ma questa superiorità la possiamo invece "vedere" nell'iperuranio, nel regno delle idee eterne che fungerà, come
ovvio, da sostrato per l'ultraterreno cristiano.
Per Socrate, il bene è la "cosa più grande che possiamo imparare"; ed è chiaro che questa è una affermazione
"iperuranica"  (non dimantichiamo la rigida struttura gerarchica dell'iperuranio platonico, che è dominato dall'idea
del bene) che non potrebbe darsi nel "mondo".
La "creazione" cristiana, con i suoi "misteri" è una cosa che verrà solo in seguito (e che fa parte di un altro
discorso).
saluti

Ma anche nel mondo (per me puramente mentale, "di pensiero", delle idee; ma concordo che ci sarebbe molto da discuterne) delle idee trovo logicamente inconsistente, assurda la teoria socratica (poi mutatis mutandis cristiana) della "superiorità" del bene: per me sono comprensibili la "parità" fra bene e male (manicheismo), la natura ambigua buona-e-parimenti-cattiva dell' arché (o del Dio: Bobmax come da me interpretato-corretto-probabilmente indebitamente distorto) e l' esclusività "assoluta  totale" del bene, ovvero (sono esattamente le stesse "cose" ideali dette con parole diverse dal medesimo significato), del male o dell' indifferente (neutro o eticamente irrilevante: nichilismo); non così una "prevalenza relativa o parziale" del bene (creatore - distruttore del male, nella versione "teistica"); male che comunque, anche in versione "laica", mi sembrerebbe assumere inevitabilmente della caratteristiche di "mera, effimera apparenza" relativamente all' assolutezza, eternità, "infinita maggiore realtà" del bene (o viceversa).

0xdeadbeef

#19
Citazione di: sgiombo il 20 Ottobre 2018, 16:04:50 PM
Ma anche nel mondo (per me puramente mentale, "di pensiero", delle idee; ma concordo che ci sarebbe molto da discuterne) delle idee trovo logicamente inconsistente, assurda la teoria socratica (poi mutatis mutandis cristiana) della "superiorità" del bene: per me sono comprensibili la "parità" fra bene e male (manicheismo), la natura ambigua buona-e-parimenti-cattiva dell' arché (o del Dio: Bobmax come da me interpretato-corretto-probabilmente indebitamente distorto) e l' esclusività "assoluta  totale" del bene, ovvero (sono esattamente le stesse "cose" ideali dette con parole diverse dal medesimo significato), del male o dell' indifferente (neutro o eticamente irrilevante: nichilismo); non così una "prevalenza relativa o parziale" del bene (creatore - distruttore del male, nella versione "teistica"); male che comunque, anche in versione "laica", mi sembrerebbe assumere inevitabilmente della caratteristiche di "mera, effimera apparenza" relativamente all' assolutezza, eternità, "infinita maggiore realtà" del bene (o viceversa).


Ah beh, la superiorità del bene sul male come scelta etica, è evidente...
Nel celebre dialogo platonico fra Socrate e il sofista Trasimaco, a quest'ultimo che afferma la giustizia essere
l'utile del più forte Socrate non dice : "sbagli". Ma dice la sua idea di giustizia ("la giustizia è l'utile del
più debole"). Socrate, cioè, sceglie eticamente una "parte", ma senza permettersi di affermare l'errore della
parte avversa.
Del resto, trovo che affermare la superiorità del bene sul male, sia pur nella dimensione dell'iperuranio,
non come una "libera" scelta morale, ma come effettiva "realtà" significherebbe trasporre tale superiorità anche
nel "mondo" (che è quello che in molti fanno, ma con risultati logicamente contradditori - come del resto ben rilevi anche tu).
Se Socrate avesse ragionato in tal modo avrebbe risposto a Trasimaco: "sbagli, perchè la giustizia non è l'utile
del più forte ma quello del più debole".
saluti

cvc

Questo concetto è conosciuto come intellettualismo socratico, il non poter fare il male conoscendo il bene. E per Socrate il bene è la virtù che, in quest'ottica, una volta appresa non si può disimparare. Socrate in pratica non ammette l'incostanza nel bene, la coniscenza della virtù è un'illuminazione, una conversione da cui non si torna più indietro. 
Io non credo che la conoscenza del bene e del male possa essere un mero fatto intellettuale, vome sottolinea Sgiombo, e credo che nemmeno Socrate lo pensasse e che sia quindi erronea la definizione di intellettualismo socratico. Si dovrebbe invece indagare sul significato greco di consapevolezza che non era quello dell'attuale banalizzata accezione di stato di coscienza per lo più relativo, ma era un vero e proprio stato di grazia che illuminava e dava un senso nuovo all'esistenza. Quindi parafrasando direi che il male morale deriva dall'inconsapevolezza del bene.
Fare, dire, pensare ogni cosa come chi sa che da un istante all'altro può uscire dalla vita.

bobmax

@0xdeadbeef
In effetti penso sia arduo distinguere Socrate da Platone.

Sta di fatto che il "parricidio" rappresenta a mio avviso un passaggio fondamentale nella nostra visione del mondo.

Emerge con esso infatti non solo il divenire come verità assoluta, ma soprattutto è ormai data per scontata l'oggettività in sé!

Platone, grande poeta e perciò grandissimo logico, si ritrova costretto, per salvare il Bene, ad inventarsi l'Iperuranio.
La frittata era ormai fatta. Inevitabile comunque, visto il progredire del pensiero logico/razionale.

Abbiamo così imboccato il sentiero della notte.
Dove il nichilismo ci costringerà, prima o poi, a rimettere in discussione sia il divenire sia l'oggettività in sé.

In nome di che cosa?
Ma certo, in nome del Bene!
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

0xdeadbeef

A Bobmax
Embè direi proprio di sì: il "parricidio" è un momento fondamentale nell'intera storia del pensiero filosofico
occidentale...
Con esso comincia la metafisica, come scissione dell'eterno dal diveniente (e con essa comincia, secondo molti
autorevoli pensatori - per me Heidegger su tutti - la "tecnica"); e, sì, sono sostanzialmente d'accordo con te
sul divenire come "evidenza assoluta", con la conseguenza (per me tale è) dell'emergere di una "oggettività in
sè".
In altre parole, in quel momento comincia quel cosiddetto "mondo degli oggetti" che, però, sotto certi aspetti
avrà termine con Kant (quindi dissento da te laddove affermi - se ben ricordo - che oggi siamo ancora immersi
nella medesima oggettività). Ma su quest'ultimo punto dovremmo fare importanti distinguo...
Trovo il tuo discorso molto, come dire, "severiniano".
Ammetterai che è ben difficile mettere in discussione il divenire come "suprema evidenza". Lo si può fare, ma
a patto di finire in certi "contorcimenti" che sono molto, molto difficili da "digerire" (come ad es. l'eternità
di ogni istante che dice Severino).
Del resto, ritengo, non è neppure vero che il nichilismo sia il necessario sbocco del pensiero del divenire (come
sostiene Severino). Perchè mai affermare la necessità che, nel divenire, l'essente sorga e torni nel nulla?
saluti

paul11

#23
Socrate già nel Cratilo quando ad ogni nome ricerca una etimologia, distingueva il bene di Eraclito e di coloro che ritenevano fondamentale il divenire in quanto le apparenze del mondo sensibile essendo mutevoli non ci possono dire del termine giustizia o bene ,in quanto immateriali.Nelle filosofie presocratiche tutto ciò che fluiva come divenire era bene, ciò che contrastava il fluire era male e Socrate lo dimostra nelle etimologie dei termini in greco nel Cratilo.
Nel successivo testo , il Teeteto quando Socrate chiede cosa sia scienza e conoscenza, di nuovo  distingue coloro che credono nel divenire e nelle appercezioni del mutevole divenire , in questo caso Protagora, in quanto scadono in opinioni relativiste. Perchè ogni uomo sosterrà una propria opinione,diversa dagli altri uomini, nel mondo mutevole quanto lo sono opinioni che scorrono e credono nell'apparire e sparire del divenire.E in un mondo di opinione dove stà la verità?
La dialettica di Platone quindi accetta l'eterno di Parmenide in quanto non diveniente,, ma pone l'elemento negativo ,che sarà ripreso da Severino.
Vale a dire si può  negare l'immateriale dove sta il bene e la giustizia, e credere nel divenire, ma sapendo  ogni verità in essa cercata è una negazione del principio di non contraddizione della logica predicativa e quindi non-vera.
Concludendo, il mondo sensibile e diveniente non può dare verità senza cadere nella regola della contraddizione

Jacopus

Circoscrivo. "Il male solo come violenza gratuita o interessata verso gli altri." Il male come prepotenza. Evitiamo cosí di allargare il discorso ad altri tipi di male che ci porterebbero a relativizzare. Fare del male fisico o psicologico senza motivo o per motivi egoistici è un concetto di male piuttosto condivisibile ed oggettivo.
Dire che nasce dell'ignoranza mi sembra piuttosto riduttivo e tautologico. Ma allora dov'è la causa?
Direi che le cause sono molteplici e difficili da omogeneizzare. Il figlio della madre alcolista può subire la sindrome alcolica fetale con modifiche importanti del cervello, una ridotta capacità di autocontrollo, diminuiti strumenti cognitivi e motori. Un ottimo preludio alla possibilità di cacciarsi in guai seri. Il figlio del padre killer ha la probabilità di diventare anch'egli killer, con percentuali doppie o triple rispetto a un soggetto di controllo. In questo caso perché messaggi violenti vengono veicolati nel caldo delle relazioni parentali. Un bambino che subisce una violenza sessuale da bambino sarà motivato a ripetere la violenza sessuale verso altri da adulto. Non tanto per un sentimento distorto di vendetta (talvolta presente) ma soprattutto per avere la sensazione di poter controllare quell' evento traumatico originario ponendosi dalla parte dell'offensore.
Potrei continuare con gli esempi ma quello che forse unisce questi diversi esempi di male è la "concatenazione" del male da un tempo al tempo successivo e come questa concatenazione sia fissata attraverso eventi sociali, ambientali, familiari, di potere economico e politico, genetici. Tutti a loro volta interconnessi fra di loro.
Immaginate la società umana come un sistema idraulico di tubi interconnessi, dentro i quali scorrono le relazioni sociali. Un atto di violenza produce un surplus di pressione che prima o poi si scaricherà altrove magari con forza raddoppiata.
Allora questo tipo di male: la violenza, nasce da sé stessa, da altra violenza. E meno violenza riusciamo ad esercitare, non solo come persone, ma soprattutto come istituzioni, e più riusciremo a tenere sotto controllo questa violenza, che comunque risiede dentro di noi in quanto originariamente possibili prede e possibili predatori del mondo naturale, dal quale ci siamo distaccati da solo qualche migliaio di anni.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

bobmax

Caro 0xdeadbeef,
sono convinto che la volontà di potenza nasca dalla stessa l'interpretazione razionale della realtà. Per la quale il reale è composto da oggetti che abitano il presente e che subiscono il divenire.
Questi oggetti esistono di per sé, ma sono costretti a mutare nel tempo.
 
La volontà di potenza nasce dall'illusione di poter incidere su questo mutamento.
Di modo che è fondata su due concetti ritenuti assoluti: l'oggettività in sé e il divenire.
Noi, oggetti tra gli oggetti, abbiamo la facoltà di modificare la realtà!
Da qui il delirio di volontà di potenza.
 
Il solipsismo, viceversa, fa incorrere in una differente allucinazione. Che consiste dell'ottundimento di chi si convince di essere Dio. E su questo rischio la filosofia yoga mette ben in guardia!
Di fatto, noi siamo Dio, ma non in quanto padrone e signore che fa o disfa come gli aggrada (che è un'idea che deriva anch'essa dal credere nell'oggettività in sé e nel divenire). Noi siamo Dio in quanto Uno!
 
Rispetto Severino. La sua idea non è però affatto originale. Anzi, parte monca e così è rimasta fino ad ora (ho avuto modo di confrontarmi con lui in più occasioni, ma non c'è verso...).
Non solo il divenire, la stessa oggettività in sé è soltanto un'illusione!

Per rendercene conto, è sufficiente soffermarci sul nostro amore per chi ora magari non c'è più. E chiederci chi, cosa amavamo ed amiamo. Allora forse, attraverso il nostro amore, potremo intuire che occorre perdere tutto ciò che consideravamo concreto dell'amato, che ne definiva ciò che era, ogni sua sostanza, ogni sua storia, e di fronte a quel nulla che rimane, un sorriso potrà forse nascere in noi.
 
Oppure, potrà essere necessario andare all'inferno. E' sufficiente meditare sulle proprie colpe, e l'inferno può spalancarsi dentro di noi! E lì, allora, Dio sarà certo.

PS
Heidegger, sono convinto sia un cattivo maestro...
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

0xdeadbeef

A Jacopus
Io credo che sia proprio sulle basi che tu descrivi che nella modernità si sia giunti a confondere i condizionamenti
con le determinazioni. Che sia giunti, ovvero, non solo a "comprendere" ma anche a "giustificare".
E questo è, precisamente, il motivo per cui molto spesso i processi penali si trasformano in qualcosa di grottesco
(in una specie di ricerca scientifica delle cause per cui l'imputato ha agito in un certo modo).
Inutile dire che, spessissimo, questa specie di "eziologia" processuale arriva a stabilire la non-punibilità
anche davanti a fatti accertati ben al di là di ogni ragionevole dubbio. E questo succede perchè si è smarrito il
concetto di "colpa" (e lo si è smarrito perchè questo concetto non è un concetto scientifico, laddove la nostra civiltà
ha come unico suo faro la scienza e ciò che ne concerne).
A mio parere, questa è l'ennesima dimostrazione di come la nostra civiltà sia essenzialmente una civiltà scientista;
una civiltà, ovvero, nella quale vige incontrastato il più estremo dei positivismi tardo ottocenteschi.
saluti

Jacopus

A Ox. Condizionamenti, determinazioni? Io credo nel libero arbitrio, se ti interessa. E quindi ognuno è responsabile di ciò che fa. Ma non bisogna neppure essere ingenui e pensare al libero arbitrio come assoluto. Anzi è molto più relativo che assoluto. Ne abbiamo molte prove, scientifiche. Se questo tu li consideri scientismo fai solo dell'ideologia.
Sulla non punibilità non so esattamente a cosa ti riferisca. Ammesso che una persona sia incapace di intendere e volere non sfugge comunque a misure di controllo se considerata pericolosa socialmente ed anzi in questo caso non vi è neppure un fine pena certo ma una rivalutazione periodica della pericolosità, nei casi estremi, si ne die.
Lo scientismo positivista è stato superato in molti modi e l'epoca del positivismo, in questo campo, è stato il tempo di Lombroso, dal quale ci siamo notevolmente distaccati.
Se esiste la violenza però non si può fingere che derivi da una malvagità insita non si sa come nell'uomo. Altrimenti si cade nella metafisica religiosa che a proposito di processi grotteschi avrebbe molto da dire.
È proprio la scienza che invece si domanda laicamente da dove proviene la violenza e come fare per ridurla. Ovvio che questo potrebbe anche significare il mutamento dei rapporti di potere come ha, a lungo, asseverato e con molte ragioni, il pensiero marxista. La violenza e il dominio sono aspetti del potere dell'uomo sull'uomo che si trasferiscono in mille modi dal rapporto individuale al rapporto soggetto subordinato/istituzione.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

sgiombo

Citazione di: 0xdeadbeef il 20 Ottobre 2018, 17:05:42 PM


Ah beh, la superiorità del bene sul male come scelta etica, è evidente...
Nel celebre dialogo platonico fra Socrate e il sofista Trasimaco, a quest'ultimo che afferma la giustizia essere
l'utile del più forte Socrate non dice : "sbagli". Ma dice la sua idea di giustizia ("la giustizia è l'utile del
più debole"). Socrate, cioè, sceglie eticamente una "parte", ma senza permettersi di affermare l'errore della
parte avversa.
Del resto, trovo che affermare la superiorità del bene sul male, sia pur nella dimensione dell'iperuranio,
non come una "libera" scelta morale, ma come effettiva "realtà" significherebbe trasporre tale superiorità anche
nel "mondo" (che è quello che in molti fanno, ma con risultati logicamente contradditori - come del resto ben rilevi anche tu).
Se Socrate avesse ragionato in tal modo avrebbe risposto a Trasimaco: "sbagli, perchè la giustizia non è l'utile
del più forte ma quello del più debole".
saluti

Ovvio che il male é male e il bene é bene.
E che per chi sia eticamente "buono" (magnanimo, generoso, ecc.) il male é superiore al bene per definizione (e viceversa per chi sia "malvagio": egoista, gretto, meschino, disonesto, ecc.).

Ma quando dico che non mi convince un "dualismo con prevalenza del bene" non mi riferisco a questo, bensì al fatto che trovo oscura e per lo meno di dubbia coerenza logica l' ipotesi dell' esistenza di in Dio Buono (o di un "principio o arché impersonale" buono "più potente" (di quanto? In che senso?) di un Dio (o di un "principio o arché impersonale" malvagio "meno potente, "destinato a soccombere" (quando? Come? A quali condizioni? Con quale "trattato di pace"?).
Ancor più contraddittoria mi sembra l' ipotesi di un Dio buono che crea un demone malvagio o di un "principio o arché impersonale" buono che implica in subordine un  "principio o arché impersonale" cattivo ( come può un "principio o arché" buono implicare alcunché di cattivo? In che misura, in che senso "in subordine"?)

0xdeadbeef

#29
Citazione di: paul11 il 21 Ottobre 2018, 00:54:36 AM

Vale a dire si può  negare l'immateriale dove sta il bene e la giustizia, e credere nel divenire, ma sapendo  ogni verità in essa cercata è una negazione del principio di non contraddizione della logica predicativa e quindi non-vera.
Concludendo, il mondo sensibile e diveniente non può dare verità senza cadere nella regola della contraddizione



Ciao Paul
La stessa logica, ritengo ineccepibile, che porta Nietzsche ad affermare: "nell'eterno fluire delle cose, di nulla
potremmo dire che è (se lo diciamo è, così, per vivere)".
Dunque l''assoluto affermato anche da chi non ne ha consapevolezza (seppur con uno scopo utilitaristico).
Quindi l'"ab-soluto" non come "possiiblità" (di coloro che vi credono), ma come vera e propria necessità.
saluti

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